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Autore: ArgusApocraphex_    11/07/2012    1 recensioni
Quando i ricordi possono farti incontrare la persona che avevi perso per sempre.
O era solo un fantasma?
Può bastare una fotografia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa" piccola" storia mi è stata ispirata dalla canzone “Wish you were here” di Avril Lavigne.

Non ascolto questa cantante, però questa canzone mi è piaciuta particolarmente. Ho voluto postarla tutta per non rovinarla, quindi mi scuso se possa sembrare troppo lunga e estenuante da leggere.

Spero che possa piacervi e emozionarvi un pochino.

E mi scuso per le ripetizioni nelle strofe di canzoni, ma ho scritto quelle che ritenevo più opportune in base a ciò che stavo ascoltando e ai momenti della storia.

-B.

 

 

 

 

Mi giro e rigiro nel letto.

Le lenzuola mi avvolgono, riscaldandomi dal fresco venticello che soffia dalla finestra.

Strizzo gli occhi serrati, continuando a girarmi e a rigirarmi nel letto, invano. Morfeo questa notte non vuol prendermi fra le sue braccia.

Mi alzo.

I piedi nudi entrano in contatto con il gelido parquet, provocando un lieve cigolio sordo alle mura della stanza.

Avanzo in punta di piedi a piccoli passi, guidandomi nel buio, illuminato dalla fioca luce della luna che attraversa l’atmosfera in un filo sottile.

C’è silenzio in casa.

Come sempre.

Un velo di silenzio calato in un freddo giorno di agosto.

Un giorno in cui persino l’afosa estate ha perso calore, congelando i possenti raggi di luce focosi in cristallini diamanti di pioggia.

Accendo l’adbajoure.  La luce soffusa mostra la mia camicia da notte, i cui bordi giacciono a terra morbidi, accarezzati dal parquet.

Apro il cassetto della scrivania. Prendo uno scrigno.

Lo poggio su di essa.

Lo apro.

Prendo delle fotografie.

Sono un po’ ingiallite, come i miei ricordi.

Le mie dita le accarezzano esili, delicate.

Una ragazza con i capelli bruni, gli occhi castani sorridenti, come le labbra.

Intorno a lei le braccia di un Lui alto, leggermente pallido, ma con delle guance rosee, gli occhi nascosti da una montatura di occhiali metallizzata.

Accarezzo il suo viso punto dalla barba, salendo verso il naso, i suoi occhiali gelidi come il ghiaccio, i capelli corti ma un po’ disordinati, come le basette.

Non te li pettinavi mai, li lasciavi liberi al vento. E nonostante fossero disordinati, stavi bene. Ti rendevano più disinvolto, più tranquillo. Non ti importava di apparire bello agli occhi degli altri.

Ricordi?

Te li scompigliavi sempre, quando c’era il vento.

Volavano tra le tue dita leggeri, come fossero piume.

Magari gli altri ti dicevano di ordinarteli, come ti raccomandava tua madre: “Ordinateli, sembri un caprone!” ma a te andavano bene così.

Avevano il colore dei tuoi occhi.

Alla luce del sole brillavano, penetrati dai raggi che li riscaldavano.

Anche quando non c’era il sole continuavano a brillare.

Avevano luce propria, come fossero stelle.

E’ da tanto che non ti accarezzo i capelli.

Dove sei?

Ti sto cercando.

Come ti stavo cercando quel giorno di agosto di tanti anni fa.

 

 

And I remember all those crazy things we did,

Didn’t think about it

Just went with it.

 

 

Eri uscito con la tua auto,

Dovevi fare delle commissioni.

Io rimasi a casa a pulire, spolverare, piegare le tue magliette disordinate in tutta la stanza.

Vedendole sospiravo, perché tu non le mettevi mai al loro posto: non volevi proprio saperne dell’ordine! Ma dall’altra parte ridevo, perché ti avrei rimproverato al ritorno, come se fossi una mamma alle prese con il suo bambino.

Quel giorno, però,

non ti rimproverai.

Ti chiamavo al cellulare ma non rispondevi, c’era sempre la voce della segreteria che mi invitava a chiamarti più tardi.

Riprovai dopo un paio di minuti, inutilmente.

Il tempo stava passando. Ne era passato fin troppo.

Così decisi:

Sarei venuta a cercarti.

 

You’re always there, you’re everywhere

But right now I wish you were

here.

 

Il calore di quella giornata imperlava il mio viso di docce di sudore che percorrevano tutto il corpo.

Urlai più volte il tuo nome, che echeggiava nell’aria.

Non ottenevo altra risposta che il silenzio.

Camminai per un tempo indefinito mentre la stanchezza si stava impossessando delle mie gambe lentamente e letalmente,

ma resistetti.

Continuai a girare in lungo e in largo, a destra e a sinistra; fra alberi e marciapiedi con il tuo nome fra le labbra, senza arrendermi.

Poi mi ricordai che andavi spesso nel parco in cui ti incontravi con gli amici prima di tornare a casa, così mi incamminai verso quella nuova meta.

Fu lì che la vidi:

la tua macchina.  

 

No, I can’t stand the pain

And I can’t make it go away…

 

Era in frantumi,

come lo era la mia testa in quel momento.

Le mani iniziarono a tremare, impaurite,

come il mio cervello.

Mi portai una mano alla bocca, mentre con l’altra mi sostenevo il petto, per massaggiarlo dalle fitte che lo stavano uccidendo.

Mi avvicinai lentamente, trattenendo il respiro.

Non so con quale coraggio lo stessi facendo: forse lo stavo facendo con la speranza di poteri trovare lì, vivo,in mezzo a quei rotttami, poi saltare fuori e dirmi: “era tutto uno scherzo, ci sei cascata!”.

I miei occhi notarono i piccoli cristalli dei vetri distrutti che splendevano alla luce del sole, le portiere sfondate, la gomma delle ruote consumata sull’asfalto.

Ma tu non c’eri.

Mi scorsi verso il sedile anteriore:

persino il volante non c’era.

L’unica cosa che notai fu un cartoncino rettangolare sopra quello che doveva essere il cruscotto.

Mi feci in avanti col busto e lo presi.

La nostra fotografia.

 

All those crazy things ya said,

You left them running

through my head.

 

La guardai.

Il vento caldo di quel pomeriggio di agosto divenne gelido.

Il cielo azzurro fece spazio alle nuvole  grigie come le tue ceneri che riuscivo a distinguere sulla vernice blu metallizzata della macchina.

Una goccia di pioggia scese sul mio naso,

assieme ad essa iniziarono a scendere le altre.

Gli occhi si chiusero. Le ciglia iniziarono a battere umide.

Mi toccai la guancia: era fredda.

Come le gocce di pioggia che scendevano sul mio viso,

assieme alle lacrime.

Anche sui visi stampati in quella fotografia.

 

How could this happen to me

I made my mistakes

I’ve got nowhere to run

The night goes on as I’m fading away

I’m sick of this life, I just wanna

scream

How could this happen to me?

 

Non c’eri.

La casa era diventata vuota,

 senza di te.

La mia stanza.

La nostra stanza.

Non c’erano più le tue magliette sparse per casa, i tuoi scherzi,

le tue prese in giro.

Non c’eri.

Agosto era diventato un mese gelido.

Un mese spoglio.

Un mese di silenzio.

Un mese freddo come il pezzo di pietra su cui è inciso il tuo nome.

Non c’eri.

Non ci sei.

Dove sei?

Ti sto cercando.

Non riesco a sentire la tua voce.

Tu la senti,

la mia?

Ascoltami

Ascoltami

Ascoltami...

 

And the truth is that I really miss....

 

Scorro le altre fotografie nella mia mano.

Impolverate,

 come i miei ricordi;

sbiadite,

come la mia memoria.

Mi soffermo su una di esse.

La guardo.

Lei, capelli ricci morbidi sulle spalle, un sorriso luccicante quanto i lustrini del vestito a frange arancione che indossa.

Nella sua mano quella di Lui, elegante, sguardo nascosto dietro gli occhiali e le rosee guance, gli occhi dentro quelli di Lei.

Era una festa in crociera.

Quella sera, tornata,in cabina, non ti trovai, ma al tuo posto vidi un biglietto sulla porta.

 

Sul letto troverai un vestito;

indossalo e vai nella sala dei ricevimenti.

 

Sorrisi; poi girai la maniglia della porta.

Lo vidi: era steso sulle morbide lenzuola del letto,

profumavano di fresco.

Arancione e a bretelle, era corto, pieno di lustrini dorati, e terminava con delle frange in pailettes, anch’esse dorate.

Lo strinsi tra le mie dita delicatamente e lo portai in vicinanza di una guancia,

come per accarezzarlo.

Lo presi dalle bretelle con le mie dita e lo guardai stupita, mentre un gran sorriso si faceva spazio tra le labbra.

Andai in bagno per cambiarmi; ne uscì dopo un paio di minuti vestita e truccata leggermente.

Mi guardai un’ultima volta allo specchio,

con gli occhi contornati da un filo di matita.

Uscii dalla cabina.

 

 

 

 

Il corridoio era lungo e silenzioso:

sentivo solo la voce di qualche persona provenire dalle cabine vicine e c’era della luce proveniente dall’occhiello delle porte.

Camminavo lentamente, facendo attenzione a non cadere dalle scarpe col tacco.

Poi iniziai a vedere delle luci.

Il buio venne assorbito dalle lanterne che illuminavano i lati del corridoio.

In pochi passi arrivai a quello che doveva essere l’ingresso della sala ricevimenti.

Ci entrai.

Everbybody’s coming to the party

have a real good time.

Dancing in the desert blowing up the sunshine.

 

 

Tante persone ballavano; c’era una luce soffusa che rilassava l’atmosfera e le persone.

Mi guardai intorno: ero l’unica persona sola in mezzo a tante coppiette che si muovevano a suon di lento.

Feci qualche passo, non staccando gli occhi da ciò che mi circondava.

Poi sentii una voce.

-Sei qui.-

Mi voltai.

Un ragazzo in frac e gli occhiali sul naso mi sorrideva lievemente con un angolo della bocca, avanzando con le mani in tasca e il viso impacciato.

Ti guardai, immobile, mentre sul mio viso si stendeva un sorriso ridente illuminato dalle guance rosse.

Ti dissi che sembravi un pinguino e tu mi rispondesti con una smorfia in un si nascondeva una risata.

Mi guardasti e mi porgesti la tua mano.

La strinsi con la mia, mentre l’altra la poggiai sulla tua spalla.

 

Can I have this dance?

Non so quanto ballammo.

So solo che, quella sera, ha avuto posto nei miei ricordi.

E questa fotografia ne è la prova.

 

La osservo ancora.

Gli occhi lucidi trattengono le gocce umide ai loro angoli.

Il vento diventa sempre più forte,

solleva la mia camicia morbida da terra.

La finestra sbatte violentemente.

Sollevo gli occhi dalla foto.

Iniziano a bruciare, a causa del vento che li attraversa.

Li rivolgo verso la finestra.

Vedo un’immagine.

 

On his face is a map of the world.

 

Appannata,

sfocata.

Ha gli occhiali. I capelli disordinati. Le basette.

Sei tu.

Ti stavo cercando,

ti ho trovato.

Sei qui.

Non sei un fantasma,

vero?

 

I love the way you are, it’s who I am.

 

Sei tu.

mi sorridi. Sei un alone.

Sei l’alone di un ricordo non ancora scomparso,

 come l’alone di una scritta su un vetro ormai cancellata.

Stringo la fotografia tra le mie dita, premendola sul petto.

Il vento diventa sempre più forte.

Mi guardo intorno:

 inizio a girare.

Sei ancora lì.

Il tuo sorriso lucida i miei occhi. Una polverina brillante mi circonda.

Giro, giro

Giro

Giro...

 

What goes around… comes around.

 

Apro gli occhi.

Non indosso più la camicia da notte.

Sul mio corpo scivola un vestito arancione brillante a frange.

Nonostante siano passati anni mi calza ancora a pennello.

Intorno a me non c’è più la mia stanza,

c’è la sala ricevimenti della crociera;

quella a cui avevamo preso parte

circa dieci anni fa.

Ti cerco con lo sguardo. Sei ancora lì.

Non sei più sbiadito.

Non sei più appannato.

Non sei più un alone.

Sei reale.

 

Hai il frac,

come quella sera.

E’ tutto,

come quella sera.

Sei qui.

Accanto a me.

 

It’s even harder to picture that you’re not next to me.

 

Sento il rumore dei tuoi mocassini avvicinarsi ai miei piedi avvolti da scarpette col tacco brillanti,

come il vestito.

Mi porgi la tua mano.

La stringo.

La sento.

E’ nella mia.

Sento le tue dita che conducono le mie.

Sento la tua pelle che le riveste.

Poggio l’altra mano sulla tua spalla.

E tu mi circondi con le tue.

 

Damn, damn, damn

what I’d do to have you here, here, here

I wish you were here.

 

Iniziamo a dondolare lentamente. Mi guardo intorno:

vedo le stesse persone di dieci anni fa.

Sorrido. Abbasso lo sguardo verso i nostri piedi che vanno a ritmo di musica.

 

Damn, damn, damn

what I’d do to have you near, near, near

I wish you were here…

 

Sei qui. Con me.

Ancora.

I tuoi occhi. Li vedo,

di fronte ai miei.

Sono sempre gli stessi di dieci anni fa.

I capelli sempre un po’ disordinati; ribelli, ma corti.

Non crescono mai, sono sempre gli stessi.

Tu sei sempre lo stesso.

Non sei cambiato.

 

We always say, say like it is

And the truth is that I really miss.

 

Sollevo lo sguardo,

Il tuo è rivolto verso le mie labbra.

Ti avvicini piano; mi avvicino anche io.

Le mie labbra ti stanno cercando,

come le tue cercano le mie.

Chiudo gli occhi,

li apro.

Non ci sei più.

 

 Behind this wall you just walk through it.

 

Non ci sei più.

Non c’è più il vestito.

Non c’è più la sala.

Non ci sono più le persone.

Son seduta a terra, avvolta dalla mia camicia da notte e con la fotografia stretta tra le dita.

Dove sei?

Eri qui, prima,

fino a qualche secondo fa.

Non eri ritornato,

 per me?

Eri vero, c’eri!

Dove sei?

Ti avevo trovato.

Perché sei scappato?

Perché sei andato via, un’altra volta?

 

 

I just wanna let you know that I never wanna

Let go

Let go

Let go

Let go…

 

Mi hai lasciato.

Di nuovo.

Per sempre.

Dopo quel maledetto incidente d’auto mi hai lasciato, mi abbandonata.

Ed ora c’eri.

Dove sei?

Dove sei andato?

Quando ti rivedrò ancora?

Ritorna

ti prego,

ritorna.

Non riesco più a sentire la tua voce.

Tu la senti, la mia?

Ascoltami

Ascoltami

Ascoltami...

Vorrei che tu fossi

qui.

 

Damn, damn, damn

What I’d do to have you

here, here, here

I wish you were here.

Damn, damn, damn

What I’d do to have you

near, near, near

I wish you were here.

 

 

Mi alzo in piedi.

Guardo verso il muro davanti a me.

Stringo la foto, mentre le lacrime annebbiano la mia vista.

Ritorna, ti prego, ritorna...

 

*Lui.*

Lei ha il capo verso il basso. Stringe ancora la nostra fotografia al suo petto.

In dieci anni non è cambiata in nulla. Anzi, è ancora più bella di prima.

La mia anima trasparente si muove verso il suo corpo.

Sfioro con le mie dita appannate i suoi fianchi.

La stringo da dietro.

Non può sentire il mio tocco,

non può sentire il mio abbraccio.

Non può sentire la mia testa sulla sua spalla.

Vorrei essere qui.

 

Sento qualcosa toccarmi la spalla,

sento qualcosa avvolgermi.

Cosa sarà?

Sarà il vento.

La finestra è ancora aperta...

 

 

...I wish you were here.

  
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