Questa" piccola" storia
mi è stata ispirata dalla canzone “Wish you were
here” di Avril Lavigne.
Non ascolto questa cantante, però questa canzone mi è piaciuta particolarmente. Ho voluto postarla tutta per non rovinarla, quindi mi scuso se possa sembrare troppo lunga e estenuante da leggere.
Spero che possa
piacervi e emozionarvi un pochino.
E mi scuso per le
ripetizioni nelle strofe di canzoni, ma ho scritto quelle che ritenevo
più opportune in base a ciò che stavo ascoltando
e ai momenti della storia.
-B.
Mi giro e
rigiro nel letto.
Le lenzuola mi avvolgono, riscaldandomi dal fresco venticello che soffia dalla finestra.
Strizzo gli occhi serrati, continuando a girarmi e a rigirarmi nel letto, invano. Morfeo questa notte non vuol prendermi fra le sue braccia.
Mi alzo.
I piedi nudi entrano in contatto con il gelido parquet, provocando un lieve cigolio sordo alle mura della stanza.
Avanzo in punta di piedi a piccoli passi, guidandomi nel buio, illuminato dalla fioca luce della luna che attraversa l’atmosfera in un filo sottile.
C’è silenzio in casa.
Come sempre.
Un velo di silenzio calato in un freddo giorno di agosto.
Un giorno in cui persino l’afosa estate ha perso calore, congelando i possenti raggi di luce focosi in cristallini diamanti di pioggia.
Accendo l’adbajoure. La luce soffusa mostra la mia camicia da notte, i cui bordi giacciono a terra morbidi, accarezzati dal parquet.
Apro il cassetto della scrivania. Prendo uno scrigno.
Lo poggio su di essa.
Lo apro.
Prendo delle fotografie.
Sono un po’ ingiallite, come i miei ricordi.
Le mie dita le accarezzano esili, delicate.
Una ragazza con i
capelli bruni, gli occhi castani sorridenti, come le labbra.
Intorno a lei le
braccia di un Lui alto, leggermente pallido, ma con delle guance rosee,
gli
occhi nascosti da una montatura di occhiali metallizzata.
Accarezzo il suo viso punto dalla barba, salendo verso il naso, i suoi occhiali gelidi come il ghiaccio, i capelli corti ma un po’ disordinati, come le basette.
Non te li pettinavi mai, li lasciavi liberi al vento. E nonostante fossero disordinati, stavi bene. Ti rendevano più disinvolto, più tranquillo. Non ti importava di apparire bello agli occhi degli altri.
Ricordi?
Te li scompigliavi sempre, quando c’era il vento.
Volavano tra le tue dita leggeri, come fossero piume.
Magari gli altri ti dicevano di ordinarteli, come ti raccomandava tua madre: “Ordinateli, sembri un caprone!” ma a te andavano bene così.
Avevano il colore dei tuoi occhi.
Alla luce del sole brillavano, penetrati dai raggi che li riscaldavano.
Anche quando non c’era il sole continuavano a brillare.
Avevano luce propria, come fossero stelle.
E’ da tanto che non ti
accarezzo i capelli.
Dove
sei?
Ti sto cercando.
Come ti stavo cercando quel giorno di agosto di tanti anni fa.
And I remember all those crazy
things we did,
Didn’t think about it
Just went with it.
Eri
uscito con la tua auto,
Dovevi
fare delle commissioni.
Io rimasi a casa a pulire, spolverare, piegare le
tue magliette
disordinate in tutta la stanza.
Vedendole sospiravo, perché tu non le
mettevi mai al loro posto:
non volevi proprio saperne dell’ordine! Ma
dall’altra parte ridevo, perché ti
avrei rimproverato al ritorno, come se fossi una mamma alle prese con
il suo
bambino.
Quel giorno, però,
non ti
rimproverai.
Ti chiamavo al cellulare ma non rispondevi,
c’era sempre la voce
della segreteria che mi invitava a chiamarti più tardi.
Riprovai dopo un paio di minuti, inutilmente.
Il tempo stava passando. Ne era passato fin troppo.
Così decisi:
Sarei
venuta a cercarti.
You’re always there, you’re
everywhere
But right now I wish you were
here.
Il calore di quella giornata imperlava il mio viso
di docce di
sudore che percorrevano tutto il corpo.
Urlai più volte il tuo nome, che
echeggiava nell’aria.
Non ottenevo altra risposta che il silenzio.
Camminai per un tempo indefinito mentre la
stanchezza si stava
impossessando delle mie gambe lentamente e letalmente,
ma
resistetti.
Continuai a girare in lungo e in largo, a destra e
a sinistra; fra
alberi e marciapiedi con il tuo nome fra le labbra, senza arrendermi.
Poi mi ricordai che andavi spesso nel parco in cui
ti incontravi
con gli amici prima di tornare a casa, così mi incamminai
verso quella nuova
meta.
Fu lì che la vidi:
la
tua
macchina.
No,
I can’t stand the pain
And I can’t make it go
away…
Era
in frantumi,
come lo era la mia testa in quel momento.
Le mani iniziarono a tremare, impaurite,
come il mio cervello.
Mi portai una mano alla bocca, mentre con
l’altra mi sostenevo il
petto, per massaggiarlo dalle fitte che lo stavano uccidendo.
Mi avvicinai lentamente, trattenendo il respiro.
Non so con quale coraggio lo stessi facendo: forse
lo stavo
facendo con la speranza di poteri trovare lì, vivo,in
mezzo a quei rotttami, poi saltare fuori e dirmi: “era
tutto uno scherzo, ci sei cascata!”.
I miei occhi notarono i piccoli cristalli dei vetri
distrutti che
splendevano alla luce del sole, le portiere sfondate, la gomma delle
ruote
consumata sull’asfalto.
Ma tu non
c’eri.
Mi scorsi verso il sedile anteriore:
persino il volante non c’era.
L’unica cosa che notai fu un cartoncino
rettangolare sopra quello
che doveva essere il cruscotto.
Mi feci in avanti col busto e lo presi.
La nostra fotografia.
All those crazy things ya said,
You left them running
through my head.
La guardai.
Il vento caldo di quel pomeriggio di agosto divenne
gelido.
Il cielo azzurro fece spazio alle nuvole grigie come le tue ceneri
che riuscivo a
distinguere sulla vernice blu metallizzata della macchina.
Una goccia di pioggia scese sul mio naso,
assieme ad essa iniziarono a scendere le altre.
Gli occhi si chiusero. Le ciglia iniziarono a
battere umide.
Mi toccai la guancia: era
fredda.
Come le gocce di pioggia che scendevano sul mio
viso,
assieme
alle lacrime.
Anche sui visi stampati in
quella fotografia.
How could this happen to me
I made my mistakes
I’ve got nowhere to run
The night goes on as I’m fading
away
I’m sick of this life, I just
wanna
scream
How could this happen to me?
Non
c’eri.
La casa era diventata vuota,
senza
di te.
La mia stanza.
La nostra stanza.
Non c’erano più le tue
magliette sparse per casa, i tuoi scherzi,
le tue prese in giro.
Non
c’eri.
Agosto era diventato un mese gelido.
Un mese spoglio.
Un mese di silenzio.
Un mese freddo come il pezzo di pietra su cui
è inciso il tuo nome.
Non c’eri.
Non ci
sei.
Dove sei?
Ti sto
cercando.
Non riesco a sentire la tua voce.
Tu la senti,
la mia?
Ascoltami
Ascoltami
Ascoltami...
And the truth is that I really
miss....
Scorro
le altre fotografie nella mia mano.
Impolverate,
come
i miei ricordi;
sbiadite,
come la mia memoria.
Mi soffermo su una di esse.
La guardo.
Lei,
capelli ricci morbidi sulle spalle, un sorriso luccicante quanto i
lustrini del
vestito a frange arancione che indossa.
Nella sua
mano quella di Lui, elegante, sguardo nascosto dietro gli occhiali e le
rosee
guance, gli occhi dentro quelli di Lei.
Era
una festa in crociera.
Quella sera, tornata,in
cabina, non ti trovai, ma al tuo posto
vidi un biglietto sulla porta.
Sul
letto troverai un vestito;
indossalo
e vai nella sala dei ricevimenti.
Sorrisi; poi girai la maniglia della porta.
Lo vidi: era steso sulle morbide lenzuola del
letto,
profumavano di fresco.
Arancione e a bretelle, era corto, pieno di
lustrini dorati, e
terminava con delle frange in pailettes, anch’esse dorate.
Lo strinsi tra le mie dita delicatamente e lo
portai in vicinanza
di una guancia,
come per accarezzarlo.
Lo presi dalle bretelle con le mie dita e lo
guardai stupita,
mentre un gran sorriso si faceva spazio tra le labbra.
Andai in bagno per cambiarmi; ne uscì
dopo un paio di minuti
vestita e truccata leggermente.
Mi guardai un’ultima volta allo specchio,
con gli occhi contornati da un filo di matita.
Uscii dalla cabina.
Il corridoio era lungo e silenzioso:
sentivo solo la voce di qualche persona provenire
dalle cabine
vicine e c’era della luce proveniente
dall’occhiello delle porte.
Camminavo lentamente, facendo attenzione a non
cadere dalle scarpe
col tacco.
Poi iniziai a vedere delle luci.
Il buio venne assorbito dalle lanterne che
illuminavano i lati del
corridoio.
In pochi passi arrivai a quello che doveva essere
l’ingresso della
sala ricevimenti.
Ci
entrai.
Everbybody’s coming to the party
have a real good time.
Dancing in the desert blowing up
the sunshine.
Tante persone ballavano; c’era una luce
soffusa che rilassava
l’atmosfera e le persone.
Mi guardai intorno: ero l’unica persona
sola in mezzo a tante
coppiette che si muovevano a suon di lento.
Feci qualche passo, non staccando gli occhi da
ciò che mi
circondava.
Poi sentii una voce.
-Sei qui.-
Mi voltai.
Un ragazzo in frac e gli occhiali sul naso mi
sorrideva lievemente
con un angolo della bocca, avanzando con le mani in tasca e il viso
impacciato.
Ti guardai, immobile, mentre sul mio viso si
stendeva un sorriso
ridente illuminato dalle guance rosse.
Ti dissi che sembravi un pinguino e tu mi
rispondesti con una
smorfia in un si nascondeva una risata.
Mi guardasti e mi porgesti la tua mano.
La strinsi con la mia, mentre
l’altra la poggiai sulla tua spalla.
Can I have this dance?
Non so quanto ballammo.
So solo che, quella sera, ha avuto posto nei miei
ricordi.
E
questa fotografia ne è la prova.
La osservo ancora.
Gli occhi lucidi trattengono le gocce umide ai loro
angoli.
Il vento diventa sempre più forte,
solleva la mia camicia morbida da terra.
La finestra sbatte violentemente.
Sollevo gli occhi dalla foto.
Iniziano a bruciare, a causa del vento che li
attraversa.
Li rivolgo verso la finestra.
Vedo un’immagine.
On his face is a map of the
world.
Appannata,
sfocata.
Ha gli occhiali. I capelli disordinati. Le basette.
Sei tu.
Ti stavo cercando,
ti ho trovato.
Sei qui.
Non sei un fantasma,
vero?
I love the way you are, it’s who
I am.
Sei tu.
mi sorridi. Sei un alone.
Sei l’alone di un ricordo non ancora
scomparso,
come
l’alone di una scritta
su un vetro ormai cancellata.
Stringo la fotografia tra le mie dita, premendola
sul petto.
Il vento diventa sempre più forte.
Mi guardo intorno:
inizio
a girare.
Sei ancora lì.
Il tuo sorriso lucida i miei occhi. Una polverina
brillante mi
circonda.
Giro, giro
Giro
Giro...
What goes around… comes around.
Apro gli occhi.
Non indosso più la camicia da notte.
Sul mio corpo scivola un vestito arancione
brillante a frange.
Nonostante
siano passati anni mi calza ancora a pennello.
Intorno a me non c’è
più la mia stanza,
c’è la sala ricevimenti della
crociera;
quella a cui avevamo preso parte
circa dieci anni fa.
Ti cerco con lo sguardo. Sei ancora lì.
Non sei più sbiadito.
Non sei più appannato.
Non sei più un alone.
Sei
reale.
Hai il frac,
come
quella sera.
E’ tutto,
come quella sera.
Sei qui.
Accanto
a me.
It’s even harder to picture that
you’re not next to me.
Sento il rumore dei tuoi mocassini avvicinarsi ai
miei piedi
avvolti da scarpette col tacco brillanti,
come il vestito.
Mi porgi la tua mano.
La
stringo.
La sento.
E’ nella mia.
Sento le tue dita che conducono le mie.
Sento la tua pelle che le riveste.
Poggio l’altra mano sulla tua spalla.
E tu mi circondi con le tue.
Damn, damn, damn
what I’d do to have you here,
here, here
I wish you were here.
Iniziamo a dondolare lentamente. Mi guardo intorno:
vedo le stesse persone di dieci anni fa.
Sorrido. Abbasso lo sguardo
verso i nostri piedi che vanno a ritmo
di musica.
Damn, damn, damn
what I’d do to have you near,
near, near
I wish you were here…
Sei qui. Con me.
Ancora.
I tuoi occhi. Li vedo,
di fronte ai miei.
Sono sempre gli stessi di dieci anni fa.
I capelli sempre un po’ disordinati;
ribelli, ma corti.
Non crescono mai, sono sempre gli stessi.
Tu sei sempre
lo stesso.
Non sei cambiato.
We always say, say like it is
And the truth is that I really
miss.
Sollevo lo sguardo,
Il tuo è rivolto verso le mie labbra.
Ti avvicini piano; mi avvicino anche io.
Le mie labbra ti stanno cercando,
come le tue cercano le mie.
Chiudo gli occhi,
li apro.
Non ci sei più.
Behind this wall you just walk
through it.
Non ci sei
più.
Non c’è più il
vestito.
Non c’è più la sala.
Non ci sono più le persone.
Son seduta a terra, avvolta dalla mia camicia da
notte e con la
fotografia stretta tra le dita.
Dove
sei?
Eri qui, prima,
fino a
qualche secondo fa.
Non eri ritornato,
per
me?
Eri vero,
c’eri!
Dove sei?
Ti avevo trovato.
Perché sei scappato?
Perché sei andato
via, un’altra volta?
I just wanna let you know that I
never wanna
Let go
Let go
Let go
Let
go…
Mi hai lasciato.
Di nuovo.
Per
sempre.
Dopo quel maledetto incidente d’auto mi
hai lasciato, mi
abbandonata.
Ed ora c’eri.
Dove sei?
Dove sei andato?
Quando ti rivedrò ancora?
Ritorna
ti prego,
ritorna.
Non riesco più a sentire la tua voce.
Tu la senti, la mia?
Ascoltami
Ascoltami
Ascoltami...
Vorrei che tu fossi
qui.
Damn, damn, damn
What I’d do to have you
here, here, here
I wish you were here.
Damn, damn, damn
What I’d do to have you
near, near, near
I wish you were here.
Mi alzo in piedi.
Guardo verso il muro davanti a me.
Stringo la foto, mentre le lacrime annebbiano la
mia vista.
Ritorna,
ti prego, ritorna...
*Lui.*
Lei ha il
capo verso il basso. Stringe ancora la nostra fotografia al suo petto.
In dieci
anni non è cambiata in nulla. Anzi, è ancora
più bella di prima.
La mia
anima trasparente si muove verso il suo corpo.
Sfioro con
le mie dita appannate i suoi fianchi.
La stringo
da dietro.
Non può
sentire il mio tocco,
non può
sentire il mio abbraccio.
Non può
sentire la mia testa sulla sua spalla.
Vorrei
essere qui.
Sento qualcosa toccarmi la spalla,
sento qualcosa avvolgermi.
Cosa sarà?
Sarà
il vento.
La
finestra è ancora aperta...
...I wish you
were here.