Pov Bella
«I passeggeri del volo M15 sono pregati di salire a bordo. Ultima chiamata per
i passeggeri del volo M15».
La voce gracchiante dell’altoparlante mi risuonò nelle orecchie mentre
raggiungevo l’aereo. L’hostess mi sorrise, indicandomi dove sedermi.
Mi lasciai cadere immediatamente sul sedile, esausta, benché non fui veramente
rilassata fino al momento in cui l’aereo staccò il carrello da terra.
Sospirai di sollievo. Ce l’avevo fatta.
Il sole era appena tramontato quando, non senza un grande timore, avevo
lasciato il riparo di La Push.
Durante tutto il tragitto verso casa – durato, con mia grande sorpresa, meno di
cinque minuti – avevo immaginato ogni possibile scenario nel caso Alice mi
avesse visto scappare.
Mi avrebbe rimproverato e tenuto il muso per sempre. Comi mi sarei
giustificata?
Tutti mi avrebbero odiata per la mia irresponsabilità; ed Edward, Edward…
No. Edward non poteva soffrire così. Perché me ne stavo andando, perché?
Per un momento mi ero soffermata sulla possibilità di fermare in un qualsiasi e
stravagante modo l’aereo e di tornare da lui prima che scoprisse cos’era
successo.
Ma stare con lui e con la sua famiglia mettendoli costantemente in pericolo
sarebbe davvero stato meglio che tenerli al sicuro per sempre, lasciandogli
solo il dolore per la mia mancanza che dopo pochissimo avrebbe già cominciato a
scemare?
Avevo fatto parte delle loro vite solo per due o tre anni, un tempo che per un
certo verso mi era sembrato lungo. Ma per loro, che avevano vissuto per secoli
e che avevano ancora un’eternità davanti, quegli anni probabilmente sembravano
cortissimi, un tempo così breve che tra qualche decennio nemmeno se lo
sarebbero ricordati. Sarei diventata solo un vago ricordo, uno scorcio di
sventura che per un momento era entrato nella loro vita.
Certamente la mia scelta era quella giusta.
Perciò avevo tentato di fare più in fretta possibile per far sì che Alice non
mi vedesse. Charlie era al lavoro, perciò perlomeno non dovetti preoccuparmi
che mi vedesse.
Una lacrima mi aveva rigato la guancia. Charlie…
Avevo afferrato la mia valigia da sotto il letto, l’avevo riempita di vestiti a
caso e avevo infilato nella tasca anteriore la misera somma di denaro che avevo
tenuto da parte per il college.
Ero uscita di casa pochi minuti dopo. Sul tavolo in salotto faceva bella vista
un biglietto punteggiato d’acqua salata.
“Non cercarmi, papà. Sto bene. Te lo
prometto, non mi caccerò nei guai.
Non arrabbiarti con i Cullen, non hanno colpa.
Ti voglio bene… te ne ho sempre voluto.
Tua Bella”.
Ricacciai indietro le lacrime e tornai al presente, prestando attenzione
all’hostess che mi tamburellava sulla spalla con un dito.
«Signorina? Si sente bene?».
Annuii, asciugandomi le gocce d’acqua salata che mi erano sfuggite. Da quando
avevo lasciato La Push avevo iniziato a sentire una leggera sonnolenza ed i
muscoli affaticati per la corsa, cosa che Edward diceva sempre di non provare.
Inizialmente mi ero preoccupata, ma poi, ricordando che dovevo capire più
possibile su ciò che ero, mi ero calmata un po’.
Tuttavia non riuscivo a calmare la fame d’informazioni dentro di me. Se il
vampiro mi aveva morso, perché non mi ero trasformata? Perché ero rimasta sotto
questa specie di forma… ibrida?
Rabbrividii.
«Mi scusi, può portarmi qualcosa da mangiare?». L’hostess mi mostrò il
carrello, facendomi scegliere tra una vasta gamma di snacks. Presi solo un
tramezzino, per restare leggera.
In realtà non avevo una grande fame. Avevo lo stomaco in subbuglio dopo tutto
ciò che era successo; in effetti mangiare non era proprio un idea fantastica.
Oltretutto, in volo. Probabilmente avrei
vomitato dritto un faccia al pover’uomo da parte a me.
Però buttar giù qualcosa m’avrebbe fatto bene. Non mangiavo da troppo tempo, ed
oltretutto mi avrebbe fatto piacere scoprire se avevo bisogno ancora di cibo.
Scrollai le spalle e addentai il tramezzino. Era buono. Si, decisamente
squisito. Il mio corpo non avrebbe potuto desiderare niente di più buono.
Sospirai. Almeno quello.
Passai il resto del viaggio a guardare fuori dal finestrino. Il panorama era
meraviglioso, ma mi sentii davvero entusiasta quando scorsi la mia meta.
L’America del Sud.
Pov Alice
Jasper.
Il suo nome mi rimbombava silenziosamente nella testa, scatenando un ondata di
emozioni dentro di me.
Amore. Passione. Dolcezza. Nostalgia.
I ricordi si riversarono dentro di me come le onde s’infrangono sulla sabbia.
Lui che rideva e scherzava con me.
Lui che mi scompigliava i capelli.
Lui che baciava e accarezzava ogni singola parte del mio corpo.
Lui che mi diceva che per lui ero l’unica cosa al mondo.
Nella mia vita c’erano sempre stati dei momenti bui. Rabbia per piani falliti,
tristezza per qualche brutto evento, desolazione quando ripensavo al mio
passato parzialmente sconosciuto.
Ma lui c’era sempre stato. Lui era sempre stato al mio fianco, pronto ad
accarezzarmi la schiena ed a sussurrarmi all’orecchio che tutto sarebbe andato
bene.
Lui non era mai mancato. Mai, tranne come in quel momento.
Ero sempre stata felice, e non avendo ricordi della mia umanità, quella
sembrava la vita migliore che avessi mai potuto avere. Mi ero sempre sentita
una persona normale.
Ma quello era stato il giorno più terribile della mia esistenza. Per la prima
volta mi ero sentita veramente morta. Un corpo vuoto,
inerme.
Perché lui non c’era. Ogni problema sarebbe stato una nullità da affrontare con
lui al mio fianco. Mi sarei sentita potente.
Ma senza di lui, non ero altro che un cucciolo che si ritrova ad affrontare il
mondo senza nemmeno un piccolo aiuto.
Ma poi, la visione aveva cambiato tutto.
Lui era lì, al mio fianco. Sembrava un giorno come tutti gli altri… perlomeno,
un giorno come tutti gli altri prima che
Jack avesse iniziato ad incasinarci la vita.
Giorno normale o no, il fatto era che io lo aveva visto lì.
Nel futuro.
Con me.
Ce ne stavamo sdraiati su un prato, abbracciati, le nostre pelli sfavillanti
alla luce del sole. Avevo memorizzato ogni particolare di quella visione. Lo
sfondo della boscaglia verde, il vento che muoveva i fili d’erba sotto di noi,
i fiori che coloravano tutto il prato. Mi sembrava quasi di sentire il profumo
dei pini che si scorgevano dietro di noi, ai confini fra il prato e la foresta…
Ma la cosa a cui avevo badato di più, era Jasper.
Dopo quasi un secolo di vita con lui, lo conoscevo praticamente come le mie
tasche. Ero stata minuti interi a perdersi in quella visione prima di ritornare
alla realtà.
Il vento che gli scompigliava i capelli biondi come il grano.
Il suo viso, degno di quello di un angelo: le labbra piene e rosee, la linea
dritta del naso, la mascella squadrata.
Il suo corpo perfetto, stretto al mio.
Ed i suoi, occhi, i suoi occhi così meravigliosamente dolci ed intensi…
E poi, la visione se n’era andata, per fare spazio ad un'altra, un futuro molto
più immediato.
E con quella avevo capito tutto.
Avevo visto ciò che da lì a dieci minuti sarebbe stato esattamente davanti a
me. L’avevo visto muoversi, contorcersi, cercare disperatamente di ricreare la
forma che era una volta…
Un mucchietto di cenere. Polvere. Solo polvere.
Ed ora, quel misero mucchietto di polvere che era mio marito se ne stava
tranquillo su quello che era il nostro letto.
È, mi corressi mentalmente. Lo è ancora.
Lo fissai. Si muoveva ancora, ma era meno… agitato di quando era alla radura.
Sembrava come se avesse colto l’umidità nell’aria, come se avesse avuto paura.
Io stessa mi ero spaventata da morire. Lo avevo coperto con la mia giacchetta
di pelle, cercando disperatamente di tenerlo all’asciutto, tremando di paura al
solo pensiero di perderlo ancora.
Due minuti dopo era a casa, al sicuro.
Il secondo problema era stato dove
deporre Jasper.
La bottiglia che io e Rose avevamo usato per trasportarlo fino a casa era del
tutto fuori luogo, dato che non riuscivo ad immaginare come mio marito avrebbe
potuto ricomporsi rinchiuso in uno spazio talmente angusto. Avevo avuto l’idea
di metterlo in una delle stanze vuote del terzo piano, per donargli tutto lo
spazio di cui aveva bisogno; reprimendola subito dopo al pensiero di vederlo
scivolare nell’intersezione fra una tavola di parquet e l’altra.
Così lo avevo lasciato sul copriletto, la finestra della camera rigorosamente
chiusa ed i miei occhi sempre attenti per osservare ogni minimo cambiamento in
lui.
Chissà se aveva bisogno di qualcosa. Magari aveva bisogno di più aria. O di
qualcuno che lo aiutasse a riprendere la forma giusta. O…
O di sangue.
Per quanto potesse sembrare l’intuizione giusta, repressi quell’idea. Jasper me
l’avrebbe fatto capire, in qualche modo.
Vagai alla deriva con i miei pensieri. Ero così felice, ora che sapevo che
sarebbe tornato.
Lo fissai. Chissà se pensava, in qualche modo.
Chissà se mi aveva riconosciuta…
Alzai una mano tremante e l’appoggiai sulla superficie uniforme del mucchietto
di cenere, accarezzandolo con dolcezza. La reazione fu immediata: il mucchietto
prese a tremare e sembrò avvicinarsi di più a me, trattenermi con una specie di
risucchio.
Si, confermai a me stessa. Si, mi aveva riconosciuta.
Qualcuno bussò alla porta.
Sobbalzai: mi ero totalmente incantata. Chissà quanto tempo avevamo passato
così: io che accarezzavo Jasper, lui che mi traeva a sé.
Mi scossi, titubante nell’osservare l’ora sull’orologio a muro. «Avanti».
«Alice». Rosalie fece il suo ingresso, venendo al mio fianco ed abbracciandomi.
Anche lei sulle labbra aveva dipinto un enorme sorriso spontaneo, il riflesso
del mio. «Come va?».
«Benissimo». Sorrisi, e lo accarezzai ancora. Rosalie ci osservò, contenta.
«Invece Esme non si trova», mormorò. «Chissà dov’è», si domandò, realmente
confusa.
«Bella dorme ancora?».
«Penso di si. Non sono andata a controllare, ma non sento rumori, quindi credo
di si».
Per qualche minuto regnò il silenzio, poi Rosalie riaprì bocca.
«Quando pensi che tornerà?».
Aggrottai le sopracciglia, colta da un pensiero che non mi aveva ancora
attraversato la mente.
Chiusi gli occhi, e mi concentrai sul mio futuro.
E rieccola: la visione più bella del mondo, la stessa che avevo avuto poche ore
prima.
Lo stesso prato, lo stesso sfondo, gli stessi protagonisti.
Ancora noi, ancora i nostri corpi allacciati in un tenero abbraccio, ancora i
nostri sguardi incatenati, ancora i nostri capelli scompigliati dal vento.
Ma questa volta un altro particolare si aggiunse al quadretto.
Un delizioso, perfetto fiocco di neve sfiorò il viso di Jasper, posandosi sulla
sua guancia.
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede)
Angolo Autrice
Gionbuorno, lettori (?) :)
Eccomi qua. Questo è l’ultimo dei capitoli che originariamente facevano parte
di The Revolution Of A Breed, quindi è ancora uno di quelli scritti mesi fa.
Non so quanti extra ci saranno, in tutto, ma non credo più di altri dieci.
Passiamo al capitolo. Bella è partita per l’America del Sud ed Esme si è appena
accorta della sua mancanza, ma Alice e Rosalie sono troppo prese da Jasper per
badare alla mancanza della madre.
Come biasimarle? Anche io sarei contentissima di riavere Jasper, al loro posto
*o*
E lui sarà “normale” prima dell’inverno! (Secondo
i miei calcoli, dovrebbe essere più o meno il 15/16 Settembre, quindi manca
pochissimo :3).
Dal prossimo capitolo ricomparirà il resto della famiglia, che durante la
conversazione fra Rosalie e Alice è appena stata avvertita della scomparsa di
Bella. Insomma, una notizia buona e una cattiva in pochissimo tempo e.e
Grazie di tutto quello che fate per me. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
WaryJMS