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Autore: My Pride    12/07/2012    8 recensioni
Yo, ho, ho at the battle of bones, you sail the seven seas but you’re never getting home, well the sea answered back, “Old boy, where have you been?”
I’ve been waiting for a fight like this since time first began, so prepare yourself and get ready for your death ride, I’ll be taking you down to Davy Jones with your cargo and your pride.

«Temi tu la morte? Temi l'idea dell'oscuro abisso? Ogni tua azione scoperta, ogni tuo peccato punito? Io vi posso offrire una scelta: unitevi alla mia ciurma e proponete il giudizio finale. Cent'anni ancora sopra coperta. Vuoi arruolarti?»
Le leggende sono solo leggende. Leggenda o meno, però, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.
[ New World Arc ~ Spoiler dai capitoli 668 in poi ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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FIRST SEASON › I’M GOING SLIGHTLY MAD
AN ISLAND IN THE FOG, #02
 
    Il tratto di strada che avevano percorso dal luogo in cui avevano attraccato fino a quel punto del bosco sembrava essere durato un’eternità, secondo Nami.
    Il silenzio intorno a loro era così assordante che ad ogni passo le giungeva alle orecchie il sinistro scalpiccio degli stivali che schiacciavano le foglie secche disseminate sul terreno arido, sul quale non cresceva nemmeno un filo d’erba; di tanto in tanto sorpassavano zone in cui la vegetazione era più folta, però le piante apparivano comunque avvizzite, prive di vita. Sembrava quasi che il freddo dell’inverno le avesse bruciate del tutto, e la lieve nebbiolina che era calata da una buona decina di minuti, unita al cielo plumbeo che a tratti si riusciva a scorgere dalla cappa di fogliame sopra di loro, rendeva quel paesaggio ancor più tetro ed inquietante, gelandole il sangue nelle vene.
    Nami sospirò e si strinse nella felpa che indossava, lo sguardo ostinatamente puntato sulle schiene dei suoi compagni di ciurma. Adesso, col senno di poi, quasi le veniva da chiedersi perché diavolo non fosse rimasta sulla Sunny, ruggiti infernali di possibili mostri o meno. In fin dei conti non era la stessa ragazza di due anni prima, poteva benissimo cavarsela da sola senza il costante aiuto dei suoi amici. Doveva ammettere, però, di sentirsi molto più sicura in loro presenza, e purtroppo c’era anche da contare il fattore curiosità e la semplice addizione “isola misteriosa + strani fenomeni e animali mostruosi = formidabili tesori”. Non sarebbe stata per niente la prima volta, in fin dei conti.
    «Solo a me questa foresta da’ i brividi?» chiese d’un tratto Usopp, e Nami vide distintamente Franky dargli una leggera pacca su una spalla.
    «Tranquillo, fratello, il tuo mecha-Franky è qui per questo!»
    «Yo-hohoho ♪~ Ci sono anch’io, Usopp-kun!»
    «Molto rassicurante, Brook».
    «Ohi, ragazzi, ma da qui non ci siamo già passati?» li interruppe Sanji, e bastarono quelle sue poche parole per far sì che tutti gettassero un’occhiata in giro, aggrottando la fronte nello scrutare i dintorni, e nel vedere la stessa identica pietra a forma di gatto che aveva scorto una quindicina di minuti prima, Nami non poté fare a meno di dargli ragione. Aguzzò dunque la vista, così da poter scorgere attraverso la tenue foschia il profilo del Capitano.
    «Ehi, Rufy!» lo chiamò. «Si può sapere dove diavolo stai andando?»
    «E io che ne so?» replicò lui con una semplice scrollata di spalle. «Sto seguendo Zoro!»
    Quella costatazione raggelò tutti, ma fu Sanji, dopo un’imprecazione a denti stretti, ad avanzare a grandi falcate fra il sottobosco umido per superare il Capitano, scansando malamente lo spadaccino quando lo raggiunse. «Che idiota, sarei dovuto andare io per primo!» sbottò poi tra sé e sé, senza dar peso alle rimostranze di Zoro e Rufy, che si erano visti surclassati dal cuoco in quel modo così brutale. Beh, a lui non importava un accidente di niente. Avrebbero dovuto ricordarsi molto prima che quei due avevano un pessimo senso dell’orientamento, anche se Zoro era di sicuro il peggiore fra loro. Si perdeva anche per andare al cesso, il che era tutto dire. A Punk Hazard era stato solo un caso se fosse riuscito in qualche modo ad orientarsi e avesse ricordato stranamente la direzione di quel fottuto lago ghiacciato.
    Pur avendo preso il comando Sanji, però, le cose non migliorarono così facilmente. Persino il bosco sembrava avercela con loro e non rendeva le cose per niente semplici, giacché i rami avevano cominciato a divenire sempre più bassi e fitti e il sottobosco così folto da somigliare ad una fottuta brughiera in miniatura. Erano riusciti a trarre un lungo respiro di sollievo solo quando, usciti dopo ore interminabili passate in quel bosco, scorsero una cittadella in lontananza, ritornando ansiosi nel momento esatto in cui vi avevano messo piede. Le porte e le finestre di case e negozi erano sbarrate da tre assi di legno inchiodate al muro, così fradice e annerite da dare l’impressione di essere state in balia delle intemperie da più di qualche anno; dai ciottoli che piastrellavano le strade sbucavano ciuffetti d’erba di un timido colore verdognolo, e persino la fontana che si ergeva nel bel mezzo della piazza era ricoperta da erbacce e da uno spesso strato di patina biancastra, scioltasi solo nei punti in cui il fango ormai secco aveva attecchito. La giornata cupa e uggiosa e la quiete rendevano il tutto ancor più spettrale, per non parlare poi dei sinistri cigolii delle insegne dei negozi che si muovevano ad ogni lieve folata di vento. Dannazione, che diavolo significava?
    «Chissà che fine hanno fatto tutti quanti», disse d’un tratto Robin in tono distratto, guardandosi incuriosita intorno prima di avvicinarsi ad un carretto e toccare la merce ormai avariata, ritraendo la mano con fare disgustato nel sentire al tatto il marcio viscidume di quella che una volta era stata una mela. «Forse sono tutti morti in seguito ad un incidente... o forse c’è stato un omicidio di massa».
    Nami rabbrividì, guardandola di traverso. «Non dire certe cose orribili con quel tono così pacato, Robin», la redarguì, e l’archeologa si ritrovò semplicemente a sorridere. Quella donna aveva sempre avuto un macabro senso dell’umorismo, ma durante quei due anni era decisamente peggiorata. A volte non riusciva nemmeno a capire se facesse sul serio o volesse semplicemente prendere per i fondelli tutti loro.
    La navigatrice non ci rifletté su oltre, cominciando ad esplorare i dintorni con circospezione. Le imposte esterne delle case ai margini della cittadina ruotavano sinistramente sui cardini alle folate di vento che si innalzavano di tanto in tanto dalla foresta che si ergeva ad ovest, producendo un cigolio che risuonava assordante a causa dell’assoluto silenzio che era calato sulla zona come un velo sottile; il tetto di una delle abitazioni era crollato, probabilmente colpito violentemente da qualcosa, e le travi di legno che l’avevano composto erano ricadute sulla dura terra, riversandosi in pendenza contro il muro della casa, simile ad una rampa cedevole e insicura; come se non bastasse, la puzza di carne stantia, cibo andato a male e frutta marcia appestava quel luogo, infilandosi nelle narici fino in fondo ai polmoni. Era così nauseante che Nami si sarebbe volentieri rintanata in un angolo per vomitare, se solo il suo buon senso non le avesse ordinato di restare vigile. Più avanzava, difatti, più quella situazione cominciava a non piacerle, in particolar modo a causa delle case ridotte a cumuli di macerie che stava osservando proprio in quel momento. Che cosa diamine era successo in quella città? E cos’era accaduto ai suoi abitanti? Non lo sapeva, ma era certa che, qualunque cosa fosse capitata, se ne fosse venuta a conoscenza non le sarebbe piaciuto per niente.
    «Questo posto mi ricorda tremendamente Thriller Bark... e la cosa mi terrorizza», disse Nami con un fil di voce, passandosi frettolosamente le mani sulle braccia come se volesse cacciare la strana sensazione che si era impossessata della sua pelle. Era come se avesse freddo, e non era una cosa esattamente positiva. «Non ci saranno mica zombie o altre stranezze del genere, vero?» sussurrò, e non fece nemmeno in tempo a finire di dirlo che sentì mormorare alle sue spalle «Vi siete persi, figlioli?», urlando spaventata qualche microsecondo dopo. Saltò letteralmente in braccio ad Usopp, che a sua volta si era lasciato scappare un grido, ed entrambi fissarono con gli occhi ingigantiti dalla paura la figura che era sbucata all’improvviso alle loro spalle, simile ad uno spirito tormentato che si era fatto largo fra la polvere e i detriti.
    Solo quando il battito impazzito dei loro cuori si ristabilizzò riuscirono realmente a mettere a fuoco la sua sagoma, non risparmiandosi dall’imprecargli contro. «Vecchio, ci hai fatto prendere un colpo!» sbottò Usopp, rimettendo Nami a terra per indietreggiare poi con lei. Non si poteva mai sapere che cosa potesse passare per la mente di quel tipo losco. Era un ometto basso e tarchiato dal viso scarno, così pallido da sembrare un cadavere; le guance scavate e il colorito bluastro intorno agli occhi gli conferivano un’aria quasi spettrale, e a renderlo ancor più spaventoso, probabilmente, era il sorriso che stava rivolgendo loro, abbastanza ampio da far intravedere benissimo la mancanza dell’arcata dentale superiore. Gli unici denti rimasti erano i canini e gli incisivi, così gialli e marci da dare l’impressione che sarebbero potuti cadere anche loro da un momento all’altro.
    «Perdonate, ragazzi, perdonate», proferì divertito. «Che cosa ci fate da queste parti? È da ben sei anni che nessuno mette piede in questo lato dell’isola».
    «Quindi quest’isola non è disabitata?» domandò pacatamente Robin, provocando al vecchio una sonora risata.
    «Disabitata? Oh, nay, gli abitanti si sono trasferiti in un’altra città, molto più prosperosa e vicina al mare», spiegò, annuendo come se fosse rivolto a se stesso anziché ai ragazzi che lo squadravano con attenzione. «L’unico inconveniente, purtroppo, sono i mostri che pullulano in questa zona».
    Usopp, Chopper e Nami si guardarono istintivamente nello stesso istante, e mentre i primi due cominciavano a blaterare chissà cosa riguardo a foreste stregate e che avrebbero decisamente fatto meglio a tornare alla nave, la navigatrice si schiaffò una manata in faccia, in particolar modo nel vedere l’eccitazione che si era dipinta immediatamente sul volto del Capitano. Non gli erano bastati gli orrori che avevano veduto a Punk Hazard e quello schifosissimo Smile, eh? Era proprio un tipo senza speranza.
    «Vi consiglio di sbrigarvi, ragazzi», continuò il vecchio, stringendosi nel pastrano che indossava, come se all’improvviso avesse cominciato a sentire freddo. Eppure il clima sembrava piuttosto normale. «Quando scende la notte e cala la nebbia, quei mostri si aggirano nella foresta e bramano la vita degli sventurati che perdono la via in essa».
    «Vorrà dire che li affronteremo!» replicò immediatamente Rufy con un enorme sorriso, ma il vecchio scosse appena il capo.
    «Non è così semplice, ragazzo mio», lo mise in guardia. «Hanno una forza pari a quella di tre Uomini Pesce, ma è il loro intelletto minimo a spaventare chiunque si imbatta in queste creature. Non sono esseri senzienti e si muovono unicamente in base al loro istinto, esattamente come un comune animale».
    Rufy si calcò il cappello in testa e sorrise maggiormente, osservando l’uomo con attenzione. «Non è un problema», rimbeccò, conscio di ciò che diceva o semplicemente troppo sicuro di sé come suo solito. E l’intera ciurma protendeva più per la seconda ipotesi, giacché conoscevano fin troppo bene il loro Capitano, ormai. Quando Rufy si metteva in testa una cosa non c’erano ma che lo facevano desistere, dunque erano a dir poco sicuri che, qualunque cosa avessero fatto o detto per tentare di fargli cambiare idea, non sarebbero riusciti a distoglierlo da quella sua intenzione. Avrebbero attraversato quella foresta e, se si fossero imbattuti in quei mostri, lui avrebbe messo tutto se stesso per farli fuori.
    «Io vi ho avvertiti, ragazzi. Ma se volete imbarcarvi in quest
’impresa, seguite il sentiero senza mai lasciarlo, se volete arrivare vivi a fine giornata. E ricordate bene le mie parole», sentenziò il vecchio in tono sibillino, osservandoli un’ultima volta prima di ritirarsi e sparire in direzione delle case abbandonate come un fantasma, esattamente com’era apparso qualche istante prima, facendo correre un brivido dietro la schiena di Nami.
    «Che tipo», sussurrò tra sé e sé, scuotendo il capo. Ne aveva visti di tipi loschi e strani, ma, dietro a quella sua facciata tranquilla e per niente pericolosa, quel vecchietto li batteva tutti, probabilmente. «Rimettiamoci in marcia, ragazzi. Se ciò che ha detto quel vecchio è vero, non voglio rischiare di ritrovarmi davanti a quei mostri».
    Tutta la ciurma si ritrovò a convenire con la ragazza, cominciando a seguirla verso il folto della boscaglia senza nemmeno pensarci due volte; solo Sanji, che si era attardato un secondo per accendersi una sigaretta, gettò un ultimo sguardo verso la città e poi verso il gruppo, accigliandosi tutto d’un tratto nel notare che c’era un particolare mancante, lì.
    «Un momento... dov’è finito quello stupido marimo?» domandò all’improvviso, e quel suo quesito riuscì a bloccare tutti in un momento di stasi, prima che ogni singolo membro cominciasse a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca dello spadaccino, di cui sembravano essersi perse effettivamente le tracce.
    Aveva scelto proprio il momento peggiore per sparire come suo solito, quel cretino. Dove diavolo era andato a cacciarsi?
 
 
    «Merda, dove cazzo sono finiti quegli idioti?» borbottò Zoro, grattandosi il capo con fare pensoso. Eppure stavolta, e ne era assolutamente sicuro, non aveva perso di vista nemmeno per un attimo le schiene dei suoi amici, seguendoli su per il sentiero che portava fuori da quella città abbandonata. Quindi perché, adesso, si ritrovava praticamente isolato dal resto del gruppo?
    Aggrottò la fronte e gettò un’occhiata alle proprie spalle, accigliandosi nel rendersi conto che la città sembrava essere sparita nel nulla, come se non fosse mai esistita. Non si era allontanato di molto da quel posto, dunque che cosa diavolo stava succedendo? Era mai possibile che, in realtà, avesse camminato più di quanto pensasse? Sbuffò e decise di riprendere il cammino, certo che prima o poi sarebbe riuscito a ritrovare i suoi compagni. Porsi troppe domande non era mai stato da lui, in fin dei conti, quindi non vedeva il perché avrebbe dovuto cominciare proprio adesso.
    Quando cominciò a rendersi conto che stava semplicemente girando in tondo, però, iniziò davvero a spazientirsi. Gli alberi che sorgevano nei dintorni arrivavano quasi a toccare il cielo grigio e coperto di nuvole, rendendo il paesaggio ancor più buio e spettrale; dal sottobosco non si riuscivano nemmeno ad udire lo strisciare di qualche serpentello o il fruscio rapido di qualche scoiattolo che si affrettava a tornare alla tana, né tanto meno i richiami lontani di qualche lupo. Era come se l’intero bosco si fosse zittito e si fosse fermato in un silenzio quasi irreale, rendendo quella traversata ancor più irritante di quanto già non fosse stata al principio.
    Zoro si gettò un’altra rapida occhiata alle spalle solo per costatare che si era allontanato appena di qualche metro, per quanto fosse ormai in cammino da una buona decina di minuti. Era come minimo la terza volta che vedeva lo stesso tronco spezzato e la stessa carcassa di coniglio riversa sotto di esso, mezza mangiucchiata sulle zampe e con i peli incollati dal sangue ormai raggrumato. Forse in un altro momento si sarebbe chiesto cosa avesse spinto una bestia affamata a lasciare lì la propria preda e a fuggire, però, in quel frangente, era decisamente impegnato a capire dove diavolo fosse e come avesse fatto a capitare in quello stupido posto.
    Si illuminò solo quando ritrovò finalmente il sentiero, affrettandosi a percorrerlo come per timore di vederselo scomparire ancora una volta dinanzi agli occhi; dovette scansare dal suo cammino i rami più bassi e pungenti degli arbusti e quasi cadde in una radice nodosa che sporgeva dal terreno, imprecando a denti stretti ogni qual volta veniva costretto ad abbassare la testa per evitare di beccare in pieno le fronde ricoperte di foglioline verdi. Perse persino il conto delle ore che passò a fare avanti e indietro in quello sputo di posto, fermandosi solo quando trovò un ostacolo sulla propria strada.
    «Ohi, che diavolo significa?» sbottò rivolto al vuoto, osservando con la fronte aggrottata la parete di pietra che si innalzava dinanzi a lui. Eppure era sicuro di non essersi allontanato dal sentiero, quindi quel muro naturale non avrebbe dovuto esserci. Quel posto stava decisamente cominciando a stancarlo e a dargli sui nervi. Era come se qualcuno si stesse divertendo a farlo impazzire, e la cosa non gli piaceva per niente. Dannazione, quella stupida parete l’avrebbe fatta volentieri a fette se non si fosse rivelato inutile.
    Senza distogliere lo sguardo da essa, Zoro decise di indietreggiare per tornare sui propri passi, con la speranza di riuscire in qualche modo ad uscire da quella stramaledettissima quanto assurda situazione. Superò appena un paio di alberi, però, prima di rendersi conto che lì c’era qualcosa che non quadrava. Erano radi e bassi, quasi spogli, e il terreno sul quale stava camminando era cosparso da piccoli ciottoli bianchi che facevano apparire quella foresta molto simile ad una pianura innevata. Zoro si voltò quel tanto che bastava per adocchiare i dintorni, accigliandosi quando, nel girarsi del tutto, i suoi stivali affondarono a metà in un corso d’acqua che aveva tutta l’aria di essere un ruscelletto. Ma che diavolo...?
    «Adesso sto cominciando a stancarmi», borbottò, sfiorando con due dita l’elsa della sua Ichimonji in un gesto rassicurante, senza smettere di controllare lo spiazzo erboso che gli si era parato dinanzi in quel momento; vi aleggiava sopra una nebbiolina leggera che lo rendeva stranamente grigiastro, privo del colore verde brillante che avrebbe dovuto caratterizzarlo.
    Con fare guardingo e al contempo deciso, Zoro si rimise in marcia e cominciò ad ispezionare la zona, osservando minuziosamente ogni minimo particolare. Oltre al ruscello che aveva superato e all’arbusto spoglio che sorgeva poco più avanti di esso, quel posto non sembrava avere qualche segno distintivo, se si escludeva ovviamente il fatto che si trovava dove avrebbe dovuto invece esserci un bosco. La cosa ancor più strana, poi, era che alle sue narici non arrivava il classico odore fragrante di erba bagnata, né tanto meno quello delle margherite che spuntavano timidamente fra gli steli umidi, bensì un profumo salmastro e pungente, come se si trovasse nei pressi dell’oceano anziché in un vasto prato coperto di nebbia. E forse, per quanto non fosse per niente da lui, avrebbe cominciato di sicuro a farsi qualche domanda, se solo il fruscio di passi fra l’erba non l’avesse immediatamente messo in allerta, tanto che non ci pensò due volte ad afferrare saldamente con la mano sinistra l’elsa della katana bianca e a sfilarla rapidamente dal fodero; la lama sibilò contro di esso e andò prontamente a scontrarsi con un’altra, permettendo al Vice Capitano di cogliere l’espressione sgomenta dipintasi su un volto fluttuante nella nebbia.
    Un’imprecazione sommessa si levò dal bel mezzo di quel mondo bianco ed etereo, poi lo scintillio di una lama balenò per un breve istante, dando a Zoro appena il tempo di spostarsi con un sibilo dalla sua traiettoria; un grido lungo e straziante, simile a quello di una creatura ferita, gli trapanò le orecchie e lo costrinse ad indietreggiare, prima che, rinserrando la presa sull’elsa della sua arma, si gettasse contro quell’avversario invisibile in un attacco frontale, facendo affidamento unicamente sui propri sensi sviluppati per seguire con essi ogni minimo spostamento di quel losco figuro. Non dovette nemmeno far ricorso alle altre due spade, costatando, unicamente con qualche breve stoccata, che la tecnica di quel tipo, chiunque egli fosse, era pessima e priva di sfumature, per niente limata dall’esperienza; gli colpì una mano con un fendente secco e laterale con il quale gli fece volare via la spada, vedendola volteggiare con la coda dell’occhio alla sua destra prima che si conficcasse con furia nel terreno. Zoro non perse tempo a capire chi diavolo fosse il nemico, squarciandogli il ventre con un colpo netto; il sangue schizzò, macchiando lama e vestiti, prima che, con un rantolo soffocato, quel tipo crollasse a terra riverso di schiena, ansimando.
    Ripulendo la katana sulla casacca verde ormai logora, Zoro la rinfoderò e, accucciandosi sui talloni, afferrò a tentoni il bavero di quell’uomo, così da portare il suo viso ad una spanna dal proprio. «Quel colpo non ti ammazzerà, quindi parla e dimmi cosa diavolo vuoi», sibilò, e avrebbe anche aggiunto altro se, grazie alla nebbia lievemente dissoltasi, il suo sguardo non si fosse posato sul volto del suo assalitore. Il naso lungo e squadrato ricordava vagamente quello di uno squalo martello, e persino i suoi occhi, piccoli e vitrei, dava l’impressione che il viso che stava osservando non fosse per niente umano. E i dubbi dello spadaccino si dissolsero del tutto quando l’occhio cadde sulle branchie che fremevano sul collo, dilatandosi e contraendosi come se fossero bisognose d’acqua. «Un Uomo Pesce», costatò a mezza voce, però, contro ogni sua aspettativa, quell’uomo sollevò un angolo della bocca in un sorriso forzato, mostrandogli i denti aguzzi e le gengive esangui.
    «Sbagliato», ansimò, tossendo. «E presto... vi pentirete di essere arrivati sin qui», soggiunse in un soffio, e Zoro sgranò l’occhio, incredulo. Dunque quel coso sapeva che non era solo e che con lui c’erano altre persone? Che diavolo stava succedendo, su quella dannata isola? E, soprattutto, chi diamine l’aveva mandato ad attaccarlo?
    «Che cazzo significa?» berciò, scrollandolo malamente e ignorando al contempo il lamento che l’altro si lasciò sfuggire. «Se sai dove sono i miei compagni dimmelo seduta stante, altrimenti ti ammazzo».
    Quell’uomo, o qualunque cosa egli fosse, lo guardò negli occhi per un lungo istante senza proferir parola, spalancando poi la bocca zannuta per affondare violentemente i denti nella lingua, mozzandosela sul colpo; l’uomo cominciò a tremare in preda alle convulsioni, biascicando a causa della bocca ormai ricolma di sangue e saliva.
    «Merda», imprecò Zoro, lasciandolo seduta stante prima di issarsi nuovamente in piedi. C’era qualcuno, su quell’isola, che era a conoscenza della loro presenza, e probabilmente aveva già mandato altri suoi sgherri a fare il lavoro sporco, esattamente com’era appena successo con lui.
    Doveva trovare Rufy e gli altri, e doveva trovarli in fretta
.









_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Eccoci finalmente giunti con il secondo capitolo di questa storia.
In verità non dovrei metterci così tanto ad aggionrare visto che è già pronta, però... tra altre storie, impegni vari e giornate passate fuori casa, diciamo che mi sto dosando posando un po' e un po'
Sono comunque contenta che la storia stia piacendo, e spero che, mano a mano che andrà avanti, non lascerà deluso nessuno per lo svolgersi degli eventi
In questo capitolo abbiamo visto che il marimo non si smentisce mai e si perde anche quando non dovrebbe, ma in fin dei conti non è per niente una novità, no? Ed è anche il primo a trovare avversari... il solito fortunato, insomma u_u
I dubbi verranno chiariti più avanti, per il momento spero che vi abbia interessati :3
Al prossimo capitolo. ♥




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