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Autore: hikachu    12/07/2012    4 recensioni
I Gold Saint tra infanzia ed adolescenza, negli anni prima della Notte degli Inganni.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Galleggiando, alla deriva, in ogni direzione (Saga)



“Neppure Zeus Padre può sottrarsi al fato,” è una delle prime lezioni impartitegli dal Pontefice in persona. “La tragedia nasce, infatti, da null’altro che l’eccesso di sé. Dalla tracotanza che spinge contro il destino.”

Aiolos e Saga sono confusi e sollevano la testa come a cercare un chiarimento sulla maschera del Gran Sacerdote. Sono molto giovani, e molto piccoli, ma in un momento ricordano quel che gli era stato detto quando erano stati condotti davanti alle porte massicce dell’immensa sala delle udienze: in ginocchio e sguardo basso, a meno che il Pontefice vi ordini altrimenti. Aiolos e Saga sono troppo giovani, e piccoli, per capire tutto, per capire davvero, ma sentono che cedere all’istinto li ha resi colpevoli, che c’è un nesso con ciò che l’uomo antico assiso sul trono sta cercando di insegnare.

Sussultano, arrossiscono, e con l’espressione compita, quasi stoica, dei guerrieri invincibili e saggi che saranno, riabbassano lo sguardo. Dietro la maschera, non visto, Shion sorride con tenerezza.

“Eppure,” continua, “il fato non è una costrizione. Seguirlo significa vivere bene.” Ed è la verità, ma ora come ora Shion ha forse più a cuore rassicurare un poco quelle creature, che parlare di verità trascendentali. Questa potrebbe benissimo essere la prima e l’ultima volta che qualcuno tende loro una mano nel lungo percorso che li attende: questi bambini portano in sé le stesse stelle che dovranno seguire e non ci sarà tregua per loro.

Perché quella dei Saint è una storia che inizia assieme al Tempo, quando le persone non erano altro che una delle tante idee perfette in un mondo oltre il cielo. Essa inizia molto prima della loro nascita, e quella di madri e padri e degli avi, prima di Atene e prima di Achille e prima di Uruk, sull’altra sponda del Mare Nostro, e prima ancora della scrittura, dono-maledizione di Theuth; essa inizia col primo respiro del mondo, e gli sfugge dalle mani già al primo vagito: la costellazione si fa carne in loro e li protegge, ma detterà, anche, ogni respiro dei Santi. Deciderà in quale stagione e in quale luogo e sotto quale cielo esaleranno l’ultimo respiro.

“Ma, signore…” Saga incespica su parole che non sa trovare in una maniera che, tra non troppo tempo, diverrà inconciliabile con l’immagine del Santo perfetto, simile ad un dio. Rialza la testa e nei suoi occhi si legge che non è un’altra distrazione, e che lui sa che non dovrebbe, ma anche, si legge, che questo non è un atto di arroganza o insubordinazione: c’è dignità nell’espressione, nella schiena dritta, e soprattutto nella fede – in Atena e nel suo compito – che lo porta ad esprimere i propri dubbi fissando gli occhi inespressivi della maschera.

“Signore,” ritenta. “Non è forse il nostro compito di Santi, far sì che la storia degli uomini conosca il meno conflitti possibile? Anche quando questi paiono inevitabili.”

Aiolos scruta Saga con la coda dell’occhio e, pur senza sorridere, il suo viso si accende di un misto luminoso di ammirazione e quieta gioia. Non si conoscono da un tempo particolarmente lungo, ma c’è un’ammirazione reciproca, un osservarsi, un guardarsi, un essere insieme nello stesso luogo e allo stesso tempo consapevolmente, che li lega stretti, indissolubilmente, tra rivalità innocente e un’amicizia che sta ancora sbocciando e già si trascende.

Shion rivede in loro frammenti di una vita che una volta era appartenuta a lui e a qualcuno che, più di ogni altro, aveva saputo capirlo, e il suo sorriso si fa un po’ più dolce e un po’ più triste.

Shion guarda Saga e si chiede se questo bambino non nasconda la doppia natura di principe che conduce e Santo protettore.

Poi gli dice: “Vedi, giovane Saga, combattere per proteggere Atena e gli uomini, qualsiasi cosa accada, è parte stessa del vostro destino. Se riuscirete, come si spera, a rendervi degni delle Sacre Vestigia, ma veniste meno al vostro compito originale in futuro, ne ricevereste infamia voi; morte e dolore gli uomini. Se decideste di utilizzare la vostra forza per scopo altro da quello predestinato, ne seguirebbe solo disordine, e il fato provvederebbe a lavare via l’errore con il sangue, rendendolo un monito per coloro che verranno. Vedete,” Shion ricomincia con le mani aperte e i palmi volti verso l’alto soffitto, “siete giovani e i vostri arti vigorosi, e pertanto potete spingervi nuotando verso l’orizzonte di un’isola non troppo lontana. Tuttavia, nonostante la vostra gioventù, nonostante la vostra forza, nonostante le vostre abilità, se decideste di vivere come pesci… Capite?”

Capiscono, tutti e due. Piegano il capo in avanti, risoluti, e nei loro occhi si dispiegano già misteri che non hanno ancora appreso.

Shion sospira e pensa, per ora, che stupendi Saint diverranno queste creature.

“Questo,” dice infine, “significa seguire il fato per vivere bene.”

---


È piena estate e il sole di Atene cuoce i sassi, l’arena e i sentieri, la pelle di Aiolos e di Saga nella loro discesa tra i dodici templi deserti.

Marmo, roccia e mattoni cotti sono ormai polveri che si mischiano, indistinguibili; macinatisi nei millenni sotto i calzari di soldati, attendenti, e Santi. È un percorso pericoloso per chi non vi è abituato: attenti all’osso del collo, gli avevano detto la prima volta.

Entrambi guardano dritto davanti a sé, e il silenzio è naturale, in qualche modo intimo, tra loro. Gli unici bambini in questo luogo in cui il tempo si è fermato tra rovine che i viventi continuano a strappare ai fantasmi, in nome di Atena. La solitudine e lo smarrimento sono stati, dopotutto, il primo legame e la prima scintilla tra occhi incerti in una mattina di quasi quattro anni prima, sotto lo stesso sole, su quegli stessi gradini su cui oggi Saga procede, spalla a spalla con Aiolos.

Di tanto in tanto i loro gomiti rimbalzano dopo essersi urtati, e per qualche ragione a Saga torna in mente la mano che Aiolos gli aveva porto quel giorno. Era ancora morbida, e olivastra ma non scura come adesso.

Aiolos non sapeva allora, come non lo sa oggi, che anche in un’acropoli fantasma, Saga non ha mai condiviso la sua stessa solitudine; non sa che Saga non è che parte di un intero, che qualcuno vive nascosto tra la sua ombra e quelle della casa di Gemini.

È un pensiero che getta un velo sul viso di Saga, che non sa che quando maledirà per la prima volta le sue stelle – e se stesso, per aver deciso di affidarvisi come Shion auspicava – sarà perché esse non fecero sì che lui e Kanon nascessero come una cosa sola. Ad appena sette anni, Saga non sa che sarà il troppo amore per la giustizia, e per la dea, che lo consumerà e lo porterà a compiere i crimini più imperdonabili. Non sa che sarà per troppo amore verso di lui e verso di sé, che Kanon risveglierà un demone e ne diverrà uno egli stesso.

In questo momento, Saga è solo un bambino che, col suo primo amico, ha deciso di seguire un destino che poi tradirà entrambi.

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“Hai il mare negli occhi,” Aiolos dirà a Saga, mesi e mesi dopo quell’udienza, mentre fissano l’Egeo in lontananza, appollaiati su uno scoglio.

“Hai il mare negli occhi.”

Aiolos è retto e nelle sue movenze è già chiaro che sarà uno splendido guerriero; diventerà il migliore, il modello, ma non sarà mai né poeta né adulatore.

La sua, ad otto anni e una primavera, sarà una semplice constatazione. Saga che, a sua volta, non lo avvertirà come un complimento, sbatte le palpebre e dice: “No davvero,” e poi si rende conto di non poter dire altro: è negli occhi di Kanon che c’è il mare, quello che mugghiava e inghiottiva i pescherecci del villaggio, ma Aiolos non sa di Kanon, il primo segreto e la prima verità taciuta di Saga.

Se Aiolos ne fosse a conoscenza, forse riuscirebbe a vedere che negli occhi di Saga c’è invece il cielo.

Un cielo di notte senza stelle.
   
 
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