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Autore: Eva92    13/07/2012    1 recensioni
Daniele e Monia hanno diciassette anni la prima volta che si incontrano in una libreria del centro città e entrambi hanno un grande sogno nel cassetto. Ma il destino, la vita e la fortuna tessono trame complicate e entrambi sembrano dimenticarsi in fretta di quel veloce incontro nonostante poco tempo dopo il nome di Monia sia in ogni libreria e il volto di Daniele sia nelle lussuose pubblicità delle riviste patinate.
Eppure quando si incontrano nel pianerottolo di un palazzo a Soho qualcosa risveglia il ricordo.
Un amore di seta carta e caffè: perchè lui ha solo eleganti pigiami di seta, lei si trascina sempre dietro fogli spiegazzati dove appuntare i pensieri e entrambi vinono in realtà per rendere omaggio alle loro macchine del caffè.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di seta, carta e caffè

Cap2

 

Londra  

 

-Quindi che fai nel tempo libero?- L’accento inglese era qualcosa capace di innervosirlo subito, ma quella giornalista aveva una bella voce, giovane nonostante l’età. Gli era sembrata subito una alla mano, e aveva accettato di buon grado quell’intervista.

Non era mai stato un patito delle interviste, era consapevole di essere sempre troppo poco loquace e dire cose scontate e ripetitive, eppure non sopportava il dover simulare una “chiacchierata” solo per intrattenere donne sin troppo curiose nelle pagine dei giornali.

-Niente di troppo esaltante. Durante le ferie faccio qualche viaggio, mentre nel tempo libero vado in piscina, faccio un po’ di jogging, esco con gli amici…- Alzò le spalle.

-Quello che fa ogni ragazzo ventitreenne insomma…- La donna lo guardò con una scherzosa occhiata maliziosa, come per  fargli capire che non avrebbe mai creduto che uno come lui si limitasse a questi passatempi.

-Si.-

-Si può però dire Davide che tu non sia un normale ventitreenne, no? Insomma sei diventato in meno di cinque anni una delle star delle passerelle e…-

-Sei… sono stato accettato nell’agenzia a diciassette anni. Un giorno di Agosto a Milano.- Lei sorrise soddisfatta, senza saperlo lui si era leggermente sbottonato. Erano finalmente arrivati a un argomento più inedito che lei non si sarebbe di certo lasciata sfuggire. Lasciò da parte le solite noiose di rito e diede sfogo alla sua curiosità di donna e giornalista.

Aveva davanti uno dei top model più giovani, famosi e affascinanti al mondo, era un’opportunità da non farsi sfuggire assolutamente.

-Ricordi ancora quel giorno?- Lui sorrise leggermente, socchiudendo gli occhi e cercando di riportare alla mente quei ricordi un po’ appannati e discontinui.

-Ovviamente si. Ricordo che quando quel giorno entrai nell’agenzia e vidi quante persone facevano i provini persi le speranze. Non ero il più bello là dentro, non ero il pi giovane e non avevo esperienza. Fui sul punto di uscire…- lei sembrava rapita dalle sue parole e solo dopo qualche secondo si accorse che lui si era bloccato, incerto su come continuare.

-Sei rimasto suppongo. Cosa ti ha spinto quel giorno a non mollare?- Lui ci pensò un attimo, tormentando nervosamente intanto l’orlo del suo maglione blu.

-Sicuramente la consapevolezza di non aver nulla da perdere, la voglia di fare. E sapevo comunque di avere stoffa, dovevo solo dimostrare a quelle persone di poter crescere e dare il meglio. Dall’altra parte mi ero ripromesso…- non continuò subito, si ribloccò. Quella volta però rise sotto i baffi e nei suoi occhi parve riapparire un ricordo lontano e spesso dimenticato.

-Poche ore prima dentro una libreria avevo incontrato una ragazza… anche lei quel giorno aveva un colloquio di lavoro. Lei mi sembra dovesse presentare una bozza a un editore, o qualcosa del genere. Quando le dissi dove io sarei andato mi sembrò poco preoccupata, mi consigliò però che atteggiamento usare per colpire e io le diedi incredibilmente ascolto.-

-Cioè ti sei fidato dell’opinione di una ragazza sconosciuta?-

-Si, e ho fatto bene. Quando chiamarono il mio nome all’agenzia entrai in una stanza completamente asettica. C’era un tavolo bianco e due donne e un uomo. Mi chiesero a un certo punto di sfilare davanti a loro. Erano appena pochi metri, ma fu la fine di quella camminata a cambiare il mio destino: ho socchiuso gli occhi e dischiuso gli occhi.- Allora la donna capì e sorrise. Aveva studiato i lavori di Davide e sapeva che in quasi tutte le pubblicità gli veniva richiesta quell’espressione da angelo dannato e freddo.

-Credi sia stata quel tuo modo di fare a convincere gli esaminatori?-

-Certo, come ho detto io non ero il più bello e non vantavo né un curriculum né un buon book. Riuscì però ad essere il più interessante.-  La donna ridacchio pensando ai casi della vita.

-Come si suol dire: prendere la palla al balzo!-

-In un certo senso si, ma quello che ho ottenuto l’ho dovuto comunque sudare. Quando arrivi a certi livelli non basta più una bella espressione a farti vincere. La mia è passione e se quel giorno non mi avessero preso avrei tentato da altre parti. Avrei fatto più gavetta.- lei annuì d’accordo. Quel ragazzo sembrava nato per sfilare e per rendere semplici capi di abbigliamento delle opere di alta sartoria. Anche in quel momento era vestito in modo semplice: un paio di pantaloni neri, delle All Stars e un maglione blu a collo alto. Eppure era certa che se gli stessi vestiti li avesse messi suo marito in cinque minuti sarebbero stati irriconoscibili.

-Puoi comunque dire che quella ragazza ti ha aiutato. Ti ha dato un’ispirazione che tutt’ora dura!- lui sorrise a quel pensiero.

-Si. In un certo senso si. È anche grazie a lei se sono qui.- La ricordava a malapena, eppure ricordava quel suo modi di fare sfacciato e curioso.

-Bene!- La donna riprese il blocco degli appunti e lesse le domande successive.

 

Solo un’ora più tardi Davide uscì da quel bar nei pressi di Gostring Road. Aveva parlato più del solito durante quella intervista e in un certo senso poteva dire di essersi anche lasciato sfuggire troppo. Non era mai stato un ragazzo troppo loquace, né nella vita pubblica ne in quella privata. Eppure quella donna aveva toccato un tasto particolare.

Era stata sinceramente interessata al suo lavoro, e non alla sua vita privata. E chiunque lo conoscesse sapeva che la sua vita era il suo lavoro.  

Continuò a piedi fino a Soho per poi rifugiarsi nel suo appartamento.

 

Roma

-Cazzo!-

-MERDA!- l’ultima imprecazione fu accompagnata da un forte colpo alla scrivania di mogano.  Non le importò del dolore alla mano o dello sguardo allibito del suo capo, proprietario della suddetta scrivania.

-Monia…- L’uomo alzò le mani in segno di resa, forse pensando in quel modo di poter parlare pacificamente.

-No Giorgio… non una singola parola!- lei prese il grosso plico di fogli che ancora odoravano di inchiostro e di stampante  e lo lanciò senza pietà nella spazzatura. Ovviamente non  mirò perfettamente, riuscendo così a spargere qualche foglio sul parquet della stanza.

-Non una singola parola sul tempo perso e sulla perdita di denaro a cui noi andremo incontro se non facciamo qualcosa!-  Fu tentata di dare un nuovo pugno alla scrivania, ma visto lo sguardo che Giorgio le aveva lanciata poco prima decise di desistere dall’intento.

-Non era poi malaccio…- lui cercò di sminuire senza successo la situazione e fece un leggero gesto di noncuranza con la mano, cosa che non fce che peggiorare la situazione.

-Cosa?- e difatti il risultato fu il suo scoppio rabbioso e anche piuttosto ringhiante.

-Non era malaccio? E ti sembra che “non malaccio” sia l’aggettivo che la traduzione inglese dei miei libri debba avere?- Lui non rispose, ben conscio che se le avesse dato ragione lei lo avrebbe accusato di cambiare idea per farla contenta, ma d’altro canto se avesse negato lei sarebbe diventata una furia. Decise di stare bene nella parte dell’ignavo.

-Io dò a questi rincoglioniti il mio libro da tradurre e questi fanno questa… cagata colossale?!-  indicò il plico di fogli in bilico sulla spazzatura.

-No dico.. hai letto? Quello non era il mio libro, non era il mio stile.- E a quelle parole sembrarono cambiare entrambi: l’uomo abbassò lo sguardo pensoso, dandole tacitamente ragione, mentre lei sprofondò nella poltroncina e guardò con insistenza la lunga vetrata di fronte. Era sostanzialmente una ragazza tranquilla, ma vi erano dei tasti che davvero erano il suo punto debole, e sempre lo sarebbero stati.

-Sai quanto io ci tenga a questo libro. È la mia migliore opera, ci ho pianto e sudato sopra per mesi e non ho intenzione di scendere a compromessi. Nemmeno per il mercato inglese.- Lui annuì leggermente, anche se comunque il problema rimaneva.

-Non possiamo certo cambiare ora casa editrice. Avevo fiducia nella Wekkerback, ha sempre fatto una traduzione più che esaustiva di tutti gli autori e non riesco veramente a capire come mai abbiano fatto questo lavoro mediocre.- Entrambi però sapevano perfettamente che cosa aveva influito nel pessimo risultato: lo stile di Monia aveva conquistato una fetta dei lettori italiani abituati a leggere mattoni ancora pi contorti dei suoi.

 Forse semplicemente gli inglesi non si erano nemmeno resi conto del lavoro pessimo fatto. Avevano semplicemente tradotto anche il suo stile, e questo lei non poteva accettarlo.

Aveva lavorato sodo per tutta la stesura di quel libro, da quando aveva osservato una pagina vuota su Word al momento in cui aveva messo le mani sulla prima copia definitiva. Era il suo lavoro migliore, e non si sarebbe certo inchinata a quello stile inglese!

-Dovrò andare personalmente a Londra.- Giorgio la guardò sorpreso. Era consapevole di quanto a Monia piacessero poco i viaggi e le trasferte. Aveva dovuto fare il diavolo a quattro per convincerla a trasferirsi a Roma. Da lei perciò non si sarebbe di certo mai aspettato un’auscita del genere.

-Insomma potremo aspettare una versione più rassomigliante alla tua…-

-No quella della Wekkerback sanno come si traduce dall’italiano all’inglese, e se hanno fatto quello…- indicò la spazzatura –devono avere i loro buoni motivi, e indovina un pò? Voglio conoscerli.- Guardò l’uomo con un leggero ghigno stampato sul viso.

-Ma non parli poi così bene l’Inglese, non sapresti dove abitare e…scusa ma  quando avresti intenzione di partire?- Ormai, dato il fatto che convincerla sarebbe stato impossibile, era meglio cercare di capire quanto quell’idea del trasferimento fosse radicata nel cervellino rachitico della ragazza.

-Beh il tempo di andare su internet, prenotare il primo volo, preparare le valigia e andare in Aereoporto!-  Guardò l’orologio sul polso: erano appena le undici di mattina.

-Entro stanotte sono a Londra!-

-Monia tu stai scherzando vero?-  La guardò attento e si rese conto che la ragazza non stava affatto scherzando, tutt’altro.

-Affatto, anzi per provarti le mie intenzioni comincio a chiederti le chiavi del tuo appartamento a Soho, dove io abiterò!-  Gli sorrise solare e allungò la mano.

 

 

 

­­­­­­­­

Salve cari lettori!

Scusate il ritardo nell’aggiornamento, ma gli ultimi esami hanno ristretto incredibilmente il mio tempo davanti a Word!

Che dire… capitolo di passaggio, ma dal prossimo le novità saranno tante e succulente. Perché si… Davide e Monia si incontrano per la prima volta dopo sei anni!

Spero che questo capitolo per quanto piccolo possa esservi piaciuto!

Un bacio!

  
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