La nebbia di Londra mi avvolge e ogni mio singolo passo è scandito dal suono che echeggia lungo le buie vie. Il mantello che mi svolazza alle caviglie e il cappello di feltro che porto calato sugli occhi danno alla mia figura un’aura misteriosa, quasi fatiscente. Le allegre signorine che si appoggiano svogliatamente al muro mi rivolgono sguardi maliziosi, interessati, che lentamente vengono turbati da un’ombra di perplessità quando scorgono i lineamenti del mio viso: troppo delicati e rotondi. La loro espressione tramuta in sgomento e rasenta quasi la paura quando incrociano i miei occhi che luccicano di riflessi di sfida. Abbassano repentinamente il capo e arricciano le labbra in atteggiamento imbarazzato. Supero quelle povere donnicciole, troppo miserabili per poter incrociare il mio cammino, troppo volgari per poter meritare la mia attenzione. Continuo lungo il mio tragitto, e ritorno nella Londra rispettabile della vittoriosa borghesia, fino ad un appartamento esternamente come tanti altri. Salgo le scale con tranquillità, quasi noia, e mi stendo sulla poltrona.
<< Lady Royle, sono lieto di trovarla di ritorno così presto>>.
Mi tolgo il cappello e volgo l’attenzione al mio maggiordomo: Wymond è una di quelle poche persone a cui la propria voce stona. E’ un uomo alto, slanciato, con una corporatura terribilmente esile, come se dovesse spezzarsi da un momento all’altro, con i capelli pettinati ordinatamente, le mani curate, e il viso sbarbato; eppure, ha una voce da scaricatore di carbone, profonda. Tutte le volte che lo odo parlare, rimango leggermente sorpresa dalla figura che mi si presenta davanti. E’ un individuo curioso, è per questo che ha l’onore di lavorare per me: la sua presenza è impeccabile, rispettabile come ci si aspetti, eppure vedo nei suoi atteggiamenti, anche più banali, come servire il tè o aprirmi la porta della carrozza, qualcosa di misterioso, come se nascondesse una parte oscura e proibita, come se, oltre a quella sua maschera di cera perfettamente intatta, si celassero oscuri e interessanti fantasmi. Poggio le dita al mento e lo guardo divertita: vorrei aprire quel favoloso vaso di Pandora. D’altra parte, penso che anche lui nutra questo desiderio nei miei confronti: anche se, a differenza di altri che l’hanno brevemente preceduto, non ha mai mostrato nessun tipo di sentimento nei miei confronti, immagino che sia incuriosito da una donna come me, che indossa il panciotto e l’arroganza di un comune uomo borghese; e, detto tra noi, un po’ me ne compiaccio. Suscitare qualsiasi tipo di emozione in altri è già di per sé un segno di interessamento; ma poter vantarsi di sbigottire, sorprendere e far nutrire sentimenti di disprezzo è una caratteristica per cui mi complimento con me stessa.
Wymond interpreta correttamente il mio atteggiamento, e precede ogni mia possibile domanda.
<< La signorina Bailey la sta aspettando nelle sue stanze >>.
Sorrido e scatto in piedi. Lentamente mi dirigo nella camera da letto, e apro la porta con lentezza esasperante. La prima immagine che mi si presenta potrebbe benissimo appartenere ad un quadro; anzi, è quasi troppo perfetta per essere reale: in quell’ambiente ricercato, con pesanti tende e tappeti decorati minuziosamente, con la tappezzeria rossa alle pareti e il profumo di incenso che sostituisce l’ossigeno, sull’ampio letto a baldacchino, sommerso da cuscini orientali e lenzuola dai colori caldi e coinvolgenti, è stesa una donna che potrebbe a buon diritto essere considerata l’incarnazione di Afrodite. Gaila Bailey ha i capelli ramati che le incorniciano il viso, tripudio di pura armonia, e le scivolano sensualmente lungo la schiena; ha la pelle diafana e gli occhi castani, caldi, capaci di assoggettarti senza fatica grazie alla loro forma allungata. Contemplo il suo corpo nudo, nascosto senza vero impegno dalle lenzuola color cremisi; il suo seno pieno mi dà una scossa, e il suo sorriso consapevole mette a dura prova il mio autocontrollo.
<< So che apri la porta lentamente per alzare l’aspettativa, ma con me non serve, Haley. Io ti desidero immensamente anche solo grazie ad un tuo sguardo>>
La sua voce melodiosa e soffusa mi fa avvicinare. Mi seggo accanto a lei e le bacio una mano.
<< Sai che non mi piacciono i giochi troppo facili, honey>>.
A queste mie parole, lei prova a ritrarre la mano, ma senza convinzione, tanto che rimane sospesa tra le mie dita.
<< Sono un gioco per
te?>>
Come risposta, mi alzo e sciolgo il colletto.
<< La vita è un gioco, honey>>.
Mi sdraio sopra di lei baciandola, e ogni tentativo di resistenza viene abbandonato, come polline al vento.