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Autore: its_cinnamon    14/07/2012    1 recensioni
Fannie è una ragazza normale, dopotutto, ha un migliore amico, una bella famiglia e uno spiccato senso dell'umorismo. Si ritrova contrariata a vorticare tra le spese natalizie con sua madre e sua sorella, finchè la sua attenzione non viene catturata da un certo biondino. Le lacrime di certo non mancheranno, ma alla fine, come si dice "è bene quel che finisce bene" no?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7
~

 - Aron!
-Che c’è?
Fannie continuava a tastarsi le tasche: non era possibile, aveva perso le chiavi di casa!
-Spero solo non mi siano cadute dal pontile … - I due ragazzi balzarono in piedi. Poi Fannie continuando a svuotarsi le tasche – Oh, ma è una giornata meravigliosa questa!
Aron trattenne una risata:
-Non è che ti sono cadute nella cabina dei cappotti, prima al pub?
La ragazza si irrigidì, poi guardo Aron con aria grave:
-E’ possibile … spero siano lì. Se ci tornassimo un attimo? - la ragazza sembrava volersi convincere da sola – Forse la festa e finita e non incontriamo nessuno
Percorsero tutta la strada a ritroso accelerando il passo mano a mano che si avvicinavano al locale.
C’era silenzio, dall’esterno non si udiva più la musica che palpitava all’interno del pub.
Aron e Fannie si guardarono perplessi: forse aveva già chiuso, però era strano, non era molto tardi. Sarà stata si e no mezza notte, mezza notte e mezza.
- Fannie, la porta è aperta.
Il ragazzo si addentrò nel locale semi buio. Fannie lo raggiunse velocemente: aveva paura a restare sola in quel postaccio desolato.
Il locale era illuminato appena da una luce soffusa. Non c’era più nessuno a parte un tizio che armeggiava con il piano da DJ.
-Mi scusi – irruppe Aron dietro al quale si nascondeva Fannie – Ho dimenticato il mio …
-Si si – lo interruppe bruscamente – fa quello che vuoi, tanto siamo in chiusura.
-Ok. - Il ragazzo si girò verso Fannie e le fece segno di andare verso la cabina armadio.
 
Era buia e non c’era più nessun cappotto. Soltanto qualcuno doveva essersi dimenticato una sciarpa che se ne stava appesa tutta sola soletta ad uno degli attaccapanni.
-Eccole!  - Fannie si inginocchiò e raccolse le chiavi dal pavimento: erano finite quasi in un angolo, tra la polvere. Ringraziò il cielo di averle trovate, altrimenti come avrebbe spiegato a sua madre che sua figlia sedicenne aveva perso le chiavi di casa andando ad una festa della quale lei non era al corrente? Non ci sarebbe stato il modo si uscirne vivi- Ora possiamo tornare.
Fannie seguì il ragazzo infilandosi le chiavi in una tasca con fare quasi trionfante.
Si fermò. Aron si girò a guardarla, poi guardò su uno dei divanetti posizionato su un lato della sala ormai completamente vuota e buia.
Disteso sulla morbida pelle nera del divano, c’era Ren. Immobile.
Fannie rimase a guardarlo, immobile.
Gli occhi del ragazzo erano chiusi, il viso angelico di Ren aveva assunto un’espressione rilassata.
-Non possiamo lasciarlo qui … - Aron esaminò il buoi che lo circondava accertandosi che realmente non ci fosse più nessuno.
Fannie era divisa: se da una parte avrebbe voluto lasciarlo lì al suo destino e fargli pagare la sofferenza che le aveva provocato, dall’ altra non si sarebbe mai perdonata se gli fosse successo qualcosa.
-E dove lo portiamo? – la ragazza non era pienamente cosciente della situazione: era tutto così strano. Anormale.
-Cominciamo a portarlo di fuori – riprese il ragazzo avviandosi verso il corpo dormiente di Ren – Penso che a momenti verrà il proprietario del pub a chiudere. Non possono mica lasciare il locale aperto di notte!?
La ragazza annuì poco convinta, ma raggiunse anche lei il morbido e freddo divanetto.
-Su, su, svegliati! – Aron cominciò a smuovere una spalla di Ren con fare poco delicato.
Il ragazzo aprì gli occhi in una fessura. Biascicò qualcosa, poi aggiunse:
-La festa … io … prima ero … dove sono?
Aron non gli diede peso più di tanto e lo alzò prendendolo sotto braccio:
-E’ ora di andare!
Ren oppose una minima resistenza alla presa, poi si alzò barcollando.
“Chissà quanto hai bevuto …” pensò tra se Fannie osservando i movimenti incerti del ragazzo. Si vedeva che gli tremavano le ginocchia, e non riusciva a tenere gli occhi aperti, si vedeva che non era un ragazzo che reggeva bene l’alcol.  
-Io … mi gira la testa … - Ren parlava a bassa voce, facendosi capire appena.
Dopo pochi minuti i tre ragazzi raggiunsero l’uscita.
Fuori faceva freddo e il vento freddo di dicembre era tornato a fare capolino per le strade della deserta città.
Aron fece sedere Ren su un muretto basso e liscio.
Il biondo si portò una mano alla fronte, e la intromise fra la pelle e la frangia che gli cascava fin sopra gli occhi.
Il suo sguardo stanco si posò su Fannie che lo guardava in preda alla tenerezza: non riusciva a guardarlo in quelle condizioni.
- Fannie! – esclamò Ren con lo sguardo liquido e stanco – tu … allora non sei arrabbiata con me! C … credevo di averti delusa … io non volevo … io … io … non …
Non poté finire la frase che corse via con le ginocchia molli, fino a raggiungere un cespuglio, lì appoggiò una mano ad un albero, e cominciò a rimettere tutto l’alcol che aveva in corpo.
Lo stomaco gli si stringeva e la gola gli bruciava, sentiva che tutto intorno a se girava vorticosamente e che le luci erano sempre troppo forti per i suoi occhi.
Aron e Fannie si guardarono.
La ragazza guardò l’ora: era tardissimo. Sarebbe dovuta essere a casa per mezzanotte e mezza al massimo, e invece era l’una e mezza passata: sua madre l’avrebbe uccisa di certo.
Ren tornò indietro dai due ragazzi barcollando e si sedette di nuovo.
La testa gli pulsava ad ogni battito del cuore, in bocca aveva un saporaccio assurdo, gli faceva male lo stomaco e in più aveva freddo.
Aron tornò di nuovo al pub, sperando di trovare il proprietario, o almeno qualcuno a cui avrebbe potuto affidare quel ragazzo.
Ren tremava. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e lasciò che il viso gli scivolasse fra le mani.
- … sono stato un cretino … io … n … non so che mi ha preso … io ti … io ti ho delusa – le lacrime cominciarono a solcare il viso delicato del ragazzo.
Fannie lo guardava scioccata.
- … q … quella non sapevo neppure chi fosse! – Ren si girò per guardare Fannie negli occhi. Aveva gli occhi gonfi dalle lacrime. Singhiozzava. Tremava. – Scusami!
Sarebbe stato inutile cominciare a prendersela con lui, dirgli che lei ci aveva sofferto molto, che era stato un deficiente: Ren già stava male di suo.
Fannie si arrese e gli sorrise con  dolcezza:
- Lo so … sta tranquillo.
Il ragazzo tornò con il viso fra le mani e continuò a singhiozzare: aveva sbagliato tutto quella sera!
Fannie gli rimase accanto ad accarezzargli la schiena sperando che si tranquillizzasse.
L’unica cosa buona che aveva fatto l’alcol, era stato fargli dire le cose com’erano andate, senza che potesse nascondere nulla. Se non mi sbaglio In vino veritas.
 
Quando Aron fu di ritorno, Ren aveva smesso di piangere, anche se aveva un aria davvero distrutta, e con lui c’era un ragazzo alto e biondo: era l’amico di Ren che aveva organizzato la festa.
- Ren, - aveva esordito avvicinandosi al ragazzo – te lo avevo detto di non bere!
Ren rimase muto.
Dopo si appoggiò stancamente alla spalla dell’amico che ringraziò Aron e Fannie per essersi presi cura di lui, poi barcollanti si allontanarono nel buio della strada.
 
 
 
  
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