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Autore: Lilyth    14/07/2012    1 recensioni
Il giorno del 17esimo anno è un giorno, importante, forse più del 18esimo;
ognuno di noi ne conserva anche solo un piccolo ricordo dentro al suo cuore; ci si diverte, si cresce, si cambia.
Per Smile, però, questo cambiamento è molto lontano da quello meramente numerico.
Lo scontro con una realtà in parte meravigliosa ed imprevedibile, in parte dura e difficile da accettare accompagneranno la nostra protagonista in un viaggio dentro il suo vero essere per aiutare una stirpe a lei estranea di cui non sapeva di far parte.
Scrivere questa storia all'inizio è stato un gioco, un gioco che piano, piano iniziava ad avere una forma ben definita.
Mi ha emozionato e spero emozioni anche i lettori.
Lo so, sono solo una ragazza di 17 anni, ed è difficile credere che in così tenera età si possa arrivare a metter su un racconto di rilievo.
Però, datemi fiducia.
Buona lettura.
Lilyth.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eternity'
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< Smile...Smile ci sei? >
Spalancai gli occhi con l’impressione di cadere, saltai in avanti.
< Nicolas! >
Mi guardò stranito
< tutto ok? Urlavi... >
Respirai piano
< sì, tutto ok...mi sono addormentata e, ma che ore sono? >
Guardò l’orologio appeso al muro
< circa le 6 del pomeriggio. >
Annuii pensierosa
< tu come stai? Tutto ok? >
Lui annuì
< non posso certo chiederti la stessa cosa vista la tua discussione con Alex... >
Abbassai lo sguardo
< ah...hai sentito... >
Annuì battendomi una mano su una spalla
< ho un udito alquanto sviluppato...comunque secondo me fai male a dubitare di lui...secondo me ti vuole veramente bene. >
Alzai le spalle
< non so cosa pensare, sinceramente lui non mi rende tranquilla mi rende ansiosa, e secondo me abbiamo corso troppo. >
< non è interrompendo la vostra corsa che migliorerai le cose... >
Rimasi in silenzio, silenzio che lui interpretò come un mio non voler parlare
< ok, non sono affari miei, hai ragione... >
Lo fermai con un mano
< no, Nicolas...apprezzo il fatto che tu mi stia dando dei consigli...diciamo che persone che mi consiglino senza esagerare ne ho poche intorno...grazie, veramente. >
Sorrise.
Passammo il resto della serata a guardare la tv, preparai una cena molto scrausa con ciò che avevo in frigo.
Lasciai che Nicolas dormisse nella stanza di mio padre, crollò, per quanto non me lo volesse dire non aveva ancora recuperato a pieno le forze.
Entrai nella mia camera lasciando la porta aperta  e mi sedetti sul davanzale.
Ero sicura che Alex fosse li vicino, non mi avrebbe mai lasciata a casa da sola con il rischio che correvo...almeno speravo.
Uscii sul tetto e mi sedetti con la schiena contro il muro, cercai di concentrarmi per vedere se riuscivo a captare qualche pensiero, niente.
O era così bravo da chiudermi la mente o non c’era.
Preferivo pensare la prima cosa.
Immaginai che fossimo entrambi li, l’uno di spalle all’altra a guardare lo stesso cielo, e non so, mi sentii un po’ in colpa per ciò che gli avevo detto.
Era raro che mi sentissi in colpa, che ammettessi a me stessa di aver toppato alla grande, questa volta a malincuore lo stavo facendo.
Se mi stava ascoltando, dal momento che riusciva a captare i pensieri molto meglio di me, forse mi avrebbe perdonata...ma poteva anche non farlo, volendo.
Rientrai in casa e chiusi la finestra, mi stesi sul letto e mi addormentai.
 
Sentivo il mio cellulare vibrare nella tasca dei jeans, aprii gli occhi lentamente, lo tirai fuori e risposi senza vedere chi fosse
< onto... >
< dove cazzo sei! >
Mi schiarii le idee, era la voce di Laby?
< Laby? >
< sì, cretina, Laby...dove sei? Vuoi farci spaventare a tutti noi? >
Mi alzai a sedere sul letto e misi a fuoco l’ora, le 11 del mattino.
< oddio scusa, ieri sera non ho messo la sveglia. >
< è, ma brava! Saresti potuta essere ovunque, con chiunque.... >
< non esageriamo...Alex e Monica sanno benissimo dove sono...sono sicura che >
< no, Smile, no! Alex non ti è venuto a controllare ieri sera a quanto ha detto Monica e lei lo ha scoperto solo questa mattina! Cazzo! Potevi essere morta! >
Alex non era venuto? Quindi proprio non gliene fregava niente, proprio niente.
Smentii tutti i pensieri della sera prima.
< ok, ora sapete che sono viva. A dopo. Ciao. >
< Smile aspe... >
le attaccai il telefono in faccia..cos’ero? furiosa...sì, ma anche delusa, tesa e ferita.
Mi diressi verso la camera di mio padre, Nicolas non c’era.
Scesi le scale di corsa, non era neanche giù, mi aveva lasciato un biglietto sul tavolo, lessi
 
“grazie di tutto. Mi farò vedere presto. Ti voglio bene. N”
 
Bene, era andato via anche lui.
Mi sedetti per terra.
Da sotto il divano uscì Mollica, il giorno prima non si era fatta vedere per niente, mi saltò in braccio
< ciao cara...e già, siamo di nuovo io e te sole solette. >
Miagolò di risposta.
La carezzai dietro le orecchie.
Erano le 11 ed ero a casa da sola, cosa facevo? Non ne avevo idea, senza contare che muovermi da sola era alquanto pericoloso per una come me, per la mediana.
Stavo per andare di nuovo su quando sentii un tonfo nell’armadio, mi immobilizzai.
Mi avvicinai di soppiatto e aprii piano l’anta, rimasi pietrificata.
Chiazza di sangue, Nicolas senza sensi sul fondo...ma allora...non ero sola, ero meno sola e protetta che mai.
Mi chiusi anche io nell’armadio facendo attenzione a non far male a lui.
Presi il cellulare ed inizia a scrivere un messaggio a Monica quando le ante si aprirono, non feci in tempo ad alzare lo sguardo che venni colpita alla testa e persi i sensi sul colpo.
 
Venni inondata da uno scroscio d’acqua, spalancai gli occhi di colpo e portai una mano alla fronte.
< la mediana si è svegliata... >
Facendo attenzione ai movimenti che facevo alzai la testa e notai uno che ero rinchiusa in una gabbia per animali, due che ero circondata da uomini poco rassicuranti.
< ti stai per caso chiedendo perché sei qui? >
no, non me lo stavo chiedendo, affatto!
Cercai di riconoscere qualche viso, ma non conoscevo nessuno di quel gruppo e sapevo solo una cosa; erano Bruni e mi avrebbero uccisa al più presto.
Uno si avvicinò alla gabbia e scosse le sbarre, ok, ero in trappola ma questo non faceva di me un animale.
Quasi ringhiai < cosa vuoi? >
< devi rispondere quando ti si pongono delle domande! >
Alzai un sopracciglio sarcasticamente.
Ok, ero in errore come al solito, duemila cattivi ed io che da sola facevo la stronza, sarei morta presto.
<  allora ditemi, perché sono qui? Ma se mi dovete rispondete per morire, vi prego risparmiatevelo, l’ho sentito troppo spesso negli ultimi tempi...più fantasia ragazzi. >
Non reagirono alla mia botta di spirito, anzi, scoppiarono a ridere
< no, non vogliamo ucciderti... >
se, ora non volevano uccidermi...ma se ci avevano provato già tre o quattro volte nel giro di pochi mesi.
< ...vogliamo trasformarti in una di noi. >
Li guardai in silenzio, poi mi lasciai ad una risata, cosa volevano? Farmi diventare una di loro? Follia.
< non ridere mediana, siamo più che seri. >
Mi asciugai gli occhi  che lacrimavano per il troppo ridere
< e sentiamo come vorreste fare? >
Uno ghignò
< abbiamo i nostri metodi e purtroppo nessuno, proprio nessuno potrà fare niente. >
< e sentiamo, perché nessuno potrebbe far niente? >
quello più vicino alla gabbia rispose
< beh, si dia il caso che siamo in Alaska da circa 4 giorni e nessuno si è ancora fatto vedere... >
Alaska? 4 giorni? Ma che era quella cazzata?
< non è vero. >
Venni trascinata fuori dalla gabbia, mi piazzarono davanti ad una finestra, purtroppo credo che avessero ragione...Alaska...uno di loro accese la radio, notiziario del 14 febbraio, esattamente 4 giorni dal mio presunto rapimento..era anche san Valentino.
Mi sentii sconfortata, molto sconfortata.
Venni rigettata nella gabbia
< ci credi ora? >
Annuii piano, fui quasi impercettibile.
< bene...perchè l’unica certezza che avrai da oggi sarà questa, ti hanno abbandonata mediana e tu ora sei in mano nostra. >
Con un gesto di rabbia mi fiondai sulle sbarre e urlai
< non mi avrete mai, mai come volete voi! >
Routine; pugno in faccia, sangue, risate varie, dolore lancinante.
Rimasi a terra mentre tutti lasciavano la sala, mentre rimanevo sola con il mio dolore.
Fu una lunga...notte? credevo fosse notte per la sola debole luce che filtrava dall’unica finestra della stanza; fu una notte lunghissima.
Come era cambiata la mia vita da quel maledetto giorno del mio 17esimo compleanno, quel maledetto 10 gennaio.
Era poco più di un mese e già vedevo la fine, la fine di tutto.
Non piangevo, probabilmente non ne avevo né la forza né la voglia, pensavo e basta...
Pensavo a quanto cazzo potesse far schifo la mia vita da quando quella maledetta mattina avevo capito che potevo leggere nei pensieri della gente, da quando Alex aveva deciso che doveva entrare a contatto con me, da quando avevo pensato di essere indispensabile per qualcuno.
Mi stavo auto-deprimendo, sapevo che non dovevo perché stavo facendo il loro gioco, distruzione psicologica, ma quella notte da sola riuscii a fare solo quello.
Sarei dovuta essere forte il mattino seguente, non tanto per me, quanto per mio padre e per Laby e Kay che loro malgrado non potevano fare niente per venirmi a ripescare li giù dove stavo.
Certo, avrebbero potuto fare pressing su Monica e Alex, avrebbero potuto...chissà se lo avevano già fatto o se avevano intenzione di farlo.
Mi rannicchiai su un lato e provai a prendere sonno, cosa che non mi riuscì.
 
Rimasi tutta la notte con gli occhi spalancati, non mangiavo né bevevo da 5 giorni e sì, avevo fame e sete.
Quasi sperai che qualcuno di quegli stronzi mi portasse qualcosa per sopravvivere, d’altronde se volevano che diventassi una di loro dovevano tenermi in vita...almeno speravo che servisse tenermi in vita.
Capii che era mattina quando due di quelli entro nella “mia camera” e cercarono di svegliarmi.
Per essere Bruni erano abbastanza fessi, c’è non avevo mai dormito e ora venivano a svegliarmi?
< a, sei sveglia mediana...bene.... >
Come sperato mi porsero una bottiglia d’acqua ma niente da mangiare.
Ok, sarei riuscita a resistere senza mangiare, l’importante era l’acqua.
Bevvi poco per non dargli la soddisfazione e per non sentirmi male.
< che avete intenzione di farmi? >
Mi guardarono passivi
< intendo...devo diventare una dei vostri, dal momento che io non mi lascio manipolare cosa pensavate di fare? >
uno sorrise maligno
< o, di te non ci curiamo...abbiamo i nostri metodi... >
< ad esempio? >
Smisero di ridere
< lo scoprirai presto...tranquilla...sarà doloroso quanto basta. >
Mi lasciarono di nuovo sola.
Bevvi a lungo finchè non fui piena d’acqua poi iniziai ad osservare la stanza; dovevano esserci delle telecamere da qualche parte, era improbabile che mi lasciassero da sola nella stanza senza neanche una telecamera a controllarmi.
Sforzai il mio super sguardo e riuscii a trovarle in fondo alla stanza; due vicino alle porte che non dovevano coprire un granchè di spazio e un’altra vicino alla finestra.
Sicuramente ce ne erano altre nascoste, quelle tre erano troppo poche.
Mi avvicinai al muro con nonchalance e diedi una bottarella alle mattonelle, suonavano piene, d’altra parte del muro c’era il vuoto.
Se fossi riuscita ad indebolire il muro forse sarei potuta scappare di la, volendo potevo provarci, ma non di giorno, non così alla luce del sole.
 
Qualche ora dopo venni presa e portata via, mi lanciarono letteralmente su un lettino medico completo di fibbie per legare gambe e braccia, non mi diceva nulla di buono.
Dopo avermi immobilizzata arrivò un tizio in camice che voleva fingersi medico, o meglio, piccolo chimico.
< ecco la famosa mediana... >
Quante volte avevo sentito quella frase
< sai perché sei qui? >
Scoppiai in una finta risata
< ancora non ho la sfera di cristallo, quando la avrò le farò un fischio... >
Vidi che armeggiava ad un tavolo, si avvicinò con una siringa
< quando qui avremo finito non sarai più così sarcasticamente simpatica >
Non potevo muovermi, lasciai a malincuore che mi ignettassero un liquido bianchiccio nelle vene, sentii le mie pupille dilatarsi, chiusi gli occhi.
Sentii delle altre voci intorno a me
< sta facendo effetto? >
La voce dello pseudo-dottore
< sembra di sì...altre 5 di queste e il suo dna sarà perfettamente cambiato...ci vorrà meno del previsto. >
Rimasi immobile ad occhi chiusi, dovevo sembrare senza sensi per un altro po’.
Mi alzarono di peso e mi ritrasportarono nella gabbia che poi chiusero a dovere.
Altre 5 di quelle? Il mio dna sarebbe cambiato? Bell’affare.
Dovevo riuscire a fuggire prima della 5 iniezione,il problema era riuscire a capire ogni quanto mi veniva somministrato quello schifo di farmaco.
Rimasi a terra ad occhi chiusi per non so quanto tempo, mi addormentai anche e quando riaprii gli occhi era tutto buio, di nuovo notte.
Mi attaccai alla bottiglia dell’acqua e bevvi.
Accertai che non ci fosse nessuno nella stanza, dovevo iniziare a sfondare quel cavolo di muro.
Iniziai con qualche leggera spallata, ci misi più forza.
Non sembrava muoversi di un millimetro, ok, avevo una forza sovrannaturale, ma quello era comunque un muro.
Forse non era un muro portante, però dal momento che ero in un covo di banditi con i fiocchi non potevo mica aspettarmi un muro di cartapesta.
Continuai imperterrita per tutta la notte, mi distrussi la spalla, sperai che almeno servisse a qualcosa.
 
Il giorno successivo si ripeté la solfa, di giorno pseudo- addormenta e di notte intenta a cercare di buttar gi in muro, con la piccola differenza che non mi venne somministrato alcun farmaco e fu così anche per il 3 giorno.
Il 4 giorno venni riportata in sala medica praticamente all’alba, venni nuovamente contaminata, con la differenza che questa volta mi sentii realmente drogata.
Persi i sensi per tutto il giorno e per tutta la notte, quando riaprii gli occhi penso il mattino dopo avevo il braccio di un colorito poco rassicurante, sembrava quasi fucsia.
Avevo perso una notte di lavoro, una notte in meno per preservarmi la salvezza.
 
Ora sapevo che il farmaco mi veniva somministrato in tre giorni, quindi l’avrei ripreso esattamente il 6 giorno.
Il problema era che iniziava probabilmente a fare effetto, mi sentivo malissimo, ero debole.
Mi avevano lasciato altra acqua, bevvi piano, quella notte sarei dovuta rimanere sveglia, sarei dovuta essere più forte del solito e anche la notte successiva.
Ancora nessuno che tentava di salvarmi, ma non dovevo pensarci, ora dovevo solo pensare a sopravvivere.
Mancavano 4 punture per trasformarmi completamente e dovevo sfruttare quei pochi giorni per indebolire così tanto il muro da permettermi di fuggire sul più bello.
Passai quella notte e anche quella successiva a prendere a spallate una parete, avevo un braccio livido e l’altro sempre più gonfio.
6 giorno, di nuovo la puntura, fu meno forte di quella precedente, riuscii a reggere per tre sere di fila; finalmente sentivo che qualcosa si stava incrinando; ero riuscita a creare una crepa che saliva fino al soffitto speravo solo che nessuno se fosse accorto.
9 giorno, la mia 4 puntura ne mancavano solo due, solo due.
Fu fortissima, non riuscii a riprendermi per mezza giornata per quanto ci stessi mettendo impegno ed ebbi una delle più brutte sorprese della mia vita, avevano spostato la gabbia; si erano accorti della crepa nel muro.
A quanto pare non si erano resi conto che l’avevo provocata io, ma questo non mi tirò per niente su di morale.
Passai un’intera giornata a dormire e un’intera notte a cercare di sfondare il muro.
Ero sfinita, volevo piangere ma avevo così pochi liquidi in corpo che non mi scendeva neanche una lacrima.
11 giorno, la 5 e ultima puntura che potevo permettermi.
Rimasi sveglia per due giorni, il muro rimaneva fermo sotto la mia forza, finii per farmi male veramente.
Mi uscì la spalla sinistra, per poco non urlai dal dolore, riuscii a rinfilarla con un dolore estremo.
Mi uscirono le lacrime, piansi l’intera notte, piansi tutte la lacrime che non ero riuscita a tirare fuori in quegli 11 giorni di agonia.
Il mattino dopo ero esausta e stavo sempre peggio.
< che c’è mediana, hai perso la speranza? >
Non risposi.
< rispondi. >
Non lo feci, forse avrei dovuto farlo visto che l’unica cosa che ottenni fu farmi prendere a calci violentemente.
Ecco, il 13 giorno di prigionia, la notte prima non dormii, rimasi vigile...forse avevo un piano, forse no.
All’alba vennero a prendermi, continuai a fare finta di essere addormentata.
Mi venne a prendere un solo uomo, altri due erano davanti alla porta.
Appena si richiuse la gabbia alle spalle con uno scatto di forzo lo colpii sul collo tramortendolo.
Scivolai a terra con lui, mi liberai a fatica dal suo peso.
Gli altri due stavano già correndo verso di me.
Misi a fuoco la crepa.
Li guardai, mi voltai ed inizia a correre in direzione del muro indebolito.
Speravo che si sfondasse, ebbi paura ma non mi fermai.
Quelli urlavano, sbraitavano, scoppiai a piangere.
A pochi centimetri dal muro urlai con tutta la forza che avevo in corpo
< non mi avrete mai come  volete voi. >
Ultimo scatto, mi gettai sulla parete che si ruppe sotto di me.
Precipitai giù. Cadevo, cadevo e vedevo quei due affacciati sulla crepa che mi guardavano urlando cose che non capivo con facce poco amichevoli, cadevo e mi chiedevo dove sarei finita.
Sentii l’impatto duro con la pietra, poi alberi, fronde, finalmente la terra.
Mi rialzai ed inizia a correre senza preoccuparmi di dove fossi.
Era tutto ricoperto di neve, facevo fatica a camminare ma continuai.
Forse sarei morta pochi giorni dopo, ma dovevo mettermi in salvo da quelli.
Correvo, correvo con tutta la forza che ancora avevo in corpo.
Sentivo il mio sangue scorrere lungo la colonna vertebrale, probabilmente mi ero ferita, ma non me ne preoccupavo.
Correvo e basta, correvo verso la salvezza, o qualsiasi cosa fosse, correvo e non pensavo.
Arrivai in una radura, al volo mi guardai intorno e ricominciai a correre in direzione nord-est.
Avevo sentito bene, avvistai una grotta dietro qualche ramo caduto.
Ci entrai, mi guardai intorno con il fiatone, sentivo che le gambe non avrebbero retto a lungo.
Scivolai a terra in ginocchio, poggiai una mano a terra e mi voltai verso l’entrata, non si vedeva nessuno. Con questo pensiero scivolai a terra e dormii.
 
Ripresi conoscenza grazie al freddo che mi aveva ghiacciato le ossa, sentivo che se mi fossi mossa mi sarei completamente disintegrata.
Aprii gli occhi piano, li sentivo incollati dal gelo; iniziai a muovere gambe e braccia, non dovevo lasciare che il mio corpo si assiderasse.
Mi alzai in piedi a stento, dovevo mangiare qualcosa...erano più di due settimane che non toccavo cibo ed iniziavo a sentire i crampi distruggermi lo stomaco.
Mi avvicinai all’entrata della caverna e scostai un ramo, di fuori il panorama era peggio di come lo ricordavo, completamente bianco e senza un minimo punto di riferimento.
Dovevo affidarmi al mio sesto senso da eterno, solo così potevo sperare di sopravvivere.
Uscii fuori, presi un po’ di neve e la infilai in bocca in piccoli pezzi, dovevo almeno far finta di bere qualcosa.
Iniziai a camminare per la radura coperta da un fitto manto bianco, mi sentii una stupida ma iniziai ad annusare l’aria, sentivo una leggera percezione di carne, di vivo ma capivo bene in che direzione si trovasse.
Mi poggiai ad un albero ed annusai meglio, ebbi un flash, capii dove dovevo andare.
Iniziai a camminare piano in quella direzione stando attentissima a tutto ciò che mi circondava, poi la vidi.
Mi pianse il cuore ma non potei far a meno di ascoltare il mio corpo piangere gli stenti.
Uccisi quella lepre bianca piangendo.
La portai fino a dentro la caverna e la lasciai da una parte, non sapevo se avrei trovato il coraggio di mangiarla.
Intanto dovevo trovare qualcosa con cui perlomeno cuocerla.
Strappai due qualche ramo dal ramo che copriva l’entrata, erano umidi ma speravo che prendessero fuoco ugualmente, avevo bisogno di quella lepre, avevo bisogno di calore.
Non ero mai stata un granchè come scout e non sarei mai potuta esserlo.
Iniziai a strofinare quegli stupidi ramoscelli di legno finchè non vidi qualche scintilla.
Ci volle tantissimo prima che riuscissi a dare fuoco a quella sterpaglia ma quando vidi le fiammette scoppiettare mi sentii realizzata.
Presi il leprotto e (stavo per morire) lo resi acefalo e monco.
Odiavo saper fare tutto ciò, ma ne valeva della mia sopravvivenza.
Iniziai a scaldarlo, peccato che dopo un po’ mi ricordai che aveva ancora la pelliccia.
Non ero un animale, non potevo spellarlo completamente, non potevo farlo...ma lo feci.
Mangiai, poco, ma mangiai. Mi fece schifo ma mangiai quel poco che ero riuscita a trovare,
mi ricoprii del suo sangue che si unì al mio senza problemi rendendomi ancora più trasandata di prima.
Mi pulii al meglio le mani nella neve.
Quella notte sarei rimasta li, il giorno dopo sarei dovuta andare a cercare aiuto, per quanto cercassi di essere un’ottima cacciatrice sarei presto morta congelata. Dovevo trovare un aiuto e dovevo farlo al più presto.
   
 
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