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Autore: musicsafety    14/07/2012    6 recensioni
Ero sola. Completamente, unicamente sola. Con chi potevo parlare del mio problema?
Migliore amica? No, era in Italia.
Mamma? No, era morta.
Papà? No, lui non poteva sapere questa storia.
Fratellastro? Oh. No, era da escludere. Lui era il mio problema.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Harry 
 

 

Ero seduto su una di quelle scomode sedie di plastica poste all'entrata dell'aeroporto, con il telefono tra le mani, le gambe distese e gli occhiali da sole appesi alla maglietta quando mi resi conto che, per l'ennesima volta, mi avevano incastrato.
Sbuffai svogliato continuando a smanettare con il telefono e fingendo di ascoltare il mio patrigno blaterare a vanvera accanto a me.
M
a di che sta parlando?
Alzai lo sguardo verso di lui e vidi, stampato sul suo viso, un sorriso che non avevo mai notato prima. Forse, perché non aveva mai sorriso in quel modo.
Di riflesso, ricambiai il gesto.

Okay, in quel momento lo detestavo con tutto me stesso perché mi aveva costretto ad accompagnarlo, facendomi rinunciare alle prove coi ragazzi, ma ero felice per lui. E gli volevo bene.
Vidi le grandi porte scorrevoli di vetro aprirsi alle sue spalle, e lessi sopra di esse “Arrivo”.
«Erik, mi sa che è arrivata.»
Lui scattò dalla sedia e in un attimo si era infiltrato in mezzo alla folla di parenti/amici/cugini/conoscenti che aspettavano l'arrivo dei viaggiatori.
Scossi la testa e mi alzai.
I miei occhi furono attirati da due movimenti furtivi dietro di me e, potei constatare subito cos'era stato a provocarli.
Esseri inutili, invasivi, a volte irritanti che, se potessero, mi seguirebbero anche al cesso. Paparazzi.
Immediatamente mi domandai il perché fossero lì, ma ci pensò una vocina a me sconosciuta, proveniente da chissà quale meandro del mio cervello. a rispondermi.
Oh, caro. Se non mi sbaglio, sei un componente di una delle band più amate del momento dalle ragazze. Cosa pretendi?
Risi sarcasticamente del mio formidabile intuito da volpe (magari non esattamente...) e posi il mio sguardo su Erik che stava stringendo tra le braccia quella che doveva essere sua figlia.
Hope, aveva due anni in meno di me e quando era partita io ne avevo sedici.
Non me la ricordavo perfettamente, anche se, rammentavo vagamente degli occhi indagatori sempre attenti, un apparecchio metallico ai denti e dei vestiti sempre vivaci. E io non avrei mai indossato una felpa rosa fosforescente.
«Harry! Vieni a salutare tua sorella!»
Sbraitò suo padre facendomi sussultare.

Come tornai alla realtà, potei chiaramente distinguere la figura che, poco prima, era abbracciata a lui.
Capelli castani, lisci. Occhi limpidi e allegri, nonostante un iride molto scura. Una bocca carnosa resa lucente da quello che, probabilmente, era lucidalabbra.
Mentre esaminavo tutto ciò, lei si aprì in un meraviglioso sorriso che lasciò intravedere i denti, ormai dritti e privi di aggeggi.
Hope ruotò gli occhi al cielo per poi guardare suo padre.
«Papà io non sono sua sorella. Sono solamente...»
«La sorellastra.»
Conclusi io, mettendomi vicino ad Erik. Era una frase che aveva sempre ripetuto, fin da quando la conoscevo. Per un qualche motivo che ancora non ero riuscito a capire, le dava un fastidio bestiale il fatto che fossimo...quasi fratelli.

«Che fai, non lo saluti?»
Esordì suo padre afferrando le valigie che lei aveva poggiato al lato dei suoi piedi.

«Eh? Oh, sì. Certo.»
Mormorò confusa lei, diventando color fuoco.

Imbarazzata. Hope Moore, imbarazzata.
Stiamo parlando della stessa ragazza che ti ha fatto finire in piscina con i lacci delle scarpe legati?
Stiamo parlando della stessa ragazza che ti ha tirato uno schiaffo (o, ammettiamolo...forse più di uno) lasciandoti le cinque dita su una guancia?

No, stiamo parlando della stessa ragazza che ora ti sta fissando in attesa che tu afferra la sua mano, idiota.
Meccanicamente portai la mia mano sulla sua stringendola.
Lasciai che un sorriso innocente prendesse posto sul mio volto, con tanto di fossette.

Vidi le sue gote prendere un colore simile al rosso di un semaforo, e le lanciai uno sguardo trionfante.
«Bentornata a casa, sorellina.»
Sussurrai io, quando lei mi passò accanto per raggiungere suo padre, che era ormai quasi all'uscita.

Oh, sì. Bentornata.

 

 

Hope
 


 

«Bentornata a casa, sorellina.»
La sua voce mi fece rabbrividire, mentre affiancavo papà lasciando indietro il mio...fratellastro.
Oh, diamine. Carlotta, spero tu sia felice, ora.
Maledissi la mia migliore amica a chilometri di distanza, imprecando contro il destino.
Alto, riccio, capelli scuri e due occhi che facevano passare in secondo piano tutto il resto del mondo.
Cos'è che era? Ah, già. Un modello di Abercrombie. Ma quale modello e modello. Questo era un..
«Allora? Com'è andato il viaggio, piccola?»
Esclamò mio padre, quando ci fummo sistemati tutti e tre in macchina.

«Tutto bene, grazie.»
Come al mio solito, cominciai a smanettare con la radio della Golf nera di papà.

Lui, rise.
«Vedo che non ti è passata la mania di controllare tutto ciò che riguarda la musica, eh?”
Chiese retoricamente mio padre, lanciando poi uno sguardo fugace nello specchietto retrovisore da cui si poteva intravedere il ragazzo.

«Però, ora, hai concorrenza. Non è vero, Harry?»
Aggiunse facendogli l'occhiolino.
Io mi voltai dal mio sedile e con sguardo interrogativo fissai gli occhi verdi che mi ritrovai davanti.

Non ebbi bisogno di fare nessuna domanda.
«Oh, hem...Sì, io ora faccio parte di una band.»
Balbettò, colto di sorpresa. Io mi aprii in un sorriso spontaneo.
«Oh, che bello! E cosa suonate? Dico, che genere? E in quanti siete? Sono tuoi amici?»
«Ehi, bambina, calmati. Una domanda per volta.»
A dire questa frase, non era stata mio padre. Ma lui. A quanto pare, tutta l'insicurezza che era trapelata nella sua voce alla prima frase, era sparita.

Gli ho per caso permesso incoscientemente di darmi dei soprannomi? Non mi pare. Beh, ma che t'aspettavi, tu l'hai affollato di domande!
Non mi mossi, rimasi sempre nella stessa posizione attendendo che lui continuasse.
«Non mi va di parlarne a voce. La prima volta che vado a provare con loro, vieni anche tu e avrai una risposta a tutte le tue domande. Ci stai?»
Rispose strafottente, ammiccando.

Ma che sta tentanto di fare?
Io, senza riflettere, annuii.
Tornai al mio posto, e guardai il panorama che cambiava velocemente fuori dall'auto.

 

«Anne! E' arrivata!»
Urlò mio padre al nulla apparente, appena ebbe aperto la porta di casa.

Mi guardai intorno. Non era cambiato veramente niente.
Il grande divano, ad angolo, in pelle bianca era sempre posto al centro della stanza, davanti al televisore. I mobili erano perfettamente in ordine e puliti. Le foto appese ai muri non l'avevano spostate di un centimetro.
E poi, c'era lei. Mia madre. La foto di quella donna, bionda e con due grandi occhi azzurri che stringeva al petto una bambina, esattamente l'opposto di lei: castana di occhi, e di capelli. Ma il loro sorriso, era identico.
Io avevo insistito per tenere quell'immagine e la nuova compagna di papà, me l'aveva permesso senza problemi. Così, ora, era appesa insieme ad altre migliaia di fotografie.
In quel momento, mi resi conto di quanto mi mancava mia mamma.
Ma, dovetti reprimere le lacrime e voltarmi con un falso sorriso stampato sulle labbra quando sentii i passi di Anne sul parquet.
«Oh, tesoro mio, quanto sei cresciuta!»
Esclamò aprendo le braccia. Io mi ci catapultai dentro.

Era una donna veramente meravigliosa, e da quando era venuta con suo figlio a vivere con noi, aveva cercato in ogni modo di farmi sentire a mio agio insieme a lei. E c'era riuscita. Perfettamente.
«Sei diventata proprio una bella ragazza. Beh, lo eri anche prima. Ma ora sei...più donna. Non è così, Harry?»
Il riccio si girò verso di noi, sorridendo.

«Confermo. Hope è una gran bella ragazza.»
E tu un gran pezzo d'idiota.

Pensai, imprecando.
Mi fece un occhiolino palesemente spropositato e mi sentii le guance avvampare. Di nuovo.
«Hem...Io mi sistemo un po' la roba in camera e poi vado a letto. Sono stanca morta.»
Borbottai afferrando tutti i miei borsoni.
«E non ceni? Ti ho preparato la cena e...»
«No, grazie Anne. Stai tranquilla, mangerò quello che hai preparato domani. Buonanotte a tutti.»
Mi avviai verso la mia stanza, ammirando la mia casa. Mi dava una strana sensazione la consapevolezza di stare in un luogo che non era una scuola, di essere libera, di...non avere più Charlie al mio fianco.

Cambiamenti. È da quando sono nata, che subisco cambiamenti.
Quando aprii la porta della mia camera, sorrisi.
Nessuno era vi era entrato, lo sapevo. E tutti quelli che mi conoscevano sapevano che odiavo se qualcuno entrava nel mio territorio senza il mio permesso.
Il letto ad una piazza e mezza era sul lato sinistro della camera, ricoperto dal soffice lenzuolo rosso che tanto avevo amato da bambina, mentre la mia scrivania in legno era sul lato opposto, ricoperta di fogli e oggetti vari.
Buttai i miei vestiti alla rinfusa nell'armadio e senza neanche preoccuparmi di cambiarmi mi buttai sul letto.
Piccolo resoconto: la mia migliore amica è in un altro Paese, mia madre è morta, mio padre mi tratta come una bambina, il mio quasi-fratello è anche un quasi-cantante ed è pressapoco magnifico. Altro da aggiungere alla lista?
Afferrai 'Fallen', che avevo appoggiato poco prima sul comodino e ne sfiorai la copertina, per poi aprirlo e immergermi nella sua lettura.
 

Un attimo dopo, la vita com'era stata fino a quel momento era scomparsa in una fiammata.”
 

Come poteva essere vero? Lauren Kate, senza saperlo, aveva descritto la mia situazione in una semplice riga.
La vita che avevo, la Hope che ero....Erano scomparse, in uno schiocco di dita, in una fiammata.

Ora c'ero solo in campo. Giocavo da singola. E dovevo vincere.
Alzai lo sguardo sulla porta semi aperta e incrociai due occhi che mi fecero sussultare.
«Non era mia intenzione spaventarti.»
«Invece, l'hai fatto. Che vuoi, Harry?»
«Volevo solo augurarti la buonanotte.»
«Bene, l'hai fatto. Ora, puoi andare.»
Lui mi sorrise maliziosamente e prima di chiudere la porta, potei sentire distintamente un'altra frase.

«'Notte...bambina.»
Affondai la testa nel cuscino e trattenetti un urlo.
Perché mi stavo comportando così?
Perché facevo la stronza? Non ero io. Non era nel mio carattere.

Ma era lui che mi faceva comportare in quel modo. Non era colpa mia.
Era colpa del fatto che era troppo bello, per essere mio fratello.



SPAZIO AUTRICE.
BuonSalve, ragazze!
Scusate il ritardo, ma non ho avuto molto tempo D:
E scusate anche se fa schifo....Abbiate pietà.
Va beh, che vi piaccia o no,
RECENSITE. Per favore.
Vi voglio taaaanto bene. Tanto, eh!
E scusate ancora il fatto della diversa scrittura, ma non riesco a sistemarlo D:

  
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