Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Stukas are Coming    14/07/2012    1 recensioni
Una storia completamente diversa dalle altre, inserita nel genere Storico per motivi che presto scoprirete. Amo i boschi e e le foreste, è per questo che ho deciso di ambientarla in questi luoghi meravigliosi. Sono appassionata di storia e il periodo del nazismo è da sempre un mio grande interesse, ovviamente solo in senso storico. Spero vi possa piacere!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Passano i mesi e altre due violette sono appassite, ormai sono quasi tutte morte. Rimane “la piccola”, ormai già grande, e altre tre. E' una strage.

Come se non bastasse ho trovato un serpente velenoso sotto al mio piede, fortuna che non ha pensato di mordermi; l' ho raccolto e scaraventato lontano con rabbia. Devo vivere, ora più che mai. Devo vivere per aspettare le due settimane successive, e ancora e ancora.

La febbre lentamente è passata -credo si trattasse di qualcosa ai polmoni, un' infezione forse- e ho ripreso chili, sono andata un paio di volte al paese e a cacciare.

Ho avuto una gran paura quando, in quattro occasioni, sono passati degli aerei e ho sentito delle esplosioni in lontananza. Al villaggio, anche se era notte, si percepiva un' agitazione, come se si stesse preparando qualcosa di massiccio.

Nessuno è più venuto a fucilare gente. Meglio così.

Sto ripensando alla proposta di Erwin a fare un giro in città con lui (ovvio, altrimenti in che modo potrei difendermi dagli umani ?) ma non riesco in alcun modo a decidermi. Una parte di me vorrebbe dire si, mi piacerebbe vedere Monaco, tuttavia l' altra parte si oppone con forza. Purtroppo tendo ad accodarmi alla seconda: ho troppa paura.

Paura di cosa ? Si, le persone sono orribili, ma in fin dei conti non mi guarderanno di sicuro. Paura del rumore, della modernità ? O forse di incontrare chi ha ucciso i miei genitori ?

Erwin mi proteggerebbe e mi porterebbe a vedere un gran numero di cose interessanti, mi piacerebbe davvero molto.

Ma delle corde invisibili mi tengono ferma qua, corde che non odio, che anzi quasi benedico. Se andassi in città perderei l' amore per la foresta, mi verrebbe da voler vivere là, e dimenticherei ciò che provo per gli alberi e le foglie e ogni elemento che è stato la mia “famiglia” adottiva.

E poi, come mi guarderebbe la gente ? Risalterei -in male- quanto un fungo nero in mezzo ad un gruppo di funghi bianchi. Però potrei prendermi un bel vestito, delle scarpe da donna (oddio i tacchi no, mi romperei un dente cadendo ogni due metri) e godermi la giornata, magari mangerei addirittura un gelato !

...Ma tornerei poi nel bosco e rovinerei tutto con terra e sassi. Tra l' altro, con che soldi potrei acquistare quelle cose ? Di certo non faccio l' elemosina a Erwin, mica mi umilio così.

I pensieri tuttavia continuano il loro corso, veleggiando su vaghi e soffusi sogni, mentre mangio seduta sul ceppo di fuori. E il mio pranzo magicamente diventa un gelato, che avevo assaggiato una volta tantissimo tempo fa e mi ricordo ancora.

I miei stivali consunti si trasformano in tacchetti color cipria e i miei abiti larghi e vecchi si tramutano in un vestitino vezzoso; mentre la radura che ho davanti si converte in una piazza elegante, che non ho mai visto ma che posso immaginare nella mia mente.

Ed Erwin con la sua palandrana nera -non l' ho mai visto con abiti normali- indaffarato a mostrarmi cercando di spiegarmi con parole facili le cose che vedo.

Tutti lo guarderebbero con rispetto e io sarei al settimo cielo.

Un soffio di vento mi catapulta di nuovo nella realtà e la piazza ritorna il bosco. Mi guardo le gambe, vedendole fasciate nei soliti indumenti. Una sensazione di malinconia, immancabile, mi cade addosso.

So bene che non potrò mai fare tutto questo.

Tornata in casa mi addormento poco a poco e sogno la città, la visione di prima.

 

Dopo tre settimane (tre, e non due) torna Erwin e subito gli domando perchè ha tardato. Dice che aveva dovuto sostituire un suo compagno e perciò non aveva avuto tempo.

Lo porto a cacciare e mi fa scappare il capriolo: punta male e prende un albero, facendo schizzare dei rami dappertutto e la bestia fugge via. Lo avrei voluto picchiare.

Passiamo la mattina a pescare sul torrente e, costeggiandolo verso destra invece che verso sinistra come avevo sempre fatto, scopriamo un laghetto che non avevo mai visto.

L' acqua è abbastanza fredda ma talmente cristallina da sembrare frammenti di vetro, e non resisto a tirare su i pantaloni rimboccandoli e bagnarmi fino alle cosce. I ciottoli sul fondo sono una piacevolissima sensazione, quando li premo col piede rotolano su di loro e percepisco il loro rumore segreto.

Il sole colpisce la superficie creando mille riflessi e innalzandoli al cielo, gli alberi sono sacerdoti di quel piccolo lago. Per un momento, solo per un secondo, sento la mia anima volare fuori dal corpo e sorvolare il luogo. Allargo le braccia, chiudo gli occhi e continuo a osservare tutto attraverso le emozioni interne, riscaldate dalla luce dorata che passa attraverso le palpebre.

Quando li riapro mi volto e vedo Erwin guardarmi; mi domando cos' avrà pensato a vedermi comportare così.

No, voglio rimanere qua, niente città. Non potrò provare simili suggestioni laggiù.

Torno indietro e per asciugarmi mi stendo sulla spiaggia di sassolini all' ombra delle fronde degli alberi; vedendo che lui rimane seduto gli dico di sdraiarsi che gli piacerà e, dopo un attimo (perchè deve sempre sentirsi a disagio quando deve essere spontaneo, non capisco) mi imita togliendosi il cappotto, piegandolo e mettendoselo sotto la nuca.

Rimaniamo così per forse quattro ore essendoci addormentati entrambi, mi sveglio che sono le tre e mezza del pomeriggio e noto che lui è ancora appisolato. E' in parte girato sul fianco e penso sia sognando perchè ogni tanto muove le dita della mano destra; respira pianissimo, appena percettibile. Il cappello è sopra la sua testa e facendo piano glielo prendo, passando il polpastrello sul teschio di metallo.

Sono stati gli altri a uccidere quelle persone a fare le brutture che la guerra porta, non lui. Anche se ha un cranio attaccato al berretto, un mitragliatore, una pistola e un pugnale, lui non fa simili orrori.

Rimetto il cappello a posto e poco dopo si sveglia, guardandosi in giro disorientato per un attimo.

<< Per quanto ho dormito ? >>

Domanda mentre si stira.

<< Direi quattro ore, non lo so perchè anch' io ho riposato >>

Annuisce, sbadiglia, si stira ancora e si alza in piedi, spazzolandosi i pantaloni.

Torniamo indietro e lungo il cammino vede qualcosa indicandola.

<< Guarda Lia, là ! >>

Esclama, e aguzzo la vista. Violette ! Va verso di loro e si china; lo raggiungo e come al solito mi si apre il cuore osservando quei fiorellini.

<< Avevi detto che le tue erano mezze morte, se vuoi possiamo portare là queste e piantarle >>

<< Lo faresti davvero ? >>

Dico, commossa.

<< Si, è facile >>

Usando la canna del fucile e il coltello scava sotto le piantine fino a isolare un blocco di terra spesso circa una spanna.

Lo trasportiamo fino a casa dove con una pala ricavo una fossa larga quanto la porzione di terreno trapiantata, giusto davanti alle altre, e la posiamo dentro premendo la terra attorno. Facendolo la mia mano tocca la sua e la ritraggo imbarazzata, arrossendo sicuramente. Fortuna che stava guardando giù.

Ecco, sembrano proprio com' erano prima !

Dopo esserci lavati le mani nella botte piena d' acqua osserviamo soddisfatti il lavoro.

<< Ti stai affezionando alle mie violette, vero ? >>

Commento orgogliosa.

<< Vedo che ti piacciono tanto. >>

<< A te non interessano i fiori ? >>

Si stringe nelle spalle inarcando le sopracciglia, nell' evidente tentativo di non dire frasi troppo lapidarie.

<< Certo, non li hai mai conosciuti bene. >>

<< Quando entri nelle SS non puoi star dietro alle piante... >>

<< Perchè ? Se ami una cosa, non puoi continuare ad amarla ? >>

<< Non in maniera visibile, almeno. >>

<< Per quale motivo ? Io se entrassi nelle SS parlerei tutto il giorno delle mie violette e di quanto sono belle, di come crescono bene e di come rischiarano il prato. >>

Fa una risata un po' malinconica e scuote la testa senza dire nulla.

<< Non sopravviveresti un giorno, là dentro >>

<< Ma sarebbe tanto più piacevole parlare di fiori e del bosco invece che di pallottole, non trovi ? >>

Sta zitto.

<< Oh, sarà quel solito signor Hitler che dice che non si può fare, no ? Che razza di personaggio triste >>

Aggiungo, avendo capito la questione. Ridacchia passandosi una mano sul viso.

<< Tu non cambi mai ! >>

Esclama sorridendo e mi sento svenire.

<< Io mi domando: se un gruppo di voi avesse voglia di parlare di qualcos' altro, di viaggi ad esempio, ma fosse vietato da quell' uomo, non potreste ribellarvi ? Dirgli qualcosa tipo “ehi, noi vogliamo chiacchierare di cose diverse !”. Perchè dovete seguire solo i suoi desideri ? >>

<< Perchè dobbiamo vincere la guerra >>

<< Vincere una guerra è eliminare i propri sogni ? E' una battaglia contro altre persone o contro voi stessi ? >>

Rimane muto fissando il terreno con aria pensierosa.

<< Tu mi fai fare sempre un mucchio di domande a cui non so dare riposta >>

Mormora infine.

<< Sono cose semplici, io la penso così. Se un giorno ho in mente di parlare dei funghi, di quelli velenosi e buoni, lo faccio. Se penso che un' azione sia brutta non la svolgo; se invece il mio stomaco brontola e mangerei un mucchio di more, non ci penso due volte e vado in cerca di bacche. Perchè voi non potete farlo ? Non dirmi che pensare alle more fa vincere o perdere una guerra ! >>

<< Vorrei che il mondo fosse semplice come lo vedi tu, Lia, ma ci sono tanti fatti di mezzo che impediscono una simile visione. Solo tu puoi farlo, tu che vivi all' infuori di tutto. Almeno te, continua in questo modo. Sei una delle pochissime a poterlo ancora fare, forse l' unica. E se un giorno venissi in città, non dire neanche una parola di ciò che hai detto oggi, non farlo per nessun motivo. Me lo prometti ? >>

Vorrei domandargli il motivo, ma dalla sua espressione seria e un po' preoccupata evito e annuisco giurando.

Proprio una strana cosa, la società.

<< Diamo dell' acqua alle violette, saranno stordite >>

Aggiunge con tono più allegro. Vado a prendere una ciotola, la riempio e la versiamo con cura sui fiori. Siccome senza volerlo verso un po' d' acqua sulla sua mano lui fa un “ehi !” e me ne schizza addosso dell' altra. Gli tiro la restante nella ciotola e lo faccio ridere, il cuore mi fa capriole sotto allo sterno quando mi abbraccia per acchiappare il contenitore e togliermelo. Ovviamente riesce a prendermelo e lo tiene in alto per non farmici arrivare, alla fine me lo calca in testa ribaltato e dice che ora ho un elmetto anch' io.

Ancora rimbambita per l' abbraccio sorrido ebete senza aver ben capito cos' ha detto, tolgo la scodella di testa e la lascio accanto alle violette.

<< Senti, hai una penna ? Devo andare, ti lascio il mio indirizzo a Monaco, se vuoi puoi venirmi a trovare. In questo periodo c' è agitazione, stiamo per attaccare la Russia. L' operazione si chiama Barbarossa. Per questo motivo non so se potrò venirti a trovare come sempre, dunque potresti fare un salto tu e intanto vedere la città ! >>

Gli porto una stilografica decrepita e annota un nome e dei numeri su un pezzettino di carta strappato da un vecchio libro.

<< Chiedi di me, va bene ? >>

Annuisco gongolando.

<< Vuol dire che non ti vedrò più ? >>

Dico, improvvisamente conscia del fatto.

<< Non ti posso assicurare nulla, Lia. E' tutto un casino enorme, ora. Però se verrai sicuramente ci sarò. >>

<< Oh. >>

Balbetto, tentando in ogni modo di non lasciar trasparire il malessere improvviso dovuto alla notizia.

<< Hai fame ? >>

Domando, cercando di tardare il più possibile la sua partenza. Scuote la testa e non so che dire.

Rimaniamo entrambi a fissarci i piedi per un lunghissimo istante.

<< Beh, allora ciao. >>

Dice lui infine, e stavolta non è un saluto come gli altri precedenti. Faccio un orrendo sorriso falso, immobilizzata.

<< Ti voglio bene Erwin, te ne voglio tanto >>

Mormoro infine abbracciandolo ricambiata, sentendo di aver detto l' unica cosa giusta, e le odiose lacrime sono subito pronte a balzare giù. Stavolta non le ostacolo.

<< Mi prometti che farai amicizia con qualcuno del paese ? >>

<< No ! Non me ne importa nulla di loro, potrebbero morire e non mi cambierebbe nulla, mi sono indifferenti come sono indifferenti i vermi ai funghi. >>

<< Non posso vederti così. >>

<< Tanto hai detto che in città ci sei, vero ? >>

Il silenzio che segue le mie parole mi preoccupa.

<< Si, penso di si. >>

<< Pensi ? >>

<< Si, ci sono, si. >>

Sospiro singhiozzando e sentendomi tremendamente idiota.

<< Con chi parlerò adesso ? Chi renderà le mie giornate migliori ? >>

<< Le nuove violette, sono là fuori che aspettano le tue cure >>

<< Ci insegni tu a parlare ? >>

<< Lia, non c' è altro modo. >>

<< Non puoi far finta di essere stato ammazzato ? >>

<< Si, e poi ? Non capisci, è impossibile. >>

Avendo perso ogni speranza sciolgo l' abbraccio e asciugo le lacrime.

<< Verrò a trovarti >>

<< Certo, puoi farlo >>

Ma nei suoi occhi vedo qualcosa d' altro. Mi viene un unico termine in mente: terapia contro il dolore. Non so dare una spiegazione a queste parole.

Usciamo fuori e, con un gesto impulsivo, mi chino e colgo la violetta più piccola, la mia preferita, e gliela porgo.

<< Portala con te, ti porterà fortuna >>

Mormoro e i singhiozzi tornano. La prende e la mette nel taschino.

<< Me ne andrò, ma le tue parole mi hanno insegnato moltissime cose, Lia >>

<< Ricordati che, se davvero non vuoi fare qualcosa, hai ogni diritto di non farla. >>

Faccio un sorrisino e mi lancio nella richiesta più penosa della mia vita.

<< Posso darti un bacio ? >>

Domando vergognandomi apertamente.

<< Certo. >>

Si china -è tanto alto- e gliene do uno sulle labbra, toccando il fondo della mia esistenza.

<< Allora ti aspetto, io sono sempre qua >>

Dico singhiozzando, e annuisce. Poi se ne va. Lo guardo allontanarsi fino a diventare invisibile e, quando sono sicura che non può sentirti, bisbiglio:

<< Ti amo, Erwin ! >>

E corro in casa a rifugiarmi sotto le coperte. Mi addormento piangendo mentre un vento maligno scuote le fronde degli alberi.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Stukas are Coming