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Autore: DreamKun    14/07/2012    1 recensioni
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I suoi capelli biondi dondolavano al vento e il suo vestitino bianco danzava.
Gli occhi chiari, invece, erano schizzati di inquietudine fin troppo evidente.
Era come se un'ombra incombesse sulla sua anima.
E forse aveva ragione.(dal Prologo)
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La Regina sorrise, un sorriso triste e spento.
Sembrava che tutto d'un colpo la vecchiaia l'avesse atterrita e piegata su se stessa.
Ora che la guardava meglio notava che sotto i suoi occhi si facevano strada due occhiaie e l'espressione del volto era tirato.
Chissà da quante notti non dormiva felice, forse tante quante lui.(dal Capitolo I)

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Solo una ciocca, ribelle, usciva dal cappuccio esibendo un colore rosso fuoco che poteva somigliare ad una fiammella che prendeva forma sul tessuto scuro del mantello.
Quasi si poteva chiamare residuo di vita, così diversa dall’immagine a cui apparteneva.(dal Capitolo II)

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Con un movimento lento si alzò, piegò leggermente le gambe e con una spinta si librò in volo soave. Sentire l’aria sferzarle la faccia la faceva sentire meglio.
E poi da lì, dal cielo tutto sembrava meno significativo, ti sentivi superiore e le preoccupazioni non ti raggiungevano.
Fece qualche capriola, poi si lanciò veloce sulla superficie del lago, la toccava con la mano mentre l’acqua si apriva al suo passaggio bagnandola con miriadi di schizzi freschi.
Si alzò di quota fino alle cime degli alberi e partì di nuovo alla volta del prato nell’attesa di toccare di nuovo la terraferma e potersi riposare.
Volava con gli occhi chiusi e un sorriso stampato sulla faccia.(dal Capitolo III)

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La vita era un circolo, un cerchio chiuso che prima o poi era destinato a riportarti al punto di partenza, era impossibile scappare da quel cerchio, quello era il destino e così sarebbe stato. Il Bene e il Male si sarebbero succeduti nell’eternità usando il Mondo come sfondo per la loro battaglia.(Dal Capitolo IV)
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IV

Il camminamento si stava tingendo del rosso del tramonto, sembrava che mille fiamme impalpabili stessero bruciando tutto e lui non poteva farci nulla.
Si sentì piccolo davanti allo spettacolo del sole che tramonta, che si getta nelle pianure che circondano il Castello. Comprese di non poter fermare un processo così grande, comprese che al mondo esistevano cose immutabili che solo, e forse neppure loro, gli dei potevano decidere di stravolgere.
In quei momenti la paura verso la magia andava dissipandosi, per un attimo solo, perché la consapevolezza che al mondo c’era qualcosa di indistruttibile, che sarebbe rimasto anche dopo la fine del Regno, gli dava motivo di credere che neppure la magia potesse porre fine alla storia che si deve scrivere, giorno dopo giorno, sotto i loro occhi, e che un briciolo del Bene che loro avevano portato nel Mondo potessero resistere anche alla furia del Male.
La vita era un circolo, un cerchio chiuso che prima o poi era destinato a riportarti al punto di partenza, era impossibile scappare da quel cerchio, quello era il destino e così sarebbe stato. Il Bene e il Male si sarebbero succeduti nell’eternità usando il Mondo come sfondo per la loro battaglia.
Tra tutta quell’immensità stonava una sola cosa, una torre, alta, stretta, che si ergeva silenziosa e ribelle nella steppa rossastra. Uno strato di edera verde, rigogliosa si arrampicava sulla quasi totalità delle pareti in pietra squadrata. Le pietre era delle forme più svariate, tonde, quadrate, triangolari.
La finestra era una sola, tonda e piccola, che dava sul bosco ai confini della steppa.
Il sentiero che partiva dalla piccola porticina della torre, si confondeva molto presto con l’erba, finendo per sembrare uno schizzo di colore che l’erba soffocava lentamente, mentre l’edera avvolgeva il resto. Sembrava quasi che la natura volesse sopprimere quella stramba costruzione uscita da chissà dove.
Anche l’ombra della torre sfocava in un’impercettibile alone scuro che trasformava il verde sgargiante dell’erba in un cupo verde scuro che dava una sensazione di abbandono.
Giravano voci su quella torre, tante, come per ogni altra cosa d’altronde. Era naturale che si creassero leggende quando ciò di cui si parla è avvolto da un fitto alone di mistero come la era quella costruzione.

Più la guardava e più le domande si affollavano nella sua testa, erano molte quelle a cui non sapeva dare una risposta, troppe forse, ma ciò non gli dava fastidio. Era normale non saper rispondere ad alcune domande, nessuno sa tutto, lui compreso.
Più di una volta, da bambino, aveva provato ad entrarvi, ma la porta sembrava bloccata da un masso, da qualcosa che rendeva la torre un posto impenetrabile.
Molti erano stati i tentativi da parte dei Re di abbatterla, ma come non si apriva, non cadeva. Sembrava che una forza superiore la tenesse in piedi e inaccessibile.
Soffocò la parola che lo tormentava, da giorni quella parola gli saltava in mente per ogni singolo problema, sembrava che tutto girasse intorno a quella.
La copriva, la nascondeva con parole come forza, oppure pensava alle soluzioni più improbabili pur di non pensare a quella. Avrebbe voluto eliminarla dalla faccia della terra, soffocare i suoi rimorsi assieme a lei.
Ma non poteva, quella era una delle cose che era, e nulla si poteva fare contro di lei.
Una morsa di dolore gli attanagliò lo stomaco, un forte mal di testa lo fece cadere in ginocchio e gli occhi si volsero al cielo come comandati da una una consapevolezza irreale.
Le ombre del passato tornarono a fargli visita, quei ricordi che avrebbe voluto rimuovere dalla sua vita in ogni momento della sua esistenza.
Portò le mani alle tempie e scosse la testa con violenza, il male aumentava, ma sperava di allontanare quella consapevolezza maligna dalla sua mente.

I suoi occhi, ancora puntanti al cielo, videro un uccello nero volare verso di lui, era veloce e inquietante.
Si poggiò sul muretto del camminamento e per un attimo Metah pensò di scorgere un moto di piacere nei suoi occhi alla vista del dolore che provava per sé stesso.
Le piume del volatile si arruffarono e i suoi occhi, neri come pozzi, divennero lentamente rossi, del colore viscoso del sangue.
Il Cavaliere puntò i suoi occhi in quelli del corvo e subito un’energia fortissima pervase il suo corpo.
Le sue pupille divennero grandi e azzurre, i segni a forma di ali d’angelo apparirono in tutta la loro brutale bellezza, brillavano di un azzurro intenso come gli occhi.
I contorni del volatile sfumarono in quelli di una donna, era avvolta da un mantello nero e una ciocca rosso fuoco usciva dal cappuccio simulando una fiamma, i suoi movimenti erano silenziosi.
La steppa infuocata dal tramonto tramutò nei corridoi, fin troppo conosciuti da Metah, del Castello.
Successo in un attimo, la scena cambiò e vide il Re morto, due Cavalieri che diventavano piume nere e la donna, così terribile quanto attraente, mutava in un corvo nero.
Il respiro gli si mozzò nel petto, tutto tornò normale con una velocità inaudita. La realtà lo travolse in tutta la sua schiacciante verità.
Il corvo era davanti a lui, ora ne era sicuro: i suoi occhi esprimevano un’euforia terribilmente inquietante.
Il Cavaliere cadde definitivamente a terra, riuscì a tirare il primo respiro, forzato e corto, solo quando i segni tornarono normali e gli occhi con loro.
L’uccello aprì le ali, nere come la notte, e spiccò di nuovo il volo.
L’urlo di Metah squarciò il silenzio irreale del luogo, ora sapeva.
Sapeva cos’era successo ed era consapevole che la magia era penetrata nel Regno, e sarebbe stato impossibile fermarla.

Shika, il capo delle spie, apparse sul camminamento correndo, i suoi capelli grigi erano raccolti in un dolce chignon, le orecchie erano leggermente a punta, frastornate di orecchini e le dita erano agghindate con altrettanti anelli, il corpo era coperto da stretti abiti in pelle, apparteneva ad una razza ormai estinta che viveva sulle montagne tra il Regno del Nord e il Regno di Mezzo: quella degli Orion, un popolo di combattenti portati per le arti dell’assassinio che proteggevano il Valico.
Una serie di pugnali da lancio pendevano dalla cintura, sulla gamba aveva un pugnale da combattimento come sul braccio. Un laccio per strangolare appariva, inquietante, sul fianco.
Le forme della donna erano evidenti, strette in quegli abiti da Assassina.
Il suo sguardo era preoccupato, fissava il Cavaliere steso per terra con insistenza.

«Cos’è successo Metah? »

Il silenzio che riempì i momenti successivi non fece altro che aumentare la preoccupazione della donna.
Dopo la morte del suo Re, Shika, aveva paura di svegliarsi ogni giorno e sentire notizie simili arrivarle alle orecchie frastornandola di lavoro e soprattutto prosciugare lentamente la sua fiducia nella Pace che il Re aveva donato al Regno. Pensava che finalmente il Regno potesse trovare quella pace che inseguiva da secoli, pensava che i tempi in quando il suo popolo era obbligato a proteggere il Valico fossero finiti, sperava che tutti i suoi simili non fossero morti invano, sterminati dalla potente magia degli Elfi, sperava che non avrebbe mai più dovuto uccidere, invece tutto tornava come prima: la sicurezza stava svanendo come era apparita, le stava sfuggendo dalle mani come l’acqua limpida dei torrenti.
Il senso di impotenza che l’invadeva le faceva perdere le forze, si svegliava ogni mattina più stanca, sempre più intorpidita e i suoi sensi erano sempre meno acuti. Una volta avrebbe giurato di sentire anche l’Assassino più silenzioso, ora invece temeva di non riuscire a sentire neppure un Cavaliere appesantito dall’armatura e i suoi passi pesanti.
Sentiva, forse finalmente, la vecchiaia farsi strada nel suo corpo, si era abbandonata a quella sensazione, i muscoli che erano sempre meno resistenti, i sensi sempre meno pronti, la sua resistenza al dolore sempre più debole. Si sentiva come un animale in gabbia: impossibilitato di tutto aspettando la morte. Aveva pensato di aver finito, semplicemente. Invece si era dovuta ricredere, il Regno richiedeva sempre protezione.
Era di nuovo ora di agire, come un tempo.
Si riscosse.

«Io…..io….io so»
«Cosa sai? »
«Troppo»

Le forze lo abbandonarono senza preavviso, sprofondò in una quiete surreale.
Era morto? Aveva finito con le preoccupazioni verso la sua Magia e il senso di estraneità dal mondo? Poteva finalmente dirsi finito?
Forse no, il suo Re non era vendicato, le prigioni non godevano della presenza di quella donna misteriosa.

°°°


Gli arti formicolavano, i muscoli rispondevano appena ai suoi ordini e le voci gli arrivavano confuse e ovattate, lontane.

Il mondo era strano, sentito da lì.
Ma cos’era esattamente lì adesso? Non lo sapeva.
Non sapeva dov’era, perché era li, ovunque si trovasse, e soprattutto perché si sentiva così.
Perché il suo corpo si ribellava a lui, perché le voci erano così lontane, perché non aveva sensibilità? Non sentiva dov’era appoggiato, com’era messo, si sentiva in limbo tra la morte e la vita.
Forse era in coma. Quella possibilità apparve inattesa, ma non poteva respingerla, in fondo non ricordava nulla di quello che era successo prima di all’ora, cosa lo aveva portato in quello stato, o chi.

Il soffio leggero dell’aria, la superficie leggermente pungente dei giacigli, tutto arrivò improvviso.
Mosse lentamente le dita come in un risveglio, uno di quei risvegli beati che da tempo non si concedeva.
La mente iniziò a ragionare con un certo ritardo, tutti i suoi sensi erano concentrati sulla situazione che gli ricordava tanto le sue mattine da piccolo, quando si svegliava con la colazione in tavola e il bacio della mamma che gli dava il buongiorno.
Ora le mattine erano nettamente diverse, si svegliava presto e la colazione era servita in un mensa comune in cui l’unico suono, o rumore, che sentivi erano le urla degli altri cavalieri.
Nessuno ti dava il buongiorno, anzi se tardavi qualcuno aveva anche qualcosa da dire.
Aprì gli occhi come farebbe un bambino, sbatté più volte le palpebre constatando ogni volta che la vista si faceva meno appannata. Da semplici forme sfocate, le figure, diventavano nitide e riconoscibili.
Seduta su una sedia di fianco a lui c’era una donna, i capelli grigi e il corpo muscoloso stretto in abiti in pelle. Shika. I suoi occhi erano contornati da due occhiaie molto evidenti, e i capelli erano raccolti in una coda invece che nel solito chignon. Aveva l’aspetto stanco, i suoi occhi, preoccupati, erano puntati su di lui.
Si portò un braccio sugli occhi per coprire la luce che l’aveva travolto tutto d’un colpo e tentò di tirarsi su a sedere, realizzando che i suoi muscoli erano intorpiditi e la mente lenta a reagire.
Dovevano averlo sedato, o per lo meno calmato durante il sonno. Anche abbastanza pesantemente, pensava.
Shika strabuzzò gli occhi e si alzò con fare stanco ma determinato, quella determinazione che non aveva mai perso durante gli anni, quella determinazione che ancora adesso animava il suo sguardo indagatore.
Metah si sedette dopo qualche tentativo.

«Cosa…cosa mi è successo? »

La sua voce uscì gutturale e impastata, non avrebbe saputo dire da quanti giorni dormiva.

«Sei svenuto sul camminamento, ti ho portato in infermeria e hai dormito per vari giorni, un sonno inquieto. »
«Io non ricordo…»
«Non sforzarti, dev’essere stato un brutto colpo. Mi racconterai dopo cos’è successo. »

Un sorriso compiaciuto apparì sulla bocca della donna che si sedette vicino a lui sul giaciglio.


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Dreamkun: ecco a voi il IV capitolo che avevo pronto da molto tempo XD spero vi piaccia P.S. ho scritto di piu del solito!
  
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