Storie originali > Horror
Segui la storia  |       
Autore: CrHacker98    15/07/2012    1 recensioni
Daniel è un nuovo studente della terza A. Incontra una ragazza, Kate, che lo cambierà. Purtroppo un suo amico demoniaco non gliela farà passare liscia e dovrà combattere contro un sè stesso una battaglia all'ultimo colpo di cuore spezzato.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lies'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Daniel arrivò trafelato in classe. Era un miracolo che fosse arrivato in tempo prima che la professoressa entrasse in classe. Correndo si sedette al suo posto in fondo e rimase zitto, aspettando l’insegnante. Liar lo aveva ammonito: non doveva avere dubbi e fare il suo lavoro...altrimenti...
- Ehi, sempre perso nel tuo mondo, eh?- Il moro si girò di scatto. Senza neanche che se ne fosse accorto, Kate gli si era seduta accanto.
- No, tranquilla. Sono ancora vivo e presente...- disse sorridendo. La rossa annuì ridendo.
- Incredibile. Ma allora sai anche che cos’è l’umorismo!- scherzò ammiccando. Daniel sorrise a sua volta.
- Si, solo che sai...nuova classe, nuova scuola, sono un po’ agitato...- si giustificò. L’insegnante era intanto arrivata e stava spiegando la lezione del giorno: un ripasso totale sulla prima guerra mondiale.
- Ah, tranquillo. Ti ci abituerai presto. In fondo anche stare qui è divertente...-
“ Mai quanto essere picchiati da Liar” pensò il ragazzo. Aveva capito dalla conversazione col demone, che quest’ultimo era interessato all’anima della ragazza. E questo non era affar suo, del resto, era il mietitore che sceglieva le persone da uccidere, mica lui. Daniel era solo un modo per avvicinarsi alla preda, niente di più. Non aveva voce in capitolo, non si doveva dare la colpa di quello che poteva accadere e non gliene doveva neanche importare poi così tanto. Ma allora perché sentiva quella specie di ansia allo stomaco, come se dovesse fare qualcosa per aiutare quella ragazza. Quando era morto, non aveva mai sentito un’emozione del genere, e non aveva la più pallida idea di che cosa potesse essere.
Le lezioni si susseguirono senza sosta, ma lui ci badava poco, tanto non aveva più bisogno di studiare. Kate invece sembrava molto attenta e concentrata, così aveva evitato di incontrare i suoi occhi o anche solo di parlarci. Era come se avesse un blocco. Di solito non aveva problemi di questo genere ed era molto socievole e chiacchierone. Era stato scelto proprio per il suo modo di socializzare e ricevere facilmente la fiducia della vittima. Ma con lei, con lei non sapeva che carte usare, che mossa fare. In poche parole era confuso. Sarebbe stato del tutto inutile chiedere a Liar un parere o un consiglio: ne sapeva meno di lui su cose del genere.
“Calmati. Hai già affrontato molte dure situazioni. Fatti venire in mente qualcosa” Ma qualcosa per fare cosa? Lui doveva solo portare la vittima in un luogo isolato e chiamare Liar. Tutto qui.
- A cosa stai pensando?- gli domandò all’improvviso Kate. Lui scosse la testa.
- No, niente di speciale. Ah, volevo farti una domanda...- sembrava persino imbarazzato. Ma che grande attore.
- Dimmi...- sorrise complice la ragazza. Daniel strofinò le mani.
- Ecco...mi chiedevo...se ti andasse di uscire...questo pomeriggio...con me...- balbettò. Ma che diavolo gli prendeva? Calma e sangue freddo.
- Ma certo. In fondo, dobbiamo conoscerci meglio. Sei o non sei il mio compagno di banco?- annuì lei. Non provò altro che sollievo. Almeno tra poco sarebbe finita quella sensazione spiacevole che non lo abbandonava. Liar l’avrebbe uccisa in qualche perverso e strambo modo, così lui sarebbe tornato quello normale. Semplice, no?
Quando finalmente le lezioni terminarono, la aspettò all’uscita. Kate si era fermata a parlare con delle amiche. Lo raggiunse con un sorriso smagliante ed i capelli ondeggianti al vento.
- Scusa se ti ho fatto aspettare...- disse venendo verso di lui. Daniel scosse la testa.
- Non c’è bisogno che ti scusi...- rispose sorridendo. Stava acquistando un po’ più di confidenza con la ragazza. Esattamente come voleva Liar.
- Dove andiamo di bello?- domandò curiosa. Lui scosse la testa.
- Conosco un posto davvero molto figo, se vuoi te lo mostro...- mentì. Aveva solo una vaga idea della pianta della città e si era messo d’accordo col demone per dove dovesse portare le prede. Era una specie di territorio di caccia, ma si sentiva veramente in colpa ad uccidere quella giovane. 2No, non devi pennsare cose del genere. Hai fatto un patto ed ora lo devi rispettare. Muoviti”
Cominciò ad andare seguito dalla ragazza. Dal liceo cominciavano ad uscire quelli di quinta, mentre quelli di terza come loro erano già da un bel pezzo tornati a casa. Era perché i diciottenni stavano a parlare, a fumare qualche sigaretta o ad aspettare un amico o la ragazza che li portasse a casa in macchina. Forse la prossima vittima potrebbe essere uno di loro.
- Ehi, tutto bene? Sei pallido...- gli disse dolce Kate. Lui annuì.
- Si, è tutto a posto solo che fa un po’ freddo. Comunque siamo quasi arrivati...- Il posto era (strategicamente) molto vicino alla scuola, per questo l’avevano scelto. Era un casermone molto grande, grigio, abbandonato da molto tempo. Al suo interno era accumulata merce su merce invenduta, era una specie di labirinto di casse. Chiunque vi ci si potrebbe perdere, e Liar ne approfitterebbe sempre. Un brivido gli corse giù per la schiena. Quel ragazzo, quel dannato ragazzo. Se avesse mai trovato quell’altro demone che lo aveva aiutato lui lo...
- Ehi, mi stai ascoltando?- domandò seccata la ragazza.
- Eh?...no...scusa, stavo pensando ad altro...- si giustificò il giovane.
- A che cosa?- chiese più gentile Kate. Daniel scosse la testa.
- Anche se te lo raccontassi, non mi crederesti mai...- rispose sconsolato il moro. La rossa fece spallucce e continuò a seguirlo. Arrivarono di fronte all’edificio. Un vento gelido tirava contro, scompigliando i capelli ai due adolescenti. I due varcarono il cancello.
Una fitta. Un dolore lancinante allo stomaco. Daniel non resistette e si piegò in due emettendo un gemito strozzato. Ma che diavolo gli prendeva. Kate se ne accorse subito e gli andò vicino.
- Ehi, tutto ok? Non hai una bella cera...- gli sembrava una voce lontana mille miglia. Non aveva provato una sofferenza simile neanche quando era morto. No, lì era stato tutto veloce ed indolore. Fino ad un certo punto.
- Si..si...sto ben...- un’altra fitta. Che fosse Liar a provocargli quel dolore? No, altrimenti il demone si sarebbe fatto vedere, iniziando uno dei suoi soliti sadici giochi. Si inginocchiò a terra rantolando.
- Daniel? Daniel...?- lo chiamò la ragazza. Era disperata vedendolo così.
 
“Perché tutto a me? Perché non posso anche io essere umano...perchè...? Perchè...?” si domandava in modo ossessivo Nathan. Lui non era come Liar, lui era diverso. Lui, lui provava quelle emozioni, ed era anche costretto a sopprimerle, rimandarle in fondo al suo cervello, ai suoi pensieri. Non poteva provare il piacere di sentirsi amato, di sentirsi vivo. Era solo un fantasma che barcollava e cercava di restare in piedi. Testardo. Non voleva rendersi di come stavano realmente le cose, era solo un povero illuso. Avrebbe tanto voluto morire, morire in quel preciso momento. Lasciarsi andare nelle braccia della morte, dove finalmente sarebbe stato libero da quelle catene. Le sensazioni che provava lo dilaniavano i due, uccidendolo poco alla volta. E più provava a non dare loro ascolto, più quelle si ripresentavano più forti di prima. Liar pensava fossero superflue, inutili, dolorose. Questo perché non era lui a sentirle crescere dentro di lui, pervaderlo tutto e provare quell’insaziabile voglia di abbandonarsi a loro. Questo era la sua croce, la sua maledizione. Zoppicava pesantemente. Il cervello era stanco, la sua stessa anima era spossata e cercava di rimanere ancora unita. Un passo. Odiava quel demone, era lui che gli impediva di vivere, era lui che lo uccideva, era lui che lo teneva legato. Un altro passo. Era Liar che lo aveva condannato, era quel demone che l’aveva preso e fatto suo, come un giocattolo con cui divertirsi. Non poteva opporsi, non poteva e nessuno gli aveva dato il diritto. Era stato destinato ad un’esistenza vacua ed inutile. Sarebbe scomparso esattamente come era apparso, senza che nessuno se ne accorgesse. Un ultimo passo ed era arrivato alla porta. La spalancò.
Entrò nel soggiorno di casa sua. I suoi genitori stavano di nuovo litigando, mentre sua sorella era seduta all’angolo della stanza. Quando tornava era sempre così. Sua madre piangeva disperata mentre suo padre era rosso per la rabbia. Una bottiglia di vino giaceva a terra, con il liquido rossastro che usciva fuori sul pavimento. Finiva sempre così quando bevevano. Ignorò i genitori e si diresse verso la sorellina minore.
- Samantha, vieni con me, andiamo a dormire...- le disse dolcemente. La bambina si alzò e seguì il fratello maggiore su per le scale. Nathan notò che aveva gli occhi rossi, molto probabilmente aveva pianto anche lei. I due entrarono nella camera della bambina, decorata con tanti gattini allegri e facce sorridenti, davvero controproducenti in quel momento. La piccola si gettò tra le coperte, stringendole a sé. Il ragazzo si inginocchiò accanto a lei.
- Niel, perché mamma e papà litigano sempre?- chiese dolcemente con quella sua voce d’angelo. L’adolescente sorrise.
- Non lo, piccola. Non lo so proprio...- rispose dandogli un bacio in fronte. Quella piccola creatura era tutto il suo mondo. Per lei si sarebbe gettato anche sotto ad un treno pur di salvarla. Era l’unica che lo capisse davvero e lo aiutasse. Eppure era così indifesa. Lei sorrise contenta. Faceva sempre così quando suo fratello la abbracciava o la baciava. Gli piacevano tutte quelle attenzioni. Mise la manina nei capelli neri del ragazzo, scompigliandoglieli più di già quanto non fossero.
- Dillo ancora una volta...- la implorò il ragazzo.
- Che cosa?- ridacchiò la bambina.
- Chiamami di nuovo con quel nome...- Samantha rise. Nathan adorava quella risata soffice e cristallina. Paragonava sempre la sorella ad un angelo, proprio perché era così diversa da lui.
- Niel...- stavolta fu il moro a sorridere. Adorava quel soprannome, che in realtà era l’ultima parte del suo nome: Nathaniel*. Non che la sua famiglia fosse ebraica, solo che a sua madre era piaciuto molto quel nome, così glielo aveva dato quando era nato.
Diede un altro bacio in fronte alla bambina e la mise sotto alle coperte. Uscì dalla camera facendo bene a chiudere la porta, così che la sorella non sentisse tutto il baccano che facevano i genitori. Scese di nuovo al piano terra, di nuovo in salotto, di nuovo con la causa di tutti i suoi problemi. Maledisse mentalmente sua madre e sua padre. Era colpa loro se lui e sua sorella non avevano una vita felice. Soprattutto lui. Nathan faceva di tutto per portare più soldi in famiglia, ed ogni volta provava a comprare un giocattolo o un fumetto a Samantha. Purtroppo era caduto anche in una trappola più grande di lui. Prese un’altra maglietta, una grigia con un teschio sopra, che gli piaceva particolarmente. La mise sopra a quella nera che indossava, visto che fuori cominciava a fare più freddo. Uscì in strada e prese la bici. Corse come un pazzo verso il solito locale.
Non era stata colpa sua, ormai non poteva tornare indietro e soprattutto non poteva cancellare l’errore che aveva fatto. Andando al solito bar malfamato incontrò Jay.
- Ehi, amico...anche tu qui per farti un tiro?- odiava quando parlava così, trattandolo come un drogato cronico. Purtroppo sapeva benissimo di avere ragione, così ghignò sotto i baffi.
- Sempre il solito il mio giovanotto, eh? Ma non cambi mai?- Nathan continuò a pedalare. Odiava quel ragazzo. Era un...drogato come lui, solo che la cosa gli piaceva. Gli faceva schifo, come persona e come essere umano. Si faceva anche schifo da solo pensando che sperperava i soldi in quella maniera. Quella notte decise di fare un solo giro di canna, solo per far tacere quel desiderio insopportabile. Era mattina quando se ne andò da quel locale. Nessuno sapeva che cosa faceva di notte, e non voleva soprattutto che sua sorella lo scoprisse. Non voleva perdere l’ultima persona rimastogli. Quando arrivò con la mountain bike di fronte a casa, vide Samantha con i capelli neri al vento, fuori in giardino, che piangeva.
- Nathan, Nathan...papà ha picchiato mamma e lei non si sveglia...- piagnucolò la sorella. Il moro venne trafitto da quella frase poggiò di una spada in pieno petto. Lasciò la bici e saltò oltre le aiuole entrando in casa come un fulmine. Sua madre giaceva a terra sanguinante. Suo padre era scomparso. Dannazione.
- Samantha, corri fuori e chiedi aiuto ai vicini...- le urlò. La bambina annuì uscendo in giardino. Il ragazzo si inginocchiò accanto alla madre, mettendo due dita intorno al collo, sull’arteria. Non batteva. Sospirò.
Uscì di casa di fretta, e quello che vide gli fece raggelare il sangue nelle vene. Samantha che correva sul marciapiede, ed una macchina venire da dietro nella sua direzione. Corse come una saetta verso la bambina. La macchina l’aveva quasi raggiunta. Doveva essere un qualche ubriacone alla guida. Saltò come non aveva mai fatto in vita sua e spinse la sorella in avanti. Un dolore lancinante alla schiena ed al fianco gli fece urlare di dolore. Perse i sensi per qualche minuto. Quando riprese conoscenza, la sua testa era retta dalle mani della bambina. Faceva fatica a respirare, sentiva come un peso sui polmoni. Vide un’enorme chiazza di sangue che partiva dal petto fino allo stomaco ed al fianco. Guardò sua sorella, no, lei stava bene ed era salva.
- Nathan...Nathan...Nathaniel!!!- urlò la piccola piangendo e stringendo a sé la testa del ragazzo. Il giovane non aveva neanche la forza di aprire la bocca e parlare da quanto stava soffrendo per la ferita. Una pozza di un liquido rosso iniziò ad allargarsi per terra. La sorella piangeva ed urlava implorando aiuto. Le voci si facevano più indistinte, i colori sempre più scuri e grigi, finchè non calarono le tenebre ed il silenzio.
Buio. Era tutto scuro, invisibile eppure di fronte ai suoi occhi.
- Bene bene bene, chi abbiamo qui?...- era una voce fredda, che gli metteva i brividi. Veniva da dietro di lui. Nathan si girò. Fu lì, per la prima volta, che vide Liar.

 * Nathan vuol dire: donato da dio. Comprensibile perchè gli piaccia questo nome... E' di origine ebrea, per questo fa quella precisazione.


Commento dell'autrice
Stavolta ho deciso di fare un bel capitolone, anche perchè ho trascurato un po' questa storia, che fa parte della serie in cui sto mettendo anima e corpo. Così, alla fine, abbiamo scoperto una delle due facce della moneta: la parte buona di Liar, che in realtà è un'altra persona. Solo chi ha letto anche le mie altre storie può capire questa, perchè principalmente  "cuore sanguinate" spiega un mucchio di cose che prima non si capivano negli altri racconti. Un bacione a chiunque.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: CrHacker98