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Autore: Lilyth    15/07/2012    1 recensioni
Il giorno del 17esimo anno è un giorno, importante, forse più del 18esimo;
ognuno di noi ne conserva anche solo un piccolo ricordo dentro al suo cuore; ci si diverte, si cresce, si cambia.
Per Smile, però, questo cambiamento è molto lontano da quello meramente numerico.
Lo scontro con una realtà in parte meravigliosa ed imprevedibile, in parte dura e difficile da accettare accompagneranno la nostra protagonista in un viaggio dentro il suo vero essere per aiutare una stirpe a lei estranea di cui non sapeva di far parte.
Scrivere questa storia all'inizio è stato un gioco, un gioco che piano, piano iniziava ad avere una forma ben definita.
Mi ha emozionato e spero emozioni anche i lettori.
Lo so, sono solo una ragazza di 17 anni, ed è difficile credere che in così tenera età si possa arrivare a metter su un racconto di rilievo.
Però, datemi fiducia.
Buona lettura.
Lilyth.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eternity'
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Non era possibile, non era possibile che non ci fossero esseri umani nell’arco di chilometri...ma dove cazzo ero finita?
Camminavo da ore, non sapevo quanto precisamente, ma ero stanca e non potevo, non potevo fermarmi li in mezzo al nulla!
Mi poggiai ancora ad un albero e chiusi gli occhi per ascoltare i rumori.
Niente, tranne qualche piccolo fruscio animale, proprio niente!
Mi sedetti per terra sconsolata ed iniziai a battere i piedi per terra, sembravo una bambina in preda ad un attacco di isterismo, e sì, mi sentivo una bambinetta isterica pronta a scoppiare in lacrime alla prima occasione!
Mi sarei voluta concedere quel momento di pura follia, concedendomi un urlo liberatorio a pieni polmoni, poi però pensai che forse attirare troppo l’attenzione non faceva proprio caso ad una fuggitiva in pericolo di morte.
Mi calmai rimanendo seduta a terra.
Mi alzai, mi si era ghiacciato il sedere e dal momento che avevo vestiti alquanto estivi rispetto al posto in cui mi trovavo decisi di non peggiorare la situazione bagnandomi.
Ricominciai a camminare cercando di orientarmi con la posizione del sole.
La verità era che, per quanto me la volessi sentire molto “maga dei boschi” andavo puramente ad istinto, il che era molto preoccupante.
Riconobbi il sole di mezzogiorno, alto nel cielo.
Mi fermai all’ombra, perlomeno non ero in mezzo ad una tempesta di neve.
Erano, sì...forse erano più di tre settimane che mancavo da casa; tre settimane in cui mi ero fisicamente distrutta, in cui avevo mangiato appena un pezzetto di lepre cotta male, in cui avevo camminato per chilometri al freddo e al gelo.
Insomma, ero ancora viva, allora ero proprio forte.
Cercavo di non pensare a quelle carogne che consideravo quasi amici (di cui uno poteva anche diventare il mio pseudo-fidanzato), neanche si sforzavano troppo a cercarmi, neanche mi stavano controllando quando, aimè, ero stata rapita da chissà chi dentro casa mia.
Ma casa propria non dovrebbe essere il posto più sicuro dove stare?
A sì, quello era prima che scoprissi di non essere poi così umana come credevo!
Ero così persa nei miei pensieri che quando il mio super udito da super eroe malandato captò una voce ebbi una reazione così spropositata da stupirmi di me stessa.
 
Sì, esattamente.
Mi ero lanciata a terra acquattandomi contro una parete rocciosa, con il fiato mozzo e lo sguardo da animale impaurito.
Poi mi ero detta
 
“ehy Smile, cazzo, sei da sola in mezzo ai boschi e la voce che hai appena sentito potrebbe essere a chilometri da qui, ma che minchia stai facendo!!!”
 
Mi ero rialzata subito vergognandomi da sola di ciò che avevo appena fatto e non avevo perso altro tempo.
Eddai! Individuata la voce, sempre verso nord-est.
Voce maschile, età compresa tra...boh, ma che ne so...andava benissimo, tutto fuorchè fosse un Bruno.
Mi lanciai all’inseguimento di quell’emissione di corde vocali, correvo nel modo più silenzioso possibile; probabilmente Alex avrebbe detto che sembravo un elefante...ma cavolo no! Chi se ne fregava di Alex, ero in quella situazione anche per colpa sua!
Sentii la voce avvicinarsi sempre più, rallentai l’andatura e piano, piano mi fermai.
Era a pochi passi da me, parlava ma era solo...un cellulare? Beh, possibile.
Mi acquattai dietro agli arbusti ed aguzzai lo sguardo.
Non sembrava un bruno, era un ragazzone alto sulla 30, chiarissimo, con le guancione rosse per il freddo e...no, non parlava al cellulare.
Come era possibile che non ci fosse nessuno nell’arco di chilometri e il mio unico incontro era con...un matto?
Sì, ma il matto era armato.
Ok, piano.
L’avrei preso alle spalle, gli avrei fatto credere di essere armata, lo avrei stordito se serviva ma lui mi avrebbe dato ciò che mi serviva, con qualsiasi mezzo.
Mi avvicinai piano e con un passo gli fui alle spalle.
Presi coraggio e gli saltai addosso, lo atterrai.
Non so perché si lasciò immobilizzare, era a terra, sotto di me, aveva lasciato il fucile a terra.
Era proprio un matto, senza parole.
< senti amico, mi serve una mano e tu me la darai, con le buone maniere o con le cattive. >
Voltò appena la testa e mi sorrise, fuori come un balcone insomma
< ok...certo...ti aiuto... >
Scesi dalla sua schiena, e presi il fucile, in caso il matto non fosse poi così matto
< bene...abiti qui vicino? >
Annuì sorridendo
< pensi di potermi portare a casa tua e magari darmi qualcosa da mangiare? >
< certo...cibo, mia sorella cucina! >
Sorrisi annuendo
< perfetto...allora, andiamo da tua sorella. >
sperai solo che sua sorella fosse scema quanto lui.
Ci incamminammo verso il nulla, lui davanti ed io in guardia con il fucile in mano.
Piano, piano iniziai a scorgere una casetta dal cui comignolo usciva del fumo.
< quella è casa mia, vieni, vieni... >
Lo seguii seria.
Aprì la porta urlando
< Lia, Lia sono a casa...sono con un’amica. >
Da una stanza uscì una donna alta, biondissima, magra e leggermente preoccupata; sbucai da dietro le spalle del fratello con il fucile in mano, lei si spaventò
< ti prego, non farci del male...noi, noi non abbiamo niente che potrebbe servirti...non possediamo ricchezze. >
Alzai le braccia con il fucile in mano
< stai tranquilla, non sono qui per rubare niente...voglio solo da mangiare e magari un riparo per la notte...per favore... >
Lei sembrò calmarsi, ma la convinsi a pieno dandole il fucile tra le mani.
Il fratellone chiuse la porta sempre sorridendo.
Mi avvicinai alla donna e le porsi una mano
< piacere, io sono Smile. >
La strinse
< Lia...cosa ti porta qui... >
Ok, dovevo inventare una cosa alla svelta.
< è successo un casino! Eravamo in viaggio con la mia famiglia quando...quando durante una tempesta mi sono persa! Sono in viaggio da una 20 giorni circa... >
Sembrò aver abboccato
< o mio dio. E hai resistito per 20 giorni da sola qui in mezzo? >
Annuii , probabilmente il mio aspetto attuale rendeva l’idea.
< qui starai bene, puoi fare un bagno caldo e...laverò io tuoi vestiti...avrai fame immagino...lì c’è il bagno, ti preparo qualcosa...Kurt! >
Kurt doveva essere l’omone che mi aveva condotto li
< ...Kurt dai qualche asciugamano alla ragazza... >
Lui sorrise e si avviò verso una camera
< seguilo...qui sarà pronto tra poco. >
Non potevo chiedere di meglio, ero immersa in un bagno caldo, potevo mangiare qualcosa.
Finalmente ero riuscita a vedere in che condizioni ero. Oscena, semplicemente oscena.
A parte i graffi, tagli e le ferite sul resto del corpo avevo i capelli arruffati, delle brutte occhiaie e il viso smunto.
Mi asciugai a dovere negli asciugamani candidi sperando almeno di non sporcarli.
Lia mi aveva lasciato sulla sedia sei suoi abiti visto che i miei erano talmente sporchi che per poco non camminavano da soli.
Mi vestii alla svelta ed uscii dal bagno in condizioni leggermente migliori di quanto vi ero entrata.
Lia e Kurt erano seduti al tavolo della cucina, aspettavano me per mangiare.
Non guardai neanche in cosa consisteva il piatto, mangiai e basta continuando a ringraziare i due fratelli che mi guardavano sorridenti e anche un po’ preoccupati.
Dopo pranzo Lia quasi mi costrinse a dormire, non resistetti affatto.
Crollai per non so quante ore risvegliandomi per la cena.
< puoi rimanere finchè vuoi Smile... >
Alzai la testa dal piatto
< grazie ma...credo di dover ripartire... >
< sei sicura? >
Non ci pensai neanche, annuii convinta
< sì, la mia famiglia mi starà cercando...avete un telefono li per caso? >
Lei annuì e indicò il bancone della cucina.
Mi avvicinai correndo e composi il numero di casa, squillava, sembrava non ci fosse nessuno.
Poi al decimo squillo si alzò la cornetta, la voce di mio padre era stanca, afflitta
< Papà! >
Silenzio
< Papà...sono io Smile...sono io... >
Un bisbigliare, avevo sbagliato numero?
< Smile? >
< sì papà sono io! >
< Smile! Dove sei? Come stai? Chi ti ha rapita...i neri, scuri, oscuri...o come si chiamano! >
< sì loro. Ma ora sta bene...papà sono in Alaska ti prego...venitemi a prendere. >
 
Fu una lunga chiacchierata, chiacchierata in cui dovetti spiegare le coordinate esatte della casa di Lia e Kurt, momenti idi impanicamento totale, ma anche di gioia, la gioia più grande che io avessi mai provato fino ad all’ora in tutta la mia vita.
L’elicottero arrivò il mattino dopo, sopra c’era Adam che, con mio grande , grandissimo stupore, mi abbraccio.
< grazie a dio stai bene Smile! Non me lo sarei mai perdonato, mai. >
Il volo fu tranquillo, forse perché sapevo che, dopo circa un mese, stavo finalmente tornando a casa.
Ero esausta, tutte le ferite ancora aperte (e chissà quante infettate) la spalla con cui avevo sfondato il muro più livida che mai e il braccio dedito alle punture ancora gonfio e violaceo.
Ma non era il momento di pensare a come ero messa, stavo andando a casa...a casa mia! Finalmente a casa!
Da papà...papà....come avevano fatto a giustifacargli la mia assenza? Se Adam era li però ciò voleva dire che papà sapeva la verità.
Che dura verità babbino mio, una verità che fino a quel momento non mi era pesata quasi per niente ma che ora era modello macigno sulla mia schiena, pronta a schiacciarmi definitivamente alla prima occasione buona.
Poggiai la schiena al sedile morbido dell’elicottero e cercai di non pensare a niente.
Adam parlava con il pilota, ero felice che non mi facesse domande in quel momento, ma aveva già detto che appena sarei stata meglio io e lui avremmo fatto due chiacchiere molto approfondite.
 
 
 
 
Arrivammo in città quasi a mezzanotte.
Scesi dall’elicottero traballando e mi strinsi nel giaccone che Adam mi aveva portato.
< la macchina e di qua, vieni. >
lo seguii senza fiatare, montai in auto e mi lasciai portare a casa come una principessa (sì, un po’ malandata, ma sempre una principessa)
Scesi correndo nel vialetto, ero sicura che mio padre mi stesse aspettando dietro la porta.
Non feci in tempo ad arrivare che la spalancò, gli saltai in braccio.
Piangeva, lo sentivo, e anche tanto. Io non versavo neanche una lacrima, ero forte ma commossa nel più profondo del mio animo.
Salutò Adam con la mano con me ancora avvinghiata al collo, rientrammo in casa e scesi dal suo abbraccio
< Smile...come stai bambina mia... >
Mi mostrai in tutto il mio “splendore”
< così come mi vedi papà...distrutta, ma felice di essere finalmente qui. >
Mi sembrava invecchiato, chissà quanti capelli bianchi gli avevo fatto venire durante quel mese, tornava da un viaggio di lavoro e scopriva che sua figlia era sparita chissà dove con chissà chi. Che colpo.
Mangiai ancora una volta tutto quello che avevo davanti e mi lasciai medicare le ferite.
Da un certo punto di vista ero felice che mio padre sapesse tutto, però sapevo che prima o poi sarebbero arrivate le domande e benché lo sapessi, quando arrivarono fui presa alla sprovvista.
< da quanto sai di essere un’eterna? >
Feci finta di pensarci
< beh...lo so ufficialmente da due mesi circa... >
< e...cosa è cambiato di te? >
Alzai le spalle
< beh, so leggere nella mente delle persone, sono agile, posso uccidere una persona con la forza della mia sola mano... >
Smise di tamponarmi il taglio dietro al collo, colpito, poi riprese
< ah...e tu sei anche la... >
< sì, la mediana... >
Rimase in silenzio per un po’, poi aggiunse
< e com’è? >
Sentii che stavo per ridere
< vuoi la verità? >
Annuì piano
< una merda... >
Rise lui, risi anche io
< sai, guardando questi tagli, lo immaginavo. >
 
L’interrogatorio non continuò, ma ciò non voleva dire che prima o poi non sarebbero uscite fuori altre domande scomode su cosa ero e cosa dovevo fare.
Dormii, dormii tantissimo nel mio letto caldo.
Dormii in un sonno pululato di mostri strani, padroni del gelo e di muri che si mettevano sulla mia strada e di gabbie, animali e bianco...tanto bianco.
Ma non mi svegliavo, continuavo  dormire, forse perché infondo quello non era stato tanto un sogno.
Rimasi al sicuro a casa per 4 giorni, 4 giorni in cui mangiai e dormii a dismisura.
Scoprii da mio padre che solo lui e Adam sapevano del mio ritorno a casa, tutti gli altri mi sapevano ancora dispersa nel nulla.
In un certo senso mi sentii sollevata, nessuno mi stava attendendo, potevo dimenticarmi del mondo un altro po’, dare tempo al tempo.
Per la scuola ero dovuta partire con papà, un mese di assenza avrebbe giocato a mio sfavore ma infondo avrei recuperato; avevo sofferto così tanto che la scuola era diventato l’ultimo dei miei pensieri, ce l’avrei fatta ad occhi chiusi.
Fu così che la mattina del 1 aprile, ad un mese e mezzo dalla mia scomparsa mi alzai per andare a scuola.
Mio padre avrebbe voluto che la mia convalescenza durasse di più ma sia io che Adam eravamo d’accordo, potevo ricominciare a vivere normalmente.
Quella mattina non faceva poi così tanto freddo, ero stretta nel mio maglione solo per la paura, la paura di vedere tutti e non essere...cosa...calcolata? riconosciuta?
Tutto possibile.
Io mi riconoscevo a stento, il mio volto doveva ancora completamente riprendersi ed il mio corpo per quanto fosse in perfetta forma grazie alla mia seconda natura non sembrava più quello di un mese prima; era più piccolo e ossuto, quasi a sembrare fragile.
Arrivai davanti scuola stretta nelle spalle, con le mani nelle tasche ed il cuore a mille.
Li cercai con lo sguardo velato dalle lenti degli occhiali e li vidi, seduti sui gradini, come sempre a parlare.
Sembrava vuota la loro vita senza di me?
No, sembrava a posto. C’erano così tante persone con loro, una in più o una in meno non avrebbe fatto alcuna differenza.
Poi però Laby si voltò, come se si sentisse osservata e Kay la seguì.
Si fermarono su di me, come se mi avessero realmente riconosciuta, forse era veramente così.
La vidi piangere da lontano, gli occhi pieni di lacrime.
Si alzò in piedi e mi corse incontro insieme a lui, fermandosi a pochi passi da me.
< Smile... >
Mi sfilai gli occhiali e li guardai
< sappi che sei una stronza! >
E mi si gettò al collo piangendo e continuando a stringermi, Kay si unì al nostro abbraccio, anche lui con gli occhi un po’ lucidi ma senza mai perdere la sua aria da macho.
Quella volta piansi anche io.
Per loro ero qualcuno, lo ero sempre stata ma non mi ero mai resa conto di quanto potesse essere bello sapere che persone che non hanno conte vincoli di sangue ti vogliono così bene.
Ci staccammo con gli occhi umidi
< come stai? >
alzai le spalle
< a parte le ferite tutto bene >
mi guardarono dalla testa ai piedi
< sei denutrita... >
Sorrisi a Kay
< diciamo che la fauna dei boschi dell’Alaska non è esattamente facile da catturare e cucinare. >
Laby strabuzzò gli occhi
< Alaska? >
annuii con calma, si amici miei, proprio Alaska; il mondo dei ghiacci.
Entrammo a scuola, non avevo ancora chiesto nulla su Alex e Monica e neanche loro mi avevano detto nulla; avevo come l’impressione che, sparita io, i quattro avessero litigato e forse la mia intuizione non era poi così sbagliata.
Seguii le prime tre ore di lezione al meglio che potevo, a ricreazione il mio unico intento era anche solo vedere quelli che erano stati i miei protettori.
 
Camminavo in corridoio con Laby quando lo vidi.
Rimasi paralizzata, capelli biondi più lunghi del solito incorniciavano un viso tranquillo, sereno, serio.
Lo sguardo era strano, quasi perso, anche se stava parlando...sì, proprio con Monica.
Non cercai di ascoltare i loro discorsi, mi avvicinai a piccoli passi anche se Laby aveva tentato di fermarmi.
Arrivai davanti a loro, mi videro.
Rimanemmo qualche secondo a fissarci poi Monica ruppe il ghiaccio e mi abbracciò
< Smile...o Smile... >
Stavo facendo commuovere un’Eterna, era un giorno storico.
Alzai lo sguardo verso Alex, era semplicemente pietrificato.
Non apriva bocca, mi guardava e basta, senza muovere un muscolo, come una statua di sale.
Tornai in classe per le ultime tre ore, per quanto Monica mi avesse tempestata di domande Alex non era riuscito a dirmi nulla, neanche bentornata.
Infondo non credevo di essergli mancata, o che realmente si era preoccupato per me; senza contare che molte volte mentre ero in Alaska avevo trovato la forza per andare avanti solo insultando il suo ricordo.
Finalmente suonò la campanella della sesta ora.
Uscii da scuola insieme a Laby e Kay quando mi sentii tirare per un braccio, era Alex.
Non mi disse nulla, mi portò solo via, lontano, verso una parte della città che non conoscevo.
Io non parlavo, neanche lui parlava, camminavamo e basta, poi d’improvviso si fermò in una piazzetta deserta alle 2 del pomeriggio.
Mi guardava serio
< Smile... >
non avevo uno sguardo esattamente dolce io
< sì... >
< tu...non puoi capire, non puoi proprio capire... >
Lo interruppi
< cosa? Quanto sono scema? Che se fossi stata più attenta tutto questo non sarebbe accaduto? Quanto vi ho fatto preoccupare? Quanto ti ho messo nei guai con la congrega? Cosa non posso capire? >
lo guardai bene e per poco non crollai, stava...stava piangendo!
< tu non puoi capire quanto cazzo mi sei mancata. >
O sì, piangeva; mi si era avvicinato continuando a parlare
< quanto cazzo mi sono sentito in colpa ogni giorno per averti lasciata sola, quanto ho sperato di poter avere tue notizie...quanto volevo dirti queste cose... >
Mi aveva preso le mani e le stringeva forte
< ...l’ho capito, o sì, l’ho capito che sono uno stronzo, un idiota, uno scemo..sì, l’ho capito a pieno. Ma ho anche capito che sono innamorato dite, o cazzo se lo sono. >
avevo seguito tutto il discorso ma sul finale ero rimasta così di stucco che non riuscii più a ricordarmi cosa volevo tanto dire.
Non ci baciammo, rimanemmo così a guardarci, a contemplarci a vicenda, nella nostra immensa stronzaggine e nella nostra particolare bellezza.
 
Mi lasciai riaccompagnare a casa da Alex.
Tutto quello che mi aveva detto mi aveva, sì, colpita, ma non per questo ero riuscita a dire le stesse cose a lui e sapevo che in cuor suo se ne era accorto.
Quando arrivammo davanti alla porta si fermò
< che fai, non entri? Ormai praticamente vivi qui... >
Scosse la testa
< no, ho una riunione da fare. Non posso fermarmi ma se vuoi ci vediamo dopo. >
Annuii
< va bene, a dopo. >
Stava per andarsene quando lo fermai
< ma Nicolas...che fine ha fatto? >
Mi guardò con aria grave
< sinceramente Smile? Non ne ho la più pallida idea. >
e così spari ai miei occhi. Rientrai in casa pensierosa, mio padre anche quel giorno non era andato a lavoro, iniziava a venirmi il dubbio  che l’avessero licenziato.
< licenziato io? >
Avevo solo fatto una domanda e la reazione era esplosiva
< stai scherzando spero! Ti ricordo che ho avuto un incarico all’estero, solo che se mia figlia scompare per un mese non possono pretendere che io parta subito. Aspetteranno. >
Mi sedetti sul divano con Mollica piagnucolante tra le braccia
< quindi parti... >
Non rispose subito
< sì...penso tra una settimana. Ma prima che io lascia questa casa fino a giugno io, te e quel gruppetto, sì gli Eterni, dobbiamo fare un discorsetto. >
era incredibile, mio padre che arrivava e comandava un gruppetto di Eterni come se niente fosse.
Era una cosa fortissima, mi divertivo tantissimo a sentire come parlava di loro.
Li considerava tutti dei bambini mentre, a parte quelli che conosceva lui, nella congrega c’erano anche membri anziani che avevano quasi 20 anni più di lui.
Stava continuando a parlare di loro quando gli uscì un’informazione che mi paralizzò
< poi tua madre verrà qui...vorrà sapere, vorrà conoscere cosa stanno facendo i suoi si... >
Si voltò verso di me, lo guardavo
< cosa stavi dicendo papà? >
Era imbarazzato
< io?che tua madre verrà qui. >
Non che quella notizia non mi avesse sconvolta però li c’era qualcosa di più
< sì, avevo capito...ma la storia sui si...si cosa? >
Non mi rispose
< non posso dirti nulla. >
Mi alzai lasciando Mollica sulla poltrona
< non costringermi a leggere nella tua mente. >
si fermò paralizzato a guardarmi, probabilmente non mi aveva mai vista come un’Eterna, ma visto che lo ero avrei potuto usare tranquillamente i miei poteri su di lui.
< ok, tu non leggi proprio niente signorina...io sono tuo padre! >
Chiusi gli occhi, entrai nella sua testa senza alcun problema, ed ecco l’informazione che cercavo.
Mi arrivò come una secchiata di acqua in faccia, da una parte fece chiarezza, dall’altra mi distrusse completamente.
< mamma è un’Eterna??? >
< hai letto nella mia mente?? Smile! Ti avevo appena detto di non farlo! >
Mi stavo iniziando a scaldare
< da quando sai che mamma è un’Eterna...papà, dimmelo! >
Rimase in silenzio e abbassò lo sguardo
< lo so da quando sei scomparsa, Adam...mi ha dovuto dire tutto è >
Lo interruppi con un gesto della mano
< a te ha dovuto dir tutto, e io? Io non valgo niente! >
Mi si avvicinò e mi prese per le spalle
< senti Smile, ora calmati. Non è vero che tu non vali niente, ma probabilmente Adam ha pensato che questa informazione dovesse rimanere in mani sicure, se tu l’avessi saputo prima saresti corsa da tua madre per farle delle domande e sai com’è fatta. >
guardavo a terra, come mi sentivo? Ah, sì, tradita.
< quando verrà qui mamma? >
< eh? >
Lo guardai negli occhi
< quando viene mamma a casa? >
Sospiro
< la prossima settimana, dal giorno della mia partenza. >
 
Aspettai ansiosa Alex quella sera.
Continuavo ad affacciarmi per vedere se scorgevo il suo profilo, ma niente, fino alle 20:30 non vidi niente tranne il buio.
Mi lanciai sul letto, tra poco sarebbe stata pronta la cena, speravo almeno che al mio ritorno lui avesse occupato la mia camera.
< Smile! È pronto, scendi. >
mi alzai contro voglia e scesi le scale a due a due.
Quando arrivai in salone per poco non mi uccisi, feci un salto all’indietro, sbattei la testa al muro e rimasi immobile a terra a guardare la scena che si offriva ai miei occhi.
Mio padre mi stava si aspettando per la cena, ma non era solo.
Nella stanza c’erano Adam, Monica, Alex e altre persone di cui mi sfuggiva il nome e il viso (probabilmente non le avevo mai neanche viste).
Mio padre mi si avvicinò
< piantala di fare queste scenate davanti ai tuoi...ehm...simili, e vieni a tavola. >
mi alzai con calma e mi avvicinai ad Adam
< com’è? >
Non rispose e mi presentò le persone mancanti alla mia lista di conoscenze
< allora, loro sono Vittoria, Michele e Amos. >
Strinsi loro le mani senza capire cosa ci facevano a casa mia, ovviamente non potei chiederlo, mi fecero sedere a forza per mangiare senza che io riuscissi ad aprire bocca.
Parlavano loro, parlava mio padre ed io stavo in silenzio.
< Smile, smettila di lamentarti, ora ti dirò perché siamo qui. >
Lo guardai seria
< sentiamo... >
Posai coltello e forchetta ai lati del piatto ed incrocia le mani sotto al mento, sembravo sicuramente odiosa.
< allora, loro sono qui per... >
Prese fiato? Prese coraggio? Pausa di suspense?
< loro sono qui per prendere il posto di Alex e Monica. >
Mi alzai in piedi di botto rovesciando il bicchiere
< cosa? No, non se ne parla proprio! >
Rimasero tutti senza fiato, tranne i diretti interessati che abbozzarono un sorriso teso
< Smile per favore... >
< per favore un corno Adam! Mi avete fatto abituare ad Alex e Monica e ora vorrò Alex e Monica.
Non potete decidere tutto voi senza almeno chiedermi cosa ne penso. Chi stai punendo... >
Mi guardò con occhio interrogativo
< non capisco di cosa pa... >
< ti ho chiesto chi stai punendo, so che un motivo sotto c’è...dimmelo! >
Si schiarì la voce e il suo sguardo volò su Alex che non lo guardava.
Scoppiai a ridere
< siamo all’asilo allora. Stiamo giocando. Bene, perché io non voglio giocare. >
Lasciai la stanza furiosa e mi chiusi in camera mia.
Restare un mese nei boschi sotto tiro dei Bruni mi aveva permesso di diventare selvaggia al punto giusto.
Forse un po’ troppo, ma avevo una fermezza che prima mi mancava.
Sentii bussare alla porta, non risposi, quella si aprì.
 
< posso? >
Era solo Alex che si sedette sul mio letto.
< senti Smile, la tua reazione non ti è sembrata un tantino esagerata? >
lo guardai malissimo, si sentì fulminare dai miei occhi
< no! >
Mi passò un braccio intorno alle spalle
< capisco che tu non voglia altri intrusi nella tua vita ma... >
< no Alex, non è che io non voglia altri intrusi, è che io voglio te e voglio Monica. >
quell’affermazione lo colpì perché strinse a pugno la mano libera
< non voglio altre persone per casa, non voglio che sia quel Michele o Amon ad entrare qui la sera per controllarmi. Quello è compito tuo! >
Passai un braccio intorno alla sua vita, uao, ero in vena di sentimentalismi quel giorno!
Rimanemmo così in silenzio.
Non so cosa mi passò per l’anticamera del cervello ma di colpo mi abbassai sotto al suo viso e lo baciai, e il fatto che l’avevo baciato io la diceva lunga su quanto fossi cambiata.
Strinse le su braccia intorno alla mia vita e sorrise.
< di la verità, tu mi vuoi qui perché sei innamorata di me... >
   
 
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