Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Federico    17/07/2012    1 recensioni
Salve, dopo quasi un anno Federico è tornato per voi! Stavolta vi propongo il seguito della mia vecchia storia Strade d'Oriente, con protagonisti i membri dell'Akatsuki, ambientato molto tempo dopo la prima fic.
1924, Svizzera: Per festeggiare il proprio compleanno, Kakuzu decide di riunire i propri ex compagni di avventure e li invita a casa sua. Tutti accorrono, ma è chiaro che nulla sarà più come prima: la spensieratezza dei vecchi tempi ha lasciato spazio al pessimismo e alla disillusione, che ormai regnano sovrani in Europa squassata dal primo conflitto mondiale e minacciata da povertà, rivoluzioni e dittature. In un modo o nell'altro, tutti e sei i nostri eroi hanno sofferto a causa della guerra, ma finalmente troveranno il coraggio di confidarsi fra loro e dare sfogo ai propri turbamenti, rievocando con nostalgia tempi felici che non torneranno più... Questa fic, a differenza di Strade d'Oriente, non si incentrerà sull'avventura e sull'azione, bensì avrà un taglio introspettivo, dialogico e decisamente malinconico. Leggete e recensite numerosi, spero che vi piaccia!
P.S Quella fic su One Piece che vi avevo annunciato circa un anno fa prima di “sparire” è al momento sospesa a tempo indeterminato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Travellers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Spazio autore

LizWingates: Grazie, grazie mille, sono molto contento che continui a piacerti. A dire la verità, questa storia non ha molto in comune con Strade d'Oriente, perchè quest'ultimo è un vero e proprio racconto d'avventura, ricco di scene d'azioen anche cruente e di scenari esotici, in cui l'elemento piscologico e introspettivo è molto meno presente. E' un esempio piuttosto brutto di come scrivevo qualche anno fa, ma per fortuna mi rendo conto di essere migliorato con il tempo. Quanto agli errori, ci sto il più possibile attento, ma a volte scappano. Grazie mille, alla prossima!

 

Oggi vedremo i nostri eroi godersi ulteriori svaghi nella villa di Kakuzu, ma i ricordi dolorosi cominciano ad affiorare in quantità sempre maggiore: riusciranno a tenerli a bada o avvertiranno il bisogno di confidarsi? Intanto Kakuzu e Pain escogitano qualcosa...Per sapere di cosa si tratta, l'unico modo è leggere fino alla fine il presente capitolo.

 

Otium agreste

 

Il riso si rivelò irresistibile e contagiò all'istante tutti, in un uragano di gioia sincera e divertimento sfrenato.

Davvero, lo giuro, non ce la faccio più! Una papera come questa come questa me la ricordo finchè campo...” ridacchiò il moro tedesco solitamente di ghiaccio, prima di essere dichiarato vincitore ex-aequo con Kakuzu.

L'anfitrione volle fare ammenda per averlo indotto su un terreno forse poco a suo agio, ma Itachi lo prevenne sereno: “Non ti scusare, non ce n'è bisogno. Che senso ha vivere se non vuoi mai metterti in gioco?”.

Distogliendo per un momento lo sguardo da quella serena comunione di visi allegri Hidan estrasse dalla tasca un magnifico orologio d'argento (quante, quante volte aveva passato lunghi minuti in mezzo al fango e al sangue fissando quel quadrante cristallino, chiedendosi se sarebbe stata l'ultima cosa bella che avrebbe visto in vita sua) e lo aprì, commentando neutro: “Sono le undici, mounsiers. Se non erro ci avanza ancora del tempo libero”.

Cosa ne dite di una partita a biliardo?” intervenne esuberante Pain avvicinandosi al tavolo da gioco rintanato in un cantuccio della stanza e carezzandone la pian asuperficie verde. “Durante la guerra, ad Alessandria i periodi di licenza li spendevo sempre a giocare con altri ufficiali in un circolo sul porto...Suppongo di essere diventato modestamente abile con la pratica”.

Nonostante quell'accenno a un passato di cui portavano ancora le cicatrici e che non vedevano l'ora di dimenticare avesse lipperlì gelato i loro cuori, sorrisi e cenni di approvazione indussero l'inglese a cominciare ad approntare i preparativi per la partita.

Furono una serie di match tesi e ben combattuti, che videro contrapposti da una parte Pain, Itachi, Kakuzu (ambedue se la cavavano egregiamente) e dall'altra Hidan (l'altro grande veterano del biliardo), Deidara e Sasori (non molto esperti ma agguerriti), per finire con una vittoria netta ma non schiacciante della prima squadra.

Il padrone di casa stava finendo di raccattare le palline quando un rintocco subitaneo lo fece sobbalzare perdendo la stecca: “Cielo, è già ora! Presto, presto ragazzi, mettetvi le giacche, o se volete restate in camicia! Andiamo, il sole delle Alpi non aspetta che di baciarci!”.

In effetti, mentre si sgranchivano pigramente le gambe intorpidite dal lungo periodo in piedi attorno la tavolo, a tutti sembrava distintamente di inalare un ottimo profumo che sapeva di fresco e di natura amica, e che proveniva sia dalla porta che dalla finestra spalancata per il gran caldo; come guidati da quel delicato alito della buona stagione, quasi che avesse ispirato loro una sorta di invasamento mistico per il verde, si avviarono compostamente in fila indiana verso l'uscita.

Kakuzu li condusse come una chioccia fa con i pulcini in giardino, e una volta là scorsero vicino alle automobili un semplice tavolino in legno circondato da sgabelli.

Non so mai quanti pic-nic del genere avrò fatto in Olanda quando ero piccolo” sospirò d'un tratto malinconico Deidara. “Mi ricordo che a quei tempi ero già fissato con matite e pastelli, ma almeno mio padre mi accontentava. In fondo, si sarà detto, a tutti i bambini piace disegnare, no?”.

Dopo tale considerazione, anche gli altri non poterono esimersi dal riflettere un po' sui propri padri: e c'era chi si figurava felice una casa calda e accogliente pronta ad attenderlo al suo ritorno, chi rimpiangeva inconsolabile una figura ormai lontana e perduta, chi rimembrava un esempio da disprezzare o regole che pesavano come macigni e catene.

Con estrema meticolosità la tavola era già apparecchiata di tutto il necessario, e facevano bella mostra di sé bottiglie delle acque più pure e rinomate e dei vini più nobili, oltre a qualche bottiglia di buona birra.

Tutti presero posto comodamente, Kakuzu, gentilmente aiutato nel sistemarsi da Sasori, a capotavola come richiedeva l'occasione.

Quando fu del tutto a suo agio, con i gomiti educatamente al di fuori del tavolo, lo svizzero, allungando il collo verso Pain che sedeva esattamente davanti a lui dalla parte opposta della mensa, gli strizzò velocemente l'occhiolino e si accompagnò con un rapido guizzo della mano.

Il britannico sul momento non comprese, poi dopo che l'altro si fu ripetuto afferrò il silenzioso messaggio: Dopo parliamo.

Mano a mano presero ad affluire anche i camerieri con il loro fardello di prelibatezze (ovviamente roba leggera considerato l'ambiente esterno e in vista della serata), e sarebbe inutile dilungarsi nel descrivere gli appetiti, le braccia che si tendevano ansiose per ricevere i piatti, le risate, i lazzi, i brindisi, le battute, la gioia carezzata dal vento e tenuta viva dal sole, il fruscio delle foglie e le rinfrescanti ombre degli alberi, il cielo azzurro.

Fatto sta che un muro invisibile sembrava stagliarsi all'interno dei loro discorsi, una muraglia eretta con mattoni di sangue impastati con lacrime e polvere che circondava accuratamente certi ricordi che rimanevano esclusi, banditi: argomenti tabù.

Ognuno era conscio dell'esistenza di questo muro, ma non faceva nulla per abbatterlo o anche solo accennare alla sua esistenza, dando per scontato che tutti lo possedessero ormai, e quindi l'amaro in bocca permaneva anche nel sorriso più genuino.

Era una vita completamente differente, ora.

La tensione latente, appena appena affievolita dalla compagnia, si ripresentò più forte che mai alla fine del pranzo sotto forma di un invincibile impulso ad allontanarsi dal luogo per godersi qualche attimo di solitudine relativamente pacifica.

Deidara andava ostinatamente dietro a Sasori, assillandolo con una discrezione e un'insistenza sicuramente poco fiamminghe: “Di cosa parlava prima Pain? Cosa ti è capitato di brutto con i transatlantici? E' stato mica durante la guerra?”.

Il rosso lo fulminò di con uno sguardo di traverso ferocemente irritato e un sordo ringhio: “Niente, niente. C'entro solo io, lo so io” e si voltò andandosene ad ampi passi.

Per rischiararsi un po' le idee e lasciarsi alle spalle i brutti momenti, l'inglese decise di accettare la proposta di Itachi di chiedere a Kakuzu il permesso di prendere a prestito dei cavalli dalla scuderia vicina per darsi a una rigenerante cavalcata nella boscaglia, permesso che fu ovviamente loro accordato.

Ambedue avevano già avuto esperienze a bordo di cavalli, asini, cammelli ed elefanti, e il tedesco confidò brevemente al rosso che durante la guerra aveva servito in un reggimento di cavalleria, poi si chiuse in un cupo mutismo e dopo essere montato in sella spronò con un colpo secco di tallone l'animale, presto imitato dal compagno.

Impiegarono poco ad uscire dal giardino e ad addentrarsi prima nella selva di irsuti cespugli e alberelli che si mescolavano con l'erba alta e i limiti estremi del sottobosco, poi nella macchia vera e propria, in un percorso che li condusse dal sole accecante ad una penombra rinfrescante e riparata, schermati rispetto al mondo esterno da una barriera naturale di vegetazione fitta e incolta.

I cavalli, robusti e ottimamente addestrati, procedevano sicuri su sentieri ombreggiati e terrosi, smuovendo ramoscelli e sassolini ogniqualvolta scalciavano con i potenti zoccoli, e sembravano già conoscere autonomamente il percorso da seguire: in effetti nessuno dei due cavalieri badava molto alla direzione e si limitavano a tirare dritto, curvando ogni tanto e reggendo quasi meccanicamente le briglie, tanto che erano assorti nei propri pensieri.

Sasori a un certo punto, come guidato da un odore soavissimo che promanava da oltre la cortina impenetrabile di foglie e arbusti, fece girare il cavallo e avanzò fino al limitare del bosco.

Inerpicandosi su un rigonfiamento erboso del suole potè ammirare in tutta la sua scintillante bellezza e vastità il Lago di Zurigo stendersi sotto i propri occhi; solo che d'improvviso il giorno si mutò per lui in notte e quei flutti plaicidi e turchidi si trasformarono in un gelido abisso di morte ed urla, pieno di anime disperate.

No, pensava, l'acqua non sarà mai più la stessa per me. Forse è stato anche peggio della guerra. Fu una tragedia così...inaspettata.

Itachi si era arrestato un attimo per permettergli di meditare fin quando lo desiderasse, perchè sapeva che quando ti prende quel tipo di ricordi, non c'è nulla da fare: solo cercare di fare mente locale in attesa che passi.

Mentre proseguivano la cavalcata anche a lui si mostravano spettri di un passato da dimenticare: gli pareva d'un tratto di aver lasciato la Svizzera estiva e di essere stato ritrasportato in Polonia, dove il suolo fangoso si imbeveva di pioggia e delle prime nevi e dove dalla densa foschia, da dietro di ognuno delle migliaia di alberi secolari sembrava potessero sbucare i Russi.

Prima che altre più cruente memorie riaffiorassero dai meandri della sua mente, scene cui aveva assistito sempre in groppa a un cavallo ma sotto il fuoco delle pallottole e con una spada in mano,

si lasciò sfuggire un banale commento di circostanza sulla bellezza del luogo silvestre a cui Sasori rispose con una gaiezza anche troppo ostentata per essere sinceramente sentita.

In realtà il suo sguardo- non quello degli occhi, certo, quello era intrappolato nella contemplazione estatica della luce che filtrava fra i rami della macchia- era ancora fisso verso il lago, lo stesso dove in quel momento una barca scivolava leggera spinta dalle remate del suo energico occupante.

Era da quando era giunto alla villa che Hidan non sognava altro che fare un giro sul lago; anche nel suo caso, preferibilmente da solo.

Non che volesse dimostrarsi rude, solo che il suo amore per l'acqua era qualcosa di inesprimibile e difficile da condividere e soprattutto un sentimento molto recente: sospettava di essersi innamorato del liquido elemento e delle sue distese più che altro come reazione alla sprocizia estrema cui era stato costretto per anni, ma l'amore era attecchito robusto e forte; adesso, da quando Parigi era finalmente di nuovo in pace e più splendida che mai, adorava andare qualche pomeriggio o la domenica mattina a vogare sulla Senna, da solo o in compagnia di qualche amico intimo.

Aveva visto gli altri piuttosto scettici di fronte alla sua proposta, e quindi aveva deciso di caricarsi i remi in spalla e arrangiarsi da solo: peccato, non sapevano cosa si perdevano.

Non riusciva a credere, mentre aggiustava con rapidi colpi la rotta e si dirigeva speditamente verso il centro del lago, da dove levandosi in piedi per tutta la sua altezza riusciva a intravedere fra i riflessi abbaglianti sulle onde la riva verde e la villa di Kakuzu, non riusciva proprio a capacitarsi che di nuovo dopo tanti anni fossero tutti riuniti in un luogo così bello, in un'atmosfera tanto gaia: un incubo orrendo che aveva oppresso tutta l'Europa li aveva separati troppo a lungo, ma ora niente sarebbe più riuscito a infrangere la loro felicità.

Mentre Hidan si godeva il silenzio e la quiete del lago, anche Deidara si rilassava piacevolmente, disteso completamente sotto l'ombra di un alto albero come il Titiro virgiliano: forse suo padre non avrebbe gradito vederlo così stravaccato come uno zingaro, le braccia pigramente allungate come un cuscino, la frangia bionda che gli ricedeva sugli occhi, ma al momento non aveva voce in capitolo e quindi l'olandese poteva fondersi spontaneamente e in santa pace con il prato.

Frugando nel taschino delle giacca ne estrasse un quadernetto di pelle e prese a sfogliarlo con estrema attenzione: anche anni dopo averli tracciati amava ancora dare un'occhiata agli schizzi relativi alle sue esperienze in Africa.

D'un tratto la sua attenzione fu catturata dal disegno di una grossa imbarcazione metallica arenata sulla riva di un fiume, inclinata su un fianco, contornato dal ritratto di un gruppetto di uomini in divisa che reggevano una bandiera occupata dall'emblema di un aquila e da una croce.

Ebbe l'improvviso e agghiacciante terrore di essersi dimenticato il regalo speciale per Itachi, poi si ricordò di avere infilato anch'esso in valigia e quindi doveva essere al sicuro in camera, e potè sdraiarsi ancora più sereno di prima.

Contemporaneamente, forse rallentati dall'età incipiente, forse prostrati dalla calura estiva che ne penetrava giacche e camicie, forse paghi di quelle paradisiache visioni come due anziani che osservino dei bambini giocare in un parco, Pain e Kakuzu erano rimasti seduti al tavolo, l'uno accanto all'altro, con i visi rivolti verso la macchia luminosa del lago.

Come ti accennavo prima, vorrei fare due chiacchiere a quattr'occhi con te” esordì solenne lo svizzero. “Hai mai inteso parlare della maieutica di Socrate, amico mio?”.

Sì” replicò affabilmente l'inglese. “Dialogare con le persone affinchè queste comprendano autonomamente come stanno le cose: credo che sia il miglior modo di risolvere i problemi pacificamente. E' per caso un invito a confessarci?”.

Kakuzu si fece improvvisamente più serio: “Lo vedi anche tu, no? Guarda tutti loro! Credi che siano gli stessi che abbiamo lasciato tredici anni fa? Si vede bene da come si muovono, dai loro occhi, che hanno sofferto molto. Quasi non riescono a concepire che ora ci sia la pace: sono troppo ancorati ai vecchi dolori. E credo che anche tu non sia immune: non cercare di ingannarmi, vecchio mio. Ma non ti preoccupare: anch'io ho i miei scheletri nell'armadio, e stasera ne parleremo...”.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Federico