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Autore: RossaPrimavera    17/07/2012    4 recensioni
“Non avvicinarti, non toccarmi… Questa è una cosa che devo fare da solo"
“Ti sbagli, sai che puoi ordinami tutto ciò che ritieni opportuno, Mio Signore. Io sono il tuo Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto”
Dal 1942. Il fiorire della giovinezza, dove un adolescente prende coscienza di chi è, e soprattutto, di ciò che è capace di fare.
Gli anni in cui la rabbia e l’ambizione di Tom Orvoloson Riddle divampano come fiamme, delineando un futuro di distruzione. Quegli anni di cui nessuno ha mai voluto parlare.
Eppure qualcuno c’era: qualcuno che conosceva, qualcuno che partecipava, qualcuno che lo accompagnava in ogni sua impresa. Qualcuno che ha eseguito più dei suoi ordini, occupando un ruolo che Lord Voldemort non ha mai più lasciato libero. Qualcuno che era più di una serva, e più di un' amante.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Un Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto
di  Elle H.




CAPITOLO QUARTO
Al Calare delle Tenebre
 

“War between him and the day
Need someone to blame
In the end, little he can do alone
You believe but what you see
You receive but what you give

 
Guerra tra lui e il giorno
Ha bisogno di qualcuno da biasimare
Alla fine, può fare poco da solo
Credi solo a ciò che vedi
Ricevi solo ciò che dai”

[Amaranth, Nightwish]

 

Ventitre dicembre.
Quel giorno il cielo aveva deciso di presentarsi come una coltre di un bianco puro ed accecante, e quasi fosse un regalo per le imminenti vacanze natalizie, aveva scelto di distribuire senza troppi riguardi una nuova ondata nevosa su tutta la Gran Bretagna.
Approfittando dell’ultimo giorno, una buona metà del corpo studentesco si era rigettata nel parco, lasciandosi guidare dalla presenza della neve ad un euforico ritorno nella propria infanzia.
Tuttavia non tutti gli studenti riuscivano a lasciarsi trasportare dall’allegria natalizia: specialmente per coloro che quell’anno avrebbero dovuto affrontare i GUFO e i MAGO, un forte malcontento aleggiava nell’aria.
Gli occhi grigi di Walburga erano fissi sui fiocchi di neve che continuavano a cadere vorticando frenetici, così grandi e morbidi da sembrare piume d’oca, ma il suo sguardo era tutt’altro che incantato.
Con uno scatto annoiato mosse la bacchetta, bloccandone uno a mezz’aria e avvolgendolo in una lingua di fuoco, sciogliendolo miseramente all’istante.
“La neve mi fa schifo” commentò laconica.
Pearl al suo fianco le gettò uno sguardo obliquo, rimirando il bel viso dell’amica sospeso in una smorfia apprensiva.
“Diciamo pure che in questo periodo ci sono parecchie cose che ti fanno schifo, e la neve è l’ultima di queste”
Riparate sotto un pergolato in uno dei tanti cortili interni del castello, lo spazio attorno a loro era incredibilmente deserto, relegandole in un silenzio ovattato.
“Che fine hanno fatto tutti? Druella, Isobel, Lysandra?”
“Sono a godersi la nuova libertà. Che per inciso, è quello che potremmo fare anche noi”
“E allora perché non lo stiamo facendo?”
“Evidentemente siamo troppo annoiate per farlo”
Le due ragazze si lanciarono un sorriso abbattuto, un'espressione che perdurava ormai dalla bellezza di due mesi a quella parte; sin da quella fatidica notte, tra il trentun ottobre e il primo novembre.
“Walburga…  Ci ripensi mai a a quella sera?” chiese Pearl a bassa voce, come se si stesse rivolgendo più a se stessa che all'amica.
La giovane Black rivolse per un attimo lo sguardo al cielo, gli occhi che riflettevano un candore invernale che per nulla si addiceva alla cupezza del suo umore.
“Ma certo; d’altronde, come potrei non pensarci? Me lo sono sempre ritrovata davanti agli occhi ogni santo giorno, sin da quando sono nata… Non ti sembra una cosa assurda?”
“Beh, un po’ assurda di certo lo è” convenne l’amica amareggiata.
Per Pearl quello era un genere di conversazione totalmente nuovo: fino a poco tempo prima era sempre stata del tutto disinteressata alle storie d'amore altrui.
Per quanto nella maggior parte delle occasioni critiche si fosse sforzata di fornire ogni genere di consiglio, raramente era riuscita davvero a calarsi nei panni delle sue amiche; non che ci avesse mai tenuto particolarmente, in ogni caso.
Ma ora, nello scoprirsi all’improvviso straordinariamente partecipe ad ogni sorta di dramma, riusciva a comprendere quanto la sua testa fosse fin troppo imbottigliata da un caos fitto di strani quesiti e domande senza risposta, che vertevano tutti spiacevolmente sullo stesso argomento.
O sulla stessa persona.
“Tu non immagini cosa voglia dire per me… E’ mio cugino cazzo, siamo cresciuti insieme! E nonostante questo volevo che continuasse a baciarmi e beh... tutto il resto” mormorò con un cenno di imbarazzo nella voce.
“Resta il fatto che, in ogni caso, siete e restate promessi sposi” sottolineò accuratamente Pearl, nel tentativo di confortarla.
Questa al contrario non era affatto una novità: Pearl, come qualunque altro membro di una famiglia purosangue, era abituata a vedersi circondata da matrimoni combinati come fossero mere contrattazioni d’affari. 
Era sempre stato questo il modus operandi della società magica per creare e stipulare alleanze.
Il fatto che lei e i suoi fratelli ne fossero esenti era solo una questione di fortuna, o più che altro un capriccio del padre, che desiderava per loro una scelta d’amore, simile a ciò che era stata al suo tempo per lui.
“Ma vedi, non ci avevamo mai pensato… che senso aveva pensarci? Ci sembrava un futuro lontanissimo, mentre ora sembra tutto così vicino” spiegò Walburga, visibilmente contrariata.
“Hai parlato di questo con Orion?” chiese Pearl, nominando per la prima volta il diretto interessato, accorgendosi di come l’amica sussultasse al solo udirne il nome.
“Ci ho provato, ma è inutile: Cygnus ci sorveglia a vista. Forse, chissà durante le vacanze… nonostante i MAGO, mio fratello ha preferito tornare a casa, assieme a Druella” spiegò, con una nuova luce speranzosa negli occhi.
Per un attimo tra loro calò un silenzio pensieroso, rotto solo dalle urla distanti dei compagni nel parco.
“Tu invece hai seriamente intenzione di partire?” chiese improvvisamente Walburga.
“A quanto pare… Mio padre insiste sulla storia di riunire la famiglia nelle grandi occasioni, ora che siamo tornati a vivere in Inghilterra” rispose Pearl, esprimendo chiaramente come si trovasse in totale disaccordo con la scelta del genitore.
Per coloro che frequentavano il quinto e il settimo anno, partire durante le vacanze di Natale rappresentava una rottura di una vecchia tradizione, una sorta di infrazione al lungo e duro percorso di preparazione agli esami decisivi della carriera di un mago.
Ma a quanto pareva non era sul rispetto delle tradizioni che Walburga voleva questionare.
“Pearl, era un po’ che te ne volevo parlare…  Ma sappi che so che la notte di Halloween eri fuori con Riddle. Vi ho visti uscire insieme dallo studio di Lumacorno” disse tutto d’un fiato, senza premurarsi di dosare il tono e le parole, come era solita fare quando qualcosa la preoccupava.
“Oh beh, fantastico! Ora puoi unirti al mio caro fratello maggiore nel ricordarmelo ogni volta che mi vede” le suggerì con falsa allegria.
“E’ successo qualcosa tra voi due?”
Pearl si limitò a una scrollata di spalle: “Nulla degno di nota, suppongo” disse con finta noncuranza.
Ma Walburga non si lasciò ingannare dal tono dell’amica, e fu con una certa urgenza che le afferrò la mano guantata, stringendola con fermezza.
“Devi stare attenta. Lui non è quel tipo di ragazzo… Non sperare di poter mai costruire qualcosa con lui, perché irrimediabilmente la distruggerebbe” disse, in un evidente sforzo di essere convincente.
Era tale la sua serietà che l’amica ne rimase turbata, sfuggendo la sua presa e alzandosi istintivamente in piedi.
"Walburga, non è successo niente tra noi, e non c'è niente di cui ti devi preoccupare" ribatté la giovane, calcando accuratamente su quel "niente", la voce quasi rabbiosa.
Ma l'amica parve non darle nemmeno ascolto.
“Tu non sei il tipo di persona che si lascia manipolare, Pearl. Quindi non permettergli di farlo”
Era la prima volta che sentiva Walburga esprimersi a quel modo, con una voce del tutto inconsueta per lei, ansiosa ed accorata.
Pearl indietreggio a disagio, dandole le spalle.
“Ci vediamo a cena” si limitò a dire, avviandosi verso il castello.
“Aspetta! Dove stai andando?” udì la voce dell’amica inseguirla, ma volutamente accelerò i propri passi.
L’ultima cosa che voleva era ammettere, in contrasto a quanto aveva appena detto, dove fosse realmente diretta.


 

*******

 

Quando poco dopo raggiunse la biblioteca la trovò pressoché deserta; il riecheggiare lontano delle urla dei compagni la raggiungeva sino a lì, ottenendo lo strano potere di inquietarla, suggerendole un soffio di vita che in quella stanza pareva non spirare mai.
L’idea di lasciare Hogwarts e tutto ciò che lo riguardava, dalle aule e i corridoi a tutti i suoi abitanti, la rendeva straordinariamente malinconica, nonostante sapesse bene che sarebbe stata solo una breve pausa temporanea.
Ma senz’ombra di dubbio ad appesantirla ulteriormente vi era il pensiero della separazione da Tom.
Al contrario di quanto Walburga aveva supposto, il loro rapporto non era variato di una sola virgola da quella fatidica sera: non si erano più neanche più sfiorati.
A volte vi erano giorni interi in cui neppure si parlavano, e altri in cui al contrario era invece Tom a trascinarla in estenuanti ore di studio notturno, su questo o quell’argomento per lui sempre di vitale importanza.
Ma davanti al resto del mondo mantenevano una perenne, serafica facciata di pacato disinteresse.
Pearl spesso si domandava se Tom provasse del desiderio per lei; patetico sarebbe stato pretendere di più. 
Talvolta si sorprendeva smarrita nel guardare il suo bel viso, e allora le sembrava di cogliere un bagliore nei suoi occhi, una consapevole scintilla maliziosa che non faceva altro che farla sentire punta nell’orgoglio.
Perché da parte sua, volente o nolente che fosse, quel desiderio acceso tempo prima non era ancora riuscito a sopirsi, e anzi, ogni giorni minacciava di crescere con malcelato vigore.
Quando varcò le porte della biblioteca lo trovò seduto al suo usuale tavolo, il più isolato e nascosto alla vista dell'entrata.
Gli si sedette accanto senza aspettare un invito, accorgendosi di come non le rivolgesse neppure lo sguardo.
“Ti stavo cercando” disse infine con un cenno di irritazione, decisa ad attirare la sua attenzione.
Tuttavia Tom continuò ad ignorarla,  lo sguardo fisso sul vecchio tomo che reggeva tra le mani
“A quale proposito?” chiese infine svogliato, voltando una pagina.
“Beh, pensavo sapessi che domani partirò. Pensavo che volessi almeno parlare…”
Ma Tom improvvisamente alzò lo sguardo su di lei, osservandola con una durezza inusuale persino per lui, e interrompendo con decisione le sue parole.
“Di cosa? Del fatto che te ne vai proprio ora, nel momento in cui  dovresti fare di più per me?”
Per un attimo Pearl rimase interdetta a guardarlo, chiedendosi stupidamente se aveva capito bene, ma poi avvertì una forte dose di malcontento e rabbia prendere il sopravvento sull'autocontrollo.
“Che cosa stai dicendo?!”
“Oh lascia stare, non capiresti” ribatté il ragazzo, distogliendo lo sguardo.
“Tom, non azzardarti a dire che ci sono cose che non posso capire! Sono passati giorni interi in cui a malapena mi rivolgevi la parola, e tu arrivi ora a dirmi che hai bisogno di una mano?” lo attaccò la giovane, senza accorgersi di aver alzato la voce di un’ottava.
“Io non ho bisogno di una mano” sibilò in risposta il ragazzo, guardandosi attorno guardingo nonostante non ci fosse nessuno ad ascoltarli.
“Beh, hai uno strano modo di dimostrarlo” concluse Pearl piccata, abbassando lievemente la voce.
Sbuffò seccata, delusa dalla piega che aveva acquisito la loro conversazione.
“Senti, non sono venuta qui per litigare, ok? Volevo soltanto salutarti prima di partire, casomai non ci vedessimo stasera o domani mattina” spiegò nervosamente.
Ma quando vide che il ragazzo non si degnava nemmeno di risponderle, lo sguardo ancora fisso sul libro, allungò la mano a sorpresa e cercò di trarre a sé la lettura.
Subito Tom la precedette, colpendole lievemente il dorso della mano con uno schiaffo, riappropriandosi del volume
“Questo non ti deve interessare, Pearl” concluse con un ordine secco e perentorio, la bocca contratta come in un ringhio.
“E perché mai? Sono o non sono la tua… aiutante? Ho il diritto di saperlo”
Ma in quel momento Tom si alzò, stringendo il libro al petto e donandole un’occhiata derisoria.
“No, non c’è l’hai. Ora come ora, partendo, tu non mi sei di alcun aiuto… anzi, sei solo un impiccio” disse sorridendo, premurandosi di sottolineare l'ultima parola.
“E poi chi lo sa Pearl, forse durante le vacanze sarà qualcun altra ad avere l'onore di servirmi, qualcuna di migliore
La giovane si alzò in piedi di scatto, avvertendo il proprio viso impallidire senza controllo; si portò dinnanzi a lui, a incrociarne lo sguardo nonostante il grande divario d'altezza.
“Non oseresti” sussurrò gelida.
“E’ una sfida?”
“Tu prendila come una constatazione”
Tom rise, voltandole le spalle e avviandosi verso l’uscita.
“Passa delle buone vacanze, Pearl” disse, regalandole un cenno derisorio.
Pearl seguì con lo sguardo il suo allontanarsi: nulla era andato come desiderava, e anzi, si sentiva più abbattuta di prima.
Mollò un pugno stizzito sul tavolo di legno, più frustrata che mai.
Non sapeva quanto delle parole di Tom sarebbe corrisposta a verità, ma la sola idea che il suo posto potesse venir sostituito da chiunque altro le diede un forte senso di nausea.


 

“Le spine della sua anima racchiudono tra i rovi un cuore che batte all'impazzata, 
confondendo il vero bisogno d'amore con l'odio più totale e vendicativo”
[Victoria Francés]

 
 
 
-Epistolario d’inverno-
 

 

26 dicembre 1942

“Carissima Pearl,
Buon Natale! Non posso che ricambiare gli auguri e ringraziarti infinitamente per il tuo regalo: è stato finora il più bello che abbia mai ricevuto; da un’amica, s’intende.
Spero quindi sia stato con lo stesso sentimento che tu abbia ricevuto il mio, e chissà quanti altri.

Mi fa piacere scoprire che tu sia riuscita a distrarti un po’ trovandoti con la tua famiglia, la sera prima della partenza ti avevo vista fin troppo turbata, e sai bene che posso benissimo immaginarne la causa.
Però ti dichiari impaziente di sapere come procedono le cose qui ad Hogwarts, giusto?
Dipende dai diversi punti di vista. 
Sappi che io ed Orion siamo finalmente riusciti ad affrontare la situazione, quindi ogni dettaglio lo lascio alla tua immaginazione; non fa bene riferire certe cose per lettera, e stranamente provo una certa vergogna all'idea di scriverne.
In ogni caso credo proprio che possiamo ufficialmente dichiararci “insieme”… più di prima, se non altro!

Sono certa che ne sarai felice, ma ora veniamo al punto scottante della questione...
Preferisco essere io a riferirtelo, prima che ci pensino le altre affidandosi ai soliti pettegolezzi e inciampando in una qualche mancanza di tatto.
Non farà piacere a te come non ne fa a me, ma ormai sono in tanti ad aver visto Tom Riddle in una  fin troppo evidente nuova compagnia.
Si chiama Aurelia Fisher, penso tu abbia una vaga idea di chi sia: serpeverde, frequenta il sesto anno.
Sono spesso assieme nei corridoi, e devo dire che il loro atteggiamento sembri piuttosto “intimo”.
Non metto in dubbio che le sue intenzioni siano tutt'altro che nobili; ho provato in ogni caso ad interpellare Orion sulla questione, ma senza risultato.

Davvero, mi dispiace darti questa brutta notizia… e sappi che non ti dirò la frase “te l’avevo detto”.
Ma ti proibisco in alcun modo di buttarti giù… aspetto con ansia la tua risposta, mentre tutte attendiamo il tuo ritorno.
Con affetto, tua

Walburga B.”

 
 
 

31 dicembre 1942

“Non ho idea del perché lo stia facendo. 
Come ben sai le voci corrono velocemente ad Hogwarts, e arrivano sempre a destinazione, non importa quanto ci si trovi distanti.
Lo ripeto, davvero non ho idea di cosa mi spinga a comportarmi in modo tanto sconsiderato, persino per me.
Scriverti, parlarti, anche solo rivolgerti lo sguardo... 

Tu non meriti neppure un istante della mia considerazione.
Se ti avessi qui, davanti a me, penso che impiegherei il mio tempo solo per farti del male nel peggiore dei modi.
Quindi buon compleanno, Tom Riddle.

Pearl N. Ballantyne”

 
 
 

1 gennaio 1943

“Quindi vorresti solo farmi del male, così hai detto...
Sei così piccola ed ingenua Pearl, riesci ad ispirarmi persino tenerezza.
Perché vedi, la sola idea di farmi del male... questo non potrebbe mai succedere.
Finiresti per ferire anche te stessa.

Mi hai scritto perché lo desideravi, perché desideri me: niente di meno, e niente di più.
Attendo il tuo ritorno, ho bisogno di tornare a prendermi certe piccole soddisfazioni.

T.R.”

 


******* 


Pelle diafana, grandi occhi scuri sempre fissi dinnanzi a sé, passo marziale.
Fiera, sfacciata, ribelle.
Da quando aveva fatto ritorno dalle vacanze natalizie, Pearl Nicholai Ballantyne pareva esser diventata una persona completamente diversa.
C’era in lei qualcosa di nuovo, qualcosa di travolgente ed inarrestabile, che la spingeva spesso a mettere da parte ogni gentilezza, e a sfoderare una straordinaria rabbia per qualsiasi cosa le stesse a cuore.
I suoi amici e conoscenti erano rimasti atterriti ed affascinati da questa sua fulminea trasformazione, ma ai più restava ignota quale fosse la causa.
Solo le sue più strette amiche sapevano quanto i suoi occhi sapessero accendersi di collera nel momento che in un qualche corridoio intravedeva Tom Riddle e la sua nuova amica.
L’abituale spettacolo composto da frecciatine e provocazioni tra i due compagni si era esaurito; Pearl relegava Tom nella più totale indifferenza, e il ragazzo reagiva con un'evidente ma sottile vena di cattiveria.
Non appena la figura di Pearl si profilava in un corridoio, immediatamente Tom intendeva mostrare al mondo la sua vicinanza ad Aurelia Fisher, quasi riuscisse a trarla dal nulla e ad immobilizzarla tra le sue braccia.
Per la ragazza in questione Pearl non nutriva alcun sentimento che non fosse biasimo e compassione: conoscendo ormai la natura di Tom e dei suoi progetti, sapeva perfettamente che la stava solo temporaneamente usando, e soprattutto, cosa l’attendeva al termine del suo utilizzo.
Ma di quelle occhiate compassionevoli Aurelia Fisher non sembrava affatt0 esser contenta. 
Consapevole di chi Pearl fosse, malignamente informata da Tom stesso, lei stessa la seguiva con uno sguardo acceso di risentimento, avvalendosi della convinzione di occupare ormai un posto fisso nel cuore del bel serpeverde.
Era chiaro per tutti che fosse del tutto pazza d’amore per Tom Riddle, ma nessuno osava considerare che spesso l'amore porta a compiere diverse sciocchezze.
“Ballantyne!”
Erano i primi giorni di marzo,quelli in cui la primavera faceva i suoi primi, timidi tentativi di scacciare il rigido inverno scozzese.
Come sempre durante gli intervalli, Pearl se ne stava placidamente seduta su una delle panche del corridoio, attorniata dall’allegro cicaleccio delle amiche.
Un coro di voci che tacque istantaneamente quando, dal fondo del corridoio, giunse una voce femminile a distrarle.
Ma fu quella voce femminile a distrarla, giungendo dal fondo del corridoio.
“Ballantyne!”
Pearl si alzò in piedi, scorgendo subito una ragazza venirle incontro, da sola e a passo spedito.
Alta e slanciata, portava un fitto caschetto di capelli neri ad incorniciarle un viso dai tratti vagamente aggressivi, quasi ferini.
Gli stretti occhi verdi erano pieni di sfida: era chiaro a tutti che le si stesse rivolgendo per un solo motivo.
Pearl le rivolse uno sguardo sostenuto.
“Non credo di conoscerti” disse semplicemente.
“E io non credo sia un problema! Il mio nome è Aurelia Fisher, forse dovresti iniziare a ricordartelo”
La giovane le regalò un’occhiata scettica, mentre attorno a lei le compagne iniziavano a mormorare.
“Come credi, ma in tutta franchezza sappi che non mi interessa” le fece notare, scrollando le spalle e voltandosi.
Un istante dopo avvertì un’immaginaria lama di rasoio sfiorarle la guancia con ferocia, causandole un forte bruciore; quando portò la mano al viso e la ritirò, Pearl vide che era macchiata di sangue.
Aurelia Fisher puntava la bacchetta dritta verso di lei, il viso animato da una sorta di furore maniacale.
Immediatamente attorno a loro si costituì una zona vuota: diversi furono gli studenti che accorrevano dalle più svariate parti, soffermandosi ad osservare la scena incuriositi.
Dietro di sé Pearl avvertì la presenza rassicurante di Walburga, ma con un breve cenno le indicò che non aveva alcun bisogno di aiuto.
Non sfoderò neppure la bacchetta; non subito almeno.
Si limitò ad inclinare lievemente la testa, come se volesse valutare la sua avversaria.
“Mi vuoi sfidare?”
“Se non fosse abbastanza chiaro, sì!”
“E per quale motivo?”
“Perché tu sei stata fin troppo vicina a qualcosa che ora mi appartiene!” urlò la ragazza, stringendo i pugni.
“Che ti appartiene, o piuttosto che tu consideri tuo?” ribatté Pearl vagamente divertita, senza farsi impressionare.
Aurelia rimase per un attimo spiazzata, ma poi agitò nuovamente la bacchetta con piglio feroce.
L’ira la portò a sbagliare la mira, e l’incantesimo sfiorò appena Pearl, rimbalzando sulle pareti accolto da una serie di lamentele dal pubblico.
“Avanti, voglio che tu combatta! Mi temi forse?” l’aggredì la ragazza, accolta da una risata di Pearl.
“Io temerti? Al contrario, dovrebbe essere una come te, del tuo stampo, a temere me” ribatté, scegliendo accuratamente le proprie parole.
“Cosa vorresti dire con “una come me”, eh? Non provare a cambiare il discorso, ho deciso che è oggi il giorno giusto per regolare i conti con una puttanella come te se…”
Ma fu lì che Pearl scattò, proibendole persino di finire la frase.
Un lampo di quella sua nuova, straordinaria rabbia le attraversò gli occhi per un attimo; la sua mano estrasse la bacchetta in un gesto fulmineo, facendola saettare nell’aria come una sferza.
Il corpo di Aurelia Fisher balzò all’indietro fendendo la folla, come strattonato da una gigantesca mano invisibile, facendola cozzare malamente contro la parete alle sue spalle.
Quando sollevò lo sguardo spaventata, Pearl si trovava di fronte a lei.
“Chiedimi scusa, adesso” ordinò calma e perentoria, lo sguardo divenuto implacabile.
“Te lo ripeterò: non permetto ad una come te di insultarmi. Chiedimi scusa”
Fu a quel secondo, velato riferimento che Aurelia Fisher spalancò gli occhi in un lampo di spaventata comprensione, che certamente non l’aiutò a trovare le parole.
 “Imperio” sussurrò chiaramente Pearl, accolta immediatamente dallo stupore generale della folla.
Spazientita, non avvertì il benché minimo senso di colpa nell’utilizzare una maledizione senza perdono, la prima in tutta la sua giovane vita.
L’effetto fu immediato: come una marionetta mossa da fili invisibili, la bocca della sua sfidanti si aprì al suo comando.
“Scusami, perdonami… non volevo” mormorò tutto d’un fiato, gli occhi che le si gonfiavano di lacrime.
Pearl abbassò lentamente la bacchetta, senza tuttavia riporla; si gettò uno sguardo attorno: la folla di studenti la fissava silenziosa ed impressionata, persino le sue amicizie parevano intimorite, in attesa di una sua qualsiasi parola.
“Mi auguro che nessuno si azzardi mai più ad insultarmi, o ad osare mettere in discussione la mia posizione”
Si rivolse nuovamente ad Aurelia, sorridendole con freddezza.
“Meno che meno una patetica mezzosangue” concluse ad alta voce, godendosi suo malgrado l’effetto finale di quella rivelazione.
Ma non appena si voltò, facendo il gesto di dirigersi lungo il corridoio, notò con sorpresa che la gente attorno a lei si spostava per lasciarla passare, come in una sorta di timore riverenziale; persino Walburga e le sue amiche si limitarono a guardarla intimorita.
Con la viva sensazione di aver esagerato, Pearl voltò loro le spalle e attraversò diversi corridoi quasi di corsa, fermandosi senza fiato solo quando ebbe raggiunto i bagni dei sotterranei, vicino alla Sala Comune e fortunatamente vuoti.
Solo quando fu davanti allo specchio nei bagni, sciacquandosi il viso e  rimirando la propria espressione stranita nello specchio, comprese la portata di quanto era appena successo.
Non aveva idea di come la sua rabbia avesse potuto scaturire in quel modo repentino e violento, portandola persino a compiere una maledizione senza perdono, un genere di materia oscura che neppure avrebbe dovuto conoscere, che non doveva in alcun modo appartenerle.
Ma la cosa che più la sconvolgeva era la totale mancanza di sensi di colpa per aver punito quella ragazza: perché di quello si trattava, una sorta di “azione punitiva” che era riuscita a ritorcere a danni altrui.
E pur sapendo di essere in errore per l’utilizzo della Maledizione Imperius, si sentiva infinitamente compiaciuta di esser riuscita a gestire la situazione senza bisogno di alcun aiuto.
“Non temi che il tuo spettacolino giunga alle orecchie sbagliate?” disse improvvisamente una voce alle sue spalle, cogliendola di sorpresa.
Quando alzò lo sguardo incrociò quello di Tom Riddle nello specchio: era chiaro che avesse assistito alla scena di poco prima.
“Questo è il bagno delle ragazze, Tom” si limitò a fargli notare con somma noncuranza.
Il ragazzo rise. “Lo so, ma credo proprio che nessuno abbia intenzione di entrare, ora come ora.
Sai, sembrano avere paura di te” le fece notare.
“Come ne hanno di te” concluse Pearl.
Tom parve soddisfatto da quella risposta, oltrepassando senza indugio i lavandini e avvicinandosi a lei.
“E’ stato divertente provocarti in questi mesi, a quanto pare ha avuto i suoi frutti”
“Mi spiace che tu lo creda, evidentemente abbiamo due concetti diversi di divertimento”
“E allora non temi che Dippet possa venire a conoscenza di questa tua piccola sfuriata?” chiese il ragazzo, allungando una mano verso di lei, sfiorandole delicatamente il viso.
“Dubito che quella ragazza oserà ancora fare l’insolente”
“E toglimi una curiosità… Come facevi a sapere che fosse mezzosangue? L’aveva confidato a me soltanto”
Fu il turno di Pearl di ridere compiaciuta “Ti ho detto che ho le mie fonti da consultare, in certi casi. Le vacanze natalizie sono servite a qualcosa, senz’altro” concluse la giovane.
Tom chinò fintamente il capo in un gesto ossequioso, avvicinandosi poi ancor di più fino a far aderire il proprio corpo al suo, cingendola per le spalle, senza incontrare la sua resistenza.
I loro riflessi risultarono straordinariamente simili nello specchio, gli occhi scuri di entrambi che parevano infiammati più che mai di potere ed ambizione.
“Forse ti ho sottovalutato, Pearl…” sussurrò il ragazzo, lasciando scorrere le mani lungo il suo corpo sino ad appoggiarsi sui suoi fianchi.
“Dimmi, hai mai sentito parlare… della Camera dei Segreti?”
 

 
 

“Wishmaster
Crusade for Your will
A child, dreamfinder
The Apprentice becoming...
Master.

Padrone dei Desideri
Crociata per il Tuo volere
Un bambino, cercatore di sogni
L'apprendista che diventa...
Padrone”
[Wishmaster, Nightwish]
 


Maggio 1943
 
“Perché hai scelto proprio questa notte?”
“Cosa c’è Pearl, avevi altri programmi?”
Ma nemmeno Tom sapeva dire esattamente perché avesse scelto quella notte per scoprire, e mostrare a sua volta a Pearl, ciò su cui aveva lavorato per tutti quei mesi. Semplicemente quel mattino, alzandosi, aveva realizzato che il momento che attendeva da così tanto tempo era giunto.
Dopotutto aveva svolto egregiamente le sue ricerche, effettuato un certo numero di esplorazioni, incontrato piccole e piacevoli scoperte che non aveva neanche lontanamente calcolato.
Fu quindi la forza della propria sicurezza a spingerlo ad attraversare con cautela i corridoi bui del castello, conducendo  Pearl con se sino al bagno delle ragazze al secondo piano.
Sapeva perfettamente che la ragazza doveva provare una moltitudine di sentimenti contrastanti.
Non senza un certo divertimento personale, l'aveva tenuta con il fiato sospeso in quei mesi, mostrandole solo una manciata di sporadici dettagli delle proprie scoperte; era stata una scelta dettata tuttavia dal bene di entrambi: per una volta, aveva preferito evitare il pericolo di coinvolgimenti inopportuni non solo per se stesso. 
“Sei sicuro che sia tutto apposto? Aurelia potrebbe non aver svolto bene…”
“…Aurelia ha svolto benissimo il suo compito, dopotutto a comandarla a bacchetta ero io” ribadì il ragazzo divertito, chiudendo e sigillando accuratamente la porta; se i suoi calcoli non erano errati, avrebbero avuto bisogno di gran parte della notte per l'attuarsi del suo piano.
Voltandosi verso di lei le rivolse un'occhiata maliziosa.
“Anche se la tua piccola, commovente sfuriata ha reso un po’ difficoltosi i nostri rapporti, all’inizio”
“Sai che dispiacere! Forse così imparerai ad accorciare il guinzaglio della tua cagnetta, la prossima volta”
Tom rise, chiaramente eccitato e di buon umore per ciò che li attendeva da lì a poco.
“Alla mia cagnetta? Aurelia è stata solo una delle tanti, piacevoli aiutante, nulla di più. Puoi già immaginare come si sia conclusa la cosa, proprio oggi pomeriggio”
Pearl alzò gli occhi al cielo, in un gesto esasperato e sprezzante.
“Tu sai essere veramente rivoltante, mi rifiuto di ascoltarti un altro attimo di più” proruppe infastidita, ma non appena fece per andarsene, si sentì afferrare per le spalle. 
“Tu invece resterai, e ascolterai tutto ciò che ho da dirti”
La voce di Tom era divenuta un sibilo animato da una rabbia orgogliosa; stringendola fermamente tra le braccia la fece voltare con facilità, quasi fosse solo una bambola.
“Non ti domandi a cosa ho lavorato in tutti questi mesi? Per cosa ho utilizzato quella stupida ragazza, arrivando persino ad insegnarle parole in serpentese, pur di non destare alcun sospetto? 
Quanto tempo ho impiegato, quanta pazienza… Io ora voglio che tu veda” concluse esagitato, completamente rapito dalla situazione.
La trascinò con sé sino al complesso di lavandini, prendendole la mano e conducendola verso uno dei rubinetti di rame.
“Aurelia ha detto che questo qui non ha mai funzionato” sussurrò estatico.
Dubbiosa, ma tuttavia intrigata dall'esaltazione misteriosa di Tom, Pearl vi pose sopra la propria mano.
Avvertì curiosamente un leggero rilievo profilarsi sotto le sue dita; illuminandolo, vide che riportava il piccolo e sottile disegno di un serpente. 
“Hai paura, ora?” sussurrò Tom al suo orecchio, ma la giovane scosse la testa in un fermo cenno di diniego.
“No, non ho paura” affermò con un sicurezza che in realtà non le apparteneva.
Solo ora riusciva ad intuire la portata del gesto che stavano per compiere, e sopratutto, del rischio che avrebbero potuto correre se qualcosa non fosse andato per il verso giusto.
Nella sua testa la Camera dei Segreti era sempre stata solo una leggenda, ma ora pareva star per diventare realtà.
Per la prima volta da quando il ragazzo le aveva rivelato la sua capacità, lo udì parlare la lingua dei serpenti. 
Era un sibilo sconosciuto e gutturale, che istintivamente le fece correre un brivido lungo la schiena.
All'improvviso il rubinetto iniziò a brillare di una vivida luce bianca e prese a girare freneticamente in un senso.
Un istante dopo, con un grave rumore che ricordava il rombo di un terremoto, il lavandino cominciò a muoversi e a sprofondare nel pavimento, lasciando intravedere un largo tubo di scarico largo abbastanza da lasciar passare un uomo.
“Aspetta… non dirmi che devo infilarmi lì dentro?” mormorò Pearl scettica, cogliendo la risposta dall'espressione del ragazzo.
“Non costringermi a spingerti, Pearl” disse il ragazzo con uno sbuffo spazientito, incoraggiandola con una spinta verso l’entrata.
Fu come scivolare a rotta di collo lungo una pista viscida e bagnata, senza mai riuscire ad intravederne il fondo; terrorizzata, come unico conforto aveva solo la presenza di Tom alle sue spalle, che sentiva urtare leggermente contro le pareti ad ogni curva o svolta.
Quando, dopo quelle che le parvero ore, iniziò a chiedersi sconcertata cosa sarebbe successo se avessero colpito il fondo, il tubo  tornò in piano, ed entrambi i ragazzi furono in breve catapultati in una grossa pozza di acqua e melma.
“Tutto questo è ripugnante” borbottò Pearl tentando di pulirsi disgustata, ma quando alzò lo sguardo vide Tom in piedi di fronte a sé, noncurante degli abiti sporchi e bagnati: il suo sguardo vagava estasiato sulle pareti nere e viscide di un lungo e buio tunnel di pietra.
“Pearl, ma ti rendi conto...? Ci troviamo ben sotto il livello del lago! Pensa, siamo i primi che mettono piede qui dopo il passaggio del grande Salazar Serpeverde” mormorò incantato, volgendosi verso di lei e afferrandola per un polso, deciso a tutti i costi di renderla partecipe al proprio enturiasmo.
Ma osservando l’oscurità che li circondava, Pearl sentì la propria inquietudine aumentare, e fu più che riconoscente dell'attenzione che Tom aveva, nonostante tutto, deciso di dedicarle.
I loro passi rimbombavano secchi sul pavimento bagnato, le flebili luci delle bacchette consentivano di vedere solo a pochi palmi dal naso, producendo ombre mostruose sulle pareti gocciolanti.
Poi, procedendo pian piano, con sgomento iniziarono a riconoscere una miriade di piccole ossa e scheletri di topi e chissà quali altri animali.
“Tom, là davanti c’è qualcosa!” mormorò Pearl trattenendo a malapena un singulto, alzando la bacchetta terrorizzata; la luce si proiettò su quella che aveva tutta l'aria di essere una gigantesca pelle di serpente di un vivido verde fiele, che giaceva vuota e arrotolata su se stessa in un angolo, come se il suo proprietario se ne fosse dimenticato solo il giorno prima.
La giovane si immobilizzò, fermando il ragazzo che le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Non mi hai ancora detto che cosa è il mostro che giace nella camera” sussurrò la ragazza, la voce che le tremava appena.
Tom scosse la testa impaziente, spingendola a proseguire.
“Non sei stupida Pearl, se conosci un minimo di storia puoi immaginare benissimo di cosa si stratti...
Devo solo chiederti di stare calma, e ubbidire a tutto ciò che ti dirò” spiegò con cautela.
Quando raggiunsero la fine del tunnel, dinnanzi a loro si mostrò una parete su cui erano scolpiti due grandi serpenti attorcigliati tra loro, che al posto degli occhi  recavano smeraldi scintillanti.
Ad una seconda parola di Tom, i due si sciolsero  dal loro groviglio e la parete cominciò a spalancarsi, dividendosi a metà.
“Benvenuta nella Camera dei Segreti, Pearl” disse Tom con un largo sorriso.
L'emozione di entrambi parve traboccare quando, avanzando, si trovavano nell’ingresso di una sala molto lunga e scarsamente illuminata da bassi bracieri sempiterni.
Pilastri di pietra torreggianti, formati da enormi serpenti dalle fauci spalancate, si levavano sino al soffitto gettandosi nel buio.
I loro passi risuonavano come colpi in quel silenzio pesante e vischioso, e più volte Pearl credette di vedere qualcosa muoversi nell’ombra.
“Tom… si tratta di un basilisco, vero?”
“Vedo che l'hai capito”
“Ma se arriva…”
“Arriverà solo se chiamato” disse Tom con una voce improvvisamente diversa, avanzando a larghi passi dinnanzi a lei.
Il suo sguardo era rivolto alla parete di fondo, verso una statua alta sino al soffitto: il volto gigantesco che li sovrastava era quello di un vecchio mago, con una lunga barba rada che arrivava  all’orlo della veste scolpita.
"Salazar Serpeverde" decretò ad alta voce, ancora con quel tono strano, serio ed imperioso.
“Ricordi quando hai colpito Aurelia, Pearl?” chiese ad un tratto, dandole ancora le spalle.
"Sì, perché?" rispose lei con cautela, avvertendo il sentore di un qualche imminente pericolo.
“Quel giorno l’hai insultata in un modo che non mi sarei mai aspettato… L’hai chiamata mezzosangue
“E quindi?” chiese ancora la giovane, intuendo dove il ragazzo voleva andare a parare.
“Quindi saresti capace di fare la stessa cosa a me?”
“Forse te lo meriteresti” la voce di Pearl divenne poco più che un soffio.
Il viso sorridente di Tom mutò istantaneamente in una piega dura e severa.
“Quindi saresti capace di volere me ai tuoi piedi?”
“Te lo meriteresti” ripeté ancora, in un cenno di sfida.
A sorpresa, con uno scatto del polso, Tom estrasse la bacchetta e la puntò contro di lei.
“Imperio!” urlò seccamente.
Pearl spalancò gli occhi dallo stupore, mentre una strana sensazione iniziava ad invaderla con la forza di un'onda anomala: sentì la mente svuotarsi, il suo corpo farsi infinitamente più leggero. 
All'improvviso c’era spazio solo per la voce vellutata di Tom, le cui parole parevano avere il valore di oro colato.
“Inginocchiati” ordinava, sembrava quasi gentile, supplicante.
Perché non avrebbe dovuto ascoltarlo? Se era così importante per lui...
Ma qualcosa dentro di lei glielo impedì, ordinandole seccamente di restare in piedi, di rifiutare di piegarsi al suo volere.
Sentì un dolore crescente propagarsi lungo tutto il suo corpo, strappandole un gemito di dolore; infine si ritrovò a terra,  sconvolta e vibrando ancora come scossa da una mano invisibile.
“Mi spiace deluderti, ma d'ora in poi sarà il mondo intero ad inchinarsi dinnanzi all'ultimo erede di Serpeverde” ribadì il giovane con fare risoluto, scostando la bacchetta e lasciandola riversa a terra, intenta a riprendere fiato come dopo una lunga corsa.
Si chinò accanto a lei, sollevandola tra le proprie braccia con facilità.
L'apertura della Camera sanciva l'inizio di una nuova era, Tom lo sapeva.
Ed eccola lì: la sua prima preda, la prima vittima dei suoi desideri.
“Come sei stupida Pearl… rischiare di spezzarti la spina dorsale, pur di non inchinarti a me” disse con straordinaria dolcezza, cullandola delicatamente tra le proprie braccia.
“Non te lo meriti” sibilò la ragazza, ancora affannata, stupendosi di se stessa nel non trovare nemmeno la forza di ribellarsi.
“Forse hai ragione, Pearl. Ma le cose stanno per cambiare” disse, aiutandola ad alzarsi.
Procedette piano, osservando la statua del suo antenato sormontarli con uno sguardo di fuoco.
Ora tutto gli pareva più chiaro, nitido come se stesse seguendo un percorso già scritto e delineato da un copione.
Osservò la figura minuta di Pearl, che pareva combattuta tra il protestare e il tacere, una buffa smorfia nervosa che gli increspava il bel viso.
“Vuoi ripararti, Pearl?”
“Da cosa?”
“Se vieni qui con me ti mostrerò cose che neanche immagini… Ma non ti lascerò più andare via, in nessun modo”
Le tese la mano, offrendole in un solo gesto la possibilità di cambiare definitivamente il suo futuro; non ci sarebbe stato spazio per ripensamenti o cambi di decisione, ne erano entrambi più che consapevoli.
E Tom sorrideva, certo che lei avrebbe infine accetato: era affascinante e terrorizzante al contempo.
E come da lui previso, piano, un passo all volta, Pearl si avvicinò e l’afferrò.
La ragazza non avvertiva più la testa, come se il fluire dei pensieri si fosse arrestato; sentiva solo il proprio cuore battere all'impazzata, rischiando di schizzarle fuori dal petto.
Tom la prese e la strinse a sé con impeto, premendole il viso contro il proprio petto.
“Chiudi gli occhi, e non aprirli per nessun motivo finché non te lo ordino”
Debole, remissiva: quasi non si riconosceva, ma neppure per un attimo le passò per la testa l'idea di trasgredire ad un ordine del ragazzo.
Non appena lo udì parlare nuovamente in quella sua lingua serpeggiante, serrò gli occhi con tanta forza da farsi persino male.
Perché qualcosa di enorme e pesante aveva appena fatto la sua comparsa, cadendo sul terreno facendolo tremare vertiginosamente.
E la creatura sembrava parlare, o perlomeno comunicare: il suo sibilio era aspro e rauco, risuonava così forte da far vibrare persino le pareti
L'avvertiva strisciare debolmente, mentre Tom gli rispondeva: sembrava quasi una conversazione, come se si stessero accordando su qualcosa.
Rimase abbracciata a Tom, inalando il profumo del suo corpo attraverso la divisa, per un tempo che le parve infinetesimale. 
Solo quando la sentì strisciare alle sue spalle, e avvertì il tocco inaspettatamente gentile di Tom sfiorarle il capo si azzardò  si accorse di aver trattenuto il respiro dalla paura.
“Puoi aprire gli occhi” disse il ragazzo ad alta voce.
Quando lo guardò in pieno viso si stupì nel vederlo ridere.
“Che cosa è successo?” chiese la ragazza impietrita.
“Dimmi Pearl... Tu sai perché siamo qui? Sai cosa voleva Serpeverde, vero?”
Per un attimo la giovane credette di non aver capito bene, perché la sola idea che la sua risposta potesse corrispondere al vero era totalmente fuori questione.
“Voleva che l’istruzione qui ad Hogwarts fosse riservata solo ai maghi purosangue...” mormorò.
“Esattamente. Ed è ciò che voglio io, e da ora, direi anche tu” affermò il ragazzo compiaciuto, regalandole un finto buffetto sulla guancia.
Fu solo in quel momento che Pearl riuscì seriamente a realizzare quanto era appena successo.
Con uno scatto orripilato tentò di districarsi dall'abbraccio del giovane, lottando contro di lui colta da un senso di disgusto e orrore.
"Io non voglio! Che cosa hai fatto?!" urlò cercando di colpirlo, riuscendo solo a farlo ridere quando le strinse le braccia fino ad immobilizzarle.
“Tu vuoi Pearl, o perlomeno, vorrai. Sei ufficialmente mia complice ora”
"Non voglio essere tua complice! Io non sono un mostro" sussurrò smarrita, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
Che Tom si premurò subito di asciugare.
"E chi ha parlato di mostri? Qui c'è un solo mostro, ed è quella bestia. Noi stiamo ricostruendo un mondo... vedrai, quando cominceranno gli omicidi, mi ringrazierai"
Lento ed implacabile, il ragazzo la strinse maggiormente a sé, lambendole lentamente il collo in un bacio vittorioso.
Sul suo viso splendeva un sorriso da vincitore, in pieno contrasto con il volto frastornato di Pearl.
L'avrebbe presto vista forte ed orgogliosa, sicura di sé.
Non importava per ora, c'era tempo per ora: era solo l'inizio.
Su Hogwarts calavano le tenebre.


 

COMMENTO AL CAPITOLO
Ogni capitolo di questa storia vuole contenere qualcosa, un significato in più e particolare rispetto agli altri.
Qui ho voluto sottolineare i rapporti tra i ragazzi, sia nei dialogo e nelle lettere, che nello scontro tra Pearl e il personaggio secondario (che ho odiato particolarmente) di Aurelia Fisher.
In più, questo è un capitolo importante non solo per la storia, dove finalmente si introduce al "vivo", ma anche per delineare meglio il carattere dei protagonisti.
Dove Tom Riddle è fiero e sicuro di sè, dalle idee chiare e indubbiamente "cattivo", Pearl invece si mostra come un personaggio molto mutevole: è debole e forte al contempo, ma solo nell'ultimo paragrafo comprende quanto Tom la possa trascinare verso il male. In quanto al loro rapporto... si vedrà ;)
Per la descrizione della Camera sono rimasta fedelissima al libro, e così ho intenzione di fare per la trema nel corso dell'intera storia.

COMMENTO DELL'AUTRICE
Chi si aspettava mesi e mesi di silenzio rimarrà stupito, e lo spero bene! Sarà l'estate, sarà che mi sto affezionando sempre più a questa storia... Casomai avessi commesso errori di grammatica/sintassi/frasi poco convincenti, vi chiedo scusa, ma come sempre provvederò a correggerli il prima possibile.
Ora come ora mi limito a ringraziare   EllyraCherolain e ArgentoSangue.
Un grosso ringraziamento va anche semplicemente a chi ha letto, e ha inserito la storia tra le seguite e le preferite.
Vi auguro una buona serata, e al prossimo capitolo (si spera, molto presto, lol)

Elle H.

   
 
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