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Autore: Forbidden17    17/07/2012    0 recensioni
La magia era sempre esistita per servire gli uomini. Gli stregoni combattevano ai confini del mondo con il loro potere per proteggere l'entroterra dalle orde di progenie demoniaca. Ma cosa accadrebbe se fossero i demoni a controllare gli stregoni, e quindi la magia?
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Visioni
2012 
Luca sedeva annoiato al suo banco di scuola, giocherellando distrattamente con la penna mentre il professore di storia si ostinava a continuare una noiosissima lezione sui longobardi, anche se nessuno lo stava più ascoltando.
Guardò fuori: una leggera brezza estiva giocava con le foglie dei castagni e il sole splendeva anche attraverso le persiane tirate, inondando la stanza di una luce calda e dorata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter uscire da quella prigione di storia e andare al bar a bere qualcosa con i suoi amici.
Era sempre stato un ragazzo un po’ strano: a volte, infatti gli accadevano fatti che risultavano inspiegabili anche per la mente più razionale, anche se mai più di una volta all’anno. 
Quando andava alle elementari il suo banco era di fianco al davanzale dove era posata un’orrenda pianta, che lo infastidiva molto per via delle fronde che gli cadevano addosso al minimo alito di vento; un giorno, non si sa come, la piantà morì imporvvisamente dopo che lui l’aveva spostata.
In prima media, in una partita di palla avvelenata, i giocatori della squadra avversaria non riuscirono mai a prenderlo, nonostante lui stesse completamente fermo; in terza media, invece, era stato ricoverato d’urgenza quando prese una forte scarica elettrica toccando un paletto di legno, che oltretutto non avrebbe dovuto condurre elettricità. 
Questi erano i fatti più eclatanti, ma ve ne furono molti altri, anche se a distanza di anni gli uni dagli altri, e i suoi genitori sembravano capirci quanto lui in quella faccenda, ossia niente di niente.
Stava ancora giocando con la penna quando sentì un pizzicore crescente alla punta delle dita, ma non vi badò, immerso com’era nei suoi pensieri. Ad un tratto scattò a sedere composto gettando di lato la penna, massaggiandosi la dita scottate dalla penna che era inspiegabilmente diventata incandescente.
Ecco, è successo ancora pensò E’ già la terza volta quest’anno.
Alcuni dei suoi compagni avevano alzato lo sguardo, perplessi, ma il gesto non fu notato dalla maggior parte dei presenti, immersi nel torpore più totale, mentre il professore scriveva sulla lavagna.
Finalmente, la campanella suonò con un trillo acuto, risvegliando le menti di tutti. Luca saltò via dalla sedia e rimise in fretta le sue cose nello zaino, raccogliendo tutto e avviandosi verso l’uscita: fuori avrebbe potuto discutere cosa fare con i suoi amici. 
Uscì nell’ancora fresca aria di fine primavera e si guardò attorno, vedendo subito qualcosa che non gli piacque affatto. Un uomo completamente vestito di bianco stava appoggiato a una lussuosa automobile nera, le braccia incrociate al petto, scrutando la piazza da dietro gli occhiali da sole a montatura avvolgente. 
Non seppe dire cosa non gli piaceva in quell’uomo: per quel che ne sapeva, poteva essere un normalissimo padre che aspetta il figlio, eppure… qualcosa non andava, ne era certo.
Dopo averlo scrutato ancora per un secondo, distolse lo sguardo, deciso a non farsi rovinare la giornata, a raggiunse Max, uno dei suoi migliori amici.
“Allora, si fa qualcosa adesso?” chiese, sforzandosi di mantenere un tono contenuto.
“Mi dispiace, ma devo andare al tennis oggi, ho l’allenamento per il torneo di sabato e voglio vincerlo” gli rispose, un po’ indeciso.
“Ah ok, e voi?” chiese poi ad altri due. Dopo aver ricevuto risposte negative da entrambi, il ragazzo li salutò stizzito e si allontanò, dirigendosi verso casa sua. 
Si era già avviato da un po’, quando gli strani pensieri su quell’uomo tornarono ad assalirlo, ma li cacciò in fretta, come si fa con una mosca fastidiosa. 
Iniziava a sentire uno strano freddo insinuarglisi a fondo nelle vertebre, nonstante facesse abbastanza caldo fuori. Era un gelo innaturale, non era fuori, ma dentro di lui.
Inquieto, proseguì per la sua strada, decidendo di svoltare in una strada più piccola per accorciare la strada. D’un tratto, il gelo gli attanagliò lo stomaco, mentre un peso crescente lo costringeva a inginocchiarsi a terra. 
Guardò la strada per cercare aiuto, ma si accorse che era deserta, troppo deserta per essere la normalità, anche sfocata, mentre rumori di un altro mondo gli riempivano le orecchie. Si ritrovò inginocchiato sui camminamenti di spesse mura di pietra, mentre delle orrende creature iniziavano a scalarle con delle grandi scale. Quelle che dovevano essere le guardie si stavano schierando per frontaggiare la minaccia. Urla di panico riecheggiavano dappertutto, mentre i primi mostri raggiungevano i camminamenti, ma venivano scaraventati giù quasi subito da i soldati, che spingevano via le scale per ritardare l’assalto.
“Andate a chiamare il Maestro!” urlò uno di loro.
Alcune guardie annuirono e si ritirarono all’interno da una porta nella torre più vicina. Nel frattempo decine di quelle creature stavano cercando di raggiungere i camminamenti superiori, anche se venivano intercettati e uccisi dalle sentinelle. Poi, una luce intensa illuminò le mura di pietra scura catturando l’attenzione di mostri e soldati, mentre una sfera infuocata enorme si abbatteva su di loro, lasciando ben poco intatto nel raggio di metri. Una seconda sfera di fuoco venne scagliata mentre tutto sfocava nuovamente.
Ora si trovava in una stanza buia con pareti scivolose dalle quali gocciolava acqua. Si alzò in piedi, osservando cosa gli stava intorno e, per la prima volta da quando era iniziato tutto, riuscì a pensare autonomamente.
Cosa stava succedendo? Dove si trovava? E soprattutto, come aveva fatto ad arrivare fin lì?
Prima di riuscire a trovare una risposta a quegli interrogativi, però, qualcosa attirò la sua attenzione: due uomini stavano ritti uno di fronte all’altro, uno con folti capelli bianco argento illuminati da una luce giallo vivo e, dall’altra parte di spesse sbarre di ferro, un altro più giovane e magro, con il volto scavato.
Stavano parlando, anche se non riuscì a udire nient’altro che alcuni frammenti di qualla conversazione.
“Preferisci star qui a morire?” aveva alzato la voce il più vecchio.
Non udì la risposta, ma la luce divenne più intensa, quindi la scena sfocò di nuovo e, prima che Luca se ne accorgesse si ritrovò di fronte a una porta blindata e alte mura di pietra chiarissima, anzi sembrava che fosse un impasto di sabbia a calce. A differenza di prima, era giorno, e ora si trovava in basso, di fianco all’uomo magro e pallido che era stato in quella che, ormai Luca ne era quasi sicuro, era una prigione.
“Te l’ho già detto, ragazzo, non possiamo lasciarti entrare” stava dicendo una guardia dall’alto dei camminamenti. L’uomo in basso sembrava molto irritato, anche se era impossibile dire se era per il fatto che non lo lasciassero entrare o perché lo avevano appena chiamato “ragazzo”.
“Te lo ripeto un’ultima volta, idiota” sibilò, truce. La guardia sgranò gli occhi, sicuramente perplessa dal sentirsi apostrofare in quel modo.
“Devo raggiungere il sacerdote Ylias, è una missione della massima importanza, se non mi lasciate entrare il mondo potrebbe andare a rotoli”.
La sentinella sembrava spazientirsi, anche se un’ombra di sorpresa era comparsa sul suo volto. 
“Ah, allora è questo che devi fare” commentò, beffarda, prima di fare nuovamente un cenno di diniego con la testa. “In ogni caso, non posso lasciarti entrare, la città è stata chiusa da quando il confine orientale è caduto”.
La scena divetò più nitida giusto in tempo per vedere l’ex prigioniero perdere la pazienza e urlare contro la guardia.
“Ma lo vuoi capire o no che io sono qui proprio perchè il confine orientale è caduto? Mi manda il Maestro!” urlò, cieco di rabbia.
“Ora basta! Il maestro potrebbe anche essere morto!” ribattè l’altro, portando minacciosamente la mano all’elsa della spada.
L’uomo che stava cercando di entrare in città si ricompose, sospirando. Non avrebbe tradito la parola data al Maestro, anche se tra loro c’erano stati così tanti diverbi.
“Bene, allora, non mi lasci altra scelta” disse in un sussurro appena percepibile. Non lasciò ai presenti nemmeno il tempo di meravigliarsi di quell’affermazione, né tantomeno quello di reagire che aveva estratto un coltellino d’argento e si era aperto una ferita sull’avambraccio. Il sangue scuro sgorgò copiosamente dalla ferita prima che il suo possessore lo scagliasse con forza contro le mura, che si sbriciolarono con un fragore assordante. 
Luca non poteva crederci: quell’uomo aveva appena utilizzato il suo sangue come un esplosivo per abbattere quelle che dovevano essere mura molto solide. 
Appena realizzarono ciò che era successo, le guardie si gettarono contro l’ex prigioniero, che si strinse addosso una bisaccia di cuoio molto gonfia e scappò in città attraverso il varco che aveva appena creato.
“Non lascerai questa città vivo, demone!” gli urlavano contro, ma la scena si stava già dissolvendo.
Luca tornò pesantemente alla realtà, ricominciando a sentire il peso opprimente che andava tuttavia scemando. Si rimise in piedi, barcollando, e riprese a camminare, scosso e totalmente incapace di pensare.
Svoltò in un vicolo e lo stesso peso di prima lo colpì, lo stesso gelo gli attanagliò le viscere. Terrorizzato, il ragazzo iniziò a correre per lo stradino, prima che qualcosa di grosso e orrendo piombasse su di lui. Era una delle creature che tentavano di risalire i camminamenti delle mura.
Aveva la pelle grigiastra innaturalmente tesa sul cranio, lasciando intravedere alcuni capillari violacei che terminavano sullo spesso collo; al posto della bocca aveva delle fauci spalancate orribilmente, che culminavano sotto un paio di occhi rossi, ardenti come fuochi. 
Per il resto, si poteva scambiare per un essere umano, dato che si reggeva su due gambe, se non fosse per il fatto che aveva una corporatura più alta e robusta di un uomo normale. Indossava una spessa e rozza corazza metallica e portava una piccola ascia appesa alla cintola.
Luca sdrucciolò sul terreno bagnato, cadendo all’indietro, prima che il mostro iniziasse ad avanzare verso di lui, estraendo l’arma e vorticandola di fiando a sé.
Il ragazzo cercò di rimettersi in piedi, ma non ci riuscì, paralizzato dal terrore, mentre la vista si annebbiava e tutto iniziava a sfocare; ormai non sapeva più se ciò che vedeva era reale o solo un’altra allucinazione. 
La creatura lo raggiunse e sollevò l’ascia sopra la testa, le fauci tese in un ghigno, pronta a colpire.
Improvvisamente uno scoppio riportò la vista di Luca a livelli abbastanza buoni per vedere il mostro, in ginocchio, che ululava di dolore, portandosi una mano alla fronte ferita, dalla quale scendevano su tutta la faccia rivoli di sangue chiaro. 
“Forza, muoviti! Dobbiamo andarcene di qui!” una voce rimbombò alle sue spalle, costringendo Luca a voltarsi.
Dietro di lui, l’uomo vestito di bianco si stagliava alla fine del vicolo e avanzava verso di loro, tenendo una pistola nel braccio teso davanti a sé. 
“Potrebbero essercene altri, andiamo!” urlava ancora, mentre il mostro si rimetteva in piedi, urlando tutta la sua rabbia, pronto a colpire ancora. Si era già lanciato su di loro, calando l’ascia, quando un secondo sparo lo centrò in testa ferendolo accanto al primo foro e costringendolo ad arrestarsi.
Questa volta l’uomo in bianco non perse tempo: si gettò su Luca e lo prese per il colletto della maglia, trascinandolo via verso la strada.
Quando la raggiunsero, il ragazzo, ancora stordito, venne scaraventato nell’automobile nera, che ripartì di gran carriera nella strada deserta.
Luca si alzò a sedere sui sedili posteriori e fece uno sforzo immenso per non ricadere pesantemente all’indietro, costringendosi a mettere a fuoco lo sconosciuto, che ora stava rallentando, sicuro di aver messo una distanza sufficiente tra loro e il mostro.
“Chi è lei? Dove mi sta portando?” chiese, appena ebbe realizzato appieno quanto era successo.
“Chi sono io non ha importanza, almeno per ora” rispose, alzando appena la testa, forse per vedere nello specchietto retrovisore. “Per quanto riguarda la destinazione…” continuò “Stiamo andando dal professor Armando Michigan, un noto storico che si trova in città solo di passaggio”.
Luca non capiva: era grato a quell’uomo per averlo salvato dal mostro, ma non riusciva a comprendere perché non l’avesse semplicemente fatto scendere una volta raggiunto un posto sicuro. Per quanto riguardava il professor Michigan, poi, non era nemmeno sicuro di aver capito chi era, dato che non lo aveva mai sentito nominare.
La domanda gli uscì così come l’aveva formulata nella sua testa: “E che c’entro io?”.
L’uomo si tolse gli occhiali scuri e lo guardò esitante, dandogli il tempo di vergognarsi per il tono non proprio grato che aveva utilizzato.
“Non lo so con certezza nemmeno io” disse alla fine “Il professor Michigan mi ha avvertito di tenere gli occhi aperti e di intercettare chiunque si fosse comportato in modo sospetto. Istruzioni singolari, sì” disse poi notando l’espressione incredula del ragazzo “Ma è così. Il professore saprà senz’altro darti le risposte che cerchi”.
“Ma lei come ha fatto a…” provòa dire Luca, perplesso, prima che l’altro lo zittisse con un cenno della mano.
Era molto strano. Prima aveva avuto quelle allucinazioni, così reali e nitide, che però lo avevano fatto stare così male da mozzargli il fiato. Poi era stato aggredito da un’orrenda creatura senza motivo, sopravvivendo per miracolo grazie a un uomo senza nome che si rifiutava di dirgli come aveva fatto a trovarlo e che ora lo stava portando da uno storico di fama internazionale.
Senza quasi che se ne accorgesse l’auto accostò vicino a un marciapiede davanti a un elaborato cancello di ferro battuto. L’uomo spense il motore, uscì e suonò il campanello, quindi attese qualche secondo e poi risalì sulla vettura, entrando nel cortile interno della casa del professore attraverso un vialetto coperto di ghiaia.
La casa di Michigan non era molto grande e il giardino era abbastanza ordinario, tipico di una casa usata solo per un breve soggiorno. La macchina risalì il vialetto fino all’ingresso vero e proprio e si fermò, dando la possibilità ai passeggeri di scendere una volta per tutte. 
Il misterioso uomo scortò Luca dentro la casa fino a quella che sembrava una sala d’attesa: calda e accogliente, con alcune poltrone poggiate su tappeti finemente lavorati e arazzi appesi alle pareti.
“Quando verrai convocato dentro dovrai rivolgerti al professor Michigan con un tono rispettoso, ma non adulatore; dovrai sempre usare la forma di dialogo formale e dargli del lei” elencò lo sconosciuto, sistemandogli gli abiti “parla solo se vieni interpellato e non sederti a meno che non ti venga chiesto di farlo. Buon Dio cerca di rilassarti, ora!”
Luca era rimasto rigido da quando era entrato nella saletta, soprattutto dopo che quel tipo avevo cominciato a ripassargli le buone maniere, come si fa con un bambino. 
Caspita, se questo professore qua pretende tutta sta roba sarà un tipo che all’antica è dire poco! Pensò, ancora frastornato da tutte quelle indicazioni.
L’uomo se ne andò, lasciandolo solo tra le poltroncine che erano improvvisamente diventate dure agli occhi di Luca. Dopo un paio di minuti una voce calma rimbombò nella stanza, invitandolo ad accomodarsi. La prima cosa che vide quando entrò fu proprio il professore, in piedi davanti a una bella scrivania di legno lucido posta su un piano rialzato di fronte a una grande vetrata incorniciata da spesse tende di velluto rosso. I lati dello studio erano rivestiti di librerie e quadri.
“Benvenuto, signor…” esordì Michigan. Era un uomo alto, con una fronte ampia e folti capelli neri e un principio di barba che incorniciavano il volto leggermente segnato.
Luca ci mise un po’ a capire che aveva parlato. “Salgari” disse in fretta, sentendosi immensamente stupido “Luca Salgari, signore”.
“Piacere mio.Ti dispiace se ti chaimo Luca? Bene. Senza dubbio ti chiederai perché sei qui”. 
“In, effetti… sì, signore”
Michigan prese a misurare la stanza a grandi passi, prima di tornare alla scrivania, passando da dietro e sedendosi sulla sedia dall’alto schienale.
“Siediti” disse, accertandosi che il ragazzo avesse obbedito prima di riprendere a parlare. “Ti prego di lasciarmi parlare senza interrompermi finchè non ti dirò che ho finito. Ciò che sto per dirti potrebbe sconvolgere il tuo mondo”.
Luca lo guardò, stupito, chiedendosi cosa fosse di così potenzialmente traumatico da turbarlo così tanto; Michigan, intanto, lo fissava con uno sguardo penetrante.
“Devi sapere Luca, che il potenziale di un essere umano non si ferma alla forza fisica e all’intelligenza. Un essere umano può spingere oltre i confini della propria mente per connettersi con posti molto distanti, e sfruttare le loro energie. Anche se questi posti sono virtualmente irraggiungibili, la mente umana può creare una connessione stretta con uno di essi, non propriamente un posto, però. Direi più una seconda dimensione: lo Spirito.”
Luca lo fissava attonito, cominciando a credere che quell’uomo fosse realmente pazzo, rimanendo tuttavia in ascolto.
“Lo Spirito è una dimensione esterna alla nostra con leggi fisiche completamente diverse: essa è, infatti, permeata da un’energia che non esiste sulla Terra né in nessuna parte del nostro universo, e questo perché è fortemente instabile: non può rimanere fuori dallo Spirito nella sua forma originale, poiché una sola particella di questa energia allo stato puro in questa dimensione darebbe origine a un’esplosione colossale. Questa energia, detta energia spirituale, è però estremamente flessibile; si può trasformare in altre forme di energia e persino in materia, e all’essere umano è concesso questo dono. Cominci a capire, Luca?”
In realtà Luca stava capendo ben poco, anche se in qualce modo quell’idea sembrava talmente assurda da risultare incomprensibile a tutti. Deglutì e inspirò a fondo.
“Mi perdoni, signore, ma no, non ho capito bene cosa intende dire” rispose, vergognandosi un po’.
Michigan fece un sorrisetto. “Naturale. Nemmeno io ci potevo credere, quando l’ho scoperto. In parole più pratiche, gli uomini possono creare una connessione tra la loro mente e lo Spirito per avere accesso all’energia spirituale, quindi utilizzano il loro corpo come mediatore per evitare di farla esplodere e la trasformano prima di espellerla dal corpo. L’energia spirituale può essere trasformata in altre forme di energia: elettrica, termica, nucleare… ed è questo che la rende così dannatamente potente”.
Ora il professore sembrava raggiante, tanto che si era alzato dalla sedia con un gran sorriso stampato sulla faccia.
“Mi perdoni, professore” ripetè Luca, che ora iniziava a perdere sul serio la pazienza, iniziando a sentirsi sempre più preso in giro “Ma non ho mai sentito parlare di questa energia. Se è davvero così potente, dovrebbero cercare di utilizzarla tutti, no?”
“Oh sì, sì certo, ma è proprio questo il punto: tanto potente quanto pericolosa. Sono in pochi a sapere della sua esistenza, attualmente, anche se non è sempre stato così. Coloro che sanno preferiscono tenere il segreto, un po’ perché sanno che nelle mani sbagliate può fare danni incalcolabili e un po’ perché servono anni di allenamento per poterla utilizzare in sicurezza”.
Luca ora sembrava l’esatto opposto di Michigan: l’uno così cupo e sospettoso, l’altro tanto allegro quanto, almeno in apparenza, delirante. Il professore parve comprendere i dubbi del giovane, tanto che il sorriso svanì dal suo volto con la rapidità di un fulmine.
“Non mi credi, vero? Disse, con voce stranamente roca. Luca non rispose. “Mi credi, ragazzo?” chiese ancora con voce più alta.
“No, signore”.
“Lo sospettavo. Di norma non dovrei farlo, ma farò un’eccezione. Lascia che ti mostri il potere dell’energia spirituale”.
Michigan si alzò, stese il braccio e chiuse la mano a pugno. D’un tratto la aprì di scatto e da essa si sprigionarono alte fiamme aranciate, che si contorsero nell’aria e presero a muoversi attorno a loro, disegnando ampi cerchi nello studio. Luca balzò in piedi, terrorizzato, e indietreggiò verso la scrivania, prima che le fiamme svanissero con in sibilo.
“Lei è pazzo!” urlò, iniziando a correre verso la porta, ma qualcosa lo bloccò. In un primo momento pensò che fosse il professore a tenerlo da dietro, ma poi si accorse che non si era mosso dalla sua posizione davanti alla scrivania, e che teneva un braccio puntato verso di lui.
Una forza invisibile lo costrinse a tornare indietro fluttuando e lo depositò sulla sedia, impedendogli ancora una volta di muoversi.
“Perdonami, Luca, ma è una misura necessaria: non voglio che scappi prima che ti abbia detto tutto” si sedette, incrociando le dita davanti al mento.
“Io non sono pazzo” continuò il professore, fissandolo negli occhi. “Sono solo una persona che ha imparato ha utilizzare l’energia spirituale in modo sicuro. Normalmente non do prova delle mie capacità a nessuno, ma tu sei un’eccezione. Vedi Luca… tu hai un dono, un dono poco comune invero. Si tratta dell’Extrasenso, la capacità di apprendere le cose molto più in fretta rispetto agli altri”.
“Lei si sbaglia, non  ho nessun dono” ribattè il ragazzo, astioso. Michigan ridacchiò, divertito.
“No? Pensa, vai bene a scuola, giusto? E studi molto?”.
Era la prima volta che ci pensava, ma in effetti non aveva mai studiato granchè, nonostante i suoi voti fossero brillanti in tutte le materie. Aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza aver detto nulla.
Il professore si rilassò sulla sedia. “L’Extrasenso è una dote già abbastanza rara di per sé, ma c’è un motivo se sono pochissime le persone che ce l’hanno. Questa abilità può creare connessioni accidentali con lo Spirito, in momenti di debolezza mentale data da un’emozione forte, e queste connessioni non controllate possono avere effetti… spiacevoli, ecco.”
Luca gli rivolse uno sguardo interrogativo. “Se davvero creano connessioni non sotto controllo, l’energia dovrebbe esplodere” rispose, scettico. Aveva deciso che, per il momento, gli avrebbe dato corda.
“Oh no, una connessione non controllata riversa una piccola parte di energia nel corpo, non fuori” rispose Michigan, fissandosi le dita “Solo che le persone, specie in giovane età, possono trasformarla per errore in energia elettrica o termica, morendo bruciati o fulminati… nelle ipotesi migliori. Non sono stati pochi gli incendi generati in questo modo. Tu hai l’Extrasenso, Luca, ed è già un miracolo che tu sia sopravvissuto fino ad adesso”.
“No, non è vero” boccheggiò Luca, ormai non più tanto sicuro nemmeno di ciò che diceva. Si alzò dalla sedia, improvvisamente felice che i lacci invisibili che lo tenevano bloccato si fossero sciolti.
“Lei si sbaglia” ripetè, più a se stesso che all’altro, dirigendosi verso la porta.
“Ah davvero?” fece Michigan, ridacchiando. “Pensaci: non ti capita mai nulla di strano, nulla che non riesci a spiegare?”. Luca si bloccò, ma riprese quasi subito a camminare, più dubbioso hce mai.
“Pensaci, Luca… non puoi ignorare l’evidenza, tu hai l’Extrasenso, e per questo solo tu mi puoi aiutare…”.
Il ragazzo uscì sbattendo la porta, ma le parole del professore lo inseguirono anche molto dopo che ebbe lasciato la casa, anche dopo che iniziò la discesa dal vialetto coperto di ghiaia. L’uomo misterioso era sparito.
Possibile che quel professore da strapazzo avesse ragione? Possibile che sotto quel mare di stupidaggini ci fosse una punta di verità? La storia dell’energia spirituale era a dir poco assurda, ma quel tipo aveva quasi fatto scoppiare un incendio nello studio solo con una mano. Un trucco, senz’altro… ma la favoletta sull’Extrasenso? Tanto favoletta non era, dato che, in effetti, Luca apprendeva le cose molto più velocemente del normale che dato che gli erano successi molti fatti inspiegabili. 
In ogni caso, ora non poteva rispondere a quelle domande, ma non potè fare a meno di farsi un appunto mentale sul professor Michigan quando uscì dai cancelli in ferro battuto con mille interrogativi per la testa.
Continua…

Visioni

 

2012

 

Luca sedeva annoiato al suo banco di scuola, giocherellando distrattamente con la penna mentre il professore di storia si ostinava a continuare una noiosissima lezione sui longobardi, anche se nessuno lo stava più ascoltando.

Guardò fuori: una leggera brezza estiva giocava con le foglie dei castagni e il sole splendeva anche attraverso le persiane tirate, inondando la stanza di una luce calda e dorata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter uscire da quella prigione di storia e andare al bar a bere qualcosa con i suoi amici.

Era sempre stato un ragazzo un po’ strano: a volte, infatti gli accadevano fatti che risultavano inspiegabili anche per la mente più razionale, anche se mai più di una volta all’anno.

Quando andava alle elementari il suo banco era di fianco al davanzale dove era posata un’orrenda pianta, che lo infastidiva molto per via delle fronde che gli cadevano addosso al minimo alito di vento; un giorno, non si sa come, la piantà morì imporvvisamente dopo che lui l’aveva spostata.

In prima media, in una partita di palla avvelenata, i giocatori della squadra avversaria non riuscirono mai a prenderlo, nonostante lui stesse completamente fermo; in terza media, invece, era stato ricoverato d’urgenza quando prese una forte scarica elettrica toccando un paletto di legno, che oltretutto non avrebbe dovuto condurre elettricità.

Questi erano i fatti più eclatanti, ma ve ne furono molti altri, anche se a distanza di anni gli uni dagli altri, e i suoi genitori sembravano capirci quanto lui in quella faccenda, ossia niente di niente.

Stava ancora giocando con la penna quando sentì un pizzicore crescente alla punta delle dita, ma non vi badò, immerso com’era nei suoi pensieri. Ad un tratto scattò a sedere composto gettando di lato la penna, massaggiandosi la dita scottate dalla penna che era inspiegabilmente diventata incandescente.

Ecco, è successo ancora pensò E’ già la terza volta quest’anno.

Alcuni dei suoi compagni avevano alzato lo sguardo, perplessi, ma il gesto non fu notato dalla maggior parte dei presenti, immersi nel torpore più totale, mentre il professore scriveva sulla lavagna.

Finalmente, la campanella suonò con un trillo acuto, risvegliando le menti di tutti. Luca saltò via dalla sedia e rimise in fretta le sue cose nello zaino, raccogliendo tutto e avviandosi verso l’uscita: fuori avrebbe potuto discutere cosa fare con i suoi amici.

Uscì nell’ancora fresca aria di fine primavera e si guardò attorno, vedendo subito qualcosa che non gli piacque affatto. Un uomo completamente vestito di bianco stava appoggiato a una lussuosa automobile nera, le braccia incrociate al petto, scrutando la piazza da dietro gli occhiali da sole a montatura avvolgente.

Non seppe dire cosa non gli piaceva in quell’uomo: per quel che ne sapeva, poteva essere un normalissimo padre che aspetta il figlio, eppure… qualcosa non andava, ne era certo.

Dopo averlo scrutato ancora per un secondo, distolse lo sguardo, deciso a non farsi rovinare la giornata, a raggiunse Max, uno dei suoi migliori amici.

“Allora, si fa qualcosa adesso?” chiese, sforzandosi di mantenere un tono contenuto.

“Mi dispiace, ma devo andare al tennis oggi, ho l’allenamento per il torneo di sabato e voglio vincerlo” gli rispose, un po’ indeciso.

“Ah ok, e voi?” chiese poi ad altri due. Dopo aver ricevuto risposte negative da entrambi, il ragazzo li salutò stizzito e si allontanò, dirigendosi verso casa sua.

Si era già avviato da un po’, quando gli strani pensieri su quell’uomo tornarono ad assalirlo, ma li cacciò in fretta, come si fa con una mosca fastidiosa.

Iniziava a sentire uno strano freddo insinuarglisi a fondo nelle vertebre, nonstante facesse abbastanza caldo fuori. Era un gelo innaturale, non era fuori, ma dentro di lui.

Inquieto, proseguì per la sua strada, decidendo di svoltare in una strada più piccola per accorciare la strada. D’un tratto, il gelo gli attanagliò lo stomaco, mentre un peso crescente lo costringeva a inginocchiarsi a terra.

Guardò la strada per cercare aiuto, ma si accorse che era deserta, troppo deserta per essere la normalità, anche sfocata, mentre rumori di un altro mondo gli riempivano le orecchie. Si ritrovò inginocchiato sui camminamenti di spesse mura di pietra, mentre delle orrende creature iniziavano a scalarle con delle grandi scale. Quelle che dovevano essere le guardie si stavano schierando per frontaggiare la minaccia. Urla di panico riecheggiavano dappertutto, mentre i primi mostri raggiungevano i camminamenti, ma venivano scaraventati giù quasi subito da i soldati, che spingevano via le scale per ritardare l’assalto.

“Andate a chiamare il Maestro!” urlò uno di loro.

Alcune guardie annuirono e si ritirarono all’interno da una porta nella torre più vicina. Nel frattempo decine di quelle creature stavano cercando di raggiungere i camminamenti superiori, anche se venivano intercettati e uccisi dalle sentinelle. Poi, una luce intensa illuminò le mura di pietra scura catturando l’attenzione di mostri e soldati, mentre una sfera infuocata enorme si abbatteva su di loro, lasciando ben poco intatto nel raggio di metri. Una seconda sfera di fuoco venne scagliata mentre tutto sfocava nuovamente.

Ora si trovava in una stanza buia con pareti scivolose dalle quali gocciolava acqua. Si alzò in piedi, osservando cosa gli stava intorno e, per la prima volta da quando era iniziato tutto, riuscì a pensare autonomamente.

Cosa stava succedendo? Dove si trovava? E soprattutto, come aveva fatto ad arrivare fin lì?

Prima di riuscire a trovare una risposta a quegli interrogativi, però, qualcosa attirò la sua attenzione: due uomini stavano ritti uno di fronte all’altro, uno con folti capelli bianco argento illuminati da una luce giallo vivo e, dall’altra parte di spesse sbarre di ferro, un altro più giovane e magro, con il volto scavato.

Stavano parlando, anche se non riuscì a udire nient’altro che alcuni frammenti di qualla conversazione.

“Preferisci star qui a morire?” aveva alzato la voce il più vecchio.

Non udì la risposta, ma la luce divenne più intensa, quindi la scena sfocò di nuovo e, prima che Luca se ne accorgesse si ritrovò di fronte a una porta blindata e alte mura di pietra chiarissima, anzi sembrava che fosse un impasto di sabbia a calce. A differenza di prima, era giorno, e ora si trovava in basso, di fianco all’uomo magro e pallido che era stato in quella che, ormai Luca ne era quasi sicuro, era una prigione.

“Te l’ho già detto, ragazzo, non possiamo lasciarti entrare” stava dicendo una guardia dall’alto dei camminamenti. L’uomo in basso sembrava molto irritato, anche se era impossibile dire se era per il fatto che non lo lasciassero entrare o perché lo avevano appena chiamato “ragazzo”.

“Te lo ripeto un’ultima volta, idiota” sibilò, truce. La guardia sgranò gli occhi, sicuramente perplessa dal sentirsi apostrofare in quel modo.

“Devo raggiungere il sacerdote Ylias, è una missione della massima importanza, se non mi lasciate entrare il mondo potrebbe andare a rotoli”.

La sentinella sembrava spazientirsi, anche se un’ombra di sorpresa era comparsa sul suo volto.

“Ah, allora è questo che devi fare” commentò, beffarda, prima di fare nuovamente un cenno di diniego con la testa. “In ogni caso, non posso lasciarti entrare, la città è stata chiusa da quando il confine orientale è caduto”.

La scena divetò più nitida giusto in tempo per vedere l’ex prigioniero perdere la pazienza e urlare contro la guardia.

“Ma lo vuoi capire o no che io sono qui proprio perchè il confine orientale è caduto? Mi manda il Maestro!” urlò, cieco di rabbia.

“Ora basta! Il maestro potrebbe anche essere morto!” ribattè l’altro, portando minacciosamente la mano all’elsa della spada.

L’uomo che stava cercando di entrare in città si ricompose, sospirando. Non avrebbe tradito la parola data al Maestro, anche se tra loro c’erano stati così tanti diverbi.

“Bene, allora, non mi lasci altra scelta” disse in un sussurro appena percepibile. Non lasciò ai presenti nemmeno il tempo di meravigliarsi di quell’affermazione, né tantomeno quello di reagire che aveva estratto un coltellino d’argento e si era aperto una ferita sull’avambraccio. Il sangue scuro sgorgò copiosamente dalla ferita prima che il suo possessore lo scagliasse con forza contro le mura, che si sbriciolarono con un fragore assordante.

Luca non poteva crederci: quell’uomo aveva appena utilizzato il suo sangue come un esplosivo per abbattere quelle che dovevano essere mura molto solide.

Appena realizzarono ciò che era successo, le guardie si gettarono contro l’ex prigioniero, che si strinse addosso una bisaccia di cuoio molto gonfia e scappò in città attraverso il varco che aveva appena creato.

“Non lascerai questa città vivo, demone!” gli urlavano contro, ma la scena si stava già dissolvendo.

Luca tornò pesantemente alla realtà, ricominciando a sentire il peso opprimente che andava tuttavia scemando. Si rimise in piedi, barcollando, e riprese a camminare, scosso e totalmente incapace di pensare.

Svoltò in un vicolo e lo stesso peso di prima lo colpì, lo stesso gelo gli attanagliò le viscere. Terrorizzato, il ragazzo iniziò a correre per lo stradino, prima che qualcosa di grosso e orrendo piombasse su di lui. Era una delle creature che tentavano di risalire i camminamenti delle mura.

Aveva la pelle grigiastra innaturalmente tesa sul cranio, lasciando intravedere alcuni capillari violacei che terminavano sullo spesso collo; al posto della bocca aveva delle fauci spalancate orribilmente, che culminavano sotto un paio di occhi rossi, ardenti come fuochi.

Per il resto, si poteva scambiare per un essere umano, dato che si reggeva su due gambe, se non fosse per il fatto che aveva una corporatura più alta e robusta di un uomo normale. Indossava una spessa e rozza corazza metallica e portava una piccola ascia appesa alla cintola.

Luca sdrucciolò sul terreno bagnato, cadendo all’indietro, prima che il mostro iniziasse ad avanzare verso di lui, estraendo l’arma e vorticandola di fiando a sé.

Il ragazzo cercò di rimettersi in piedi, ma non ci riuscì, paralizzato dal terrore, mentre la vista si annebbiava e tutto iniziava a sfocare; ormai non sapeva più se ciò che vedeva era reale o solo un’altra allucinazione.

La creatura lo raggiunse e sollevò l’ascia sopra la testa, le fauci tese in un ghigno, pronta a colpire.

Improvvisamente uno scoppio riportò la vista di Luca a livelli abbastanza buoni per vedere il mostro, in ginocchio, che ululava di dolore, portandosi una mano alla fronte ferita, dalla quale scendevano su tutta la faccia rivoli di sangue chiaro.

“Forza, muoviti! Dobbiamo andarcene di qui!” una voce rimbombò alle sue spalle, costringendo Luca a voltarsi.

Dietro di lui, l’uomo vestito di bianco si stagliava alla fine del vicolo e avanzava verso di loro, tenendo una pistola nel braccio teso davanti a sé.

“Potrebbero essercene altri, andiamo!” urlava ancora, mentre il mostro si rimetteva in piedi, urlando tutta la sua rabbia, pronto a colpire ancora. Si era già lanciato su di loro, calando l’ascia, quando un secondo sparo lo centrò in testa ferendolo accanto al primo foro e costringendolo ad arrestarsi.

Questa volta l’uomo in bianco non perse tempo: si gettò su Luca e lo prese per il colletto della maglia, trascinandolo via verso la strada.

Quando la raggiunsero, il ragazzo, ancora stordito, venne scaraventato nell’automobile nera, che ripartì di gran carriera nella strada deserta.

Luca si alzò a sedere sui sedili posteriori e fece uno sforzo immenso per non ricadere pesantemente all’indietro, costringendosi a mettere a fuoco lo sconosciuto, che ora stava rallentando, sicuro di aver messo una distanza sufficiente tra loro e il mostro.

“Chi è lei? Dove mi sta portando?” chiese, appena ebbe realizzato appieno quanto era successo.

“Chi sono io non ha importanza, almeno per ora” rispose, alzando appena la testa, forse per vedere nello specchietto retrovisore. “Per quanto riguarda la destinazione…” continuò “Stiamo andando dal professor Armando Michigan, un noto storico che si trova in città solo di passaggio”.

Luca non capiva: era grato a quell’uomo per averlo salvato dal mostro, ma non riusciva a comprendere perché non l’avesse semplicemente fatto scendere una volta raggiunto un posto sicuro. Per quanto riguardava il professor Michigan, poi, non era nemmeno sicuro di aver capito chi era, dato che non lo aveva mai sentito nominare.

La domanda gli uscì così come l’aveva formulata nella sua testa: “E che c’entro io?”.

L’uomo si tolse gli occhiali scuri e lo guardò esitante, dandogli il tempo di vergognarsi per il tono non proprio grato che aveva utilizzato.

“Non lo so con certezza nemmeno io” disse alla fine “Il professor Michigan mi ha avvertito di tenere gli occhi aperti e di intercettare chiunque si fosse comportato in modo sospetto. Istruzioni singolari, sì” disse poi notando l’espressione incredula del ragazzo “Ma è così. Il professore saprà senz’altro darti le risposte che cerchi”.

“Ma lei come ha fatto a…” provòa dire Luca, perplesso, prima che l’altro lo zittisse con un cenno della mano.

Era molto strano. Prima aveva avuto quelle allucinazioni, così reali e nitide, che però lo avevano fatto stare così male da mozzargli il fiato. Poi era stato aggredito da un’orrenda creatura senza motivo, sopravvivendo per miracolo grazie a un uomo senza nome che si rifiutava di dirgli come aveva fatto a trovarlo e che ora lo stava portando da uno storico di fama internazionale.

Senza quasi che se ne accorgesse l’auto accostò vicino a un marciapiede davanti a un elaborato cancello di ferro battuto. L’uomo spense il motore, uscì e suonò il campanello, quindi attese qualche secondo e poi risalì sulla vettura, entrando nel cortile interno della casa del professore attraverso un vialetto coperto di ghiaia.

La casa di Michigan non era molto grande e il giardino era abbastanza ordinario, tipico di una casa usata solo per un breve soggiorno. La macchina risalì il vialetto fino all’ingresso vero e proprio e si fermò, dando la possibilità ai passeggeri di scendere una volta per tutte.

Il misterioso uomo scortò Luca dentro la casa fino a quella che sembrava una sala d’attesa: calda e accogliente, con alcune poltrone poggiate su tappeti finemente lavorati e arazzi appesi alle pareti.

“Quando verrai convocato dentro dovrai rivolgerti al professor Michigan con un tono rispettoso, ma non adulatore; dovrai sempre usare la forma di dialogo formale e dargli del lei” elencò lo sconosciuto, sistemandogli gli abiti “parla solo se vieni interpellato e non sederti a meno che non ti venga chiesto di farlo. Buon Dio cerca di rilassarti, ora!”

Luca era rimasto rigido da quando era entrato nella saletta, soprattutto dopo che quel tipo avevo cominciato a ripassargli le buone maniere, come si fa con un bambino.

Caspita, se questo professore qua pretende tutta sta roba sarà un tipo che all’antica è dire poco! Pensò, ancora frastornato da tutte quelle indicazioni.

L’uomo se ne andò, lasciandolo solo tra le poltroncine che erano improvvisamente diventate dure agli occhi di Luca. Dopo un paio di minuti una voce calma rimbombò nella stanza, invitandolo ad accomodarsi. La prima cosa che vide quando entrò fu proprio il professore, in piedi davanti a una bella scrivania di legno lucido posta su un piano rialzato di fronte a una grande vetrata incorniciata da spesse tende di velluto rosso. I lati dello studio erano rivestiti di librerie e quadri.

“Benvenuto, signor…” esordì Michigan. Era un uomo alto, con una fronte ampia e folti capelli neri e un principio di barba che incorniciavano il volto leggermente segnato.

Luca ci mise un po’ a capire che aveva parlato. “Salgari” disse in fretta, sentendosi immensamente stupido “Luca Salgari, signore”.

“Piacere mio.Ti dispiace se ti chaimo Luca? Bene. Senza dubbio ti chiederai perché sei qui”.

“In, effetti… sì, signore”

Michigan prese a misurare la stanza a grandi passi, prima di tornare alla scrivania, passando da dietro e sedendosi sulla sedia dall’alto schienale.

“Siediti” disse, accertandosi che il ragazzo avesse obbedito prima di riprendere a parlare. “Ti prego di lasciarmi parlare senza interrompermi finchè non ti dirò che ho finito. Ciò che sto per dirti potrebbe sconvolgere il tuo mondo”.

Luca lo guardò, stupito, chiedendosi cosa fosse di così potenzialmente traumatico da turbarlo così tanto; Michigan, intanto, lo fissava con uno sguardo penetrante.

“Devi sapere Luca, che il potenziale di un essere umano non si ferma alla forza fisica e all’intelligenza. Un essere umano può spingere oltre i confini della propria mente per connettersi con posti molto distanti, e sfruttare le loro energie. Anche se questi posti sono virtualmente irraggiungibili, la mente umana può creare una connessione stretta con uno di essi, non propriamente un posto, però. Direi più una seconda dimensione: lo Spirito.”

Luca lo fissava attonito, cominciando a credere che quell’uomo fosse realmente pazzo, rimanendo tuttavia in ascolto.

“Lo Spirito è una dimensione esterna alla nostra con leggi fisiche completamente diverse: essa è, infatti, permeata da un’energia che non esiste sulla Terra né in nessuna parte del nostro universo, e questo perché è fortemente instabile: non può rimanere fuori dallo Spirito nella sua forma originale, poiché una sola particella di questa energia allo stato puro in questa dimensione darebbe origine a un’esplosione colossale. Questa energia, detta energia spirituale, è però estremamente flessibile; si può trasformare in altre forme di energia e persino in materia, e all’essere umano è concesso questo dono. Cominci a capire, Luca?”

In realtà Luca stava capendo ben poco, anche se in qualce modo quell’idea sembrava talmente assurda da risultare incomprensibile a tutti. Deglutì e inspirò a fondo.

“Mi perdoni, signore, ma no, non ho capito bene cosa intende dire” rispose, vergognandosi un po’.

Michigan fece un sorrisetto. “Naturale. Nemmeno io ci potevo credere, quando l’ho scoperto. In parole più pratiche, gli uomini possono creare una connessione tra la loro mente e lo Spirito per avere accesso all’energia spirituale, quindi utilizzano il loro corpo come mediatore per evitare di farla esplodere e la trasformano prima di espellerla dal corpo. L’energia spirituale può essere trasformata in altre forme di energia: elettrica, termica, nucleare… ed è questo che la rende così dannatamente potente”.

Ora il professore sembrava raggiante, tanto che si era alzato dalla sedia con un gran sorriso stampato sulla faccia.

“Mi perdoni, professore” ripetè Luca, che ora iniziava a perdere sul serio la pazienza, iniziando a sentirsi sempre più preso in giro “Ma non ho mai sentito parlare di questa energia. Se è davvero così potente, dovrebbero cercare di utilizzarla tutti, no?”

“Oh sì, sì certo, ma è proprio questo il punto: tanto potente quanto pericolosa. Sono in pochi a sapere della sua esistenza, attualmente, anche se non è sempre stato così. Coloro che sanno preferiscono tenere il segreto, un po’ perché sanno che nelle mani sbagliate può fare danni incalcolabili e un po’ perché servono anni di allenamento per poterla utilizzare in sicurezza”.

Luca ora sembrava l’esatto opposto di Michigan: l’uno così cupo e sospettoso, l’altro tanto allegro quanto, almeno in apparenza, delirante. Il professore parve comprendere i dubbi del giovane, tanto che il sorriso svanì dal suo volto con la rapidità di un fulmine.

“Non mi credi, vero? Disse, con voce stranamente roca. Luca non rispose. “Mi credi, ragazzo?” chiese ancora con voce più alta.

“No, signore”.

“Lo sospettavo. Di norma non dovrei farlo, ma farò un’eccezione. Lascia che ti mostri il potere dell’energia spirituale”.

Michigan si alzò, stese il braccio e chiuse la mano a pugno. D’un tratto la aprì di scatto e da essa si sprigionarono alte fiamme aranciate, che si contorsero nell’aria e presero a muoversi attorno a loro, disegnando ampi cerchi nello studio. Luca balzò in piedi, terrorizzato, e indietreggiò verso la scrivania, prima che le fiamme svanissero con in sibilo.

“Lei è pazzo!” urlò, iniziando a correre verso la porta, ma qualcosa lo bloccò. In un primo momento pensò che fosse il professore a tenerlo da dietro, ma poi si accorse che non si era mosso dalla sua posizione davanti alla scrivania, e che teneva un braccio puntato verso di lui.

Una forza invisibile lo costrinse a tornare indietro fluttuando e lo depositò sulla sedia, impedendogli ancora una volta di muoversi.

“Perdonami, Luca, ma è una misura necessaria: non voglio che scappi prima che ti abbia detto tutto” si sedette, incrociando le dita davanti al mento.

“Io non sono pazzo” continuò il professore, fissandolo negli occhi. “Sono solo una persona che ha imparato ha utilizzare l’energia spirituale in modo sicuro. Normalmente non do prova delle mie capacità a nessuno, ma tu sei un’eccezione. Vedi Luca… tu hai un dono, un dono poco comune invero. Si tratta dell’Extrasenso, la capacità di apprendere le cose molto più in fretta rispetto agli altri”.

“Lei si sbaglia, non  ho nessun dono” ribattè il ragazzo, astioso. Michigan ridacchiò, divertito.

“No? Pensa, vai bene a scuola, giusto? E studi molto?”.

Era la prima volta che ci pensava, ma in effetti non aveva mai studiato granchè, nonostante i suoi voti fossero brillanti in tutte le materie. Aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza aver detto nulla.

Il professore si rilassò sulla sedia. “L’Extrasenso è una dote già abbastanza rara di per sé, ma c’è un motivo se sono pochissime le persone che ce l’hanno. Questa abilità può creare connessioni accidentali con lo Spirito, in momenti di debolezza mentale data da un’emozione forte, e queste connessioni non controllate possono avere effetti… spiacevoli, ecco.”

Luca gli rivolse uno sguardo interrogativo. “Se davvero creano connessioni non sotto controllo, l’energia dovrebbe esplodere” rispose, scettico. Aveva deciso che, per il momento, gli avrebbe dato corda.

“Oh no, una connessione non controllata riversa una piccola parte di energia nel corpo, non fuori” rispose Michigan, fissandosi le dita “Solo che le persone, specie in giovane età, possono trasformarla per errore in energia elettrica o termica, morendo bruciati o fulminati… nelle ipotesi migliori. Non sono stati pochi gli incendi generati in questo modo. Tu hai l’Extrasenso, Luca, ed è già un miracolo che tu sia sopravvissuto fino ad adesso”.

“No, non è vero” boccheggiò Luca, ormai non più tanto sicuro nemmeno di ciò che diceva. Si alzò dalla sedia, improvvisamente felice che i lacci invisibili che lo tenevano bloccato si fossero sciolti.

“Lei si sbaglia” ripetè, più a se stesso che all’altro, dirigendosi verso la porta.

“Ah davvero?” fece Michigan, ridacchiando. “Pensaci: non ti capita mai nulla di strano, nulla che non riesci a spiegare?”. Luca si bloccò, ma riprese quasi subito a camminare, più dubbioso hce mai.

“Pensaci, Luca… non puoi ignorare l’evidenza, tu hai l’Extrasenso, e per questo solo tu mi puoi aiutare…”.

Il ragazzo uscì sbattendo la porta, ma le parole del professore lo inseguirono anche molto dopo che ebbe lasciato la casa, anche dopo che iniziò la discesa dal vialetto coperto di ghiaia. L’uomo misterioso era sparito.

Possibile che quel professore da strapazzo avesse ragione? Possibile che sotto quel mare di stupidaggini ci fosse una punta di verità? La storia dell’energia spirituale era a dir poco assurda, ma quel tipo aveva quasi fatto scoppiare un incendio nello studio solo con una mano. Un trucco, senz’altro… ma la favoletta sull’Extrasenso? Tanto favoletta non era, dato che, in effetti, Luca apprendeva le cose molto più velocemente del normale che dato che gli erano successi molti fatti inspiegabili.

In ogni caso, ora non poteva rispondere a quelle domande, ma non potè fare a meno di farsi un appunto mentale sul professor Michigan quando uscì dai cancelli in ferro battuto con mille interrogativi per la testa.

 

Continua…

 

  
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