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Autore: Polveredigente    18/07/2012    6 recensioni
E' una notte silenziosa ad Hamilton.
Una solita e nevosa notte nel cuore del Canada.
Il mondo tace, solo qualche animale lontano rincorre la propria preda, un ululato squarcia il silenzio, chi rivedrà la luce del sole?
Io scommetto sul più grande, qualsiasi cosa sia.
E' una notte silenziosa ad Hamilton ed una ragazza è pronta a cambiare vita, ancora una volta, ma lei ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Why I am so happy?




Gli occhi sono saldamente chiusi e sento il leggero fruscio delle lenzuola contro la pelle nuda delle gambe ma ciò che il mio sguardo trova è solo un mare immenso e buio come l’inchiostro, la luna, troppo grande e vicina, è alta in cielo e disegna un cerchio perfetto che illumina fiocamente la macchia scura che si estende davanti a me. Una mano si alza automaticamente come a voler sfiorare quello spettacolo ma trova un ostacolo freddo e liscio: un vetro.
Mi rendo conto solo adesso di aver lasciato completamente il mio corpo, lo capisco guardando i miei vestiti e soprattutto frugando tra i miei ricordi, sono pieni d’amore, di gioia, di vita. 
Sono in un sogno, in una delle tante fantasie che la mia mente crea, e non mi resta nient’altro che viverla e affrontarla, è un sogno certo, ma odio non poter agire come vorrei io, è la mia mente che comanda, io sono solo un manichino di me stessa in fin dei conti. 
Spazientita da questa situazione mi guardo intorno in cerca di qualche via di fuga, ma sono intrappolata in una teca, una teca di vetro posizionata in aria, a qualche decina di metri da una scogliera alta e rocciosa che termina con una parete ripida e a strapiombo sul mare.
La paura delle altezze non è mai stata tra le mie fobie, ma non riesco a smettere di tremare e di guardarmi intorno, cerco di non fissare le onde che si infrangono contro gli scogli sotto di me e soprattutto di non immaginare la mia testa contro quel muro di roccia, ma poi sento un rumore provenire da sotto i miei piedi e il mio sguardo inizia immediatamente una ricerca disperata.
Un ragazzo dai capelli scuri avanza a petto nudo verso il precipizio, indossa solo un paio di pantaloni, non riesco a riconoscere il suo viso, e tantomeno qualche altro particolare, sembra che cammini a occhi chiusi, intravedo un piccolo sorriso, si ferma a pochi passi dall’oblio, sembra quasi risplendere di luce propria, come se anche lui emanasse un debole bagliore, ed i suoi occhi per un istante si aprono per fissare l’orizzonte, poi allarga le spalle e si butta.
Un urlo sgorga spontaneo dalla mia gola, è straziante, prolungato, acuto, quasi non mi rendo conto che proviene da me fin quando non sento le pareti della gola bruciare ed i pugni chiusi e dati contro il vetro più volte dolere, spalanco gli occhi, il mare è ancora nero, la luna ancora alta ed il cielo ancora plumbeo, ma ciò che vedo davanti a me mi fa sorridere. 
Distrutta cado in un angolo e raccolgo le ginocchia al petto, guardo l’orizzonte e sorrido,  non è finita, non finirà mai. La scarica di ottimismo che mi invade però, per la prima volta in tutta la mia vita, non appartiene al sogno, alla ragazza che desidererei essere, appartiene a me. Il ragazzo è vivo.

 
 
"Quando mi dirai che cazzo hai sarò contenta." Sono in un silenzio completo da quando mi sono svegliata, Danielle è esuberante come al solito, ma non riesco a concentrarmi sulla sua voce, la sento ma è come se non arrivasse del tutto al cervello, si ferma nelle orecchie e lì continua a rimbombare mentre mi prende a parolacce o mi maltratta. "Quando ti passerà il mutismo chiamami." La testa mi penzola distrattamente ad ogni curva, ad ogni dosso, ad ogni pensiero eccessivamente pesante che la mente produce. Il sogno di questa notte mi ritorna in testa continuamente, una scena di un film che ti è piaciuta troppo, il ritornello di una canzone che ti ronza in testa anche se in verità l'hai sentito solo una volta in televisione, la frase di un libro che ti emoziona dalla prima lettura.
I sogni accompagnano la mia vita da sempre, non c'è giorno importante a cui non associ un sogno, delle volte sono stupidi, insensati, delle volte li sento come premunizioni, delle volte sono semplici immagini, veri e propri sogni, desideri, favole. Come ogni altra cosa però, anche i sogni fatti ad Hamilton sono ricoperti da uno strato spesso e pesante di polvere, e sinceramente non ho nessuna intenzione di armarmi di straccio e pazienza per ripulire i miei ricordi, ma di una cosa sono certa tutti i sogni che mi perseguitano da quasi una vita non mi hanno mai resa felice. Mi trasmettevano ansia, forse paura, tristezza, angoscia, delle volte potevo anche svegliarmi con un sorriso in faccia magari divertita dell’ennesimo principe a cavallo, ma felice, felice davvero, felice come adesso mai. Fino a qualche giorno fa sbarravo gli occhi e storcevo la bocca leggendo aforismi e citazioni che spesso legavano la felicità al senso della vita, e adesso povera stupida quelle stesse frasi mi sfilano in testa accompagnate da quelle immagini e da quell’assurda felicità.
Sono felice.
E credo sia la prima volta nella mia vita.
Ho tutto ciò di cui ho bisogno, ho degli amici stupendi, la scuola sta finendo, fra un po’ avrò una macchina tutta mia e certamente non posso considerarmi una ragazza sfortunata nonostante tutto, ma sono arrabbiata con me stessa, so’ che tutta questa felicità non dipende solo dal senso di benessere che sto vivendo, no, assolutamente, io sono felice grazie a quel sogno, e questa cosa mi lascia non poco infastidita, non riuscire a capire il perché delle cose mi ha sempre dato fastidio, ma qui superiamo ogni limite.
Sento una felicità innaturale scorrermi nel petto e non so’ spiegarne l’origine.
Perché sono cosi felice?
“Stai sorridendo, sorridi. Non sei morta!” Danielle mi posa una mano sulla gamba prima di pizzicarla leggermente, io di tutta risposta la guardo e le sorrido ancora di più. “E non sei nemmeno sorda. Devo solo riuscire ad accertarmi che qualche orso non ti abbia rubato la lingua e posso considerarmi una donna soddisfatta.” Dice parcheggiando nel cortile della scuola affollatissima da ogni tipo di ragazzo esistente al mondo. La Clifton è l’unica spesa che pago con i soldi di mia madre, da quando ho memoria ricordo che tutti i risparmi accumulati in casa andavano a finire in un conto intestato proprio a me, che progettassero entrambi la fuga sin d’allora? Non so quanti soldi ci sono sopra, la scuola prende tutti i soldi che servono, gli altri resteranno lì. Non ho bisogno dei loro soldi, non ne ho mai avuto bisogno. Scuoto la testa uscendo dalla macchina, sono felice, sono felice, sono felice.
Ma perché sono cosi felice?
“Hope qualsiasi cosa sia successa me ne parlerai quando sarai pronta, stai tranquilla. Io però ci sono okay?” Le braccia di Danielle mi circondano ed in pochi secondi mi ritrovo ad abbracciarla e ad inspirare solo il suo insistente profumo ai frutti di bosco. 
Non basterebbe questo per farmi felice?
“Ti voglio bene Dan.” E’ la prima volta che riesco a dire ad alta voce quanto importante per me sia una persona, mi è sempre stato difficile, anche con Margaret, scherzavamo, ridevamo, era la mia migliore amica ma non sono mai arrivata a sentire la necessità di vederla, di volerla vicino, di dimostrarle qualcosa, ed invece sento vicina la ragazza con il fisico da modella e la faccia da bambina che trattiene le lacrime di fronte a me, che è riuscita a portare nella mia vita un’ondata di benessere, di rumore, di vita.
La vita ti porta a cambiare, ti porta a fare o a dire cose che non avresti mai pensato di provare, ti fa conoscere gente capace di stravolgerti, molti dicono che se si nasce tondi non si può morir quadrati, secondo me la vita, il destino o qualsiasi entità che mandi avanti la nostra esistenza, ci plasma. Plasma ognuno di noi, c’è chi lo ammette, rincuorato di essere cambiato, di essere cresciuto, di aver imparato dai propri errori, c’è chi lo tiene nascosto, perché le delusioni lo hanno reso freddo, apatico, silenzioso e magari rimpiange il passato dove guardava il sole sorgere ed era felice, e poi c’è chi non lo sa, non se ne accorge nemmeno forse, sono cambiamenti minimi, ma secondo me sono quelli più profondi, più intensi, più decisivi. I particolari migliorano l’opera d’arte dicevano, e una persona per quanto perfetta ha bisogno costantemente di essere migliorata. 
“Andiamo.” Sussurra mordendosi un’unghia e sorridendo visibilmente. 
“Sei felice?” Dico io cercando di circondarle la vita con un braccio e camminando guardandomi intorno rilassata.
“Mi sorprendi sempre Evans. Sono molto più che felice, l’amore è strettamente legato alla felicità ricordi?E in questo momento il tuo è l’amore più grande che potessi desiderare.” E’ felice, l’ho resa felice, ed io sono ancora più felice. E’ forse vero che tutto ciò che la vita chiede è un istante di pura felicità? E’ forse vero che la maggior parte delle volte non sai nemmeno da dove arriva questa scarica di emozioni? E’ forse vero che il regalo più bello di sempre è la felicità?
“Perché allora trattieni le lacrime?” Una però supera gli argini e cade silenziosa giù sulla guancia, lei si asciuga con una mano ma continua a sorridere.
“Non ti è mai capitato di essere stata talmente bene, di essere cosi felice da non riuscire a contenere tutti quei sentimenti? E allora piangi e ti sfoghi, ma soprattutto dici grazie. E’ un modo per ringraziare la vita!” La sua voce si addolcisce ed io mi sento tanto una bambina che ascolta rapita la lezione dalla sua maestra preferita, non capendo però la situazione, non sono mai stata cosi felice, figuriamoci tanto felice da piangere.
“Hope, Adrian ti sta fissando intensamente da alcuni minuti. Ed è da solo.” Danielle mi scuote con forza per un braccio e mi indica con la testa la rampa dove di solito è circondato da ochette e da compagni di football. 
“Vado. Sono felice.” Le dico ad alta voce avvicinandomi spedita ad Adrian che sorride.
“Oh quale onore Evans.” La sua voce come al solito in un primo momento mi stordisce leggermente e mi lascia senza fiato, ed anche l’accelerare del cuore, non aiuta, ma so controllarmi.
“Di solito si dice buongiorno!”Dico frugando nella borsa alla ricerca dei suoi soldi. “Eccoti il resto, spero ieri di essere stata d’aiuto ieri.” 
“Ti avevo detto qual era il modo migliore per aiutarmi, ma lasciamo stare.” Mi risponde passandosi una mano tra i capelli ed ignorando la mano aperta davanti a lui.
“Infatti lasciamo stare, prendi questi soldi e basta.” Faccio un altro passo nella sua direzione ma il suo sguardo non cade nemmeno per un secondo sul mio braccio, è concentrato sui miei occhi, ed io cerco in tutti i modi di fissarlo senza però far trapelare l’eccesso di emozioni che cercano di dilaniarmi. I suoi occhi blu, oggi eccessivamente profondi, sprizzano elettricità da ogni poro ma soprattutto mi fissano illuminati da una strana luce.
“Come mai cosi felice?” La sua presenza di solito mi fa dimenticare il mio stesso nome, ma questa volta la felicità che mi scorre nelle vene è cosi tanta che non riesco a trattenermi e sorridergli, si nota tanto?
“Come lo sai?” Posso dirgli che sono felice grazie ad uno stupido sogno? Posso dirgli che grazie alla felicità irradiata da quel sogno mi rendo conto di essere davvero fortunata?
“Sei radiosa, e poi l’hai urlato due minuti fa’.” Giusto, lo saprà tutta la scuola come minimo, non importa. Sono felice.
“Ah..” Arrossisco violentemente e mi mordo il labbro, dovrei pensare prima di parlare, specie con lui.
“Sei bellissima quando diventi rossa.” Sussurra lui leccandosi le labbra e continuando a fissarmi insistentemente, io però porto lo sguardo sulle mia mano ancora aperta per alcuni istanti silenziosi, poi la ritiro.
“Non fissarmi.” Decido alla fine ritornando a posare i miei occhi su di lui, l'ho mai sentito cosi vicino, e allo stesso tempo lontano?
“Allora perché sei cosi felice?” Mi verrebbe quasi di dirgli la verità, di rispondergli semplicemente mi sono svegliata felice, lo sono, punto. Ma è la mia felicità, non voglio sembrare egoista, presuntuosa o chissà cosa, ma quel sogno, quel ragazzo, quel bagliore, meritano di essere protetti. 
“Ho semplicemente capito che la vita mi sorride, e voglio imparare a sorriderle anche io.” Mi esce spontaneamente, lui però inarca un sopracciglio e ghigna divertito.
“Mi sa tanto di frase di biscotto della fortuna.” Sorrido e scuoto la testa, ma mi rendo velocemente conto che il cortile è praticamente deserto e che io e Adrian Melek siamo a due passi di distanza, e questo non è assolutamente un bene per il mio cuore.
"Prendi questi, devo andare a lezione." Il braccio scatta automaticamente verso di lui e anche la mano si apre quasi contro il suo petto.
"Continuiamo pure cosi." Risponde secco e distaccato, il cuore accelera, adesso che c'è? Ha paura che si allontani? Che si stanchi? L’ho sempre detto, il mio cuore combatte contro di me, però adesso siamo coalizzati. Abbiamo capito che Adrian deve rimanere nella nostra vita, non importa come. La sua mano poi sfiora il mio palmo su cui sono appoggiati i soldi, e sospira con forza.
"Cosi come?" La mia voce è pari ad un sussurro, quasi non la sento coperta dai battiti che risuonano nelle mie orecchie, lui mi sorride, ed i suoi occhi brillano, accesi da qualche improvvisa idea, ed il mondo si ferma, cessa ogni cosa, ogni sospiro, ogni rumore, ogni battito di ciglia. Tutto nel mio mondo è completamente attivo in funzione dei suoi occhi. Quegli occhi. Non può essere, mi sbaglio.
"Vieni qui." E mi tira a se, con tutta l'impazienza e la voglia di chi cerca solo un abbraccio. Mi ritrovo tra le sue braccia, il viso nell’incavo del suo collo dove tante volte avrei voluto essere,è come l’avevo immaginato, morbido, soffice, accogliente, l'unico odore che riesco a percepire è il suo costante profumo di liquirizia, appoggiati ad una rampa di una scuola prestigiosa inglese siamo stretti in una morsa ferrea, dove davvero resterei per sempre. Guardo il suo viso ed il mio cuore aumenta la corsa, gli occhi socchiusi ed un piccolo sorriso sghembo, le lunghe ciglia, la mascella rilassata addolcita dal sorriso, non può essere.
Ogni parola rovinerebbe il momento, ed io non riesco a immaginare momento più perfetto di questo, non ci sono doppi fini, non c’è una litigata da placare, e nemmeno qualcosa da festeggiare, siamo solo io e lui, abbracciati, completamente persi tra le braccia dell’altro, felici? Io lo sono, probabilmente più di stamattina, più di stanotte quando ansante mi sono svegliata con il cuore che batteva troppo forte per la felicità,più di quando ho realizzato di poter andare avanti, più di sempre.
Perché sono cosi felice?
Le sue mani sono sui miei fianchi, e accarezzano la pelle nuda sfuggita al maglioncino con una lentezza e una calma disarmante, le mie di mani sono ferme sulle sue spalle larghe, e le braccia gli circondano il collo, poi però cerco di avvicinarlo di più, di sentirlo ancora di più contro il mio corpo e le mani scendono giù per la schiena, accarezzando ogni centimetro del maglione grigio aderente, il mio viaggio si interrompe solo quando sento il tessuto dei jeans sotto le dita, ma non mi fermo anzi riparto verso il suo collo, ma all’altezza delle scapole, anzi leggermente più in basso, sento come una piccola scossa che mi smorza il respiro e mi manda il cuore fuori controllo. Non è stata la scossa che prendi ogni tanto, quando viaggi in macchina o quando indossi le scarpe sportive, è stata pura elettricità.
“Adrian?” La mia voce è incerta, tremante, sento ancora quel tremolio nelle dita che mi spaventa ma non so perché non voglio scappare, sono ancora tra le sue braccia, il mio viso poco distante dal suo ed i nostri respiri si fondono in un’unica fragranza. “Adrian?”
Lui sembra non sentirmi, mi pare concentrato, anzi probabilmente sta pensando, la mascella però è contratta e le labbra sono serrate come a trattenersi dal parlare, dal fare qualcosa, ma cosa?
“Dimmi.” Risponde dopo alcuni istanti ancora con gli occhi chiusi e la voce sforzata.
“Non hai sentito nulla?” Non può essere stata una mia invenzione, una mia fissa, una mia sensazione, non è possibile. Non erano brividi, era elettricità.
“Cosa?” I suoi occhi si aprono, e sono lucidi, il blu non solo si sta rischiarando ma diventa ancora più invitante, più insistente, più famigliare…
“William..” Quel nome supera ogni barriera creata dal mio cervello, ogni barricata alzata crolla davanti a quella consapevolezza. “Adrian William Melek.”
“Hope, come?” La sua voce si alza di un’ottava, l’ho spiazzato. Il problema è che sono spaventata anche io, come faccio a sapere il suo secondo nome? A scuola tutti lo chiamano Adrian, e i professori non hanno mai nemmeno accennato alla presenza di un altro nome, eppure io lo so. So’ che William è il suo secondo nome, e che lo odia. 
“William è il tuo secondo nome.” Dico semplicemente allontanadomi ma guardandolo dritto negli occhi, quegli occhi.
“Come lo sai? Qui a scuola non lo sa nessuno.” Come lo so? Come? Lo so, punto. Non c’è una spiegazione, un motivo logico a cui aggrapparmi, non c’è nulla. Solo quel nome che mi orbita in testa, seguito da tante altre immagini, luoghi, frasi, promesse.
“Noi due ci conosciamo già.” E’ un’affermazione la mia e lui se ne accorge, lo vedo dal suo sguardo fermo e dal sorriso che accompagna ogni mia frase. 
“Come l’hai capito?” Si lecca le labbra e subito incrocia le braccia per poi con una mano giocare con il suo orecchio, concentrarmi sui particolari mi ha sempre aiutato a non pensare, e delle volte mi viene anche naturale, ma questa volta scaccio quest’abitudine con forza. Io so, da sempre, di conoscere Adrian. Me lo diceva il mio corpo, me lo diceva il mio cuore, me lo dicevano le mie sensazioni, me lo diceva la mia anima.
E sono stata una cieca dal primo istante a non accorgermene, una vera e propria stupida.
“E non ci siamo conosciuti ad Hamilton.” Scuoto la testa sorridendo, è cosi chiaro, cosi nitido adesso per me, mi sfugge solo dove ci siamo conosciuti. Ma sento di saperlo, devo solo concentrarmi.
“Rispondi.” Ha usato questo tono poche volte con me, pochissime a dir la verità, ma tutte le volte che lo ha fatto mi è sembrato inesorabile, adesso invece riesco a dir di no, noi non possiamo sempre parlare, questa volta deve agire. 
“Non farmi domande Adrian, mostrami chi sei in realtà.” E questa volta sono io che lo prendo per il polso e lo porto verso il parchetto, ho bisogno solo di conferme, ma io so già tutto. So cos’è Adrian. E so anche dove ci siamo già conosciuti, in un’altra vita.
Adesso però chiedetemi perchè sono cosi felice. 
     
   
La felicità non è uno stato a cui arrivare, ma un modo di viaggiare.




        
Salve persone!
Sono in ritardo è vero, ma dovete perdonarmi sto capitolo doveva essere perfetto, vabbè non credo lo sia, ma chiedo venia!
Questo capitolo è fondamentale, se sapete leggere tra le righe capirete tutto. 
Diciamo che secondo me è logica come cosa!
Amo il fatto che vi siate risvegliati, cioè adoro leggere le vostre recensioni e sapere cosa ne pensiate, mi fa' andare avanti con più piacere.
Grazie a tutte, spero continuerete a leggermi e recensirmi.
Buona lettura!

-Allen
  
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