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Autore: Hey_Ashes    18/07/2012    7 recensioni
Un urlo disumano mi lacerò i timpani.
Un urlo che non poteva certamente appartenere al mondo umano, ma difficilmente a quello animale, ne ero sicuro.
Seguì il trambusto delle foglie secche e dei rametti calpestati, mentre l'essere che fino a pochi attimi prima avevo avuto davanti batteva la ritirata nel fitto del bosco, mentre io ero pietrificato dall'orrore.
In uno sprazzo di lucidità vidi chiaramente che si muoveva su due gambe.
(Il raiting cambierà. Oh, se cambierà.)
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The Lake
2.

 

Il giorno dopo telefonai a lavoro chiedendo una giornata di permesso lamentandomi di non essermi sentito troppo bene, quella notte.

Il che in effetti era vero: l'epistassi si era prolungata praticamente fino all'alba, costringendomi a rigirarmi nel letto per ore con un fazzoletto premuto contro il naso, tentando invano di firmare l'emorragia.

Verso le quattro cedetti, alzandomi per andare in bagno ad inumidire una pezza da tenere poggiata sulla nuca. Mi pareva si facesse così, in certi casi. O qualcosa del genere.

Mi raggomitolai difronte al televisore, cambiando canale in continuazione e senza seguire veramente ciò che veniva trasmesso, negli occhi ancora gli avvenimenti della sera prima.

Crollai alle sei in un sonno agitato, perseguitato da pupille d'ambra sospese nel buio e da dita ornate di artigli affilati che emergevano dall'ombra per cavarmi gli occhi e strapparmi il cuore dal petto.

 

Mi svegliai di soprassalto verso le sette meno venti, madido di sudore e tremante come una foglia. Sentivo la bocca impastata come calcestruzzo, la salivazione azzerata.

Barcollai fino al bagno per lavarmi i denti e bere un bicchiere d'acqua. Il riflesso che vidi nello specchio non era meno spaventoso dei mostri che avevano infestato la mia mezz'ora scarsa di sonno: occhiaie profonde di un viola livido sotto gli occhi, i capelli appiccicati alla fronte per il sudore, il naso ancora incrostato di sangue. Ero pallido come un cadavere, a volerla dire in modo carino.

Mi lavai il viso con l'acqua fredda, sperando di svegliarmi un po': ero troppo distrutto per farmi una doccia: non avrei retto nemmeno il peso delle gocce d'acqua. Mi trascinai in cucina con l'intenzione di farmi un tè, bello forte, magari.

Mentre accendevo il gas sotto il bollitore presi il telefono e digitai un numero, incurante dell'ora.

 

-Frank! Che piacere vederti!-

Jamia, la mia compagna di università mi saltò al collo appena varcata la soglia di casa mia.

L'avevo invitata con la scusa di studiare per un esame imminente, quando in realtà avevo solo bisogno di un po' di compagnia.

Farsi un'ora di bus per venire fin qua soltanto per ripassare qualche pagina con me fu molto carino, da parte sua.

La strinsi a mia volta, sorridendole sinceramente felice di vederla: in quel momento sarei stato felice di vedere persino un docente universitario: qualunque cosa, pur di non restare solo in quella casa per molto.

-Ti...ti offro qualcosa, prima di cominciare?- Le sorrisi indicandole il frigorifero

Scosse la testa declinando educatamente l'offerta, facendomi presente che avevamo così tanto da studiare che avremmo a malapena il tempo per respirare.

La sua compagnia diluì in minima parte l'agitazione che sentivo fremermi in corpo, ma mi impedì comunque di dare di matto, cosa che pensavo avrei fatto se avessi passato un altro minuto da solo in quella casa.

Le pagine da studiare erano effettivamente molte, e ci impiegammo più tempo del previsto dal momento che non riuscivo a concentrarmi in nessun modo: ad intervalli quasi regolari cadevo in una sorta di iperventilazione, gli occhi sbarrati che trasmettevano le stesse immagini che mi tormentavano da tutta la notte come la filmina inceppata di un vecchio proiettore.

Dovetti ripetere più volte la scusa del “Oh, tranquilla Jam, sono solo un po' affaticato. Sai, a lavoro mi fanno fare il culo ultimamente.” per cercare di allentare i sospetti della mia amica.

Quando il naso iniziò a sanguinare di nuovo, diedi la colpa all'ansia pre-esame.

Cristo, quell'epistassi continua iniziava a preoccuparmi seriamente, avrei dovuto vedere un dottore il prima possibile.

Iniziava a farsi buio quando finalmente chiudemmo anche l'ultimo tomo di fisica.

Jamia gettò un'occhiata preoccupata alla finestra che iniziava ad incorniciare un crepuscolo violaceo come lo schermo di un cinema.

-Frankie lo so che è tardi, ma...insomma, non è molto sicuro per una ragazza tornare da sola coi mezzi a quest'ora...-

Si morse un labbro pregandomi con lo sguardo, evidentemente sperando in una risposta affermativa da parte sua.

Un brivido violento scosse il mio corpo al solo pensiero della strada costeggiata dal bosco, delle ombre, del grido...

Cercai di ribattere, ma il suo sguardo era talmente supplichevole che non potei farne a meno.

Sospirai pesantemente, frugando nelle tasche della felpa in cerca delle chiavi della mia auto malamente parcheggiata in cortile dopo il trauma di ieri sera.

Buttai giù qualche pillola per l'ansia mentre lei si dava una sistemata in bagno: ne avevo sempre una scatola in casa, ero sempre stato molto ansioso sin da quando ero un bambino. Certe volte non riuscivo a farne a meno per evitare una crisi di panico.

Una crisi di panico che in quel momento, mi sembrava più una cosa certa che una patologia abbastanza comune.

 

Man mano che mi avvicinavo al tratto di strada in mezzo agli alberi la salivazione diminuiva, il battito accelerava e l'ansia si faceva martellante.

Giunto al limitare del bosco strinsi le nocche sul volante, fino a farle diventare bianche, conficcando le unghie nella pelle della testata della manopola del cambio.

Respirai profondamente, pestando sull'acceleratore fino a superare il limite consentito davanti alla piazzola dove mi ero quasi inconsciamente fermato la sera prima.

Ignorai prontamente Jamia che mi guardava preoccupata dal sedile del passeggero, fingendomi tranquillo e rilassato.

O qualcosa di simile.

 

Il paese dove viveva Jamia era molto, molto carino. Accogliente, con la tipica aria di vicinato felice e stronzate varie. Le villette a schiera dai toni neutri, le vecchiette a passeggio coi cani...niente a che vedere con il mio, di isolato: ipermoderno, tutto cemento e barre d'acciaio.

In uno scatto di follia, quasi le chiesi di lasciarmi dormire da lei: tutto, pur di non dover riattraversare il bosco da solo.

Ma viveva ancora coi suoi genitori: sarebbe stata abbastanza imbarazzante come cosa.

Mi fermai a prendere un caffè di cortesia, anche se la caffeina era l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento, poi mi misi al volante, tremando leggermente.

 

Per la prima metà del tragitto tutto andò bene. Non vidi niente di strano o inquietante, nemmeno nei dintorni della piazzola che mi aveva provocato così tanti problemi la notte prima.

Ero quasi giunto al limitare del bosco, cominciavo a rilassarmi: il piede allentava la pressione sul pedale, i polpastrelli iniziavano a seguire il motivo trasmesso dalla radio tamburellando sul volante.

Quando li vidi. Di nuovo.

Occhi che mi fissavano curiosi.

Che mi chiamavano.

Occhi gialli che non intendevano distrarre lo sguardo.

Un gemito isterico oltrepassò la barriera delle mie labbra, mentre un pugno colpiva il volante, facendo sbandare la macchina leggermente.

Svoltai violentemente, parcheggiando nella corsia preferenziale e sbattendo la portiera dell'auto con evidente esasperazione.

Come da copione, la creatura si ritirò nelle profondità della foresta con un lamento.

Eppure non riuscivo ad andarmene. Iniziai a tremare di rabbia, muovendo un passo nel sottobosco secco e scricchiolante di foglie.

Osservai attentamente i tronchi degli alberi, ricoperti di licheni e rampicanti: erano tutti straziati da segni profondi: la corteccia scorticata da impronte di unghie.

Quello che qualche attimo prima era sfuggito al mio sguardo era qualche metro più avanti, nascosto nell'ombra, emettendo i lamenti più inquietanti che poteva.

Riempii d'aria i polmoni che andavano a fuoco, e dalla mia gola uscì un grido rabbioso di cui non credevo nemmeno di essere capace.

-Chi sei?-

Nessuna risposta. Solo il rumore di unghie contro il legno, piedi (perchè si, si tratta di piedi) che spezzano rametti, come se il mio interlocutore stesse saltellando in giro, per niente turbato dalla situazione.

Un pazzo.

-CHI CAZZO SEI, MALEDETTO BASTARDO?-

Urlai ancora per un po', finchè i polmoni non minacciarono di scoppiare.

Poi m'inoltrai correndo verso il centro del bosco, con i rami più bassi e gli arbusti che mi sferzavano il viso.


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Babababammmmmmmmmmm...*Musichetta paurosa*
Spero di avervi lasciato il dubbio/la curiosità/la quellachevipare così magari continuate a leggere...colgo l'occasione per ringraziare le sei persone che hanno recensito: mi pare un ottimo inizio per una fic che è molto più che sperimentale, spero che non mi abbandonerete e che troverete tante belle amichette con cui recensire(?) *Sguardo da madre amorevole* 
Fatemi sapere che ve ne pare!
xoxo
Ash

  
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