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Autore: Zero    23/05/2004    3 recensioni
Ho deciso di riprendere in mano questa vecchia raccolta a cui non lavoravo da tempo. Il nuovo capitolo si chiama "Nero". Dal mio punto di vista è una delle cose più nere che mi potessero venire fuori.
Il sottotitolo? "Nulla è"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sedeva compostamente sulla comoda poltrona del treno

Sedeva compostamente sulla comoda poltrona del treno. I suoi occhi scivolavano dal paesaggio fuori dal finestrino al viso dei viaggiatori che si trovavano di fronte a lui, senza fissare l’attenzione su nessuno di essi. Per un attimo chiuse gli occhi e sprofondò nell’atmosfera ovattata della carrozza, mantenuta ad un livello ideale di torpore grazie al riscaldamento e artificiosamente silenziosa grazie al sistema di insonorizzazione. Curioso che quella calma artefatta stridesse vistosamente con il suo stato d’animo più profondo.

Les jeux sont faits.

Oramai le scelte erano state fatte. Il punto di non ritorno era stato raggiunto e sorpassato da un pezzo. L’aveva visto passare poco prima, di sfuggita, fuori dal finestrino, accompagnato dall’ultimo respiro dell’ormai agonizzante ipotesi di lasciar perdere.

Oh, i dubbi c’erano stati ovviamente. L’operazione era rischiosa, prevedeva numerose variabili incerte ed un altissimo rischio di fallimento. In poche parole, era irresistibilmente attraente. Era come puntare tutto alla roulette, la gioia della vittoria sarebbe stata direttamente proporzionale al rischio corso. Ma il rischio c’era comunque. Anche se aveva tentato di minimizzarlo. Anche se aveva, con il suo complice, pianificato ogni singolo dettaglio, con precisione quasi ossessiva. Planimetrie, timing, frasi da dire. Tutto era scritto nel copione.

Ma nella compattezza del piano si insinuava il cuneo del dubbio. Il dubbio che qualche dettaglio differisse dal previsto. E, come tutti sanno, i cattivi che vogliono conquistare il mondo, falliscono sempre per dei piccoli, stupidi, insignificanti dettagli.

La mistura di timore strisciante, eccitazione crescente e degustazione della probabile vittoria era un calice di dolce veleno, una bevanda dolceamara, che gli fluiva in corpo, gelida come una raffica di vento in un cimitero durante una notte d’inverno, e gli scatenava brividi di paura, misti a perverso piacere. Nei fatti, non aveva ancora compiuto il misfatto, ma la risolutezza della sua mente non lasciava spazio a ripensamenti.

L’assassino è da considerarsi innocente finchè non affonda il coltello nel petto della vittima? O forse lo è anche quando, con il sorriso più disarmante del mondo le da il benvenuto, sollevato dal pensiero che prima che sorga il sole avrà posto fine alla sua insopportabile esistenza? E se succedesse qualcosa che gli impedisse di trucidarla? Sarebbe forse cambiato qualcosa nella sua mente?

Queste, e altre domande, avrebbe potuto porsi il Probabile Criminale che sedeva in un posto vicino al finestrino in un confortevole treno di ultima generazione. Ma, tutt’altra era la girandola di pensieri che gli fluttuava in testa. Un senso di ineluttabile fatalità si era impossessato di lui. Dato che la sua mente aveva già deciso che sarebbe andata così, si comportava come se ciò non dipendesse da lui. Era lo spettatore esterno ed obiettivo di sé stesso. Sarebbe stato a guardare, a vedere come andava a finire. Ma il suo animo era a tratti scosso da un senso di puerile trepidazione. Non differiva molto, in questo, dal bambino che ruba le caramelle, ben sapendo che non può farlo, e attende in ogni occasione un rimprovero, che probabilmente non verrà mai. Ma tra il bambino e il Reo Futuro, vi era il solco degli anni, che modellano ed erodono la sincera ingenuità primitiva. Con l’abilità dell’attore consumato, il viaggiatore ostentava tranquillità ed indifferenza. Guardava gli altri passeggeri, di sfuggita, senza interesse, come se fosse uno di loro. E loro ci credevano. Non sapevano che su di lui gravava una colpa orribile e raccapricciante, anche se, solo nel piano della realtà, ancora non commessa.

Se solo avessero saputo, se fossero venuti a conoscenza di tante cose riguardo a quel passeggero, allora non l’avrebbero più guardato con tanta tranquillità. Avrebbero gridato allo scandalo, avrebbero eretto tribunali inclementi e sommari, con l’unico scopo di emettere il verdetto di colpevolezza. E nella mente dell’Imputato, decine di altri personaggi – amici, parenti, conoscenti, e soprattutto le innumerevoli istanze di sé stesso – avrebbero popolato gli scranni di quell’assise immaginaria ove sarebbe stato processato una volta per tutte. Non la sua colpa, ma lui stesso. Tutti i suoi torti, tutti i suoi crimini, tutte le sue storture, sarebbero state brutalmente messe a nudo dall’accusa, e allora lui non avrebbe potuto fare altro che soccombere all’incalzare degli argomenti. E infine, dopo averlo sbeffeggiato e deriso per tutte le sue debolezze, gli sarebbe stato comminato il massimo della pena: il Disprezzo a Vita degli altri e di sé stesso.

Ma quando ormai la giuria sarebbe stata in procinto di deliberare, avrebbe inaspettatamente fatto il suo ingresso l’avvocato difensore. Nessun compenso avrebbe richiesto per svolgere il suo ufficio. Solo amore. E una ad una, avrebbe smontato le accuse mosse all’imputato, e dove invece esse avevano ragione di esistere, avrebbe chiesto alla corte di fidarsi della capacità del suo assistito di redimersi. Con il suo sorriso, con le sue parole talvolta criptiche, ma sempre incredibilmente giuste e armoniose, avrebbe vinto una ad una le resistenze dei giurati più arcigni e avrebbe ottenuto l’assoluzione.

Con questa prospettiva in mente, la gravità del crimine non sussisteva. La redenzione sarebbe stata certa e quindi, non avendo niente da perdere, perché non tentare? Quest’ultimo pensiero si accompagnò allo stridore dei freni.
Scese dal treno e si diresse a passo deciso verso l’esterno: era deciso ad arrivare puntuale all’appuntamento.

  
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