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Autore: _Nazariy_    19/07/2012    1 recensioni
Allora, è la prima volta che scrivo una FF.
Il protagonista ha il mio carattere, quindi cerco di far andare la storia come se fossi io al posto suo, perciò avrà dei risvolti diversi dal gioco, inoltre è una 'What if?' perché Amata lo seguirà fuori dal Vault. u.u
All'inizio, nel Vault, sarà simile al gioco, ma poi ci saranno problemi amorosi e tutte 'ste cose. Comunque alla fine la potrebbe leggere anche una persona che non conosce il gioco, dal momento che è descritto tutto dall'inizio. ^^
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Non avevo mai visto Amata in quelle condizioni. Era agitata e la sua voce tremava, a metà tra lo strillare e il singhiozzare.
«Ma che diavolo...», cominciai a parlare, non ero ancora totalmente cosciente, il sonno mi aveva rimbambito.
«Non c’è tempo, ti prego, alzati!», Amata mi stava tirando giù dal letto.
«Mi spieghi che sta succedendo?», chiesi impaziente.
«Mio padre sta mettendo a soqquadro il Vault! Tuo padre è scappato, qui è un casino!», ora più che singhiozzare, stava strillando.
«Mio padre... mio padre, cosa? Scappato in che senso? Che significa che è scappato?»
«Che è scappato! Non è più nel Vault! Ora mio padre sta cercando te e non ha buone intenzioni!»
Si poteva fuggire dal Vault?
«Devo... devo vedere Jonas, lui saprà cosa fare, fammi passare...»
«Non puoi vedere Jonas... L’hanno ammazzato! È morto, capisci? Per proteggere tuo padre!»
Cosa? Ma che cosa stava succedendo? Rimasi con gli occhi fissi nel vuoto per un lasso di tempo che mi era sembrato eterno. Che aveva fatto mio padre? Perché mi aveva abbandonato? Perché delle persone erano state uccise nel Vault?
«Che cazzo sta succedendo!?», stillai e corsi fuori dalla mia stanza.
«Fermati! Ti prego!», Amata mi prese per la manica e mi fermai. «Gli uomini di mio padre ti stanno cercando, ti ho detto. Per ‘ti stanno cercando’ intendo che ti vogliono uccidere...», lei non trattenne le lacrime.
«Tu sai che è successo?»
«Tutto quel che so te l’ho già detto», disse piangendo.
La abbracciai e la lasciai piangere sulla mia spalla. Avrei capito tutto parlando con il Soprintendente.
«Portami da tuo padre, Amata.»
«È pericoloso... ti prego, vattene da qui. Ti farò uscire io, ho preso la password da mio padre. Ti prego...»

Non sapevo cosa fare. Era successo tutto così all’improvviso. L’altra possibilità per scoprire le cose era parlare con mio padre. Non avevo alcuna idea su cosa l’avesse spinto a lasciare il Vault. Nemmeno su cosa avesse spinto il Soprintendente ad uccidere delle persone. Cercavo di fare delle ipotesi. Alphonse Almodovar era impazzito? Le guardie non l’avrebbero appoggiato nella causa. Mio padre era un pericoloso criminale nel Vault che vivisezionava gli esseri umani e il Soprintendente l’aveva scoperto? Ma dai... Ero sicuro che non avrei potuto immaginarmi un motivo.
Ora stavo indossando la tuta blu del Vault, con quel grosso numero giallo ‘101’ sulla schiena. Presi il mio vecchio fucile ad aria compressa e uscii dalla stanza scansando Amata.

«Dove vai? Per uscire dobbiamo salire da questa parte!», mi indicò le scale dalla parte opposta.
«A parlare con tuo padre», risposi senza voltarmi.
«Ti prego... So che lo stai odiando, ma è pur sempre mio padre!»
«Ti ho detto che gli voglio solo parlare!», credevo di averla spinta troppo forte, perché lei cadde a terra. Adesso era lì a piangere in silenzio, le lacrime le scorrevano da sotto le mani, con le quali stava coprendo gli occhi. Era seduta sul pavimento e a tratti singhiozzava, poi si lasciò cadere. Rimasi lì a guardarla. In un’altra situazione sarei precipitato da lei, l’avrei abbracciata e cercata di consolare in tutti i modi. Ma ora stava accadendo un disastro per colpa di suo padre. Mi girai e continuai a camminare. Non sapevo dove andavo esattamente, l’ufficio del Sovrintendente era da tutt’altra parte. Il mio inconscio mi stava guidando. Voleva vedere la situazione nel Vault e incontrare facce famigliari. Invece rividi Amata. Mi stava reggendo per la tuta dopo che svoltai l’angolo.
«Per favore, non fare del male a nessuno...», stava ancora piangendo.
Non fare del male a nessuno. Volevo gridale in faccia quello che provavo per gli abitanti del Vault, per i leccaculo del Sovrintendente, per lei. Suo padre non voleva solo farmi del male. Voleva uccidermi. Mi limitai ad ignorarla.
«...Ti aiuterò, ti prego! Distrarrò mio padre... tu invece devi aprire la porta dell’armadietto nella sala delle riunioni, lì ci sono dei documenti e la password per il terminale nel suo ufficio. È proprio lì che c’è l’ingresso per il tunnel che porta all’uscita.»
Ah, bene. L’uscita si trova proprio nell’ufficio del Sovrintendente. Che coincidenza.
«Va bene, ma se Alphonse è nella sala delle riunioni faresti meglio e sbrigarti ad andare da lui e portarlo fuori da lì». Ora era il posto dove mi stavo dirigendo. Continuai a non guardare Amata. Non volevo mettermi a piangere anch’io. Amata corse davanti a me. Io camminavo lentamente cercando di non pensare a nulla, ma le immagini di mio padre passavano davanti ai miei occhi, come se qualcuno si stesse divertendo a buttare le sue foto dal soffitto davanti a me. Ero così assorto nei pensieri, che non mi accorsi quando un uomo mi sbarrò la strada. Era l’agente Gomez. Aveva la pistola puntata su di me. 

Ci guardavamo negli occhi. Colui che il giorno prima stava proteggendo il Vault (probabilmente anche ora lo stava proteggendo, da me) era diventato il mio nemico. Aveva la classica tuta blu, con il giubbotto antiproiettile ed un casco nero, con una visiera di vetro. Teneva lo sguardo fisso su di me. Feci un salto indietro e mi nascosi dietro all’angolo. Il cuore mi batteva ancora più forte di prima e stavo sudando freddo. Forse solo in questo momento mi accorsi seriamente del pericolo che stavo correndo. Potevo morire. Mio padre mi aveva messo in questa situazione. Dovevo incontrarlo non solo per capire il motivo delle sue azioni, ma specialmente per dargli un pugno in faccia.  

«Esci da lì.» La voce di Gomez risuonò nel corridoio.
«Per farmi ammazzare da un cane del Sovrintendente?», cercavo di fare il duro, ma la mia voce tremava.
«Allora sai qualcosa. Chi hai incontrato prima di me?», aveva un tono piuttosto sorpreso.
«Beh, guardando la situazione si capisce, no?», dicevo cose senza senso, non sapevo che mi passava per la testa.
«Vieni qui», sentivo dei passi avvicinarsi. Pensavo che avrei potuto voltarmi e correre nell’ufficio del Soprintendente, ma la voglia di incontrarlo era più forte in quel momento. Impugnai il fucile ad aria compressa, i piombini avrebbero fatto abbastanza male da distrarlo. Uscendo dall’angolo puntai il fucile verso di lui, pronto a sparare, però Gomez lo afferrò prontamente e lo scostò. Colpii il muro alla mia destra. L’agente, con la sua forza, tirò l’arma verso di se, strappandomela dalle mani e gettandola a terra. Poi mi afferrò la mano e puntò la pistola alla tempia.
«La vuoi smettere di fare l’eroe? Capisci che qui ti vogliono morto?», io lo guardavo, non sapendo a cosa pensare. L’agente Gomez abbassò l’arma. «L’ufficio del Soprintendente è dall’altra parte, Amata ti sta aspettando.» 
Come sa di Amata?
«Le ho detto io cosa fare.», disse come se mi stesse leggendo nella mente.
«Grazie...», dissi, dopo aver capito le cose. «Però prima devo sap-»
«Ti ho già aiutato troppo», Gomez mi interruppe.
«Ho capito.»
Iniziai a correre, superando l’agente, che si voltò di scatto.
«Spero tu stia facendo la cosa giusta...», disse a se stesso.
  
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