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Autore: Federico    19/07/2012    1 recensioni
Salve, dopo quasi un anno Federico è tornato per voi! Stavolta vi propongo il seguito della mia vecchia storia Strade d'Oriente, con protagonisti i membri dell'Akatsuki, ambientato molto tempo dopo la prima fic.
1924, Svizzera: Per festeggiare il proprio compleanno, Kakuzu decide di riunire i propri ex compagni di avventure e li invita a casa sua. Tutti accorrono, ma è chiaro che nulla sarà più come prima: la spensieratezza dei vecchi tempi ha lasciato spazio al pessimismo e alla disillusione, che ormai regnano sovrani in Europa squassata dal primo conflitto mondiale e minacciata da povertà, rivoluzioni e dittature. In un modo o nell'altro, tutti e sei i nostri eroi hanno sofferto a causa della guerra, ma finalmente troveranno il coraggio di confidarsi fra loro e dare sfogo ai propri turbamenti, rievocando con nostalgia tempi felici che non torneranno più... Questa fic, a differenza di Strade d'Oriente, non si incentrerà sull'avventura e sull'azione, bensì avrà un taglio introspettivo, dialogico e decisamente malinconico. Leggete e recensite numerosi, spero che vi piaccia!
P.S Quella fic su One Piece che vi avevo annunciato circa un anno fa prima di “sparire” è al momento sospesa a tempo indeterminato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Travellers'
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Spazio autore

LizWingates: Grazie, grazie mille. In effetti da stasera cominciamo con i racconti dei nostri amici, e scopriremo che non solo hanno dovuto affrontare la guerra, ma alcuni hanno vissuto anche delle tragedie personali. Ovviamente il racconto di Wells a cui alludevo quando parlavo dell'atmosfera di “ritorno al passato” è il celebre La macchina del tempo. Grazie di tutto, alla prossima!

 

Stasera, tocca ai primi due racconti, quelli di Sasori e Pain. Se siete curiosi di sapere cosa hanno subito durante la guerra, leggete il capitolo odierno. Ciao a tutti!

 

I reduci I -In cielo e nel deserto

 

Tu forse non ti rendi conto della piaga in cui vuoi mettere il dito” sibilò il rosso all'indirizzo del connazionale; era talmente angosciato e commosso che a stento riusciva a dominarsi abbastanza per esprimersi in francese anziché gridare indignato in inglese.

Cosa vuoi saperne di quel che abbiamo fatto, dove siamo stati, cosa abbiamo visto o sofferto...E' stato terribile, talmente terribile che quasi mi sono scordato che esistevate anche voi, che forse avrei avuto qualcosa di caro per cui combattere, un motivo per tirare avanti ogni giorno e affrontare la morte quotidianamente? Non è bello giocare con i sentimenti delle persone”.

Pain assunse un'espressione contrita, e fu immediatamente spalleggiato da Kakuzu: “Ci dispiace, non volevamo offendere nessuno. Era solo un modo per condividere esperienze e sentimenti e rinsaldare il legame fra noi, tutto qui. Se non volete parlarne ci inventeremo qualcos'altro da fare”.

Sasori fece qualcosa di assolutamente inaspettato; sorrise.

No, suppongo che ormai non ci possiamo più tirare indietro. Avete ragione, abbiamo bisogno di tirare fuori tutto quello che abbiamo represso, e forse ci passerà, almeno per stasera. Dico giusto ragazzi?” e si rivolse agli altri tre, che annuirono in silenzio, anche se mesti.

L'inglese incrociò le mani, i gomiti sul tavolo, quindi rialzò lo sguardo pensoso e cominciò a narrare in tono grave: “Scommetto che vi ricordate ancora di quella sera in cui sbarcammo a Le Havre. Andammo a dormire sapendo che il giorno dopo ci saremmo separati senza sapere quando ci saremmo rivisti. Avrei voluto piangere per la commozione, ma mi sembrò poco britannico”.

Una veloce panoramica dei volti degli altri cinque lo persuase che anche loro dovevano aver condiviso sentimenti simili allora.

La mattina seguente me ne partii subito verso casa: che senso aveva restare a bighellonare in Francia da solo? Spesi qualche mese a curare gli affari di famiglia e a fare su e giù dal palazzo dei Lloyd's di Londra: non è facile per un armatore curare la sua flotta, ma per fortuna mio padre oltre alle ricchezze mi ha lasciato dei collaboratori fidati. In me non era mai morta la speranza che un giorno suonasse il telefono o mi arrivasse una lettera per dire che ero invitato a una nuova avventura: e d'altra parte mi sa che sarei stato troppo occupato per prendervi parte. Poi decisi”.

Decidesti cosa?” domandò Deidara smodatamente curioso, avvertendo qualcosa di insolito nella sua voce, come un oscuro presagio.

Venni a sapere che una nuova nave da crociera enorme e lussuosa come un palazzo, l'ultima meraviglia del progresso, praticamente inaffondabile, avrebbe compiuto il suo viaggio inaugurale da Southampton a New York, e decisi di procurarmi un biglietto. Da quando l'avevo visitata con voi mi era rimasta l'America nel cuore, e bruciavo dal desiderio di rivederla: tutti quei palazzi, quella ricchezza, quella vitalità...Volete sapere qual'era il nome della nave? Si chiamava Titanic”.

Kakuzu, che fino a quel momento si era sorbito placidamente la storia senza staccare lo sguardo dal rosso, sobblazò sconvolto, imitato da tutti, ed esclamò scioccato: “Oh mio Dio!”.

Possibile? Possibile che non fossero mai venuti a conoscenza del fatto che il loro amico era scampato al peggior disastro marittimo del secolo, il simbolo stesso della fugacità delle passioni umane? Questo dimostrava quanti misteri esistessero ancora fra loro...

Mi fa ancora male a pensarci. Mai e poi mai mi sarei potuto aspettare che quelle centinaia di persone ridenti e festeggianti sarebbere finite cadaveri in fondo all'oceano, che gli emigranti straccioni sarebbero annegati assieme al gotha dei nababbi e dei nobili. Alla fin fine, vanno giù nello stesso modo. E' stato un incubo, un incubo nel quale quasi non mi sono reso conto di essere scivolato e a malapena mi sono accorto di essere uscito. Li ho visti tutti morire assiderati, lasciarsi sprofondare per la stanchezza, piangere, implorare pietà, lottare per salvarsi...Forse è vero, andavamo troppo veloce e ci mancavano scialuppe, ma credo che ci sia stata anche la mano del destino. In ogni caso, nemmeno la guerra è riuscita a farmelo dimenticare...”.

Hidan scosse la testa sconsolato: “Povero, povero Sasori. Ti è letteralmente caduto il mondo sotto i piedi, so come ci si sente. Pensa che anch'io avevo comprato un biglietto del Titanic, ma mi ruppi un gamba una settimana prima della partenza, con le valigie già pronte. Il dottore mi ordinò qualche mese di riposo assoluto e avrei voluto spellarlo vivo, avrei voluto salire a bordo anche in carrozzella. Senza saperlo quel brav'uomo mi ha salvato la vita. Ma continua pure”.

Nel frattempo Deidara spostava nervosamente lo sguardo da una parte all'altra sulla stanza: ora capiva il motivo della ritrosia dell'amico a proposito di un certo avvenimento passato, e si vergognava di averlo vilmente stuzzicato, mosso da pura e vigliacca indiscrezione.

Dopo essere tornato in Inghilterra- riprese Sasori- più morto che vivo, trascorsi ancora qualche anno facendo la vita del milionario, fra trattative, telefonate e balli di gala. In questo periodo inoltre presi a interessarmi all'aeronautica, e acquistai un aereo tutto mio. Qualche volta ho anche corso il rischio di rompermi l'osso del collo, ma alla fine ho imparato ad apprezzare quei trabiccoli volanti”.

Affascinante” commentò estasiato Itachi, gli occhi spalancati a sognare interi nuovi mondi. “Dev'essere bellissimo sentirsi il vento nei capelli e vedere le città piccole come formiche...”.

Già, già. Ti sembra quasi di essere un dio che viaggia fra le nuvole per gettare un'occhiata su questa derelitta terra. Ma immagina di dover usare l'aereo per uccidere altri uomini. Non appena scoppiò la guerra con la Germania, scelsi di arruolarmi nell'aviazione. Eravamo ancora in pochi, e non sapevano bene come schierarci. All'inizio fummo impiegati soprattutto per missioni di ricognizione, poi installarono le mitragliatrici sui nostri apparecchi e dovemmo combattere”.

Ho sempre sentito dire-intervenne l'olandese- che gli aviatori si scontravano secondo un codice d'onore come antichi cavalieri. In più alcuni di loro sono diventati delle vere e proprie leggende. Per caso ti sei confrontato con il Barone Rosso?”.

AncoraAh, già, Manfred von Richthofen! E' così che lo chiamavano. Io non l'ho mai né visto né conosciuto, ma tutti raccontavano in tono ammirato di lui: si diceva che fosse gelido, paziente e precisissimo. In tutta onestà, credo che se me lo fossi trovato davanti avrei solo potuto pregare e sperare in Dio. Mi ricordo che quando giunse la notizia del mio abbattimento la mia squadriglia stava per partire: ognuno si mise a urlare e festeggiare, e così anch'io, ma una certa parte di me sapeva che avrebbe sentito la sua mancanza: avversari leali come lui non si trovano più al giorno d'oggi. Sì, in generale c'era rispetto fra noi Inglesi, Francesi, Belgi e Americani e i Tedeschi; ci salutavamo sempre prima di iniziare a sperare, e dopo ogni vittoria andavamo a sincerarsi se il nemico abbattuto fosse ancora vivo e gli rendevamo onore. Ah, aveste potuto vedere che evoluzioni, laggiù nelle Fiandre e sui campi della Francia! Ha volte ho eseguito in tutta freddezza certe manovre spericolate che nella vita di tutti i giorni mi sembrerebbero da pazzo ubriaco...”.

Fece una lunga, pausa, sconsolato in volto, come se cercasse le parole più adatte all'argomento.

Ma nonostante tutto non mi è piaciuto. Mi avevano che lo facevo per il bene della nazione, per la giustizia, la pace e la libertà, ma ho dovuto uccidere altri uomini che non mi avevano mai fatto nulla, non briganti e criminali come spesso ci è capitato, e probabilmente avevano una famiglia ad attenderli. I nostri duelli aerei sembravano un gioco leggiadro e delicato, ma erano un dramma...”.

Con lentezza e solennità Pain si alzò e battè la mano sulla chioma scarlatta del connazionale, scompigliandogliela con fare malinconico: “Non posso che darti ragione amico, mio. Britons want you, dicevano tutti i manifesti di arruolamento, but I didn't want war, aggiungo io. In effetti, se non mi avessero contattato loro, avrei fatto quel che ho sempre fatto quando scoppiava una guerra in qualche colonia remota: lasciare che ci andasse qualcuno desideroso di menare le mani con degli sconosciuti. Quando noi e la Francia dichiarammo guerra agli Ottomani, fu lo stesso Sir John Maxwell, recentemente designato comandante delle armate alleate in Egitto, un amico di papà, a telefonare a casa mia invitandomi al quartier generale “per questioni urgenti”. In breve mi esposero il loro piano: sapevano della mia grande conoscenza della zona mediorientale, nonché del turco e dell'arabo, e richiesero quindi i miei servigi “in nome di Sua Maestà”, proponendomi di arruolarmi come ufficiale e consulente speciale nelle loro truppe. Che altro potevo fare se non dire di sì? Ho sempre considerato discretamente ipocrita il nostro sistema coloniale, ma non potevo certo fare la figura del vigliacco che si sottraeva al richiamo della Patria, se non del traditore. E così mi misi l'uniforme. In realtà non fui assegnato a nessun distaccamento preciso: giravo sempre assieme agli ufficiali di grado più alto per condurre rilevamenti e ispezioni al confine orientale, perchè sapevamo che i Turco-tedeschi volevano attaccare Suez attraverso il Sinai, cosa che effettivamente accadde all'inizio del '15. Nel frattempo però lo Stato maggiore, su esortazione del Primo Lord dell'Ammiragliato Winston Churchill (suppongo che abbiate già inteso udire il suo nome) aveva cominciato ad elaborare un'operazione direttamente contro le coste turche. Dopo che la flotta alleata non riuscì a raggiungere Costantinopoli e si ritirò con la coda fra le gambe da Dardanelli, si decise di inviare un corpo di spedizione nella zona. Gallipoli, ecco dove ci spedirono”.

Più di un un volto si accigliò inarcando le sopracciglia.

All'epoca rammento di aver seguito tutta la vicenda sui giornali con grande apprensione” proferì cupamente Kakuzu. “La campagna si risolse in un disastro, non è così?”.

Pain si strinse nelle spalle: “Fui aggregato all'ultimo momento, e sin dall'inizio la cosa non mi piacque: i tempi non erano ancora maturi, e si era sottovalutato troppo il nemico. Se fu una catastrofe? Beh, come chiamate inviare oltremare allo sbaraglio migliaia e migliaia di Inglesi, Indiani, Canadesi, Australiani, Neozelandesi, Francesi e Senegalesi, farli sbarcare fra cannoni e scogliere, tenerli là quasi un anno fra caldo, trincee ed epidemie e infine farli reimbarcare ignominiosamente, in silenzio, di notte, senza avere combinato nulla e dopo essersi lasciati dietro una caterva di morti, se non un fiasco di prima classe? A volte mi stupisco addirittura che se ne siano salvati così tanti. Che irresponsabili! Che generale è quello che gioca con la vita dei suoi soldati?!?!”.

Dopo che si fu placato da questa sua ultima intemperanza, il britannico riportò in grembo le mani riprese a narrare con calma: “Ho visto anche atti di eroismo, laggiù a Gallipoli, ma avrei preferito vedere dei codardi vivi che dei cadaveri rimandati in Australia con una medaglia sul petto. In seguito ho prestato servizio in Libia e in Sudan, dove erano scoppiate ribellioni filo-ottomane, e probabilmente avrei trascorso il resto della guerra a fare su e giù per il deserto dalla Palestina alla Cirenaica se non mi avessero affidato una missioni top-secret, roba da veri avventurieri”.

Ovvero?” domandò trasognato Sasori, cui quegli accenni a romatiche e rischiose avventure in terra d'Oriente avevano riportato in mente memorie dei vecchi tempi, di quello che con ogni probabilità era stato il loro viaggio più bello e insieme più sofferto.

L'inglese di Alessandria sorrise e sollevò lo sguardo, come se i suoi occhi cercassero qualcosa di molto lontano e ormai quasi perduto circonfuso da un sole abbagliante: “Già da tempo i nostri servizi segreti, saputo della crescente insofferenza degli Arabi per il dominio turco, progettavano di suscitare una rivolta su larga scala per attaccare il nemico dall'interno. Io insieme a pochi altri ufficiali venni inviato presso questi nuovi alleati; il nostro distaccamento era capeggiato da un giovane archeologo e cartografo che conoscevo appena di vista: Thomas Edward Lawrence, o, come preferivano chiamarlo i suoi compagni arabi, Aurans Iblis, Lawrence il Diavolo”.

Ho sentito dire grandissime cose su di lui, ma non conosco la storia in tutti i dettagli” lo interruppe Deidara affascinato. “Se tutto questo schifo di guerra fosse stata combattuta in modo così pittoresco, credo che avrei quasi provato piacere a parteciparvi”.

Probabilmente in seguito Pain si pentì di aver utilizzato quel tono ispirato, nostalgico e quasi profetico nel rievocare le proprie avventure al fianco di quello che sarebbe divenuto il celeberrimo Lawrence d'Arabia: la presa della città santa di Medina, la folle marcia sotto il sole implacabile del deserto per cogliere di sopresa il porto ottomano di Aqaba, le tante sfrenate cariche di cavalleria, le tattiche mordi e fuggi, l'entrata trionfale a Damasco delle forze miste dei ribelli e del Commonwealth, le grandi speranze postbelliche e il duro ritorno alla fredda ragion di Stato...

Tuttavia non poteva farci nulla: il ricordo di quell'uomo lo sopraffaceva e lacrime invisibili salivano su dal suo cuore. Se solo fosse andata diversamente, se non avessero prevalso i colonialisti...

In ogni caso- concluse- fu un soldato dal coraggio straordinario, nonché un visionario, a modo suo, e un finissimo conoscitore della cultura araba: non c'è da stupirsi che siamo entranti presto in sintonia. Sì, mi ricordo le sere accampati attorno al fuoco, a parlare per ore e ore del nostro mal d'Oriente, a complimentarci l'uno con l'altro per la nostra eccellente conoscenza dell'arabo. Subito dopo la guerra, incassate decorazioni e paga, mi congedai con onore e decisi di restare in Asia un altro po' di tempo. Visitai Gerusalemme, un sogno che non ero mai riuscito a realizzare. Fu come essere letteralmente galvanizzato: potevo sentire un non so che di spirituale, quasi come se l'intera Storia umana stesse mormorando, fuoriuscire da ogni muro, da ogni rudere antico. Feci ritorno dopo tanti anni a Baghdad, che era stata occupata dalle truppe indiane nel '17, e mi stupii di ritrovarla quasi uguale a quando ci eravamo stati insieme. E allora mi siete tornati in mente voi, amici”.

  
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