Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Pick    20/07/2012    3 recensioni
Il 20 novembre era arrivato anche quest'anno, portando con sé quel pizzico di tristezza. Ma forse non tutti i 20 novembre sono così negativi. Forse alcuni di questi possono portare delle novità inaspettate.
Piccolo avvertimento: questa è la mia prima Fan Fiction. Secondo avvertimento: in questa storia sono tutti umani (non esistono vampiri, licantropi, ecc). Terzo avvertimento: buona lettura!
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale, Nuovo personaggio | Coppie: Alice/Jasper
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 22.

 

« Ai! Brucia.. »

« E' la quinta volta che me lo dici, pensi che non l'abbia capito? »

« Forse perché non sai fare il tuo lavoro.. »

Allontanò il panno che disinfettava la ferita dal mio volto. Mi guardò per qualche istante col sopracciglio alzato e, inaspettatamente, ritornò a disinfettare con più energia, facendomi ancora più male. Forse ero stato un pochino pesante con lei.

« Ok, ok scusa, scusa! »

A quelle parole allontanò la mano lasciandomi un momento di tregua. Alzò lo sguardo in direzione della porta e facendo un cenno con la testa, comunicò al poliziotto che non era successo nulla, che quel grido era del tutto normale.

« E' ancora là? »

Domandai senza voltarmi, guardandomi il volto allo specchio che avevo davanti a me. Sarebbe rimasta una nuova cicatrice, che partiva da vicino l'orecchio sinistro fino a metà guancia.

« Ti terranno d'occhio sempre Jasper. Giorno e notte.. »

L'infermiera prese delicatamente il mio volto inclinandolo appena di lato, analizzando la ferita sotto la luce di una lampada. Disinfettò ancora una volta quella linea rossiccia mentre mi domandò:

« Cosa è successo? »

Esitai per qualche secondo, poi spiegai a Dianna quello che era accaduto.

« Odio quando quei detenuti fischiano dietro a mia sorella quando viene a trovarmi. Non ho saputo resistere questa volta. Ma non ho pensato che potessero avere qualche arma improvvisata. »

La nostra conversazione era tutto un sussurro. Dovevamo fare in modo che i poliziotti non vedessero che stavamo parlando così tanto, altrimenti potevano pensare che stavamo facendo un complotto o qualcosa del genere.

Dianna non conosceva la mia famiglia, la mia storia e nemmeno me. O almeno non in maniera diretta. Facevo spesso qualche giretto in infermeria dove lei lavorava. Quando poi cominci ad andare molte volte in un posto, cominci a dire qualche parola in più con le persone che sono presenti. Così ero finito per raccontarle la mia storia. Ovviamente soltanto alcuni aneddoti che ritenevo importanti. Era diventata una sorte di.. Amica (se così potevo definirla) con cui mi confidavo e con cui mi sfogavo.

« Sei qui da un po' di mesi, non hai ancora capito che nulla è impossibile? »

Mi domandò sorridendo appena. Aveva ragione. E' impressionante come la mente di un detenuto possa creare armi o tantissimi altri utensili con l'utilizzo di poco o niente. Ma quel giorno, spinto dalla rabbia e dall'ira non ero riuscito a pensarci e a collegare il cervello.

« Bé.. è lui che si trova nei guai adesso. E' lui che è stato trovato con un'arma non autorizzata.. »

« Giusto.. »

Si allontanò definitivamente buttando nel cestino le garze che aveva usato e i guanti che indossava. Fece un cenno con la testa e all'istante il poliziotto entrò posizionandosi dietro di me. Come un gesto automatico portai le mani all'indietro lasciandomi ammanettare, mentre Dianna mi disse le ultime raccomandazioni che in realtà mi aveva già detto. Ma dovevamo un po' recitare per far in modo che quella specie di legame non venisse scoperto.

« I punti di sutura tireranno un po' quando mangi, è normale. Una decina di giorni, poi li toglieremo. »

Timbro di voce fredda, autoritaria ed era meglio per lei che lo adoperasse. Con alcuni detenuti se non si ha un briciolo di spirito di comando è facile che prendano il sopravvento, soprattutto in un lavoro pericoloso come il suo. Alzò il volto verso il poliziotto e con un cenno della testa concluse:

« E' tutto.. »

Scesi dal lettino su cui ero seduto e, senza fiatare o altro, cominciai a camminare verso la mia “nuova abitazione”. Dio quanto odiavo quella cella. Era fredda, troppo fredda per i miei gusti. Ogni volta che vi passavo qualche minuto sentivo una stretta allo stomaco: mi mancava casa ogni giorno di più.

« Domani arriverà il tuo nuovo compagno di stanza. »

Che bello..

Feci finta di non ascoltare quello che il poliziotto mi disse. Non m'interessava, sarebbe stato l'ennesimo ammasso di carne con cui non avrei parlato né scambiato opinioni su qualsiasi cosa. Non volevo parlare con nessuna di quelle persone che si erano macchiate di qualche delitto. Sì, anche io avevo ucciso Royce ma, come lo stesso giudice aveva decretato nel verdetto, la mia era legittima difesa direttamente proporzionale all'intenzione dell'assassinato. Per cosa ero entrato in quel buco d'inferno? Un mix fra l'omicidio (che comunque non giocava a mio favore) e violazione della proprietà di domicilio.

Entrai nella cella e mi fermai a pochi passi dalla porta. Non appena si chiuse feci qualche passo all'indietro ed infilando le mani nel buco della porta, feci uscire un pezzo delle mie braccia, in modo da dare la possibilità al poliziotto di togliermi le manette. Erano tanti piccoli azioni che, col passare dei mesi, avevo assimilato e che ora erano parte di me anche senza che me lo dicessero.

In che cosa consisteva la routine della giornata?

Bé come ci si può ben aspettare, è un po' monotona in certi giorni, ma in altri diventa fin troppo movimentata. Il penitenziario utilizza una tecnica per mantenere i detenuti più... Tranquilli. Hanno ben pensato di utilizzare attività come la pittura, la cucina o piccoli lavori in officina per sfogare la rabbia di ognuno di noi. O almeno questo dicevano. La verità è che quando se sei costretto a fare qualcosa, non pensi al modo migliore per uccidere il tuo compagno di stanza. Inoltre mentre fai certe attività vieni controllato meglio da più poliziotti. Insomma era un continuo controllare che tu non facessi nulla di pericoloso ovviamente.

Una volta a settimana però, la polizia e costretta a fare dei controlli in ogni cella, mettendola sotto quadro. E' facile che lavorando in una officina, ci possa essere quel detenuto che pensa di imboscare un pezzo di ferro per chissà quale fine. Così sono costretti a ispezionare tutte le celle di tutti i detenuti. Quindi una giornata è dedicata a tutto questo controllo.

Ogni giorno poi veniva Rosalie a farmi una visita. Non sempre riusciva a venire tutti i santi giorni, ma se non lo erano, era un giorno sì, l'altro no. Assieme a lei l'accompagnava Carlisle che mi informava sempre di possibili miglioramenti nella nostra causa legale. Venivano di prima mattina e ci rimanevano per una buona mezzora.

Cosa che invece provavo a non fare, era pensare a lei, ad Alice. Provavo a non pensarci troppo, non perché non volessi ricordarla, ma perché far rinascere nella mia mente la memoria della sua voce, del suo corpo e del suo profumo, mi faceva male, troppo male. Il primo mese veniva anche lei a trovarmi. Sempre, ogni giorno. Ma più ci incontravamo, più vedevo il suo volto rattristarsi sempre più. Ogni volta che ci salutavamo scendevano sempre più lacrime. Ogni volta che ci incontravamo aveva la voce sempre più interrotta da singhiozzi improvvisi. Le faceva male vedermi con quella tutta unica color nera. Le faceva male vedere qualche nuova cicatrice rossiccia. Le faceva male vedermi lì, lontano da lei e dalla nostra intimità.

Così, trascorso un mese, le avevo assolutamente vietato di venirmi a fare visita. Forse era sbagliato, forse così le facevo solo più male e forse era anche un gesto un po' egoistico. Ma non voleva vederla soffrire per causa mia. Però volevo sapere che cosa faceva, i suoi nuovi agganci per un lavoro, come si sta concludendo la scuola. Così avevamo deciso che una volta a settimana ci saremo scritti una lettera. Lei di problemi non ne aveva, doveva soltanto scriverla e consegnargliela a Rosalie che, dopo un controllo accurato da parte della polizia per verificare che non ci fossero oggetti non autorizzati, veniva poi consegnata a me. Il problema era mio. A volte ritardavo di qualche giorno, perché in cella non era consentito portare con sé matite perché facilmente utilizzabili come armi. Dovevo rubarne una, fare ben attenzione a non farmi scoprire, il tutto lontano dagli occhi dei poliziotti. Grazie al cielo, ultimamente dalla mia parte avevo la fortuna di avere Dianna che mi spalleggiava, che riusciva a procurarmene una per qualche minuto.

Le lettere di Alice erano sempre molto lunghe, ricche di dettagli e di sentimento. Le mie invece erano decisamente più corte, con pochi dettagli, ma con una buona parte dedicata alle mie emozioni nei suoi confronti. Cercavo di tralasciare la malinconia, ma di parlarle di sentimenti vivi ed allegri perché anche se non volevo incontrarla, continuavo ad amarla come quella notte.

La notte era il momento peggiore di tutto quel tempo. Era fredda, nel vero senso della parola. Era concessa una coperta, ma era piuttosto leggera e di dartene un'altra non se ne parlava nemmeno. Di notte poi, sembrava come se tutti i dolori delle persone si liberassero solo allora. Quindi non era una casualità di sentire qualche urlo in più.

Ma fortuna volle che anche quella notte riuscì a passarla discretamente. Mi svegliai un paio di volte per il dolore alla ferita, ma tutto sommato qualche ora ero riuscito a dormire. Come di consueto, alle nove spaccate il poliziotto arrivò alla porta della mia cella dicendomi:

« Whitlock. Hai visite! »

Una cosa che odiavo profondamente era il fatto che mi chiamassero col mio secondo nome. Perché? Perché all'interno del carcere vi era un altro Hale. Lo facevano per “non confondersi”.. Almeno così dicevano, ma a me sembrava una scusa del cavolo!

Come al solito, mani alla porta, manette ai polsi e via, verso la stanza riservata alle visite. Quando fui dentro, il poliziotto mi libero dalla stretta morsa di quelle dannate manette di metallo, ed il sentimento di prigionia venne sostituito da un forte e caldo abbraccio d'affetto.

« Non so se odiarti o no! »

Disse Rosalie stritolandomi con le sue braccia. Sorrisi, salutando con un cenno del capo Carlisle, che guardava la scena vicino al tavolo su cui ci saremo sistemati da lì a qualche secondo.

« Ti sei procurato una bella ferita.. »

Mi disse quando mi sedetti accanto a lui. Carlisle alla mia sinistra e Rosalie alla mia destra. Sorrisi appena ed alzando le spalle risposi:

« Guarirà.. »

Mia sorella cominciò a farmi una ramanzina che durò una decina di minuti. Quando poi finì quella cascata d'insulti, scoppiai a ridere assieme a Carlisle. Mia sorella non era cambiata. Il suo animo era rimasto più puro che mai e forse, ora senza Royce nei paraggi, soltanto con l'amore di Emmett, i suoi occhi risplendevano ancora di più.

« Jenny come sta? »

« Bene dai.. Vorrebbe venire a trovarti ma riusciamo a farla ragionare.. »

Altro interrogativo. Jenny, mia sorella. Non avevo permesso ad Alice di venire a trovarmi e non l'avrei fatto nemmeno con mia sorella minore. Non volevo che entrasse in un luogo come quello, in mezzo a gente come quella. La purezza della sua fanciullezza si sarebbe mescolata all'animo macchiato dal peccato di quegli uomini, e non mi andava.

« Ieri ho sentito l'avvocato.. »

Argomento serio.

Non dissi nulla, attesi soltanto che il dottore proseguisse, mentre la mano di mia sorella strinse la mia. La mia pena fra vari “problemi” aveva raggiunto l'apice di nove anni. Poteva andare peggio?

« E facendo un paio di calcoli.. Con la buona condotta che ci aspettiamo.. La pena di ridurrebbe all'incirca a sette anni.. »

Avevo capito bene? Mi stavano diminuendo la pena?

Rimasi qualche secondo con le labbra semiaperte e lo sguardo perso, ma quando capì che cosa stesse dicendo un mega sorriso si dipinse sul mio volto.

« Finalmente una bella notizia! »

Esclamai guardando i miei due visitatori. Ma c'era un parere che ora, come non mai, mi mancava. Un po' mi pentì della mia decisione, ma ciò che era fatto era fatto, e non valeva la pena piangere sul latte versato.

« Lei come l'ha presa? »

Così presi coraggio, e senza dire il suo nome, mi voltai verso Rosalie, domandandole che cosa aveva detto lei, Alice. Con Carlisle e Rosalie non parlavo molto di Alice. Perché tutti e tre sapevamo che era una cosa personale, che riguardava me e la mia dolce metà.

Esitò qualche istante, ma poi rispose mostrandomi un sorriso dolcissimo:

« Molto bene, ma non voglio rovinarti la sorpresa.. »

Si voltò appena verso la sua destra e, frugando nella sua borsa, estrasse una busta bianca. Rimasi ipnotizzato da quel pezzo di carta, lo seguivo con lo sguardo come se avessi appena visto una visione. Era un cambio di programma, perché quel mese avevo ricevuto ben due sue lettere. Rosalie alzò appena la busta ed all'istante un poliziotto la prese in mano ispezionandola. Se la portò via per qualche minuto, per analizzarla completamente, poi tornò indietro lasciandola scivolare davanti a me sul tavolo. Un sorriso ebete mi si dipinse in volto, un sorriso che però un po' si spense quando il poliziotto disse che il tempo era scaduto.

« Ricordati, mani e gambe apposto.. »

Carlisle mi diede un buffetto sulla testa facendomi ridere. Di sfuggita riuscì a rubarmi un abbraccio, qualcosa di veloce, per dare più tempo a mia sorella. Lei mi guardò sospirando e tirando fuori tutte le sue energie, mi diede un forte abbraccio.

« Fai il bravo.. »

« Sempre! »

Non appena le sue braccia si allontanarono da me, portai le mani dietro la schiena. La destra stringeva la lettera di Alice, che mi sarei “gustato” in quel buco di cella. Sorrisi ai due ed uscì dalla stanza soltanto quando la porta d'uscita si chiuse dietro di loro.

« E' arrivato il tuo nuovo compagno di cella.. »

Disse il poliziotto mentre camminammo lungo il corridoio. Ah già, doveva arrivare il tizio nuovo.

« Come si chiama? »

Domandai distrattamente guardandomi attorno. Ancora qualche metro e lo avrei scoperto.

« Alan Dale.. »

Mi cambiava qualcosa saperlo oppure no? In fin dei conti non mi faceva né caldo né freddo, ma mi andava di chiedere in quel momento. Dopo pochi minuti, trovai davanti a me il nuovo compagno di cella. Era alto, ben muscoloso. Mi ricordava vagamente Joseph, l'unica differenza era che questo Alan doveva aver origini afroamericane. Non appena il poliziotto mi tolse le manette, il ragazzo si alzò dal letto su cui era seduto e sfoderandomi un mezzo sorriso, mi porse la mano dicendomi:

« Piacere, sono Alan.. »

Guardai la sua mano e poi lui. Che sia ben chiaro, non sono mai stato razzista nei confronti di americani provenienti da paesi stranieri, ma nella mia mente continuava a vagare l'idea che chiunque era qua dentro era un verme, nulla da ridire.

« Piacere.. »

Fu l'unica cosa che dissi. Non strinsi la sua mano e non lo guardai nemmeno in faccia. Aveva sistemato la sua coperta sul letto sopra a quello dove ero sistemato, quindi di problemi non ce ne erano. Meglio per lui.

Mi sedetti sul materasso e senza calcolarlo qualche altro istante, con delicatezza e col solito sorriso in volto, aprì la busta sentendomi già meglio. Non vedevo l'ora di leggere ciò che mi aveva scritto, di ammirare la sua calligrafia perfetta e di assaporare quel debole profumo di casa presente su quel pezzo di carta. Leggevo già le prime due parole, le classiche “Caro Jasper”. Pregustavo il sapore di sapere come stava, sentivo già...

« Hei! Hei Whitlock! »

Il rumore del manganello contro la porta di metallo mi fece sobbalzare, facendo cadere la lettera a terra. E adesso che diavolo voleva quello? Il fatto però fu che la sua faccia era ancora più scocciata della mia.

« Che vuoi? »

Domandai alzandomi in piedi, sfoderando un'espressione pura di disgusto nei suoi confronti.

« Cominci ad essere insopportabile. Hai altre visite.. »

« Mi stai prendendo in giro? »

« Credi che mi diverta a portarmi avanti e indietro come un cretino? »

« Bé.. Non hai niente di meglio da fare.. »

Ricevetti un bel pugno sulla nuca, tanto che traballai qualche istante. Ma dovevo fare il bravo. Continuavo a ripetermi che la “buona condotta” mi avrebbe salvato, ma era difficile mordersi la lingua e non reagire.

Quando arrivai alla stessa sala di qualche minuto prima, rimasi completamente sorpreso dalla sorpresa che avevo davanti a me.

« Maria? »

« Eh certo! Siamo in due ma ovviamente si accorge solo del capo! »

Sorrisi alla battuta di Sean. Non era cambiato. Sempre la sua solita camicia bianca, con quell'inconfondibile papillon rosso, un paio di occhiali spessi e.. La sua immancabile voce da gay.

« Se vuole mantenere il suo posto di lavoro dovrò pur fare il ruffiano.. »

Dovevo ammetterlo: la loro alchimia mi era mancata. Un po' mi mancava andare al locale per lavoro, a passare una serata di divertimento con i miei vecchi colleghi di lavoro. Dio quanto mi mancava la mia vita!

« E' bello rivedervi.. »

« Anche per noi.. »

Regalai un forte abbraccio a tutti e due, mostrandoli nei migliore dei modi quanto mi mancassero. Ovviamente, appena cominciarono a parlare, mi raccontarono tutto quello che mi ero perso. Di come Nikki si fosse invaghita nell'ennesimo vecchietto colmo di soldi. Di come Alex si sia ritrovato a versare una bottiglia di champagne addosso al cafone di Port Angels. Di come Sean avesse scritto delle nuove performance per le ragazze. E di James, che non smetteva di torturare Maria con le solite “bollette non pagate”. Sentire quegli aneddoti mi facevano sentire meglio, come se in realtà non mi trovassi poi così lontano da casa.

« Tu invece come stai? »

Risi appena alla domanda di Sean, ma tutti e due erano seri. Forse si stavano preoccupando per qualche cicatrice in più, ma non mi andava di raccontargli la storia di ognuna. Così, alzai le spalle, e come se nulla fosse, confessai quello che pensavo:

« Odio questo posto.. E' pieno di gente che ha commesso dei crimini disumani.. Anche se non li conosco.. Penso di odiarli tutti.. »

Rimasero qualche secondo in silenzio, guardandomi negli occhi. Poi fu Maria a rispondermi:

« Non tutti sono uguali.. Forse qui dentro c'è qualcuno proprio come te, che ha sacrificato la propria libertà per amore della famiglia.. »

Le sue parole un po' mi lasciarono spiazzato. Non avevo mai preso in considerazione seriamente quelle parole che Maria mi aveva appena detto. Come un cretino vedevo i volti di tutti quei detenuti con una stessa maschera, nera, macchiata di sangue.

Fu così che quando tornai in cella, questa volta fino a fine giornata, rimasi in piedi qualche minuto, davanti alla porta. Fui piuttosto titubante, ma provai a mettere in atto le parole di Maria. Il mio nuovo compagno di cella, Alan, dava le spalle. Era rivolto verso il muro, disteso sul letto. Mi schiarì la voce tre volte prima di catturare la sua attenzione. Quando si voltò, titubante, alzai il braccio verso di lui, con la mano aperta rispondendo alla frase che mi aveva detto una ventina di minuti prima.

« Jasper Whitlock Hale.. »

Sorrise appena ed afferrò la mia mano stringendola con una buona energia.

« Piacere mio! E' una lettera importante? »

Mi domandò guardando per qualche istante la busta di Alice che giaceva ancora a terra. Me ne ero quasi dimenticato. Senza farmelo ripetere due volte la raccolsi, togliendo quei granelli di polvere che si erano appiccicati.

« Molto.. »

Dissi sorridendogli, sedendomi sul letto e gustandomi per bene quella lettera che Alice aveva scritto col cuore in mano.

 

Caro Jasper,

ti sembrerà strano ricevere per la seconda volta una mia lettera in questo mese. Ma dopo la bellissima notizia di mio padre, mi sembrava corretto e doveroso farti sapere che cosa ne penso. Non puoi immaginare quanto ero felice quando ce lo ha comunicato. Penso di non essere mai stata così felice in tutta la mia vita.. A parte quella sera ovviamente.

Mamma appena lo ha saputo, come puoi ben immaginare, è scoppiata a piangere dalla felicità. Dice che quando tornerai ti preparerà un buon piatto di lasagne, quelle che piacciono a te! Sai come è fatta, pensa che il cibo sia l'antidoto per tutto e per tutti.

Papà lo aveva detto da subito che la fortuna sarebbe stata dalla nostra parte prima o poi, e così quando ce lo ha comunicato ci ha zittiti tutti con un bel “che vi avevo detto? Carlisle ha sempre ragione!”

Emmett ha fatto un urlo che ci ha spaventati tutti quanti. Ha già detto che ti aspetta per una bella partita di basket e che questa volta non hai molte possibilità di vincere!

Edward invece è stato più razionale come puoi ben pensare. Sai che non approvava la nostra relazione, ma col tempo ha capito che io e te, siamo fatti l'uno per l'altro e che siamo inseparabili. Così se ne è uscito con un bell'abbraccio nei mie confronti ed un “sono contento per te” che mi ha riempito di gioia.

Bella invece, inaspettatamente, è scoppiata a piangere. Io non immaginavo che ci tenesse così tanto, ma credimi che appena lo ha saputo ho dovuto consolarla per svariati minuti.

Per Jenny è un po' complicata la faccenda. E' difficile farle capire la differenza fra dieci o sette anni. Ma le abbiamo soltanto detto che tornerai presto... Speriamo che ora non continui a domandarci di te ogni santo minuto! :)

Non so cosa ti abbia detto Ros, ma sappi che lei ha cominciato a dare di matto! Camminava avanti e indietro per casa e già ha cominciato a pensare a qualche tua festa a sorpresa per il tuo ritorno. Mi ha già chiesto di aiutarla e già voleva ordinare una mega torta per il tuo ritorno!

Ed io.. Io invece continuo ad aspettarti. Sette, dieci o vent'anni non fanno la differenza. Continuo ad aspettarti e continuerò a farlo. Non è facile addormentarmi senza un tuo bacio o un tuo messaggio, ma non voglio arrendermi. Voglio essere qui quando varcherai la porta di casa. Già m'immagino il tuo volto serio e maturo tradito da un mezzo sorriso che renderà il tuo viso ancora più perfetto di sempre. Già sento il tuo inconfondibile “Hei” che mi regali ogni volta che mi saluti. E per quanto tu me l'abbia detto una sola volta, ricordo perfettamente e so che me lo ridirai quando tornerai a casa. Perché è difficile dimenticarsi la tua voce che quella sera mi ha sussurrato quel “Ti amo”. Te l'ho detto e te lo ripeterò in tutte le lettere che ti arriveranno: mi hai reso la persona più felice del mondo anche in un periodo orribile come quello.

Ti aspetterò sempre e comunque, sarò qui per te, per noi.

 

Tua amata, Alice

 

 

 

Tadaaaaaaann! Si nemmeno io credevo di aggiornare così velocemente O.O me tanto sorpresa! Comunque ecco il primo capitolo ambientato in carcere! Ovviamente non racconterò tutti i giorni che Jasper passa lì dentro.. In teoria i capitoli dedicati alla prigione saranno tre ed il prossimo (che ho già scritto) sarà forse quello più importante!

Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e come al solito ringrazio chi leggera e chi mi dirà che cosa ne pensa con una recensione. Bella o brutta mi fa piacere sapere che cosa ne pensate :)

Grazie a tutti quantiiii!

Un abbraccio,

Fra!

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Pick