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Autore: whitevelyn    21/07/2012    1 recensioni
Roma sempre sullo sfondo.
Roma sempre dentro ar core.
Roma nelle stelle brillarelle dei suoi occhi, gli occhi di Behati.
Roma città eterna, come eterno è quel sentimento se la leggi al contrario.
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rainbow Magicland.
31 marzo 2011. Ore 9,45.
Valmontone.
Fisso disperatamente l'appunto che ho preso soltanto una settimana fa, al telefono col responsabile del personale Stefano Torre.
L'inchiostro sul foglietto a quadretti stropicciato è sempre blu.
Il luogo, la data e l'orario sono sempre gli stessi, non sono cambiati.
La sedia verde su cui sto seduta probabilmente è sempre stata così, è stata fabbricata così, rimarrà per sempre così.
Anche la stazione di Termini stamattina alle 8,15 era identica ad ogni altro singolo giorno.
Sono solo io ad essere diversa, è solo la mia vita, tutta la mia fottutissima vita per intero ad essere diversa.
E fisso disperatamente questo appunto preso di fretta sette giorni fa, cercando di concentrarmi più che posso sulle lettere, che maledizione si accavallano le une sulle altre. Cercando, maledizione, di ritrovare tutta la determinazione e l'energia positiva che mi hanno pervasa quando Stefano Torre mi ha contattata per questo colloquio.
Cercando di non piangere.
Cercando di non pensare al mio disperato amore in standby da ben quattro dannatissimi giorni.
Cercando di non sentirle più quelle orribili sei parole che risuonano nella testa stridule come il suono di una forchetta che graffia la ceramica.
"Behati, ho bisogno di una pausa."
Un boato nel silenzio della nostra camera da letto.
Il suono di una bomba che esplode nel nostro appartamento in Via della Luce, ma che Roma non sente perchè le tende bianche del balcone ne han attutito l'intensità.
E le macerie son crollate soltanto nel mio cuore.


C'è un bip che in lontananza si ripete regolare scandendo il tempo. Non riesco a decifrarne la natura.
Mi fa male la testa. Mi fanno male le ossa. Mi fa male tutto.
E non capisco in quale parte di me risieda la consapevolezza di questo dolore acuto ed atroce nel petto, e di questo malessere diffuso.
E di questo odore nauseante di disinfettante.

Sento il nodo di un'ondata di pianto in arrivo stringersi infondo alla gola e non voglio, non devo, crollare.
Non adesso, magari tra un paio d'ore quando sarò di nuovo a casa. La casa dei miei genitori. La casa dove ho vissuto fino all'età di diciotto anni.
La palazzina color mango maturo circondata dal cortile in cui giocavo a strega comanda colori con mia sorella Corinne e gli altri bambini del vicinato.
Sento che è tutto sbagliato, che è andato tutto storto, che sto cedendo.
E che vorrei tornare indietro nel tempo alla velocità della luce, fino a quel pomeriggio d'aprile del 2002 in cui ho deciso di buttare giù al fiume tutte le mie scarpette a punta. Il giorno dell'audizione all'Opera. Il giorno della delusione più grande di tutta la mia vita, fino a quattro giorni fa.
Il giorno in cui ho gettato in pasto alle acque putride del Tevere tutti i miei sogni colorati di bianco.
Il bianco delle ali dei cigni e del ruolo per cui non ero stata ritenuta all'altezza.
Il bianco dell'innocenza dei miei quattordici anni, troppo pochi per arrendersi.
Il giorno in cui insomma, adesso lo percepisco forte e chiaro, tutto ha iniziato ad andare alla deriva, assieme alle mie scarpette.
Niente da quel giorno è andato come avrebbe dovuto e adesso lo so, lo so, maledizione, lo so, neanche le cose belle.


C'è un bip che intanto continua a perforarmi la materia grigia, fastidioso ed appuntito sembra voler richiamare la mia attenzione.
Ma io ho sonno. Non ho mai avuto così tanto sonno come oggi. Nè gli arti altrettanto pesanti, talmente pesanti che è come fossero piombo, ingestibili ed impossibili da muovere. E sono troppo stanca perfino per tentare.
Troppo stanca per aprire gli occhi e cercare d'individuare il malefico marchingegno che imperterrito produce questo diabolico bip.

D'improvviso mi domando che diavolo ci faccio io qui.
D'improvviso è come se avessi scordato i cinque anni che ho trascorso a lavorare come cameriera in quell'osteria di quartiere a San Lorenzo.
D'improvviso è come se avessi di nuovo quattordici anni e non riuscissi ad immaginare il mio futuro se non sui palcoscenici dei teatri.
D'improvviso anche questa opportunità di lavoro a Rainbow Magicland, che solo una settimana fa mi era sembrata una manna dal cielo, mi sembra soltanto una gigantesca, insopportabile, cazzata.
D'improvviso la porta davanti a me si apre e mi sbrigo a ricacciare indietro il fiotto di lacrime che mi stavano per invadere la cornea.
D'improvviso di fronte a me c'è un ragazzo col fisico da spogliarellista ed il sorriso da bambino. Un contrasto che in un istante mi devasta.
D'improvviso devo ammettere che la vita è seriamente tragica e beffarda, ma sa anche, seriamente, creare momenti assolutamente perfetti.
Indescrivibili come il bianco dei suoi denti. O come i pettorali sotto la maglietta grigia dei Ghostbusters.
"Oi. Pensavo de essè l'ultimo della lista. Stai anche te qui per il colloquio?"
D'improvviso, anche se solo per una misera frazione di secondo, lanciare le scarpette dentro i risucchi del Tevere non mi sembra più essersi rivelata un'idea tanto malvagia. Ed in questa minuscola stanza claustrofobica fa un caldo pazzesco.
"Già. ..A te come è andata? Cioè, che impressione hai avuto? Buona?"
Lo osservo, temo maniacalmente, mentre si passa infinite volte la mano tra i capelli corti, stropicciandoli.
"Bè, che vuoi che te dica bella. Io ce credo. Cioè, ce spero. Basta che non me mettano a fà er simpaticone cò a gente, travestito da coglione, per il resto me faccio andà bene quarsiasi cosa." Ride. Rido anche io, incredibile ma vero.
Come se mi fossi dimenticata di essere triste, profondamente triste e delusa.
Per la pausa di riflessione di merda che Emanuele mi ha imposto di concedergli.
Dall'interno dell'ufficio la voce di un uomo scandisce il mio nome, incerta sulla pronuncia della prima parte del mio cognome.
"Behati LeFebvre Visconti?"
Mi alzo in piedi vagamente imbarazzata ed il ragazzo di fronte a me inarca un sopracciglio.
"Ah, dai, un nome poco impegnativo il tuo." Mi sorride e mi sta anche per venire una crisi di panico.
Ho bisogno di ossigeno, sto tizio me lo sta sottraendo tutto.
Ogni volta che sorride.
Allunga una mano verso di me.
"Comunque io sono Raniero."


C'è un bip che come un treno in corsa mi si avvicina e mi strilla nell'orecchio insistente.
Spalanco gli occhi ed un fascio di luce me li punge impedendomi di distinguere le fattezze del posto in cui mi trovo.
A stento riesco a muovere le dita delle mani, informicolite al punto tale da farmi venire voglia di piangere.
Poco a poco inizio a focalizzare i contorni appannati delle forme, degli oggetti, delle persone, dentro questa stanza pregna dell'odore di candeggina, medicinali e cibo scondito. Ma ancora non quelli della mia memoria.
Un tubicino di plastica trasparente s'arrampica su per il mio avambraccio e riesco a sentire un corpo aguzzo ed estraneo infilzato dentro una vena, un ago.
Le lenzuola sotto cui mi trovo sono verdi, come le sedie degli uffici di Rainbow Magicland.
Lo stesso verde che assume l'insalata quando gli versi troppo olio.
E accanto a me riconosco mia sorella Corinne, il suo piercing al setto nasale, ed il suo stupido tatuaggio sotto le clavicole: un diamante idiota incorniciato ai lati da due nastri rosa altrettanto idioti. I capelli lisci e biondi come i miei, ma di un rosa sbiadito sulle punte, a creare un effetto sfumato che la fa somigliare ad una fata confetto. I suoi diciassette anni stampati sul viso assonnato, probabilmente reduce di una notte in bianco.
Sta sfogliando uno dei suoi amatissimi fumetti giapponesi, ma sembra non prestare realmente attenzione al contenuto. Lei sfoglia, ma lo fa per inerzia.
"Corinne."
Lei fa uno scatto sulla poltrona e sgrana gli occhi verde dentifricio, il fumetto le cade a terra e mi afferra bruscamente le mani.
L'impeto degli adolescenti. Troppi ormoni in circolo.
"Beha. Chiamo subito la mamma."
E mentre sento le sue dita intorno alle mie mani, d'improvviso ricordo tutto.
La rissa scoppiata a qualche metro da me, dentro l'Art Cafè di Villa Borghese.
Un ragazzo che viene pugnalato ad un fianco, la camicia nera che gli si squarcia nel punto in cui comincia a sgorgare il sangue.
Qualcosa o qualcuno che mi spinge inaspettatamente contro la balaustra che circonda l'area privè.
La storta alla caviglia destra, le mie mani che provano ad afferrare il braccio di Giulia invano, la testa che s'infrange a peso morto contro la balaustra.
E poi buio pesto.
E poi nel limbo dell'inconscienza lo spiraglio di luce del suo sorriso.
Il ricordo di quando ci siamo conosciuti. Quasi un anno e mezzo fa.
E adesso questo bisogno impellente.

Questo bisogno impellente di vederti, Raniero.
Anche se non abbiamo un'armonia, un equilibrio, un senso.
Anche se combiniamo solo casini.
Ogni volta che sorridi.. ogni volta che sorridi io sento che tornerei sempre indietro a quel pomeriggio d'aprile del 2002 per sbarazzarmi di quelle scarpette e di quei sogni che forse m'avrebbero trascinata troppo distante da qui, da questo letto d'ospedale, da Roma,
da te, Raniè.



L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Buonasera a tutti, o forse dovrei dire buonanotte data l'ora.
Questo secondo capitolo è narrato come avrete capito da un punto di vista diverso rispetto al primo. Qui sentiamo la voce del pensiero di Behati, la ragazza di cui parlava il ragazzo del primo capitolo. Non so se attraverso la struttura di questo capitolo sono riuscita a dare un'idea abbastanza chiara della situazione, dei luoghi e dei tempi. In caso qualcosa non vi sia comprensibile chiedete pure, ahahah. Ringrazio le ragazze che mi hanno recensita, sperando continueranno a seguirmi e di non averle deluse. Per rispondere a chi mi chiedeva come mai ho scelto come sfondo la città di Roma, rispondo che nonostante io sia di un'altra città, e pure di un'altra regione, ogni volta che varco i confini romani ed entro nella capitale, mi sento a casa, sento che l'aria si fa diversa, più respirabile, più buona. Trovo che sia davvero la città più bella, romantica, emozionante, importante, der monno intero. Roma, letto al contrario è Amor e da qui anche il titolo di questa storia. Ancora grazie a chi mi vorrà comunicare il suo pensiero ed ancora baci della buonanotte per voi. Al prossimo capitolo.
  
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