CAPITOLO 2
La
sera era scesa silenziosa su quelle acque salate e sporche di sangue.
Isabel
piangeva ancora, silenziosamente, per la perdita della sorella e per la
fune
troppo stretta ai polsi.
Il capitano giaceva ai suoi piedi più morto che vivo,
il galeone aveva già ripreso a navigare e la ragazza era
voltata verso il
mercantile che era quasi affondato del tutto.
Mentre
era immersa nel suo dolore, uno dei due pirati che la stringevano per
le
braccia la strattonò e parlò in inglese
«Guarda questo verme sta sporcando
tutto!» le si mise di fronte e con il piede sferrò
un calcio al corpo inerme di
Sean, «Ti toccherà pulire a te, chica» e
cominciò a toccarla ovunque, l’altro
pirata rise.
«Smettetela!»
gridò Isabel ripetutamente mentre si divincolava.
Quello che la stava
palpeggiando l’afferrò con poca grazia per i
capelli biondi e provò ad
infilarle la mano sotto la scollatura dell’abito, gli occhi
della ragazza
tornarono lucidi e gonfi di rabbia per l’umiliazione;
raccogliendo un po’ di
coraggio gli sputò centrandolo in pieno in un
occhio.
L’uomo di riflesso le
mollò un ceffone e Isabel per poco non cadde a terra.
«Basta cosi
Pedro» ordinò una voce fredda ma
giovanile mentre lei ricominciava a piangere nascosta dai capelli. I
due la
trascinarono in avanti, e la spinsero quasi addosso al
capitano.
Lei aveva
ancora la testa di lato e si ostinava a non voltarsi. «Guarda
qui Kevin, guarda
cosa abbiamo catturato» rise di nuovo Pedro, fino a tossire
poi sputacchiò a
terra.
«Non
è divertente, lo sai» disse Kevin gelido poi si
rivolse ad Isabel «Come ti
chiami?», l’accento era inglese ma lei non aveva
alcuna intenzione di parlare
con quella gentaglia.
L’uomo
che non si chiamava Pedro la afferrò per il mento e la
costrinse a guardare in
faccia il loro capitano, Isabel gli lanciò
un’occhiata carica d’ira che si
sciolse all’istante.
Quello davanti a lei era un ragazzo poco più grande della
sua età, altissimo e con gli occhi chiari che facevano
contrasto con la pelle
abbronzata. Gli orecchini d’oro a cerchio spuntavano da sotto
i lunghi capelli
scuri raccolti in una coda, stranamente non c’era nessuna
sciabola al suo
fianco.
Sussultò
quando la guardò negli occhi gonfi e arrossati per il
pianto, Isabel provò un
senso di forte imbarazzo e distolse lo sguardo.
«Il gatto deve averle mangiato
la lingua» disse Pedro sghignazzando «E’
un vero peccato perché io gliel’avrei
fatta usare bene…» il ragazzo lo
fulminò con lo sguardo.
«Che ho detto?
Possiamo sempre dividercela! Sono un generoso io, lo sapete»
continuò ironico il
pirata.
Tutta
la ciurma li raggiunse e formarono un cerchio intorno ad Isabel,
«Che ne
facciamo della donna?» ridacchiò un tipo basso e
vecchio, altri due si
sussurrano qualcosa all’orecchio e la additarono, la ragazza
guardò per terra.
Il secondo si fece avanti, era un uomo sulla trentina con la barba
incolta e
senza capelli, chiese a Kevin se fosse il caso di sbarazzarsi
dell’altro
capitano.
Il
ragazzo ordinò di farlo mettere in piedi, Sean tossi e
sputacchiò sangue, la
ferita era aperta e Isabel temette che sarebbe morto dissanguato.
«Riesci a
sentirmi?» gli chiese Kevin «Tu e la ragazza siete
sulla mia nave», Sean lo
maledisse ma Kevin rimase impassibile «Non sembra molto
socievole» si voltò
verso la ciurma che lo incitò a farlo fuori.
Il ragazzo scosse la testa
«Quanti altri prigionieri
ci sono a bordo Carlos?» chiese con noncuranza al secondo il
quale rispose
prontamente «Nessun’altro, ci sono solo questi due,
gli altri sono tutti morti».
Isabel
singhiozzò «Siete degli assassini! Ma come fate?
Non v’importa niente della
vita degli altri!» tutti risero tranne Kevin, Pedro le si
avvicinò al viso «No
non ce ne frega niente e se non la smetti morirai anche tu!»
rise di gusto.
Isabel
non ce la faceva neanche più a piangere, provava solo un
enorme ribrezzo «Ridi
pure quanto vuoi maledetto, tanto andrai all’inferno su
questo non c’è dubbio!»
gridò al pirata.
Pedro rise ancora «Sta a vedere signorina dei miei
stivali»
spinse Sean fino al parapetto ed estrasse il pugnale in modo che tutti
potessero vedere «No ti prego non farlo! Lui non ha fatto
niente di male!» urlò
Isabel, Pedro gli puntò il pugnale alla gola, tutti
esultarono, «Non fatele del
male…» disse Sean prima di essere sgozzato e
gettato negli abissi.
La
ragazza rimase di ghiaccio.
«Adesso tocca a lei! Facciamola a pezzi!» gridarono
in coro, «Ho un’ idea migliore» disse
Pedro, afferrò un asse che stava li
vicino e lo posizionò sulla parte vuota del parapetto
«Divertiamoci un po’».
Prese
Isabel per un braccio e la trascinò sull’asse
«Forza facci vedere il tuo
equilibrio chica», i pirati ridevano come matti, Carlos
tracannava più rum che
poteva.
Lei decise che tanto valeva essere morta invece che rimanere
lì in
mezzo a tutti quei zoticoni.
Mentre
avanzava fino all’estremità cercando di non farsi
prendere da possibili
giramenti di testa gli uomini fecero traballare l’asse. Ad un
certo punto
Kevin, che aveva osservato la scena in silenzio si avvicinò
«Su adesso smettetela,
è un ordine! Tornate tutti al vostro lavoro,
c’è un inventario da fare».
Le
facce della ciurma lo guardarono perplessi «Capitano ma cosa
dici? Dobbiamo
festeggiare!», Kevin si arrabbiò «Io
dico che adesso ognuno torna al posto suo
o ci finite voi in pasto ai pescicani» scandì bene
le parole una ad una, «Sapete
che mantengo sempre le mie promesse» calò
all’istante il silenzio, nessuno
rideva più.
Isabel
era immobile ad un passo dal baratro, continuava ad avere paura e a
desiderare
di finire in mare pur di non restare li.
«Non vi vergognate neanche un po’? E’
una donna, non un oggetto» disse Kevin guardandoli uno ad uno
poi salì
sull’asse, prese per mano Isabel che stava tremando e la
riportò sul ponte.
I
suoi compagni si decisero a tornare alle loro postazioni trattenendo a
stento
la rabbia «Lo dicevo io che le femmine a bordo portano solo
disgrazie» urlò
qualcuno, Kevin lo ignorò «Benvenuta a bordo della
Black Demon» disse alla
ragazza con un mezzo sorriso forzato e le lasciò la mano,
sfilò un pugnale
dallo stivale e la liberò dalle corde.
«Mi
chiamo Isabel» disse la ragazza con diffidenza mentre si
massaggiava i polsi,
era molto più bassa di Kevin e questo la mise in soggezione,
evitò il suo sguardo.
«Io sono Kevin, il capitano» si presentò
lui.
«Ti chiedo scusa da
parte di questi…mostri»
soffocò una risatina «Io sono come loro, ne
più ne meno» tornò serio e fece per
andarsene, poi parlò di nuovo «Credo che tu
dormirai nella stiva» affermò, ma era
di nuovo distaccato.
«E
dov’è esattamente? Potreste accompagnarmi per
favore? Scusate ma quel Pedro…mi
spaventa» Isabel rabbrividì. Il ragazzo
annuì e la accompagnò sottocoperta nella
stiva senza dire nulla, quella creatura indifesa stava già
facendo strada nel
suo cuore? Forse, ma lui di certo non l’avrebbe mai ammesso.
Quando
furono in mezzo a tutte quelle armi e barili colmi di polvere da sparo
però Isabel
ebbe un mancamento, le tornò in mente l’ultima
volta che aveva visto sua
sorella e si sentì svenire, Kevin la sorresse e la prese in
braccio, provò a
chiamarla ma lei non rispose.
La
ragazza si svegliò qualche ora dopo ed ebbe un fremito,
quando scoprì di essere
in un grande letto pensò che forse tutto quello che era
successo fosse stato un
incubo, ma poi la voce di Kevin la riportò alla
realtà «Ti senti meglio?» le chiese,
era seduto su una poltroncina ai piedi del letto.
«Si…»
disse lei cercando di rimanere calma e trovò
le forze per alzarsi. «Sarai affamata» Kevin le
sorrise «Ti ho fatto preparare
qualcosa da mangiare» indicò il tavolo imbandito.
Isabel
lo ringraziò e si sedette un po’ incerta, poi morse una fetta di pane.
Kevin le si sedette
affianco, lei lo ringraziò di nuovo, era impacciata e si
sentiva del tutto
fuori luogo.«Non devi» rispose lui
«Piuttosto…posso sapere chi è
Jane?» la
guardò incuriosito.
Isabel
sospirò cercando di non piangere «Era mia
sorella», Kevin abbassò lo sguardo «Uno
dei tuoi scagnozzi l’ha uccisa». La ragazza bevve
un po’ d’acqua, «Come sai il
suo nome?» era diventata seria, «Non hai fatto
altro che chiamarla mentre
dormivi» disse lui. «E tu perché fai
questa vita? Non sei spagnolo…e non sembri
affatto un mostro come loro…» iniziò a
dire Isabel, ma Kevin non le rispose
subito.
«Mangia»
disse dopo un lunghissimo silenzio e
si alzò, tirò fuori da un baule delle coperte e
le stese a terra, prese uno dei
due cuscini dal letto e lo gettò su di esse. Isabel non
capì subito, lo guardò
confusa «Non posso lasciarti nella stiva, è il
caso che tu dorma qui, ti cedo
il mio letto» disse lui mentre si scioglieva la coda e i
capelli gli ricadevano
oltre le spalle, poi si sbottonò la camicia.
Isabel
voleva fuggire il più lontano possibile da li ma si
limitò a voltarsi
dall’altra parte. Quando sentì gli stivali gettati
a terra si girò lentamente,
Kevin era disteso sulle coperte
con un lenzuolo bianco sopra, si intravedevano solo le spalle nude.
Isabel
arrossì e riprese a mangiare poi Kevin si scoprì
e sbuffò «Fa troppo caldo».
«Scusami,
è colpa mia, non sei costretto a dormire per terra per
me» disse lei
dispiaciuta, «Sta tranquilla non è un
problema» rispose il ragazzo e si girò su
un fianco per darle le spalle.
Isabel
notò subito le vecchie cicatrici di qualche colpo di frusta,
si notavano anche
se la pelle era abbronzata ma decise di non chiedergli nulla a
riguardo.
La
dolcezza e la freddezza di quel giovane in qualche modo la attraevano .
L’idea
che qualcuno lo avesse frustrato in passato la infastidì e
in cuor suo era curiosa
di conoscere qualcosa in più della sua vita; finì
la cena e certa che lui
dormisse si tolse il vestito e rimase in sottoveste.
Si
buttò sul letto con gli occhi di nuovo lucidi,
perché il destino si era cosi
accanito contro di lei? Quanto ci avrebbe messo a rassegnarsi, a
diventare
adulta? A non pensare che non avrebbe mai più rivisto la sua
famiglia?
Si
tirò su e si rannicchiò con le ginocchia
appoggiate al mento poi il suo sguardo
incontrò quello di Kevin, era seduto per terra a gambe
incrociate ai piedi del
letto, la guardava come se cercasse di non farlo.
Isabel
si sforzò di non pensare che entrambi erano accumunati da
una sofferenza enorme
che avevano vissuto e che stavano ancora vivendo. «Beh io ti
auguro una
buonanotte Isabel» mormorò Kevin e si
sdraiò di nuovo , lei non rispose ma
continuò a piangere in silenzio.
Il
ragazzo restò sveglio per buona parte della nottata ad
ascoltare il respiro
mozzato e i brevi singhiozzi di Isabel.
Avrebbe voluto stringerla e dirle che
comprendeva il suo dolore, ma una parte di lui non poteva cedere, non
c’era
amore o amicizia con una donna nel suo mondo. E non vedeva
perché avrebbe
dovuto esserci proprio in quel momento.
Poco
prima dell’alba Isabel soffiò sulle candele che le
avevano fatto compagnia
rimanendo accese la sera prima e silenziosamente uscì dal
letto, Kevin era immobile
su quella specie di giaciglio che si era creato per terra. La ragazza
si
soffermò per un attimo a contemplare la sua sagoma nella
penombra poi si
avvicinò alla porta; toccò la maniglia e la
girò.
Non
si aprì. Allora cercò con le mani una chiave
infilata nella serratura, trovò la
serratura ma non la chiave. Per il nervoso tirò un calcio
alla porta e forzò la
maniglia per un paio di volte, il sole iniziò a sorgere.
«Cercavi questa?».
La
voce di Kevin la fece trasalire, si voltò lentamente e se lo
trovò ad un passo
dal suo viso. Era serio e le mostrava una grossa chiave nera nella mano
destra.
Scioccamente Isabel provò ad afferrarla senza successo.
«Non pretendo che tu
ti fidi di me ma mettiamo
in chiaro una cosa, adesso sei mia prigioniera quindi non scapperai
proprio da
nessuna parte, chiaro?» la sua voce era cosi bella in
confronto al sapore di
quelle parole, Isabel lo guardò negli occhi mentre i battiti
del suo cuore
acceleravano, sorrise «Va bene scusa» e
tornò a letto.
Kevin
restò a fissarla.
«E comunque, signor capitano, della mia vita decido
io» disse
con tono divertito. Il ragazzo la trascinò giù
dal letto per un braccio e la
spinse contro la porta come un attimo prima «Forse non hai
capito che te la sto
salvando la vita, fuori questa porta c’è un branco
di uomini assetati che non toccano
una donna da molti mesi!» si stava infuriando.
Isabel
non si scompose «So badare a me stessa»,
«Non credo proprio ragazzina…»
replicò
Kevin arrabbiato, poi la lasciò andare e si sedette alla
scrivania ad analizzare
alcune carte nautiche.
«Non sono una ragazzina! Ho 16 anni, non credo che tu
sia molto più vecchio di me» disse Isabel, si
stava innervosendo anche lei e
visto che lui non rispondeva proseguì «E sono
sicura che anche tu non tocchi
una donna da mesi…o meglio, una prostituta».
Il
ragazzo si voltò verso di lei «Cosa?»
rise «Tu non sai niente di me e faresti
meglio a tacere». «Allora perché non mi
racconti…» replicò lei ma lui la
interruppe e si avviò verso la porta «Devo andare
adesso», la aprì e uscì. La
ragazza si arrabbiò molto quando sentì il rumore
della chiave girare nella
serratura dall’esterno.