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Autore: Eos BiancaLuna    21/07/2012    0 recensioni
Isabel è una ragazza nobile d'animo e coraggiosa che intraprende un viaggio con la sorella più grande per lasciare i loro furiosi genitori. Sullo sfondo dell'oceano atlantico nel 1700 i pirati incrociano la sua strada provocandole sofferenza e non solo, Isabel è costretta a crescere, a cavarsela da sola ed affrontare la sua nuova vita.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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CAPITOLO 2

              

La sera era scesa silenziosa su quelle acque salate e sporche di sangue. Isabel piangeva ancora, silenziosamente, per la perdita della sorella e per la fune troppo stretta ai polsi. 
Il capitano giaceva ai suoi piedi più morto che vivo, il galeone aveva già ripreso a navigare e la ragazza era voltata verso il mercantile che era quasi affondato del tutto.
Mentre era immersa nel suo dolore, uno dei due pirati che la stringevano per le braccia la strattonò e parlò in inglese «Guarda questo verme sta sporcando tutto!» le si mise di fronte e con il piede sferrò un calcio al corpo inerme di Sean, «Ti toccherà pulire a te, chica» e cominciò a toccarla ovunque, l’altro pirata rise.
«Smettetela!» gridò Isabel ripetutamente mentre si divincolava. 
Quello che la stava palpeggiando l’afferrò con poca grazia per i capelli biondi e provò ad infilarle la mano sotto la scollatura dell’abito, gli occhi della ragazza tornarono lucidi e gonfi di rabbia per l’umiliazione; raccogliendo un po’ di coraggio gli sputò centrandolo in pieno in un occhio. 
L’uomo di riflesso le mollò un ceffone e Isabel per poco non cadde a terra.
«Basta cosi Pedro» ordinò una voce fredda ma giovanile mentre lei ricominciava a piangere nascosta dai capelli. I due la trascinarono in avanti, e la spinsero quasi addosso al capitano. 
Lei aveva ancora la testa di lato e si ostinava a non voltarsi. «Guarda qui Kevin, guarda cosa abbiamo catturato» rise di nuovo Pedro, fino a tossire poi sputacchiò a terra.
«Non è divertente, lo sai» disse Kevin gelido poi si rivolse ad Isabel «Come ti chiami?», l’accento era inglese ma lei non aveva alcuna intenzione di parlare con quella gentaglia.
L’uomo che non si chiamava Pedro la afferrò per il mento e la costrinse a guardare in faccia il loro capitano, Isabel gli lanciò un’occhiata carica d’ira che si sciolse all’istante. 
Quello davanti a lei era un ragazzo poco più grande della sua età, altissimo e con gli occhi chiari che facevano contrasto con la pelle abbronzata. Gli orecchini d’oro a cerchio spuntavano da sotto i lunghi capelli scuri raccolti in una coda, stranamente non c’era nessuna sciabola al suo fianco.
Sussultò quando la guardò negli occhi gonfi e arrossati per il pianto, Isabel provò un senso di forte imbarazzo e distolse lo sguardo. 
«Il gatto deve averle mangiato la lingua» disse Pedro sghignazzando «E’ un vero peccato perché io gliel’avrei fatta usare bene…» il ragazzo lo fulminò con lo sguardo. 
«Che ho detto? Possiamo sempre dividercela! Sono un generoso io, lo sapete» continuò ironico il pirata.
Tutta la ciurma li raggiunse e formarono un cerchio intorno ad Isabel, «Che ne facciamo della donna?» ridacchiò un tipo basso e vecchio, altri due si sussurrano qualcosa all’orecchio e la additarono, la ragazza guardò per terra. 
Il secondo si fece avanti, era un uomo sulla trentina con la barba incolta e senza capelli, chiese a Kevin se fosse il caso di sbarazzarsi dell’altro capitano.
Il ragazzo ordinò di farlo mettere in piedi, Sean tossi e sputacchiò sangue, la ferita era aperta e Isabel temette che sarebbe morto dissanguato. «Riesci a sentirmi?» gli chiese Kevin «Tu e la ragazza siete sulla mia nave», Sean lo maledisse ma Kevin rimase impassibile «Non sembra molto socievole» si voltò verso la ciurma che lo incitò a farlo fuori.
Il ragazzo scosse la testa «Quanti altri prigionieri ci sono a bordo Carlos?» chiese con noncuranza al secondo il quale rispose prontamente «Nessun’altro, ci sono solo questi due, gli altri sono tutti morti».
Isabel singhiozzò «Siete degli assassini! Ma come fate? Non v’importa niente della vita degli altri!» tutti risero tranne Kevin, Pedro le si avvicinò al viso «No non ce ne frega niente e se non la smetti morirai anche tu!» rise di gusto.
Isabel non ce la faceva neanche più a piangere, provava solo un enorme ribrezzo «Ridi pure quanto vuoi maledetto, tanto andrai all’inferno su questo non c’è dubbio!» gridò al pirata. 
Pedro rise ancora «Sta a vedere signorina dei miei stivali» spinse Sean fino al parapetto ed estrasse il pugnale in modo che tutti potessero vedere «No ti prego non farlo! Lui non ha fatto niente di male!» urlò Isabel, Pedro gli puntò il pugnale alla gola, tutti esultarono, «Non fatele del male…» disse Sean prima di essere sgozzato e gettato negli abissi.
La ragazza rimase di ghiaccio. 
«Adesso tocca a lei! Facciamola a pezzi!» gridarono in coro, «Ho un’ idea migliore» disse Pedro, afferrò un asse che stava li vicino e lo posizionò sulla parte vuota del parapetto «Divertiamoci un po’».
Prese Isabel per un braccio e la trascinò sull’asse «Forza facci vedere il tuo equilibrio chica», i pirati ridevano come matti, Carlos tracannava più rum che poteva. 
Lei decise che tanto valeva essere morta invece che rimanere lì in mezzo a tutti quei zoticoni.
Mentre avanzava fino all’estremità cercando di non farsi prendere da possibili giramenti di testa gli uomini fecero traballare l’asse. Ad un certo punto Kevin, che aveva osservato la scena in silenzio si avvicinò «Su adesso smettetela, è un ordine! Tornate tutti al vostro lavoro, c’è un inventario da fare».
Le facce della ciurma lo guardarono perplessi «Capitano ma cosa dici? Dobbiamo festeggiare!», Kevin si arrabbiò «Io dico che adesso ognuno torna al posto suo o ci finite voi in pasto ai pescicani» scandì bene le parole una ad una, «Sapete che mantengo sempre le mie promesse» calò all’istante il silenzio, nessuno rideva più.
Isabel era immobile ad un passo dal baratro, continuava ad avere paura e a desiderare di finire in mare pur di non restare li.
«Non vi vergognate neanche un po’? E’ una donna, non un oggetto» disse Kevin guardandoli uno ad uno poi salì sull’asse, prese per mano Isabel che stava tremando e la riportò sul ponte.
I suoi compagni si decisero a tornare alle loro postazioni trattenendo a stento la rabbia «Lo dicevo io che le femmine a bordo portano solo disgrazie» urlò qualcuno, Kevin lo ignorò «Benvenuta a bordo della Black Demon» disse alla ragazza con un mezzo sorriso forzato e le lasciò la mano, sfilò un pugnale dallo stivale e la liberò dalle corde.
«Mi chiamo Isabel» disse la ragazza con diffidenza mentre si massaggiava i polsi, era molto più bassa di Kevin e questo la mise in soggezione, evitò il suo sguardo. «Io sono Kevin, il capitano» si presentò lui.
«Ti chiedo scusa da parte di questi…mostri» soffocò una risatina «Io sono come loro, ne più ne meno» tornò serio e fece per andarsene, poi parlò di nuovo «Credo che tu dormirai nella stiva» affermò, ma era di nuovo distaccato.
«E dov’è esattamente? Potreste accompagnarmi per favore? Scusate ma quel Pedro…mi spaventa» Isabel rabbrividì. Il ragazzo annuì e la accompagnò sottocoperta nella stiva senza dire nulla, quella creatura indifesa stava già facendo strada nel suo cuore? Forse, ma lui di certo non l’avrebbe mai ammesso.
Quando furono in mezzo a tutte quelle armi e barili colmi di polvere da sparo però Isabel ebbe un mancamento, le tornò in mente l’ultima volta che aveva visto sua sorella e si sentì svenire, Kevin la sorresse e la prese in braccio, provò a chiamarla ma lei non rispose.

La ragazza si svegliò qualche ora dopo ed ebbe un fremito, quando scoprì di essere in un grande letto pensò che forse tutto quello che era successo fosse stato un incubo, ma poi la voce di Kevin la riportò alla realtà «Ti senti meglio?» le chiese, era seduto su una poltroncina ai piedi del letto.
«Si…» disse lei cercando di rimanere calma e trovò le forze per alzarsi. «Sarai affamata» Kevin le sorrise «Ti ho fatto preparare qualcosa da mangiare» indicò il tavolo imbandito.
Isabel lo ringraziò e si sedette un po’ incerta, poi  morse una fetta di pane. Kevin le si sedette affianco, lei lo ringraziò di nuovo, era impacciata e si sentiva del tutto fuori luogo.«Non devi» rispose lui «Piuttosto…posso sapere chi è Jane?» la guardò incuriosito.
Isabel sospirò cercando di non piangere «Era mia sorella», Kevin abbassò lo sguardo «Uno dei tuoi scagnozzi l’ha uccisa». La ragazza bevve un po’ d’acqua, «Come sai il suo nome?» era diventata seria, «Non hai fatto altro che chiamarla mentre dormivi» disse lui. «E tu perché fai questa vita? Non sei spagnolo…e non sembri affatto un mostro come loro…» iniziò a dire Isabel, ma Kevin non le rispose subito.
«Mangia» disse dopo un lunghissimo silenzio e si alzò, tirò fuori da un baule delle coperte e le stese a terra, prese uno dei due cuscini dal letto e lo gettò su di esse. Isabel non capì subito, lo guardò confusa «Non posso lasciarti nella stiva, è il caso che tu dorma qui, ti cedo il mio letto» disse lui mentre si scioglieva la coda e i capelli gli ricadevano oltre le spalle, poi si sbottonò la camicia.
Isabel voleva fuggire il più lontano possibile da li ma si limitò a voltarsi dall’altra parte. Quando sentì gli stivali gettati a terra si girò  lentamente, Kevin era disteso sulle coperte con un lenzuolo bianco sopra, si intravedevano solo le spalle nude. Isabel arrossì e riprese a mangiare poi Kevin si scoprì e sbuffò «Fa troppo caldo».
«Scusami, è colpa mia, non sei costretto a dormire per terra per me» disse lei dispiaciuta, «Sta tranquilla non è un problema» rispose il ragazzo e si girò su un fianco per darle le spalle.
Isabel notò subito le vecchie cicatrici di qualche colpo di frusta, si notavano anche se la pelle era abbronzata ma decise di non chiedergli nulla a riguardo.
La dolcezza e la freddezza di quel giovane in qualche modo la attraevano . L’idea che qualcuno lo avesse frustrato in passato la infastidì e in cuor suo era curiosa di conoscere qualcosa in più della sua vita; finì la cena e certa che lui dormisse si tolse il vestito e rimase in sottoveste.
Si buttò sul letto con gli occhi di nuovo lucidi, perché il destino si era cosi accanito contro di lei? Quanto ci avrebbe messo a rassegnarsi, a diventare adulta? A non pensare che non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia?
Si tirò su e si rannicchiò con le ginocchia appoggiate al mento poi il suo sguardo incontrò quello di Kevin, era seduto per terra a gambe incrociate ai piedi del letto, la guardava come se cercasse di non farlo.
Isabel si sforzò di non pensare che entrambi erano accumunati da una sofferenza enorme che avevano vissuto e che stavano ancora vivendo. «Beh io ti auguro una buonanotte Isabel» mormorò Kevin e si sdraiò di nuovo , lei non rispose ma continuò a piangere in silenzio.
Il ragazzo restò sveglio per buona parte della nottata ad ascoltare il respiro mozzato e i brevi singhiozzi di Isabel. 
Avrebbe voluto stringerla e dirle che comprendeva il suo dolore, ma una parte di lui non poteva cedere, non c’era amore o amicizia con una donna nel suo mondo. E non vedeva perché avrebbe dovuto esserci proprio in quel momento.
Poco prima dell’alba Isabel soffiò sulle candele che le avevano fatto compagnia rimanendo accese la sera prima e silenziosamente uscì dal letto, Kevin era immobile su quella specie di giaciglio che si era creato per terra. La ragazza si soffermò per un attimo a contemplare la sua sagoma nella penombra poi si avvicinò alla porta; toccò la maniglia e la girò.
Non si aprì. Allora cercò con le mani una chiave infilata nella serratura, trovò la serratura ma non la chiave. Per il nervoso tirò un calcio alla porta e forzò la maniglia per un paio di volte, il sole iniziò a sorgere. «Cercavi questa?».
La voce di Kevin la fece trasalire, si voltò lentamente e se lo trovò ad un passo dal suo viso. Era serio e le mostrava una grossa chiave nera nella mano destra. Scioccamente Isabel provò ad afferrarla senza successo.
«Non pretendo che tu ti fidi di me ma mettiamo in chiaro una cosa, adesso sei mia prigioniera quindi non scapperai proprio da nessuna parte, chiaro?» la sua voce era cosi bella in confronto al sapore di quelle parole, Isabel lo guardò negli occhi mentre i battiti del suo cuore acceleravano, sorrise «Va bene scusa» e tornò a letto.
Kevin restò a fissarla. 
«E comunque, signor capitano, della mia vita decido io» disse con tono divertito. Il ragazzo la trascinò giù dal letto per un braccio e la spinse contro la porta come un attimo prima «Forse non hai capito che te la sto salvando la vita, fuori questa porta c’è un branco di uomini assetati che non toccano una donna da molti mesi!» si stava infuriando.
Isabel non si scompose «So badare a me stessa», «Non credo proprio ragazzina…» replicò Kevin arrabbiato, poi la lasciò andare e si sedette alla scrivania ad analizzare alcune carte nautiche. 
«Non sono una ragazzina! Ho 16 anni, non credo che tu sia molto più vecchio di me» disse Isabel, si stava innervosendo anche lei e visto che lui non rispondeva proseguì «E sono sicura che anche tu non tocchi una donna da mesi…o meglio, una prostituta».
Il ragazzo si voltò verso di lei «Cosa?» rise «Tu non sai niente di me e faresti meglio a tacere». «Allora perché non mi racconti…» replicò lei ma lui la interruppe e si avviò verso la porta «Devo andare adesso», la aprì e uscì. La ragazza si arrabbiò molto quando sentì il rumore della chiave girare nella serratura dall’esterno.

 

   
 
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