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Autore: Eos BiancaLuna    20/09/2014    2 recensioni
Isabel è una ragazza nobile d'animo e coraggiosa che intraprende un viaggio con la sorella più grande per lasciare i loro furiosi genitori. Sullo sfondo dell'oceano atlantico nel 1700 i pirati incrociano la sua strada provocandole sofferenza e non solo, Isabel è costretta a crescere, a cavarsela da sola ed affrontare la sua nuova vita.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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CAPITOLO 3

                 

Kevin trafficò tutta la mattina sul pontile a dare ordini e a calcolare il valore delle merci che avevano rubato il giorno prima. 
Aveva ordinato che fosse portato qualcosa da mangiare alla sua “prigioniera” senza che riuscisse a scappare naturalmente, e ignorava ogni commento che Pedro e compagnia insistevano a pronunciare a riguardo.
Carlos, il secondo, gli si affiancò verso le prime ore pomeridiane «Kevin… ma cos’è successo nella tua cabina?».
Il capitano gli lanciò una rapida occhiata interrogativa «Niente…manteniamo la rotta fino alla prossima…», Carlos lo  interruppe incuriosito, «Ma insomma! Mi sono ricordato che stamattina c’era qualcuno che bussava violentemente! Non mi dirai che ci hai rinchiuso la ragazza…».
Kevin lo guardò come se fosse ovvio, «Preferivi forse che la mettessi in cella? E poi un luogo chiuso vale l’altro, almeno li non ci darà fastidio». Il secondo lo guardò perplesso «Io credo sia il caso di liberarcene». Kevin sorrise spavaldo prima di rispondere prontamente «No non direi, potrebbe esserci molto utile invece» e si allontanò prima che Carlos potesse fare altre obiezioni.

Isabel era a letto, il suo tentativo di persuadere il cuoco a liberarla si era rivelato una battaglia persa. Mostrandole la chiave affidatagli da Kevin, il vecchio pirata dai lunghi baffi le aveva sussurrato quanto egli non potesse tradire gli ordini del capitano. 
Cosi la ragazza ancora più arrabbiata, si era alzata in piedi e guardandosi intorno per un attimo aveva deciso di mettere in atto l’idea che le balenava nella testa dalla mattina...

Si avvicinò alla scrivania e senza pensarci troppo  scaraventò le carte nautiche per terra, poi toccò il vassoio con gli avanzi del cibo e alcuni candelabri, persino il vaso da notte non fu risparmiato. 
Aprì il baule che trovò in un angolo della cabina e tirò fuori una ad una le camicie di Kevin, c’era anche qualche gingillo d’oro e pietre preziose, lo svuotò completamente poi dopo aver ammirato il risultato dei suoi sforzi si sedette sul letto. 
La calda luce del sole che entrava dall’oblò le annunciò che era ormai pomeriggio. Sbuffando la ragazza si rialzò e trovò qualche libro di storia su una mensola di legno; ne sfogliò distrattamente un paio poi li lasciò cadere a terra. 
La verità era che la solitudine non faceva che premere sul fatto che sua sorella non c’era più e lei non voleva continuare a pensarci. Ma un senso di tristezza s’impadronì del suo cuore. 
Si fermò a guardare la cabina a soqquadro e si chiese quanto Kevin si sarebbe arrabbiato, ma invece di pentirsi di ciò che aveva fatto tornò a letto e si sistemò sotto le lenzuola con la convinzione che dormire era l’unica cosa da fare. 
Ma quando sarebbe finito quell’incubo? Sarebbe mai tornata a casa da suo padre? Anche quel pensiero iniziò a farle pressione.
D’un tratto Isabel avvertì una presenza fuori dalla porta, il rumore della chiave che girava lentamente nella toppa catturò la sua attenzione e girò la testa verso la porta per controllare.
Quando Kevin si trovò di fronte al disordine che lei aveva creato, mantenne la calma e si avvicinò al letto. 
Rimase in silenzio finché la ragazza, che stava fingendo di dormire, non riaprì gli occhi e lo guardò con soddisfazione poi sbadigliò sorridendo «Allora, ti piace la bella sorpresa che ti ho fatto?».
Lui ignorò le sue parole e la tirò giù dal letto. 
«Non ti piace restare chiusa qui dentro vero?», lei lo guardò sconvolta e si aggrappò a lui senza dire nulla. «Bene» continuò Kevin e la trascinò fuori dalla porta «Allora ti insegnerò io come difenderti da sola per sopravvivere qui».
“No aspetta sei in errore! Io non ho detto nulla di tutto ciò!” ripeté più volte Isabel ma non appena furono sul pontile lui le lasciò il braccio e le bisbigliò all’orecchio «Entro stanotte rimetti apposto la mia cabina…E ora vediamo come te la cavi nella fossa dei serpenti, se non imparerai in fretta morirai sappilo». 
La ragazza con un fremito non riuscì a guardarlo ma gli rispose «Tu non permetterai che mi succeda… Ieri mi hai salvato, io…». 
Gli occhi degli uomini che lavavano per terra furono su di lei, qualcuno tirava secchiate d’acqua e altri strofinavano in ginocchio, chi indossava abiti sporchi e chi tirava qualche bestemmia in lingua spagnola. Isabel si rese conto di essere davvero sola al mondo e si sentì svenire, socchiuse gli occhi ormai lucidi e non sentì più Kevin vicino a lei.
Li riaprì amaramente e ignorò i pirati che mentre non avevano smesso di svolgere i loro compiti, la guardavano ancora come se fosse una preda. La vedetta urlò qualcosa di incomprensibile a Carlos che annuì e intimò ai suoi uomini di lavorare senza distrazioni. 
Isabel in preda ad una crisi isterica di pianto avanzò fra loro e si sporse all’unico spiraglio di parapetto libero.
C’erano delle corde li vicino, le guardò e pensò che magari poteva legarsene una al collo e gettarsi nelle profondità dell’oceano. 
Si chinò decisa a fare quello che stava pensando e gli occhi le caddero su un ragazzino di fronte a lei impegnato a ricucire delle vele rotte. «C’è anche un bambino a bordo?», chiese in mezzo al gran chiasso che faceva la ciurma.
Non ottenne nessuna risposta e si rialzò per guardarlo meglio, il ragazzino con i capelli biondo cenere era il più giovane su quella nave. Aveva dieci anni ma lei questo non lo sapeva ancora. 
Carlos gli si avvicinò e gli porse dell’acqua, il bambino bevve tutto d’un fiato poi il secondo lo prese in braccio e lo baciò sulla guancia. Quando toccò di nuovo terra Isabel sentì pronunciare la parola “Papà” e credette di essere impazzita.
Attraversò il pontile ignorando i commenti nella lingua che non conosceva e si appoggiò in un angolo deserto, c’erano solo un paio di barili stracarichi di pesce fresco. 
Il vento caldo le accarezzava i lunghi e mossi capelli chiari e il sole le dava un po’ di fastidio agli occhi. Si appoggiò con i gomiti sul corrimano di legno e fissò l’acqua, c’era solo acqua intorno a lei, nient’altro che acqua azzurra e immensa. 
Le lacrime ripresero a scendere. Sean e Jane non c’erano più, erano stati uccisi da quegli uomini che erano li con lei e molto presto sarebbe toccata anche a lei la medesima sorte pensò.
Un gabbiano che si aggirava indisturbato sopra di lei scese in picchiata e atterrò sul corrimano. Isabel sobbalzò per lo spavento, poi si accorse che era solo un gabbiano e incuriosita si mise ad ammirarlo. Aveva un’apertura d’ali molto ampia e il portamento fiero. Il piumaggio bianco sfumato di grigio sulla testa risplendeva alla luce del tramonto.
Isabel si asciugò gli occhi e si rese conto che l’animale non scappava se lei si avvicinava, cosi prese un pesce da uno dei barili li accanto e avvicinò la mano al suo becco che scattò al volo e ingoiò il pesce. 
La ragazza all’improvviso sorrise e anche il gabbiano sembrò contento. Istintivamente prese un altro pesce quando un urlo la colse di sorpresa e fece volare via il gabbiano. 
«Oh no torna qui ti prego!» Penso Isabel, «Volevo riuscire ad accarezzarti». Una stretta al braccio la costrinse a voltarsi e si trovò davanti Pedro, l’uomo che più l’aveva ferita la sera precedente.
«Ma che fai! Razza di...», le sputò addosso e la schiaffeggiò violentemente due volte. 
Blaterò una serie di insulti in lingua spagnola che lei non comprese poi strattonandola con forza alzò il pugno in aria pronto a colpirla di nuovo. «Ci siamo, finalmente è finita» pensò lei mentre fissava lo sguardo carico d’odio dell’uomo e attendeva di ricevere il colpo sperando che fosse quello fatale.
«Pedro fermati!» gli intimò Carlos. 
Pedro le strinse il braccio e sembrava sempre pronto a colpire. «Uccidimi» gli ordinò lei, «Non lo ascoltare, fallo e basta» mormorò allo stremo delle forze. Si sentì una stretta al collo e vide il pugno avvicinarsi sempre di più. 
Chiuse gli occhi e cadde a terra. 
Poi una serie di rumori in lontananza si susseguirono. Il rumore sgraziato delle lame che si scontrano, voci rotte, insulti e botte. Isabel aprì gli occhi e si rialzò frastornata. Era certa di non aver sentito il pugno colpirla in viso perché il dolore era sopportabile. Si toccò il labbro che prese a bruciargli. Sulla mano c’era del sangue ma non le importava.
L’immagine sfocata di Kevin che le correva incontro le sembrò una visione, poi tutto fu chiaro. Calò il silenzio e tornò l’ordine. Il capitano le fu vicinissimo e le sollevò il viso, lo studiò per un istante e si macchiò le dita del suo sangue. «Ti avevo detto di difenderti! Non di farti spaccare la faccia!». Tra la ciurma si scatenarono risate e fischi. Qualcuno chiese a Kevin in modo molto volgare se avevano trascorso la notte insieme. Bastò uno sguardo per rimetterli in riga.
«Non mi interessa sapere il motivo delle vostre stupide dispute!» ringhiò Kevin, «Non deve più succedere questo», si rivolse di nuovo a Isabel e indicò la sua ferita al labbro. 
Ora la ragazza sentiva il sapore del sangue in bocca. 
Pedro si fece largo a spintoni fra i suoi compagni di avventura e si parò davanti al capitano. «Ha sprecato un pesce per darlo in pasto a un dannato gabbiano! E adesso deve pagare io la voglio», guardò prima lei poi Kevin in modo allusivo. 
«Vedrai che dopo che avrò finito non si azzarderà più a sprecare il nostro cibo!» continuò sotto gli occhi contrari e severi del suo capitano.
«Torna al tuo posto» gli intimò il ragazzo in tono solenne. 
Pedro non lo ascoltò e allungò una mano su di lei. Kevin lo trattenne spingendolo all’indietro per una spalla «Ho detto, torna al tuo posto». Strinse forte la presa costringendolo a guardalo in faccia «Non farmelo ripetere». 
Pedro con la sua stazza larga si fermò barcollando e lanciò un’occhiata di disprezzo alla mano sulla sua spalla. Se la scrollò di dosso e sorrise poi tirò fuori la sua sciabola e la puntò al collo di Kevin. Urla di sdegno si alzarono contro di lui e gli intimavano di portare rispetto al capitano.
Isabel col sangue che le colava lungo il colletto del vestito fronteggiò Pedro «E’ me che vuoi, lui non c’entra! Perché non te la prendi con me?» provò a spostare Kevin per farla passare ma si ritrovò invece dietro di lui che l’aveva trattenuta con una mano per farle da scudo. 
Era disarmato e guardava il suo avversario come se stesse vivendo la situazione più calma e tranquilla che potesse esserci, mentre Isabel era terribilmente in ansia. 
«Lo sai che i bottini di guerra si dividono con il resto della ciurma» sentenziò Pedro, poi pronunciò altre frasi senza senso mentre l’alto capitano gli si avvicinava facendolo indietreggiare. Nonostante gli stesse puntando contro un’arma il vecchio Pedro si era sempre sentito in debito con Kevin. 
«Lo sai perché sei ancora vivo o devo ricordartelo?» chiese il ragazzo.
Carlos apparve alle spalle di Isabel «Vieni» le disse e offrendole la mano la portò sottocoperta, lei non aveva più le forze di reagire cosi lo seguì senza preoccuparsi se volesse farle del male o meno. 
Il secondo la condusse nella sua cabina che era accanto a quella di Kevin. «Ecco qua, tieni» le porse un fazzoletto strappato e intriso d’acqua fresca, lei lo prese senza ringraziarlo ed uscì da li. Non aveva rivolto il minimo sguardo al luogo dove dormiva Carlos e si chiese da dove provenisse quel pezzo di stoffa poco pregiato che le aveva offerto. «Chissà quante cose rubate a poveri innocenti» pensò lei.
«C’è una buona notizia» gli disse il pirata seguendola, «Abbiamo rubato…Cioè abbiamo trovato…» s’interruppe e sbuffò. «Insomma, c’è una sorpresa per te! E sono sicuro che l’apprezzerai per tutto il periodo che resterai con noi». Isabel si voltò a guardarlo e senza rispondergli entrò nella cabina di Kevin e richiuse la porta. 
«Non sei contenta?» chiese Carlos da fuori. Isabel ignorandolo stava per scoppiare di nuovo a piangere quando si accorse che tutto il disordine che aveva creato era sparito. 
Kevin le aveva ordinato minacciosamente di rimettere tutto apposto ma poi lo aveva fatto lui. Guardò le cose di nuovo al proprio posto, il letto in ordine e si passò ancora il fazzoletto sul labbro; perdeva ancora sangue ma non le importava. 
Si accasciò contro la porta e desiderò trovarsi il più possibile lontano da li, da quella maledetta nave e da quella gentaccia che la trattava male. Carlos, il secondo, le aveva parlato di una sorpresa, ma quale tipo di sorpresa avrebbe potuto tirarle un po’ su il morale?

La risposta la trovò quando notò che nella cabina c’erano due bauli che prima non si trovavano li. Corse ad aprirli e accertò i suoi dubbi: avevano recuperato i suoi vestiti dal mercantile, e anche quelli di sua sorella Jane. 
Isabel prese una gonna rosa di sua sorella e guardandola non poté fare a meno di pensare a quando erano partite, di quanto si era pentita di essersi allontanata su quel mercantile da Liverpool. Adesso erano in mezzo al mare Dio solo sapeva dove esattamente. Si tolse il vestito macchiato di sangue e si tamponò ancora la ferita al labbro. 
In quel momento Kevin entrò nella stanza come una furia. Isabel lo guardò con rimprovero mentre usava il vestito che si era appena tolta per coprirsi la lunga sottoveste «Ma non si bussa più?».
Il ragazzo sbatté la porta con violenza, «Ti ricordo che questa è la mia nave e tu sei l’ospite». 
Si avvicinò a lei e le tolse il fazzoletto di mano «Guarda cosa ti sei fatta», le spostò i capelli all’indietro ed esaminò la sua guancia. «Spero solo che non ti abbia rotto il naso o qualche dente…». Isabel indietreggiò di scatto «Ma che dici!», lanciò via il vestito e aprì il suo baule cercando frettolosamente il suo specchio col manico. 
Guardò il proprio riflesso e quasi lanciò un urlo. Il naso sanguinava cosi come il labbro superiore e sulla guancia c’era un grosso ematoma che stava diventando viola e si stendeva fino all’angolo della bocca.  
«Oggi non mi sei piaciuta per niente» disse Kevin, «Se il primo giorno permetti a qualcuno di farti questo cos’altro può succedere domani?» la rimproverò.
Isabel lasciò lo specchio nel baule e si voltò a guardarlo con rabbia «E tu perché hai permesso che succedesse? Non ho chiesto io di essere tua prigioniera!». 
Kevin si alterò, «Stai dicendo che è colpa mia se Pedro è cosi? Ti ho già spiegato che devi imparare a difenderti da sola su questa nave! Non ci posso essere sempre io pronto a difenderti» sentenziò. Isabel trattenne a stento le lacrime «Ma non vedi che da sola non ce la faccio? Io non ho chiesto di vivere con voi e non voglio viverci! Mi fate tutti schifo, siete della gente cattiva e malvagia, meglio morire che incrociare la vostra strada!». 
Il ragazzo la guardò con segno «Avrei dovuto lasciare che ti uccidessero allora» mormorò con voce rauca. 
Lei fu come colpita da una gigantesca onda che ti prende alla sprovvista quando sei sulla riva del mare o che ti travolge quando sei in acqua e dai le spalle al largo. Il cuoco di bordo entrò senza chiedere permesso e lasciò la cena sul tavolo. Isabel sentì il cuore batterle all’impazzata.

Come poteva quello sconosciuto averle detto una cosa tanto orribile? «E smettila di cullarti nel tuo dolore! Abbiamo tutti perso qualcuno che amavamo ma non per questo ci piangiamo addosso tutto il giorno! O sveniamo, come fai tu» disse ancora Kevin, poi si sedette a mangiare senza degnarla di uno sguardo. 
«Davvero mi consideri cosi inutile?» gli urlò contro lei cercando in tutti i modi di fermare le lacrime. 
«Davvero pensi quello che hai appena detto? Che non conto niente, che la mia vita non t’importa e che mi uccideresti? Guardami!». 
Il ragazzo addentò un pezzo di pane e assaggiò il piatto che gli era stato preparato ma non si girò a guardarla.
«Davvero pensi quello che tu, hai appena detto?», la imitò con la stessa domanda senza pretendere di conoscere la risposta ma Isabel parlò. «E’ quello che penso del tuo equipaggio, in te ho visto qualcosa di diverso Kevin». 
Lui si alzò e finalmente la guardò in faccia per affrontarla «Non hai un bell’aspetto», la sua espressione si era indurita e lo aveva detto come un’accusa «E smettila di cercare qualcosa di buono in me perché non c’è! Loro sono i miei uomini e non sta a te venirmi a dire come devo vivere, se non vuoi stare qui allora vattene, buttati a mare, fai quello che vuoi!».

Isabel lo colpì.

Non seppe spiegarsi come fosse stato possibile eppure la sua mano si era alzata e dopo lo schiocco che riecheggiò in tutta la cabina il ragazzo aveva il viso girato. 
Senza dire una parola uscì a passo svelto sul pontile. In fondo cosa le importava davvero della vita di Isabel? Non la conosceva neanche. Il destino gliel’aveva fatta incontrare ma lui non era abituato ai legami affettivi, soprattutto con l’altro sesso, e non voleva per niente al mondo affezionarsi. 
O aveva paura di legarsi a qualcuno che non fosse un suo marinaio? Scacciò quel pensiero quando trovò Carlos a fumare una pipa vicino al timone.
«Hey capitano, come va con la ragazza?» domandò scherzosamente il secondo. Kevin si avvicinò guardando lontano, oltre il mare nero che li circondava «Sto pensando seriamente di ucciderla e dare il corpo in pasto ai pescecani». 
Carlos scoppiò a ridere e a tossire per il fumo, chiamò suo figlio e gli ordinò di portare del rum per due. 
«Sei troppo rigido con te stesso! Dovresti darle una possibilità, lei lo ha fatto con te». Kevin si sedette su uno sgabello «Non capisco quello che dici, non eri anche tu dell’idea di farla fuori questa mattina?» domandò incredulo. 
Il suo secondo annuì e tolse la pipa dalla bocca «Si, ma ho cambiato idea. Lei non c’entra con la nostra guerra è soltanto un’innocente che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato e adesso è qui con noi». 
Il ragazzo più giovane si spazientì «Basta parlare di lei! Non posso mica dannarmi l’anima per non essere in grado di difenderla, andasse pure all’…». «Kevin!» lo interruppe Carlos trattenendosi dal ridere, «Che ti prende? Non ti ho mai visto cosi adirato per una donna». Il capitano si ricompose e lo guardò torvo non capendo cosa ci trovasse di tanto divertente «E’ proprio vero che portano solo sciagure a bordo» si lamentò.

Isabel dopo aver indossato una delle vestaglie di sua sorella aveva mangiato qualcosa per cena. Del cibo almeno non poteva lamentarsi, e visto che proprio non le andava di stare sola osò uscire fuori dalla cabina ed esplorare la nave. 
Attraversò il corridoio per metà quando il bambino che aveva visto quel giorno le passò davanti con in mano due grandi boccali di rum. Entrambi si fermarono a guardarsi poi lui le sorrise e s’incamminò sul pontile. Isabel improvvisamente nervosa per essere rimasta di nuovo sola lo seguì di corsa, quando salì le scalette e respirò l’aria della notte rimase sbalordita dall’effetto che faceva la nave illuminata. 
Per un momento si sentì felice di essere a bordo della Black Demon. Poi le voci dei due uomini che discutevano la riportarono alla realtà, cioè che conviveva da un giorno intero con dei mostri.
Si avvicinò al timone dove c’erano Kevin, Carlos e il bambino. 
Lui la vide le corse incontro «Ciao» disse e si pulì la mano addosso prima di porgergliela «Tu saresti?». Il capitano si accorse della presenza della ragazza e avvertì Carlos «E’ qui, sta parlando con tuo figlio». 
Il secondo interruppe il suo discorso di rimprovero e li guardò. Isabel gli prese la mano un po’ incerta «Il mio nome è Isabel…tu sei il figlio di Carlos?». Il bambino s’inginocchiò e le fece il baciamano, «Si mia signora» rispose. Il padre scoppiò a ridere nel vedere quella scena e Kevin bevette un altro sorso. 
«Diego! Isabel! Venite qui» esclamò Carlos divertito. 
Diego tenendo per mano la ragazza la condusse dal padre che subito gli chiese «Ma cos’era quell’inchino che hai fatto?». Isabel cercò lo sguardo di Kevin ma al suo posto trovò solo occhi bassi su un boccale ancora mezzo pieno.
«L’ho visto fare una volta padre, quando eravamo a Tortuga» rispose Diego, Carlos accarezzò la testa del figlio e se lo mise sulle ginocchia. Isabel gli lasciò la mano e guardò con un mezzo sorriso Carlos che ricambiò. 
«Dove siete diretti se posso chiedere?». Kevin finì di scolarsi il rum «Non sono affari tuoi». Carlos gli diede un calcio da sotto il tavolino. «Vuoi raggiungere Pedro forse?» domandò il ragazzo sarcastico. 
Il secondo gli lanciò un’occhiata acida ma divertita e si concentrò su Isabel che aveva un’espressione angosciata. 
«Oh non temere non è stato ucciso, si trova in cella. Kevin lo ha punito per averti fatto del male, è questo il motivo non è vero capitano?». 
Il ragazzo dai lunghi capelli neri non rispose cosi Carlos continuò «E comunque, siamo diretti verso le Americhe». 
Isabel che stava ancora apprezzando il fatto che Pedro fosse rinchiuso sussultò «Avete detto le Americhe?». 
Il pirata si rimise in bocca la pipa «Non datemi del voi!», lei riformulò la domanda e lui annuì. 
«Ma allora esiste una via di fuga per me! Potreste portarmi da mia zia? Oh meglio, potreste tornare a Liverpool cosi tornerei da mio padre e gli chiederei scusa e…» incontrò gli occhi gelidi di Kevin 
«Tu non vai proprio da nessuna parte». 
Isabel si sentì in trappola, che ne sarebbe stato della sua vita se non volevano portarla a casa? Il secondo guardò Kevin «Ma non la volevi morta? Cioè, non volevi sbarazzarti di lei?». 
La ragazza li guardò entrambi ferita «Ha detto questo?». Un senso di tristezza stava per sbocciarle di nuovo dentro. 
Non attese una risposta e tornò di corsa in cabina, chiuse la porta e si sedette sul letto. 
«Che cosa gli ho fatto di male?» pensò, «Perché adesso vuole uccidermi quando ieri mi ha salvata?». Sospirò per ricacciare indietro le lacrime. Poi si alzò nervosamente e iniziò a camminare avanti e indietro per i nervi tesi. 
Dopo circa mezz’ora Kevin tornò, l’odore dell’alcool dava fastidio a Isabel ma decise di non dirglielo. Lui si sedette sul letto e si sfilò gli stivali. «Io dove dormo stanotte?» domandò lei senza riuscire a trattenersi dal chiedere. 
«Problemi tuoi, c’è il pavimento, la stiva, la cucina, le celle o persino il pontile… Cosi prendi aria e ti calmi» fu la risposta. 
«Ah, sarei io quella agitata? Tu mi vuoi uccidere! Ma non te lo permetterò!” disse Isabel e fece per andarsene, prima di afferrare la maniglia della porta però si sentì afferrare da dietro e non poté più muoversi. 
Kevin la trattenne e lei si agitò gridando di lasciarla andare. Lui le intimò di starsene buona e zitta ma alla fine dovette tapparle la bocca. Si sedettero sul letto e lui parlò per primo. 
«Pensi davvero che ti farei dormire per terra?». Invece di rispondere Isabel domandò a sua volta «Perché mi odi tanto? Posso sapere perché? Non mi sembra di averti fatto niente di male!». 
Kevin si fece pensieroso. Si rialzò e finì di spogliarsi. 
«Non ce l’ho con te e non ti voglio morta» disse. Lei lo guardò intimidita «Ma se hai detto il contrario!» obiettò. Il ragazzo finì di prepararsi il giaciglio per terra e vi si sdraiò sopra controvoglia. 
«Ce l’ho con me stesso per non averti protetta oggi» disse a se stesso. «Spegni le candele e dormi» le ordinò. Isabel ubbidì e silenziosamente si tolse la vestaglia che appoggiò sull’altra metà del letto vuota. Si coprì col lenzuolo e rimase a fissare l’oscurità. 
Dopo qualche minuto Kevin domandò «Come pensi di sopravvivere alla prima bordata che faremo? Perché succederà stanne certa». Isabel socchiuse gli occhi sfinita «Non lo so Kevin» mormorò, «Mi sto fidando di te non uccidermi nel sonno» aggiunse e cadde tra le braccia di Morfeo. 
Kevin ascoltò il rumore del suo respiro come la notte precedente e dopo un paio d’ore in cui non riuscì a prendere sonno si alzò e pian piano salì sul letto dalla parte vuota. 
Spostò i capelli dalla guancia livida di Isabel pregando che non si svegliasse e stando attento a ogni minimo movimento. 
«Perdonami» sussurrò nel buio sfiorando la sua pelle con un dito.

 

   
 
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