Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Federico    21/07/2012    1 recensioni
Salve, dopo quasi un anno Federico è tornato per voi! Stavolta vi propongo il seguito della mia vecchia storia Strade d'Oriente, con protagonisti i membri dell'Akatsuki, ambientato molto tempo dopo la prima fic.
1924, Svizzera: Per festeggiare il proprio compleanno, Kakuzu decide di riunire i propri ex compagni di avventure e li invita a casa sua. Tutti accorrono, ma è chiaro che nulla sarà più come prima: la spensieratezza dei vecchi tempi ha lasciato spazio al pessimismo e alla disillusione, che ormai regnano sovrani in Europa squassata dal primo conflitto mondiale e minacciata da povertà, rivoluzioni e dittature. In un modo o nell'altro, tutti e sei i nostri eroi hanno sofferto a causa della guerra, ma finalmente troveranno il coraggio di confidarsi fra loro e dare sfogo ai propri turbamenti, rievocando con nostalgia tempi felici che non torneranno più... Questa fic, a differenza di Strade d'Oriente, non si incentrerà sull'avventura e sull'azione, bensì avrà un taglio introspettivo, dialogico e decisamente malinconico. Leggete e recensite numerosi, spero che vi piaccia!
P.S Quella fic su One Piece che vi avevo annunciato circa un anno fa prima di “sparire” è al momento sospesa a tempo indeterminato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Travellers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Spazio autore

LizWingates: Grazie, grazie mille. L'idea di Sasori sul Titanic mi è venuta così, proprio perche gli anni erano quelli, ed è utile a dimostrare come non solo la guerra possa influire negativamente sui sentimenti di una persona. Visto il mio grandissimo interesse per la storia, e nello specifico quella militare, non potrei esimermi dal fare riferimenti precisi, proprio perchè questi temi mi affascinano: per questo ho deciso di inserire riferimenti anche a episodi, come la campagna britannica in Medio Oriente o la guerra nell'Africa Orientale tedesca, poco noti ai più ma che mi appassionano per la loro carica di esotismo. Grazie di tutto, alla prossima!

Falsa dea molto adorata: Grazie mille di aver espresso le tue opinioni, e non preoccuparti delle critiche: se fondate, possono condurre alla maturità dello stile. Diciamo che posso permettermi di essere così veloce perchè la storia l'ho già scritta tutta: è il periodo di gestazione fra due storie che invece può essere molto lungo. In sostanza preferisco fare capitoli brevi per non annoiare il lettore e non perdere io stesso il filo del discorso, ma anche perchè non voglio “bruciarmi” niente: se per esempio decidessi di scrivere un'altra storia dove narrare per filo e per segno i vari avvenimenti durante la guerra potrei farlo, perchè fino ad ora ho lasciato solo accenni che suscitano la curiosità del lettore, e ognuno è libero di immaginarli come preferisce. Inoltre, il tono generale che intendevo dare a questa storia era quello di una chiacchierata fra amici, in cui ognuno si limita a rievocare il passato con una certa superficialità, sia perchè non intende infliggere a se stesso sofferenze maggiori, sia per offrire agli altri un quadro conciso ma chiaro degli eventi, senza dilungarsi in racconti. Quanto all'Akatsuki, beh, semplicemente li adoro: in ogni mia storia di Naruto faccio i salti mortali pur di inserirne il più possibile, e in una delle mie prossime fic miro a inserirceli tutti. In ogni caso, grazie di tutto. Alla prossima!

 

Colgo l'occasione sia per ringraziare Lovemusic di aver inserito questa fic fra le sue seguite, sia per annunciare, con la morte nel cuore, che quello di domani sarà l'ultimo capitolo: dato che questa storia consiste principalmente di dialoghi e riflessioni e non contiene scene d'azione, ritengo opportuno evitare che diventi tediosa prolungandosi troppo. In ogni caso quello di domani sarà un capitolo molto interessante dove i nostri personaggi, dopo aver considerato i propri casi, rivolgeranno la loro discussione a un tema più generale...Stasera invece ci attendono gli ultimi due racconti, quelli di Hidan e Kakuzu. Grazie a chi mi segue e mi apprezza, e ciao a tutti!

 

I reduci III- Pain everywhere

 

Non appena calò il silenzio e Itachi crollò con i gomiti sul tavolo, nascondendo il volto, tutti non poterono fare a meno di notare che stava piangendo a dirotto, ma in modo dignitoso, senza singhiozzare, a bocca chiusa, ed era uno spettacolo straziante.

Hidan gli fu subito accanto, e la premura che gli si leggeva sul viso pallido era più che sincera.

In silenzio, gli porse un fazzoletto per tergersi le lacrime amare: “Su, su, è tutto finito ora. Sappiamo tutti come ti devi sentire, non è mai facile essere gli sconfitti: tutti i torti ricadono su di te...Questi sono i momenti in cui quasi mi pento di aver vinto la guerra”.

Il tedesco accettò con gratitudine il fazzoletto e se lo passò brevemente sulla pelle, per rivelare una faccia di nuovo seria e composta: “Grazie amico, grazie. Conoscere persone stupende come voi è ciò che dà un senso alla vita. Tuttavia, anche se difficile la nostra situazione non è del tutto disperata: sebbene molte delle sue fabbriche all'estero siano state requisite, mio padre si è dato da fare e ora conduciamo una vita quantomeno dignitosa. Sostanzialmente lui è un uomo onesto e un gran lavoratore, sempre pronto a rialzarsi dopo una caduta: non è come quei generali prussiani o quei nobili bavaresi che ora passano le loro giornate in palazzi vuoti, rimirando i ritratti degli antenati e rimpiangendo i tempi che furono”.

Una volta che la tensione si fu sciolta e si ristabilì un'atmsofera di cordiale conversazione, fu di nuovo Hidan a schiarirsi la gola: “Allora deduco che tocchi a me esporre i miei casi”.

Pain lo squadrò da capo a piedi, versandosi qualche goccio di champagne: “Stamattina hai chiamato me e Sasori “compagni d'armi”, eppure non mi sembra di aver mai imbracciato il fucile assieme a te. Dove hai combattuto di preciso”.

Il francese tirò un lunghissimo sospiro, come se successiva narrazione gli risultasse talmente opprimente da schiacciarlo e impedirgli di respirare, quindi cominciò: “Volevo solamente intendere che le nostre due nazioni hanno sofferto tanto insieme, e insieme hanno prevalso. Ma è stato un trionfo amaro. Io nelle trincee mi ricordo di averne incontrati tanti di Inglesi, les Tommies: e c'erano anche Gallesi, Scozzesi,Irlandesi, Canadesi, Australiani, Neozelandesi, Sudafricani, ma a me sinceramente sembrava che parlassero tutti la stessa lingua, e non riuscivo assolutamente a distinguere i vari accenti. Ho parlato spesso con loro, sia davanti a un bel bicchiere di gin che in situazione non propriamente da salotto del tè; ci siamo confidati, abbiamo riso e pianto assieme, abbiamo giocato e scherzato, ci siamo salvati la vita, a volte me li sono visti morire davanti”.

Si fermò un istante e spalancò le pupille, come se gli si fosse palesato un fantasma, quindi espirò.

Quando scoppio la guerra, devo confessare che non ero in me. Se avessi avuto un tedesco per le mani, credo che lo avrei fatto a pezzi come un cannibale, e in quegli attimi ho paura di essermi persino dimenticato dell'esistenza di Itachi. Era tutto più grande di me...Sembrava che l'intera nazione fosse ansiosa di correre al massacro, o meglio alla gloria. Le passeggiate sugli Champs-Elysées, le serate mondane nei locali, le gite in campagna, le feste danzanti mi parevano d'improvviso piaceri nefasti e viziosi, da cui distaccarmi il prima possibile per darmi alla vita militare. Quando mi presentai ad arruolarmi, vidi ragazzi di almeno dieci anni più giovani di me ansiosi di salire sul treno per ricacciare oltre il Reno i crucchi e riprendersi l'Alsazia e la Lorena. Erano realmente convinti che la guerra sarebbe durata solo qualche settimana. E chi può dire che anch'io, nell'esaltazione del momento non abbia accarezzato simili prospettive?”.

Gli amici si scrutarono ognuno negli occhi dell'altro con aria colpevole; non si erano anch'essi illusi in quel tempo remoto che le ostilità non si sarebbero prolungate troppo, o quantomeno non sarebbero state eccessivamente sanguinose?

Pensavamo che sarebbe stato un gioco da ragazzi respingere i Tedeschi e liberare il Belgio occupato, ma così non fu. L'avanzata tedesca fu travolgente, come un treno, come un fulmine: nulla sembrava capace di fermarla, e d'improvviso il panico e lo scoramento si erano diffusi nelle nostre linee. Arrivarono a una manciata di decine di chilometri di Parigi, che già cominciava ad essere evacuata. Per nostra fortuna, anche loro iniziavano ad avere i loro problemi, perchè erano avanzati troppo e troppo in fretta, senza preoccuparsi di stabilire linee di rifornimento adeguate ed esponendosi a un improvviso contrattacco: ma noi soldataglia questo non lo potevamo sapere, e ci sentivamo già fritti. A questo punto...Avete mai sentito parlare del “miracolo della Marna”?”.

Sì,- ammise Deidara non troppo convinto- mi ricordo di aver letto su un giornale di Léopoldville che i Francesi avevano opposto una resistenza disperata su quel fiume, dopo aver mobilitato perfino i taxi parigini per essere trasportati, ed erano riusciti a fermare il nemico”.

Il brutto è che la gente al giorno d'oggi si ricorda della storiella dei taxi, ma non delle persone che li occupavano. Fu un risultato insperato, ottenuto proprio al momento giusto; infatti da quel punto in poi i Tedeschi si ritirarono più a nord e non vi furono più significativi spostamenti del fronte. Ma per me non ci sarebbe stata pace...Mi assegnarono alla guarnigione di Verdun”.

Verdun?!” fece Sasori, strabiliato, strabuzzando gli occhi per la sorpresa, a cui poi subentrò il disgusto: “Ma là sono morte un milione di persone, come sulla Somme! Era un un inferno!”.

Il francese annuì gravemente: “Per quasi un anno siamo rimasti rinchiusi là, sotto il tiro costante dei loro cannoni, e la gente moriva, moriva e moriva, in tutti i modi, soprattutto nei peggiori. Non so come ho fatto a resistere senza impazzire. Anzi, non so come abbiamo fatto tutti a resistere senza diventare matti. Quando l'assedio è terminato, io non mi sentivo affatto vincitore, ma solo spossato, e non potevo fare a meno di pensare a chi non era stato fortunato come me. Tornai in trincea, ma non avvertii significativi cambiamenti. Da una parte c'erano carneficine, fame, fango, topi, malattie e Tedeschi, dall'altra idem: la guerra era come un'atroce somma il cui risultato non cambiava mai indipendentemente dagli addendi. Sinceramente ho perso il conto di tutti gli assalti che abbiamo effettuato e di tutti quelli che sono stati respinti, ma nella mia mente si affastellano come un filo infinito destinato a svolgersi per sempre sempre uguale. Avevamo la speranza che prima o poi questi benedetti Americani si decidessero a sbarcare, e così fu, ma nel frattempo i Tedeschi avevano rinforzi ben più a portata di mano e non cessavano di rovesciarceli contro. E vi stupite degli ammutinamenti di massa? Per fortuna poi arrivò Petain e capì che era necessario darci un taglio con queste fucilazioni. Me lo ricordavo ancora come l'intrepido comandante che ci aveva incitato a resistere a Verdun, era come un eroe per me...Alla fine paradossalmente, l'abbiamo vista più brutta nel '18 che in tutti gli anni precedenti, quando i nostri avversari hano tentato per l'ultima volta di vincere la guerra e sono giunti di nuovo in vista di Parigi. Pur se stanco e disilluso, in quel momento mi sono di nuovo sentito pieno di ardore: non era giusto! Non potevamo, dopo tanti sacrifici profusi, lasciarli vincere! Ma ora, ripensandoci a posteriori, anche i Tedeschi la vedevano così. In ogni caso ormai anche loro erano esausti, mentre noi revamo coadiuvati dagli Statunitensi freschi e vogliosi di menare le mani: allora abbiamo cominciato a vincere nettamente, e a respingerli come mai prima di allora, finchè non sono tornati in patria. E anch'io ci tornai, stanco e decorato”.

Subito dopo Hidan sentì l'irrefrenabile impulso di ingollare un bicchiere intero di vino, senza pensare ad altro: era chiaro che non si potevano evocare impunemente i fantasmi di un passato così tetro.

Ogni eventuale commento fu troncato sul nascere da Kakuzu, il quale, pur essendo colui che più fortemente aveva voluto questa maieutica collettiva, non sembrava particolarmente a proprio agio: “Voi ora penserete di me: lui che cosa ne sa della guerra? E' uno svizzero, beato lui: non deve preoccuparsi di nulla, può starsene quieto fra banche e orologi, perchè tanto tutti vogliono essergli amici. Non preoccupatevi, sono stereotipi comuni, non li avete inventati noi ed io stesso a volte arrivo a condividerli in parte. Ma permettetemi di dire che sono sostanzialmente errati per due motivi. Il primo è che anche qui la guerra si sente eccome. Non è la guerra guerreggiata, ma non è nemmeno quella che si legge sui giornali. Dopo vi spiegherò perchè. La seconda ragione è che innegabilmente le guerre sono una cosa brutta, e probabilmente la più sordida invenzione dell'umanità da Adamo a tirare in giù, ma non sono l'unica fonte di dolore possibile. Le guerre almeno iniziano e finiscono quando decidiamo noi, e siamo noi a scegliere chi colpire e quando. Altri eventi, purtroppo, sfuggono del tutto al nostro controllo, e dobbiamo accettarli con rassegnazione. Se uno è cristiano, riesce più facile, ma nemmeno la religione fornisce tutte le risposte. Se anche vi sembrassi quello di tredici anni fa fatto e finito, vi sbagliate di grosso: gli anni passati per tutti, esigono il loro tributo e imprimono la loro orma su chiunque. Il dolore è ovunque”.

Parrebbe che tu voglia tenerci una lezione di filosofia oggi” commentò Deidara, con un misto di tedio e compartecipazione. “Orsù Kierkegaard, raccontaci quello che volevi raccontare”.

Bene. Per tutti questi anni ho condotto la vita che tutti vi aspettavate: quella del banchiere, che si addormenta sfinito sui propri conti e si ricorda una per una quante banconote possiede, ma vive come un eremita e non intrattiene il minimo rapporto con il resto della società. Beh, questo non è vero: ogni tanto facevo una passeggiata o mi recavo a teatro. In ogni caso la vita scorreva tranquilla, fra visite alla Borsa e periodi di riposo in questa villa. Ed ecco che, d'un tratto, scoppia questa guerra che presto si ingigantisce e diventa una questione mondiale. Ovviamente neppure qui qualcuno poteva permettersi di ignorarla, e si andava da chi temeva che la Germania intendesse infischiarsene della nostra neutralità e invaderci, come era successo al Belgio, a chi addirittura pregustava occasioni di guadagno mai sognate prima. A mia umile discolpa, non rientravo in questa seconda categoria. Diciamo che, come la maggior parte degli Svizzeri, sono stato messo davanti al fatto compiuto e l'ho accettato, senza apprezzarlo particolarmente: e anche se per ogni evenienza il nostro esercito era stato mobilitato, nessuno credeva seriamente che la guerra ci avrebbe inghiottito e tutti continuavano beatamente a gestire i propri affari. Io stesso ero talmente preso dal lavoro che anche le notizie provenienti dal mondo esterno non suscitavano in me lo stesso effetto che se avessi vissuto di persona quegli avvenimenti. Per me Gallipoli, Verdun e Caporetto erano solo nomi sul giornale, vicende relegate in terre misteriose i cui sviluppi potevano essere seguiti giorno per giorno senza alcun rischio per la propria persona, e gli stessi bollettini di guerra semplici liste di numeri prive di un significato emotivo particolare. Cosa mi importava se quella settimana i

Tedeschi erano avanzati di 5 km o gli Italiani avevano perso 2000 uomini in un attacco con i gas, o 150.000 Russi erano stati presi prigionieri? Era come leggere un romanzo fittizio, che lipperlì mi faceva rabbrividire ma la mattina dopo me l'ero già dimenticato. Tutto questo finì”.

Ti sei mica preso la briga di visitare qualche trincea, avarastro?” doamndò sornione Hidan.

Tutt'altro; in un certo senso sono state loro a venire da me, e a farmi comprendere appieno l'orrore di questo conflitto. Era la vigilia di Natale del '17 (me lo ricordo come se fosse ieri) e io stavo trascorrendo le vacanze in questa villa. Era quasi mezzanotte, ed io, stanco dopo una giornata di spossante lavoro, schiacciavo un pisolino sul divano, accanto al fuoco ancora acceso, quando sentii bussare alla porta. Aprii: erano due individui smunti, infreddoliti, coperti di stracci e con la barba lunga. Da quel che restava delle loro divise compresi che erano soldati tedeschi, e loro cominciarono a raccontarmi la loro storia. Si chiamavano Kurt ed Ernst ed erano cugini: avevano deciso di disertare, ma avendo paura dei essere riacciuffati subito anzichè puntare verso casa avevano deciso di rifugiarsi in Svizzera e aspettare la fine della guerra. Io non potevo rifiutare loro la mia ospitalità, e offrii loro il mio stesso letto; ma dal giorno dopo misi suvito le cose in chiaro, ovvero che ero disposto a tenerli con me fino al termine del conflitto solo a patto che si guadagnassero da vivere lavorando. Accettarono, e dal quel momento divennero una coppia di simpatici tuttofare con cui ogni tanto scambiavo un paio di chiacchere: io raccontavo loro dei mie viaggi, mentre loro rievocavano tutte le privazioni della guerra di trincea, e devo dire che se non fosse stato per loro ne avrei avuto una visione anche troppo edulcorata. Quando la Germania si arrese decisero che era giunto il momento di salutarmi e partirono. Tuttavia non ero più lo stesso uomo di prima, e pensare a cosa erano andati incontro milioni di uomini mentre io me ne stavo rintanato al calduccio a contare i miei soldi mi indusse a riflettere”.

Allora anche tu hai un cuore...” lo canzonò Pain, che pure sapeva bene per esperienza personale quanto sapesse essere devoto e affezionato l'amico se la necessità lo imponeva.

Putroppo, di lì a poco il destino mi fece visita in maniera ben più drammatica. Di lì a un mese circa, mia madre, rientrando da una passeggiata in città, cadde gravemente malata. Quando scoprimmo che aveva preso la “spagnola”, ormai era troppo tardi. In capo ad altri due mesi, mio padre fu stroncato da un infarto. Ed ecco perchè io ora sono l'unico padrone di casa, e oggi non li avete ancora incontrati”.

Gli amici si maledissero a denti stretti per la propria dannata mancanza di sensibilità e riguardo.

Davano talmente per scontato che quell'avaraccio fosse interessato solo al suo denaro da scordarsi che, come tutti, anch'egli era dotato di cuore e sentimenti e aveva una famiglia!

Lo svizzero sprofondò pesantemente sulla sedia e borbottò con aria cupa: “Erano tutti e due anziani, ma non mi sentivo ancora pronto....Ho pianto a lungo: ma perchè non avrei dovuto?”.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Federico