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Autore: Aelle Amazon    22/07/2012    12 recensioni
Evangeline Smith ha diciassette anni e pensa che la sua vita sia una vera merda. Odia tutti, odia anche se stessa.
Quando scoppia un improvviso temporale le cose cominciano a cambiare. Scopre che gli dèi Olimpi esistono e che sono stati imprigionati dai terribili Titani. Gettati in gabbie sporche, gli dèi hanno deciso di privarsi dei loro poteri per darli ad un mortale prescelto. I Discendenti- così sono chiamati i mortali prescelti- devono risvegliarsi e salvare gli dèi, altrimenti per il mondo sarà la fine.
Ed Evangeline è una di loro.
[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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volcano 7
Ciao a tutti!
Non sono morta, visto? Sono riuscita a pubblicarlo alla fine, anche se con sei giorni di ritardo. Sono imperdonabile, ma voi perdonatemi lo stesso!
Cosa posso dire su questo capitolo? Non è nulla di che, è molto più di passaggio di quello precedente. Ci sarà movimento solo nel prossimo capitolo, quando le nostre Discendenti avranno sotto gli occhi un articolo –SPOILER- che le metterà un tantino in difficoltà.
Devo ringraziare tutti quelli che hanno letto, messo la storia tra preferite/ seguite/ ricordate e a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo. Ovvero: _Butterfly_ , AleJackson, Ahrya, la sposa di Ade, Dafne Rheb Ariadne, Ryo13 e FallingInLove. Anche d’estate riuscite a seguirmi, grazie di cuore!
Concludo dicendo un’ultima cosa: questa storia è frutto della mia fantasia, è stata scritta da me e viene pubblicata solamente su EFP. Pertanto se la vedete pubblicata da qualche altra parte, avvisatemi e prenderò i giusti provvedimenti. Grazie mille!
Baci,
Aelle
 
 
 
Volcano


7

 
 
 

Phoebe si svegliò con un gran mal di testa e con la sensazione di dover vomitare da un momento all’altro. E anche con la consapevolezza di non trovarsi a casa sua, ma sdraiata su un letto che non era minimamente comodo come il suo. Quando aprì gli occhi per accertarsi di dove fosse, non trovò altro che una cameretta dalle pareti bianche, quasi immacolate se non si contavano le foto sparse qua e là a casaccio. Il suo occhio allenato a catturare dettagli non mancò di notare che erano incollate al muro con del semplice scotch.

Molto spartano.
Fece scorrere lo sguardo intorno a sé e incontrò quello scuro e profondo di un’altra persona. Doveva averla già vista da qualche parte perché il suo volto non le era nuovo. La sua testa era un immenso casino.
Questa fu la prima cosa che Phoebe pensò prima che la paura prendesse il sopravvento e la facesse balzare a sedere con una fretta che non giovò per niente al suo stomaco, che minacciò di uscirle dalla bocca.
-Come ti senti?- le domandò la ragazza, inarcando un sopraciglio del colore del sangue.
Phoebe si limitò a scuotere il capo, abbracciandosi lo stomaco per cercare di calmare la nausea. Non stava bene per nulla.
Lei annuì, quasi con saggezza. –Sì, lo sospettavo. Tieni- le disse porgendole un secchio –Se devi vomitare, fallo dentro lì. Poi ti passo anche una pastiglia per la testa. Ti aiuterà-
Il suo tono era un po’ brusco e sbrigativo, ma Phoebe seppe all’istante di non doverla temere. Non le avrebbe fatto del male.
-Uhm, grazie- borbottò, un attimo prima che un conato la sorprendesse, costringendola a piegarsi in due e a rimettere l’anima. Non pensava che avrebbe avuto bisogno del secchio così presto.
Educatamente, la ragazza distolse lo sguardo, puntandolo fuori dalla finestra, dove il sole era nascosto da nubi nere come il carbone, presagio di un temporale imminente. E sarebbe stato violento.
Ansimando come se avesse corso una maratona, Phoebe appoggiò il secchio a terra e si schiarì la gola, arida per la mancanza d’acqua.
La ragazza andò a lavare il secchio, poi tornò a sedersi accanto a lei. In mano teneva un bicchiere pieno fin quasi all’orlo e una piccola pastiglia bianca. Glieli porse con un sorriso esitante. Phoebe dedusse subito che non era abituata a relazionarsi con altre persone e si domandò anche il perché, visto che non sembrava così male. Con un’alzata di spalle, prese il bicchiere e ingurgitò la pastiglia, godendosi la fresca sensazione dell’acqua che le scorreva nella gola asciutta.
-Grazie- disse con voce più ferma.
Lei si strinse nelle spalle. –Di niente. Va un po’ meglio?-
Phoebe si portò istintivamente una mano alla testa, convinta di sentirla pulsare come impazzita, ma al contrario di quanto si aspettava avvertì solo un leggero dolore, sopportabilissimo. La nausea, invece, era completamente scomparsa.
-Sì. Molto meglio rispetto a due minuti fa- commentò, decisamente confusa per la rapida guarigione. –Che strano … Non mi avrai mica imbottita di droga, eh?-
La ragazza sobbalzò, quasi come se sapesse qualcosa che lei non sapeva, e ridacchiò, nervosa. –No, solo un’aspirina-
-Okay, mi fido. Faccio bene?-
Lei esitò, il dubbio ben visibile negli occhi. –Non ne ho idea. Penso di sì. Non ho molti rapporti con altri ragazzi della mia età- buttò lì, del tutto inaspettatamente.
Phoebe inclinò la testa da un lato. –Abbiamo la stessa età?- domandò, curiosa.
-Immagino di sì. Quanti anni hai?-
-Sedici- rispose prontamente.
La ragazza scosse la testa. –No, ho un anno in più. Ne ho diciassette-
Phoebe avvicinò il viso al suo, sempre più curiosa. –Sei una specie di maniaca? E’ per questo che mi hai rapita?- chiese con solo un piccolo accenno di sorriso. Se non era abituata a rapportarsi con gli altri, allora non era abituata nemmeno agli scherzi. Phoebe sapeva che ci sarebbe stato da divertirsi.
Esattamente come aveva previsto, la ragazza scattò in piedi con un sobbalzo. –No, non ti ho rapita! Ti ho portato a casa mia perché mi sei svenuta addosso!- si affrettò a dire.
Phoebe ridacchiò. –Lo so, lo so. Era uno scherzo, stai tranquilla!- le disse tendendole una mano. –Phoebe Carter. Il tuo nome?-
La ragazza strinse la sua mano con esitazione, quindi si presentò. –Evangeline Smith-
Phoebe sorrise. Ancora non era un asso di loquacità, ma almeno era riuscita a farle fare un passo avanti. Presto non avrebbe smesso un secondo di parlare. Se lo sentiva.
Si guardò in giro. –C’è un bagno? Me la sto facendo addosso-
Arrossendo leggermente, Evangeline annuì e la aiutò a mettersi in piedi.
 
Evangeline si lasciò cadere sul divano, proprio accanto a sua nonna. La donna anziana stava bevendo un tè e, pur rimanendo in silenzio, le lanciava strane occhiate.
Era come una battaglia. Si fissavano di sottecchi, ma nessuna delle due osava aprire bocca. Alla fine fu l’anziana a parlare per prima.
-Mi sembra una brava ragazza- commentò tra un sorso di tè e l’altro.
Evangeline la guardò aggrottando le sopracciglia, poi parve capire. –Phoebe? Credo di sì-
La nonna poggiò la tazza sul piattino e la mise sul tavolo. Si portò le mani sui fianchi come se volesse sgridarla. –Tu e questa tua diffidenza! Non devi fare così. Per una volta nella vita prova a fidarti. Magari poi rimani scottata, ma almeno hai tentato-
La ragazza annuì, chiaramente poco convinta, e la donna le mise una mano sulla spalla. Evangeline si rilassò all’istante.
-E’ inutile vivere senza sperimentare un briciolo di rischio. Saresti un guscio vuoto, una persona incapace di difendersi perché non capisce come va il mondo- le disse con un caldo sorriso. –Buttati. Fidati di una vecchia signora come me-
Evangeline fece fatica a reprimere la risata che le si era annidata in gola, così la lasciò libera di uscire. –Nonna, tu non sei vecchia- esclamò ridendo.
L’anziana si concesse un piccolo sorriso. –Insomma- ribatté –Non sono mica immortale-
Evangeline si irrigidì. L’immortalità era l’ultima cosa di cui voleva sentir parlare in quel momento. Eppure, da pochi giorni a quella parte tutto sembrava avere un collegamento con gli dèi. E così le venivano in mente Ker e le sue parole taglienti, la consapevolezza di non essere normale, ma di essere una Discendente di un dio dell’Antica Grecia. Era un masso pesante da portare sulle spalle, ma sapeva di non essere da sola. C’era Phoebe. Anche la bionda era come lei.
-Devo parlarle- mormorò.
Sì, doveva farlo, altrimenti Phoebe se ne sarebbe andata ed Evangeline non sapeva quando l’avrebbe rivista. Magari mai più.
Si alzò dal divano e disse a sua nonna che sarebbe andata a vedere come se la stava cavando Phoebe.
-Metticela tutta- la donna le strizzò l’occhio.
Evangeline annuì e sparì in anticamera, dove si fermò a prendere un profondo respiro. Poi fece per entrare in camera sua, ma si bloccò non appena la sua mano toccò la maniglia della porta. Phoebe era al telefono.
-Sto bene- disse con voce ferma a qualcuno che la stava tempestando di domande. Forse la madre o il padre.
Evangeline sapeva di non dover ascoltare, ma aveva bisogno di capire quanto la bionda si ricordasse della notte precedente. Quando si era risvegliata non l’aveva riconosciuta. Molto probabilmente la paura aveva provveduto ad offuscarle alcune memorie. Quella conversazione l’avrebbe aiutata a capire quanto dovesse dirle che già non conoscesse. E anche quanto tatto usare per parlarle di quelle cose che non sapeva.
-Sto bene- ripeté, questa volta con un tono quasi brusco. –Sono a casa di un’amica-
Evangeline inclinò il capo. L’aveva appena conosciuta e già la considerava una sua amica?
Che ragazza strana, pensò stringendosi nelle spalle. O forse sono strana io.
-Sì, non ti preoccupare- continuò Phoebe sbuffando. –Sono in buone mani. Mi hanno trattata benissimo-
Ci fu un attimo di silenzio, poi la bionda riprese a parlare. –Te lo ripeto: stai tranquilla. Ci vediamo dopo, okay? Sì, anche io. Ciao-
Evangeline spinse in giù la maniglia ed entrò nella stanza. La bionda si girò di scatto e la inchiodò sulla soglia con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
-Hai sentito, vero?-
Evangeline annuì. –Sì, stavo venendo a vedere come stavi e ho ascoltato. Non l’ho fatto di proposito- si scusò.
Phoebe addolcì lo sguardo e sorrise. –No, scusami tu. Mi hai aiutata e io ti sto trattando male- le disse. –Ho chiamato mia madre per farle sapere che stavo bene, altrimenti si preoccupa eccessivamente. Le ho detto che ero qui perché ero svenuta, anche se non mi ricordavo il motivo, e lei mi ha riferito quello che è successo ieri sera. Il Teatro Grande è stato distrutto. La causa non è stata ancora resa nota. Ma io so- si interruppe per prendere fiato. –Nei miei ricordi ci sei anche tu. Tutte quelle cose che mi hai detto, il … il mostro che abbiamo affrontato … è tutto vero?-
Con un sospiro Evangeline le si avvicinò e la spinse con gentilezza verso il letto, dove Phoebe si lasciò cadere a peso morto.
-Cosa ricordi esattamente?-
Phoebe guardò fisso davanti a sé con occhi vuoti e rispose con un sussurro quasi inudibile. –Hai detto che sono una Discendente. Di Apollo. Un dio greco. E che anche tu lo sei-
Evangeline assentì. –Sì. Sei stata scelta in seguito al rapimento degli dèi. Il nostro compito è aiutarli. Se rifiuteremo di farlo allora sulla Terra si scatenerà il caos-
Alla bionda sfuggì una risatina. –Stai dicendo cazzate. Non è assolutamente possibile-
-Senti- cercò di spiegarle Evangeline –Ker è stata chiara con me. O li aiutiamo o moriamo. E io voglio provare, anche se dopo il drago di ieri non sono poi così tanto tentata-
Non voleva essere un guscio vuoto, una persona vulnerabile. Voleva darsi da fare, sentirsi parte di un mondo che, sebbene non la accettasse, amava.
-Chi è Ker?- la interrogò Phoebe.
-La dea del destino-
Phoebe inarcò un sopracciglio, visibilmente confusa. –Ma hai appena detto che gli dèi sono imprigionati. Perché lei non lo è?-
-E’ una storia lunga-
-Ho tutto il tempo che vuoi- si intestardì Phoebe.
Con un gemito esasperato, Evangeline cominciò a raccontare tutto quello che le era successo prima dell’incidente al Teatro Grande. Non omise nessun dettaglio, descrisse ciascun particolare esattamente come lo aveva visto. Parlò quasi senza prendere fiato tra una parola e l’altra. E Phoebe ascoltava in silenzio, non osando interromperla nemmeno per farle una domanda, per chiederle un chiarimento su qualcosa. Non usava nessun giro di parole ed era così puntigliosa nelle descrizioni che non ce n’era bisogno.
Quando Evangeline finì di parlare, Phoebe rimase in silenzio ancora un po’ prima di aprire bocca.
-Ti credo- disse con voce sicura –Sono una pazza a crederti, ma lo sarei anche se non lo facessi-
Evangeline ridacchiò. –E’ bello sapere che non sono da sola-
Phoebe scoppiò a ridere e le diede una pacca sulla spalla. Sua nonna aveva ragione: bisognava buttarsi, non tirarsi indietro ancor prima di avere iniziato. Grazie al suo consiglio aveva guadagnato una persona con cui confidarsi. Non poteva ancora definire Phoebe sua amica, ma il passo che l’avrebbe portata ad esserlo era molto breve.
La suoneria del cellulare di Phoebe interruppe i suoi pensieri. La bionda rispose con uno sbuffo. Dal tono che usava Evangeline intuì che si trattasse di sua madre.
-Scusami- disse una volta chiusa la telefonata. –Mia madre vuole che torni a casa subito. E’ meglio che vada, altrimenti si arrabbia-
Evangeline si alzò in piedi. –Nessun problema. Ti accompagno alla porta-
Mentre raccattava le sue cose, Phoebe le propose di vedersi il giorno seguente in modo tale da potersi conoscere meglio.
Ed Evangeline accettò.

 

 

  
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