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Autore: 48crash    24/07/2012    1 recensioni
Quando sua madre entra in casa con l'ultima, cattiva notizia, Angie non sa cosa fare. E la sua reazione può esssere solo una.
A soli 13 anni, Angie si rende conto di soffrire quanto gli altri, più degli altri. Perchè di fronte alla morte di una persona cara, siamo tutti ugualmente impotenti.
Lui voleva solo superare quella porta e prenderle le mani gelide tra le sue, farle capire che le era vicino, nonostante soffrisse a sua volta. Perché sapeva bene che se lui provava tutto quel dolore lei doveva provarlo mille volte più forte, come se le stessero strappando il cuore dal petto.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Everybody Huts, sometimes.
Ma il dolore, quello non ha età.






Quando sua madre era tornata dall'ospedale qualche giorno prima Angie era seduta al tavolo. Aveva provato a leggere un passaggio di uno dei suoi libri preferiti cercando di distrarsi ma non ce l'aveva fatta, ed era rimasta lì per ore a fissare il vuoto, senza il coraggio di alzarsi, muoversi o pensare, e il sole era lentamente calato senza che lei se ne rendesse conto finché sua madre non era entrata come una furia in quella stanza risvegliandola dal suo limbo. Lei l'aveva guardata con gli occhi sgranati senza dir niente, aspettando una sua risposta. Perché lei ancora ci sperava. Nonostante tutto.

Si erano guardate negli occhi per un tempo che era parso interminabile, ma alla fine sua madre, con il trucco colato come se avesse appena pianto, i capelli scomposti e i vestiti stropicciati per aver dormito sulle sedie dell'ospedale, aveva parlato.

<< Vado dalla nonna a prendere tua sorella >>le aveva comunicato con la voce rotta, e Angie aveva trasalito.

Perché sua sorella, che aveva appena 7 anni, era stata trasferita da sua nonna non appena suo fratello era entrato in coma una settimana e mezzo prima, mentre sua madre e suo padre si davano il cambio in ospedale, e lei si era unita a loro a fasi alterne, rimanendo sotto l'occhio vigile dei vicini di casa quando non li raggiungeva all'ospedale. Perché se sua madre le comunicava che sua sorella sarebbe tornata a casa questo significava che i turni in ospedale erano finiti, e se erano finiti lo avevano dimesso. Dovevano averlo dimesso, Angie non voleva nemmeno prendere in considerazione un'altra ipotesi. Perché se lui non era lì con sua madre lei non sapeva dove fosse. Perché se sua madre aveva i segni delle lacrime ancora sul viso, e non osava aggiungere altro, allora era solo un'ipotesi quella accettabile. Perché se lui non c'era, poteva essere solo in un posto, e lei quel posto non lo conosceva. Sentiva già la sua mancanza.

Angie era scattata in piedi, la sedia su cui era seduta si era ribaltata dietro di lei, ma nessuna delle due si era preoccupata di raccoglierla. Non era il momento, non era importante.

Prima che Angie facesse ciò che stava per fare sua madre lo aveva intuito e aveva cercato di dire qualcosa per fermarla. Ma sapeva fin troppo bene che con Angie era inutile.

Angie, con le lacrime che iniziavano a salire silenziosamente, era corsa in camera sua e si era gettata sul letto chiudendo la porta a chiave. Per tre giorni si era rifiutata di uscire, se non per andare in bagno, e sua madre aveva lasciato i pasti, che lei aveva consumato solo in minima parte, in un vassoio davanti alla sua porta. Aveva saltato i turni con il padre e evitato di parlare con chiunque. Apriva la porta solo ad Andrea, il suo migliore amico, il ragazzo figlio della vicina di casa che era cresciuto con lei, e che amava come un altro fratello. Colui che avrebbe sostituito Edoardo, ora che non c'era. Angie sopportava solo la sua presenza. Restava sul letto con gli occhi segnati e il viso rivolto al muro, a volte lui le teneva la mano. A volte parlavano, ma più spesso restavano zitti, troppo tristi e soli per trovare le parole giuste. Volevano solo godersi il silenzio e appoggiarsi l'uno all'altra come avevano sempre fatto, risparmiandosi delle frasi di circostanza idiote, perché entrambi sapevano che cosa provava l'altro. Perché nessun “mi dispiace” o “starai meglio” poteva sostituire ciò che Edoardo era stato per entrambi. Nessun altro sarebbe stato un fratello maggiore, una guida, un'ispirazione e un'ancora di salvezza per Angie. Nessun altro sarebbe stato come un fratello e il modello maschile che era mancato da quando suo padre aveva abbandonato lui, sua madre e sua sorella anni prima per Andrea. Nessuno lo avrebbe sostituito, nessuno poteva consolare Angie.

<< Povera bambina, a soli 13 anni sopportare tutto questo >>dicevano tutti, cercando di indovinare le condizioni di Angie. E Andrea queste frasi non le voleva ascoltare. Lui voleva solo oltrepassare quelle persone e vedere come stava lei, che girava da giorni con i capelli scompigliati e il pigiama addosso; voleva solo superare quella porta e prenderle le mani gelide tra le sue, farle capire che le era vicino, nonostante soffrisse a sua volta. Perché sapeva bene che se lui provava tutto quel dolore lei doveva provarlo mille volte più forte, come se le stessero strappando il cuore dal petto. Perché sapeva che lei viveva solo per suo fratello, lui stesso e la musica.

 

Angie aveva avuto gli incubi di notte, e nemmeno di giorno era riuscita a riposare. Restava sdraiata sul letto infilata nel suo pigiama con gli occhi sbarrati persi chissà dove.

Alla fine, il quarto giorno di reclusione volontaria, Andrea era entrato nella stanza con una risolutezza nuova. Si era diretto verso l'armadio di Angie e ne aveva tirato fuori un paio di jeans blu scuro un po' consunti e una camicia nera e li aveva stesi sulla scrivania zeppa di cianfrusaglie.

<< Oggi c'è il suo funerale, Angie. È meglio che ti prepari, inizia alle tre >>aveva detto inginocchiandosi accanto al letto.

<< Non ci vengo >>aveva gracchiato lei con la voce roca per non averla usata per troppo tempo.

<< Devi dirgli addio >>aveva insistito Andrea infilandole un braccio sotto la schiena per sollevarla e farla sedere.

Angie aveva tentato di ribellarsi, poi però si era rassegnata accasciandosi tra le sue braccia. Andrea aveva solo un anno più di lei, ma era già molto più alto e muscoloso, e per lui non era stato difficile trascinarla in bagno. Ovviamente non ci avrebbe mai provato con una Angie nel pieno delle forze, perché sapeva che lo avrebbe ucciso, ma ora si trovavano in una situazione diversa.

La madre di Angie era rimasta in cucina con quella di Andrea, mentre le due sorelline restavano al loro fianco vestite di nero, immobili e senza la voglia di giocare, con gli occhi fissi alla porta del salotto dove a quanto si diceva c'era Edoardo. Tutti loro sapevano che solo Andrea poteva tirare fuori Angie dal limbo, ora che Edo non c'era.

Così Andrea aveva seduto Angie sul lavandino mentre lui apriva il rubinetto dell'acqua calda della doccia. Aveva tirato fuori il suo accappatoio, buttato per terra uno straccio per non allagare il bagno e rimesso Angie in piedi. Non era saldo come voleva farle credere, anche lui soffriva. Anche, e soprattutto, nel vederla così. Lei, ridotta come una marionetta nelle sue mani, al contrario di com'era davvero, lo distruggeva. E lui si fingeva più forte di quanto si sentisse solo per lei, per farla sentire meglio, per farle sentire che c'era qualcuno che la capiva.

Quando Angie aveva visto i suoi occhi lucidi mentre la sollevava e cominciava delicatamente a sfilarle le calze aveva capito. Con una debole spinta l'aveva allontanato. << Ce la posso fare >>gli aveva detto con una smorfia che avrebbe dovuto somigliare ad una specie di sorriso. Anche lei doveva essere forte per lui. Doveva fargli capire che non se n'era andata. << Tu però stai dietro la porta. Se svengo nella doccia almeno mi raccatterai >>.

Andrea aveva annuito.

 

E ora erano lì, uno vicino all'altra, lei due passi più avanti, un po' più vicino a suo fratello, chiuso nella bara scura calata nella terra fangosa, sotto un cielo biancastro che prometteva neve. Andrea stringeva da dietro la mano di Angie, avvolta nel suo cappotto scuro con una rosa rossa nell'altra. Dopo che si era fatta la doccia, Angie aveva aspettato in salotto che lui si preparasse a sua volta, paralizzata accanto alla bara di suo fratello. Aveva guardato il suo viso cereo e sperato che si svegliasse, da sola si era sentita soffocare. E quando Andrea era tornato gli aveva fatto promettere di non lasciarle più la mano.

Quando la bara fu infine assestata in fondo alla fossa scura Angie si sporse in avanti a gettarvi sopra la sua rosa. Poi si chinò a raccogliere una manciata di terra umida, la sgranò e la buttò nella fossa. Tutti intorno a lei la fissavano. Si sentiva quegli sguardi addosso. Andrea le stringeva quella mano sempre più fredda.

<< Povera bambina, ha soltanto 13 anni. Per fortuna è giovane, si riprenderà in fretta >>.

E invece no, lei sapeva che non si sarebbe ripresa. Non ora, non presto, mai più. Non quando l'unica cosa che desiderava era vedere suo fratello, sentirsi dire che stava bene.

E invece lei non sapeva dove fosse e come si sentisse, non sapeva nemmeno più se lui esisteva, da qualche parte dell'universo. Sapeva solo che il dolore non ha età, solo consapevolezze diverse. Non ti riprendi più in fretta solo perché sei più giovane, anzi quando sei giovane non sai nemmeno se ti riprenderai o resterai segnato a vita. E lei faticava ad ogni respiro.

Tutti intorno a lei piangevano e tremavano, e lei si sentiva abbandonata. Non era facile vederla piangere ma ora le lacrime le rotolavano copiose giù per le guance. Se non mollava tutto era solo per Andrea.

Abbassò la testa e guardò giù, in fondo alla fossa, mentre degli sconosciuti gettavano della terra sul corpo che aveva tanto amato.

...E cadde in ginocchio, con le braccia a penzoloni lungo i fianchi, accanto a quella fossa, cercando di respirare con quell'aria gelida a scorticarle i polmoni e il viso. Andrea le mollò la mano e non cercò di ritirarla in piedi. Alcune cose sono troppo forti per poter permettersi di restare lì in piedi a guardarle. Fino a che la bara non fu stata completamente ricoperta e Angie non si fu alzata da sola Andrea non lasciò che nessuno si avvicinasse.

 

Quella notte, quando sotto quella neve che cadeva a dirotto Angie uscì in pigiama e a piedi nudi nel giardino e iniziò a urlare come un'ossessa, fu Andrea il primo a precipitarsi al suo fianco.

La vide là, in piedi tra la neve e il terreno ghiacciato, e fu lui a correrle incontro, a buttarle il suo cappotto sulle spalle e a stringerla da dietro, forte, mentre lei si piegava e continuava ad urlare, un urlo selvaggio che le saliva dalla bocca dello stomaco e dalle piante dei piedi e non voleva esaurirsi. La vertià era che il dolore non ha età e Angie non sapeva come altro buttarlo fuori, il suo dolore.

<< Angie, sono qui >>mormorava Andrea, certo del fatto che altri incubi avessero infestato i sogni di Angie quella notte.

<< Lo so, ma io voglio Edoardo >>piangeva lei, odiandosi per ciò che stava dicendo, completamente bagnata.

<< Non so quanto ti possa aiutare, ma io non me ne vado >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
















 

 

Author's corner:
Buonasera!
Non fraintendete, non sono depressa anche se al 24 di luglio, dopo essere tornata da una vacanza, me ne sto qui a scrivere tristissimi spin-off per quella sorta di libro che sto creando. Davvero.
Mi è venuto in mente questo flash e dovevo buttarlo giù, tutto qui. Se vi state chiedendo (magari perchè avete letto già qualcosa di mio) se Angie e Andrea sono proprio
quella Angie e
quell'Andrea, la risposta è sì, sono loro (a proposito, qui --->http://strangedelilah.deviantart.com/art/I-wanna-be-ANARCHY-321087962, c'è una loro versione inedita). Solo qualche anno prima dell'altra one-shot, e molti anni prima di quello che ho scritto dopo, anche se non compare qui su EFP.
Il gruppo che ringrazio stavolta sono i R.E.M., che con la canzone
Everybody Hurts, che ha dato tra l'altro un titolo a questa one-shot, mi hanno accompagnato per tutta la stesura.
Ringrazio in anticipo chi leggerà e chi deciderà di darmi un parare.
Adios!
Lucy

  
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