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Autore: ConsultingFangirls    24/07/2012    5 recensioni
Era iniziato in un nebbioso mattino di febbraio quando, marciando per l'appartamento di Baker Street con le mani nei capelli e gli occhi da folle, Sherlock Holmes si era imbattuto in qualcosa che non sarebbe dovuto esistere.
L'uomo seduto nella poltrona dei clienti, un tizio magro, alto, con un completo a righe blu e marroni, Converse rosse e capelli spettinati, stava imperturbabile e con le gambe accavallate, seguendo con gli occhi il famoso detective uscire di testa. John non ci avrebbe scommesso, ma sembrava si stesse divertendo.

/ «Rose? È finito il latte»
«E perché non vai a prenderlo?»
«Perché ci vai tu» Layne le tese il cappotto con un sorriso e svuotò la pipa sul divano «E prendi anche del tè, che è quasi finito»
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 10, Rose Tyler, TARDIS
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender
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Layne cadde fra delle braccia morbide che profumano di rose e di una leggera punta di sudore e umido di pioggia. «Layne! Layne, stai bene?»
Sbatté a fatica le palpebre e si staccò da Rose, che era calda e confortevole e solida, come se tutto non si fosse appena dissolto attorno a lei e non fosse appena stata in un universo parallelo.
«Ti abbiamo vista sparire nell'aria e poi ritornare indietro un secondo dopo… che è successo all'assassino?»
«Conan Doyle» biascicò lei. «Arthur Conan Doyle. Si chiamava così.» Alzò gli occhi e la prima cosa che vide fu il viso del Dottore, corrucciato e sollevato e triste. «L'ho lasciato lì. Era un universo parallelo senza parole… e lui stava bene, era normale.»
Sul viso dell'alieno si dipinse un piccolo sorriso. «Layne Holmes, sei la prima che mi strappa dalle mani il salvataggio della giornata. Complimenti.»
Lei scosse la testa. Appoggiò tutto il proprio peso su Rose, che ancora la stringeva fra le braccia, e faticò a non nasconderle il viso nel collo come aveva fatto certe volte in cui un'indagine era fallita e delle vite erano state spente. Rose era morbida e accogliente e calda, e lei faticava a pensare che alla fine di tutto quello sarebbe andata via, perché di certo non sarebbe rimasta in un altro posto, in un altro tempo, con lei, quando l'amore della sua vita era arrivato… non su un cavallo bianco ma dentro una cabina telefonica blu. Si trattenne dal ghignare. Sarebbe stato un ghigno troppo amaro. «Non ho salvato nessuno.» Affondò le dita nel braccio di Rose e sentì una specie di rigurgito amaro salirle nella gola. «Sherlock…» sollevò la testa, ruotata in un'angolazione quasi impossibile. Lo vide, ancora in cima al palazzo. La pioggia ora era sottile, le gocce rade. Si stava trasformando in nebbia.
«Non credo di poter fare qualcosa per lui» La voce del Dottore si spezzò un po'. «Non tutti sono in grado di scappare alla morte… E più di tutti, a quelli che lo meriterebbero non succede mai.»
«Non può essere…» Rose tremava e si stringeva a Layne e aveva gli occhi lucidi. «Dobbiamo fare qualcosa per lui… Non si può morire in universo parallelo, l'hai detto tu! È come se non si fosse mai esistiti in nessun universo.»
«E presto inizieremo a dimenticarlo… be', voi.» Il Dottore aveva per la prima volta uno sguardo fisso e spento mentre osservava il sangue di John coagularsi sul marciapiede, mischiato alla pioggia. «Io lo ricorderò… ma per voi altri sarà solo una storia, un sogno triste di cui non ricorderete i particolari, per Sherlock più di tutti. E ora dobbiamo portare via il cadavere, o tutta questa gente…»
Ma tuta la gente di cui il Dottore parlava si stava già diradando sotto la spinta di una donna con indosso una mantella viola con un tesserino bianco in mano. «Detective inspector River Song, se volete… Sgomberate l'area, per favore… Ciao, dolcezza!»
Il Dottore sgranò gli occhi e spalancò la bocca come un pesce preso all'amo.
La donna con la mantella viola rise mentre si scostava il cappuccio dal capo, svelando una chioma riccia e pelle dorata. «Oh, ricordo quello sguardo! Non sai ancora chi sono, vero?»
«L'ultima volta che ti ho vista» sussurrò il Dottore «eri quasi mor-»
«Ah-ah! Spoiler, ricordi?» Il sorriso della donna non era per niente turbato. Sembrava che avesse tutto sotto controllo. Anche la bocca di Rose era spalancata.
«Ma tu sei la donna che mi ha dato la chiave della TARDIS nei biscotti!»
«Proprio io! Felice che tu non ti sia rotta un dente, tesoro, ma non potevo dartela senza svicolare domande se non nascondendola in qualcos'altro. Ora» s'inginocchiò accanto al cadavere di John. «Una linea temporale pasticciata è un bel casino e lo sappiamo tutti, e abbiamo anche poco tempo per rimediare, per cui ci serve l'aiuto di un esperto, e abbiamo poco tempo. Fate scendere il signor Holmes da quel tetto, raccogliamo questo poveretto e andiamo alla TARDIS. Hai lavorato sullo schiocco di dita, dolcezza?»
«Layne, Rose» disse il Dottore, ignorandola, «andate a prendere Sherlock, per favore… Ma non illudetelo. Non so cosa voglia fare questa psicopatica.»
La donna che si era chiamata River Song rise piano mentre posava due dita sul collo di John.
Rose passò un braccio sulle spalle di Layne e la guidò di nuovo verso le porte del Bart's. «Stai bene? Devi essere stanca… tutta la tua energia è stata risucchiata per mandare quell'uomo - hai detto Conan Doyle? - nell'altra dimensione.»
«Sto bene. Muoviamoci.» Non avrebbe voluto essere fredda, ma aveva già iniziato a proteggersi dal momento in cui Rose avrebbe detto addio con quelle sue labbra morbide e sarebbe sparita nelle porte blu della TARDIS. Salirono scale su scale in silenzio, finché, finalmente, non giunsero al tetto. Sherlock era ancora lì sul bordo. La pioggia, che ormai aveva smesso di cadere, aveva lasciato ombre nere sul suo giubbotto blu. Lui era immobile e con gli occhi aperti. Non sembrava neanche stesse guardando il cadavere di John quanto piuttosto il vuoto che c'era nell'aria fra lui e il selciato, metri e metri più in basso.
Layne allungò la mano e gliela posò sul braccio. Non ci fu nessuna reazione.
«Dobbiamo scendere, Sherlock» disse Rose, la voce dolce, esitante. «Il Dottore… è arrivata una donna che dice di poter fare qualcosa per John.»
Lui voltò lentamente la testa. Alcuni ciuffi di capelli gli si erano appiccicati alla fronte. Aveva il viso rigato di pioggia, come strisce ancor più chiare sulla sua pelle d'alabastro, ma gli occhi erano asciutti, adesso. Sembravano vuoti. Sembravano dipinti. «È morto, Rose.»
«Certo che è morto» disse Layne. «Ma si può anche tornare indietro nel tempo. Abbiamo una macchina per farlo, sai.»
«Non si può riscrivere la propria linea temporale.» Teneva le mani incrociate dietro la schiena e sembrava una statua di marmo e ghiaccio, e veniva voglia di scuoterlo e dirgli di star zitto e muovere le chiappe e basta. Layne fece uno scatto per prenderlo di peso e portarlo giù a forza, ma quando era ad un passo dal toccarlo, lui si sedette sul bordo del tetto, con i gomiti sulle gambe e la testa fra le mani «Sai cosa, Layne? È che ho passato tutta la vita - tutta la vita -  a cercare di starmene alla larga da queste cose. Non le ho mai capite davvero, non ho mai capito perché qualcuno dovesse chiudersi in un cinema e piangere fino a farsi cadere gli occhi, o restare emozionalmente ferito da un libro, come dicono loro, perché ho sempre pensato che si può ragionare davvero solo se si è al di sopra delle cose, al di sopra dei sentimenti, specialmente, perché alla fine con quei sentimenti finisci sempre male, sono sempre loro a farti fare quello che vogliono. E ci ero quasi, sai?» girò appena la testa per guardare Layne, che lo guardava come se non capisse «Ma sì, ce l'avevo fatta, perché non mi importava di nulla, perché ero io e il mio lavoro. E io e il mio lavoro andiamo d'accordo. Mycroft me lo diceva spesso, quando eravamo piccoli, che quella che tenevo era una maschera, che in realtà io sono molto più fragile di quello che cerco di non far capire. E ha ragione. Sono fragile. Sono debole. Sono… normale. Sono come tutti gli altri, vedi? Sono anche io qua a piangere su qualcuno a cui tenevo. Non sarei mai voluto arrivare a questo punto» prese un respiro profondo, e Rose riconobbe in quel sospiro il fiato rotto di una persona che sta per scoppiare a piangere, perché era un sospiro che anche lei, le prime volte, seduta sulla sabbia della Baia del Lupo Cattivo, si era lasciata scappare, quando le si bagnavano tutte le scarpe di acqua salata, e abbassando gli occhi ai piedi si rendeva conto di star indossando un paio di Converse rosse. «E invece eccomi qui! Eccomi qui insieme a tutti voi altri. Piangiamo per le stesse cose. Mi vedi? Io sto… tremando» guardò verso il basso, di nuovo non verso il corpo di John che la donna bionda e il Dottore stavano portando via ma verso il nulla. 
Rose fece un passo avanti e gli poggiò una mano sulla spalla «Io ti capisco» mormorò, sedendosi di fianco a lui, e lasciando le gambe a penzolare giù dal tetto. Guardò verso Layne per assicurarle con gli occhi che era tutto a posto, ma in quelli della detective trovò solo durezza «Anche io pensavo di averlo perso per sempre. Eppure eccolo laggiù. È tornato da me. È tornato, e non è detto che non riesca a far tornare anche John. Ti giuro, gli ho visto fare cose che credevo non potesse fare neanche… Dio. L'ho visto parlare con Charles Dickens e salvare il mondo dai manichini viventi, l'ho visto curare tutte le malattie del mondo e distruggere i Dalek. Il Dottore può fare cose che neanche riesci ad immaginare. E in ogni caso…» gli fece un sorriso storto, accarezzandogli premurosamente una spalla «in ogni caso vale la pena provare, no?»
«Non ho nient'altro da perdere» mormorò Sherlock, più a se stesso che a lei. Poi alzò gli occhi cercando quelli della bionda, che ci vide dentro uno smarrimento e un terrore che di sicuro non dovevano essere abituali a quei due buchi ghiacciati di saccenza e sicurezze «E se non ci riesce?»
«Hai già provato il dolore, Sherlock» gli rispose fredda Layne da dietro le spalle, anche se tenne gli occhi puntati a terra «peggio di così non può essere. Adesso sbrigati e vieni giù»
Il Dottore e River li aspettavano nella TARDIS. Quando Sherlock entrò e vide John disteso per terra sul pavimento dorato sentì il cuore perdere un battito, ma si limitò a stringere i denti, senza lasciarsi sfuggire neanche un fiato. Si sedette per terra accanto a lui, diviso fra la voglia di coprirgli il viso e continuare a guardarlo in eterno. Si era dimenticato che gli occhi di John fossero così grandi, ma forse era solo un effetto della paura. Forse stava cominciando a dimenticare e non c'era modo per rimettere tutto a posto e forse, forse… lo sapeva, l'aveva letto in un libro di fantascienza quand'era bambino, che si dimenticano le persone che muoiono in un tempo sbagliato. Serrò fra le mani quella di John, che era fredda e molliccia ma presto sarebbe diventata dura e gelida, e sentì di essere sul punto di vomitare. Serrò un pugno e se lo premette sulle labbra.
Intanto, il Dottore e River danzavano attorno alla consolle della TARDIS, in un silenzio insolito nei due, e Rose e Layne stavano in un angolo loro due da sole ma sembravano lontane e separate da un muro e Sherlock desiderò che si parlassero, perché erano stupide e non capivano cos'era perdere un amico e si vide che parlava con John per tutto il resto della sua vita anche se John era morto, anche senza ricordare più il colore dei suoi occhi o persino il suo nome. Stupido Sherlock, senza sentimenti, che improvvisamente capisce di provare più di quanto vorrebbe.
Guardò il viso del suo compagno e mormorò, come un bambino: «Tutta colpa tua, Dottor Watson.»

((PROMEMORIA PER IL FUTURO: Questo coso l'abbiamo scritto giocando a strizzacapezzolo. Siamo persone serie e mature. Ah, inoltre stavamo anche sceneggiando un film porno con degli Sleethin. Nevermind.))
«Cos'hai?»
«Nulla» Rose guardò verso Layne, che a sua volta guardava verso il basso e si mordicchiava il labbro di sotto. Odiava quando era così, perché poteva vedere chiaramente il flusso di pensiero nella mente della sua compagna, ma non riusciva a capire perché non volesse parlargliene. «Quanti anni pensi che abbia, Layne? Sono abbastanza grande e ti conosco abbastanza per capire quando qualcosa non va»
«Tu non capisci proprio niente» sbuffò l'altra, infilandosi le mani a fondo nelle tasche del cappotto «Tu non capisci proprio niente e continuerai a non capire niente fino alla fine. Che, ti assicuro, non è così lontana.»
«Eh?»
Layne si voltò e la fissò dritta in viso, per la prima volta da quando John e l'assassino erano caduti dal tetto del Bart's. «Pensi che non ti abbia visto, vero? Pensi che non me ne sia accorta? Di come lo fissi. So benissimo cosa succederà, appena sistemeranno questo casino. Finiremo tutti a casa. A casa davvero, intendo.» 
Rose scosse la testa «Non ti seguo, Layne. Chi ha visto chi? A casa cosa?»
La detective si lasciò sfuggire una mezza risata sarcastica, ma amara nel profondo. «Penso che girando a lungo come hai fatto col Dottore, tu abbia capito che c'è una sottile differenza fra amare una persona o avere bisogno della sua vicinanza perché si è molto, molto soli, e la solitudine non è una delle condizioni preferite dall'essere umano, no? E tu, Rose, tu sei la persona perfetta per riempire quella solitudine, perché sei morbida e calda e riesci a capire le persone, a consolarle, a farti ascoltare. Tu amavi il Dottore ed il Dottore ha amato te, ti ama ancora, è evidente, perché ad un certo punto della vostra storia tu non sei stata più solo la sua compagna d'avventure.»
«Stai dicendo che» Rose deglutì «è successa la stessa cosa anche a te?»
«No.» La voce di Layne fu come un coltello, tagliava carne e i muscoli e anche le ossa. «Io sono sola, lo sono sempre stata, e lo rimarrò sempre. Ecco perché quando tu sparirai su questa cabina blu insieme all'uomo che è diventato dipendente da te - perché è questo che è l'amore, dipendenza - per me non sarà cambiato niente. Niente
Le guance della bionda erano sbiancate. Si portò una mano alla bocca come a voler trattenere un gemito o forse una parola, ma in realtà non c'era niente da dire, non sapeva cosa dire, perché anche se una parte di lei sapeva che Layne stava mentendo, l'altra non ne era poi così sicura. Imperscrutabile com'era, Layne non concedeva molte certezze su se stessa agli altri.
«È solo che» sembrava che le parole fossero sfuggite dalle labbra esangui della detective prima che potesse fermarle, «ci si abitua a certe cose, come una presenza fisica nel letto quando ti svegli e qualcuno che compra davvero il latte per te. In questo io ed il Dottore condividiamo qualcosa, come con Sherlock.» Tornò a rinchiudersi nella sua corazza, osservando il cadavere del medico sul pavimento.
«Credo che mi fermerò qui» disse Layne a voce alta e chiara, facendo un passo avanti. «Mi sono buttata in mille cose troppo pericolose in questi giorni, quindi è meglio se resto qui al sicuro a Londra. Ora che non ho più l'energia della faglia addosso la mia vita sarà molto più noiosa.»
Rose fissava la sua schiena sottile nel cappotto lungo e scuro. Sherlock fissava il viso di John. River tirava le leve della TARDIS. Il Dottore si voltò senza capire. «Ti… fermi?»
«Sì. Mi sono messa in abbastanza guai, meglio non aggiungere i viaggi nel tempo.» Fece quel sorriso che non era un sorriso, Rose lo conosceva così bene, avrebbe potuto appartenere alla migliore delle attrici. Quel sorriso, così naturale e morbido e ironico, celava dentro di sé i frammenti di mille specchi in frantumi, in quel momento. Lei, che li aveva rotti, non sapeva neanche come rimetterli a posto, ed entrambe, lei e Layne, sanguinavano all'interno della TARDIS senza che nessuno lo notasse. Il loro sangue invisibile era tutto ciò che avevano di un addio. Forse le gocce sparse sul pavimento si stavano unendo in una cosa sola. «Comunque, Dottore, gradirei che mi facessi sapere com'è… finita.» Guardò ancora una volta John e Sherlock, ma non ottenne nessuna reazione.
«Vai pure, Miss Holmes» disse River, premendo un pulsante e scostandosi un ricciolo dalla fronte.
«Cosa, la TARDIS non-»
«È atterrata, e Miss Holmes può andare» sbuffò la donna. Il Dottore la fissò con aria contrariata.
«Grazie, e arrivederci.» Layne si voltò senza concedere un secondo sguardo a nessuno, aprì la porta della cabina e rimase un attimo lì a stagliarsi in quella cornice; si poteva vedere la nebbia di Londra davanti a lei. Si voltò, solo per un attimo, verso Rose; le labbra socchiuse come se volesse dire qualcosa. Forse era un augurio, forse un'ultima pugnalata, anche se i suoi occhi apparivano troppo trasparenti e indifesi per lasciar pensare davvero quell'ultima ipotesi; era uno sguardo che nessuno le aveva mai visto. Ma non disse nulla, un attimo dopo si era di nuovo voltata, era tutto sparito. «Comunque, non credo di meritarmi un viaggio nel tempo» disse, quasi ridendo, e un attimo dopo la porta della cabina si chiudeva.
River sollevò una leva e digitò dei comandi sulla consolle. Il Dottore si avvicinò a Rose e lei rimase immobile mentre lui la abbracciava, il viso premuto nel suo completo a righe, quell'odore di polvere e vento e menta e mille altre cose, odore di tempo, e decise di non piangere, perché Sherlock, a pochi metri da lei, aveva gli occhi asciutti.
«Rose-»
«Dopo. So cosa vuoi chiedermi, ma posso risponderti dopo?» sollevò appena il viso e provò a sorridergli. Gli occhi lucidi e scuri del Dottore erano profondamente comprensivi e preoccupati. Il fantasma di quella frase troncata alla Bad Wolf Bay aleggiava fra di loro. Neanche Layne le aveva mai detto di amarla, ricordò. Quei due, in fondo, si somigliavano. Le venne da ridere. Alcune cose faticavano davvero a cambiare.

Essere morti è davvero una strana sensazione. Beh, sì, dovevo immaginarlo. Ma non pensavo che fosse così strano. È come se tutto il tuo corpo venisse improvvisamente punto da un'armata arrabbiata di formiche rosse. E api. E qualsiasi altra cosa che punga. Poi, però, in realtà dura poco, e te ne ricordi appena. Ti senti soltanto prudere perché sai che il veleno sta entrando in circolo, anche se, ovviamente, non c'è nessun veleno, perché la morte non è velenosa. Credo. Dopo ti senti soltanto leggero, leggerissimo, e vedi tutto intorno a te che prende colori che non ti aspetteresti mai. Vedi le cose come sono davvero. Noi siamo abituati da sempre a vedere le cose in un certo modo, siamo abituati a vedere che le fragole sono rosse e il cielo è azzurro, a sapere che abbiamo due braccia e due gambe, a sentire il profumo dei biscotti quando escono dal forno, ma non è così. Non esistono fragole rosse o cieli azzurri nella realtà che non sappiamo vedere, e non sappiamo vederla semplicemente perché non vogliamo vederla. Ma adesso, cioè, quando muori, non c'è più pericolo, ti dimentichi di cosa vuoi o cosa non vuoi, quindi vedi le cose per quello che sono. E vi assicuro che le fragole che mi sembra di vedere qui sono molto più simpatiche di quelle inglesi. 
Ma la cosa che mi stupisce di più sono gli esseri umani. Sono rimasto a gironzolare attorno al mio corpo per un po', tanto per vedere che effetto faceva. Pensavo che sarei uscito di testa, invece è semplicemente come vedere un film in 3D particolarmente realistico.  Mentre guardavo, ho visto davvero come siamo. Non siamo umani, non nella concezione di umano che intendiamo di solito, almeno. Voglio dire, siamo sicuramente umani, perché… beh, perché siamo umani, ma non abbiamo il corpo che riconosciamo come quello di un essere umano. Siamo insiemi di colori e sfumature, tutti i colori e le sfumature delle emozioni che proviamo. Ho visto un insieme di nero scintillante e argento, che doveva per forza essere Sherlock, uno giallo e rosa che doveva essere Rose e altri che non riuscivo a riconoscere, però il Dottore mi ha stupito. L'ho visto. Ho visto com'è Lui, oltre alla facciata di pelle e ossa che cerca di farci vedere per non farci sentire troppo a disagio. È un ammasso informe di sensi di colpa e odio e tristezza e rabbia, e guardarlo negli occhi, in quegli occhi enormi e nerissimi che gli riempiono quasi tutta la testa brucia, perché sai che lui ti sta guardando di risposta, ma il suo sguardo è così infinitamente triste che vorresti potertene andare e chiudere una porta sulle sue sensazioni, così che magari a te facciano meno male. È orrendo. Lui è piccolo, e vecchissimo, e io riesco a vederlo davvero. Perché, beh, sono morto, e forse essere morto ha i suoi vantaggi. 
Sento anche delle onde, che partono da quelli che sono abituato a chiamare umani. Credo siano le sensazioni che stanno provando adesso. Sherlock emana tristezza e rancore, e posso sentire i suoi pensieri. Anzi, posso entrare nella sua mente, se voglio. Posso farmi un viaggio nel suo palazzo mentale, finalmente, e vedere un po' come funziona. Entro, in silenzio, non voglio disturbare, e non voglio che si accorga che sono qui. È davvero un castello, enorme, sembra quasi rispecchiare il suo ego, ma è tutto buio, e posso camminare solo lungo un corridoio, perché tutte le porte che ci si affacciano sono chiuse. Avvicino l'orecchio a qualcuna, e sento dei rumori che escono. Urla, principalmente, grida di gente che piange e spari. Continuo a camminare, e i miei piedi che non fanno rumore sul pavimento del corridoio mi inquietano. Cosa mi aspettavo, alla fine? Sono lo spirito di un uomo morto che cammina in una costruzione artificiale nella mente di una persona, speravo di avere anche la colonna sonora? Il corridoio finisce di botto, e io inizio a piangere, incontrollatamente, e le lacrime cadono sulla pietra, queste sì.
Sul muro, in fondo, c'è un'immagine che si muove, come se fosse proiettata, l'immagine di una stanza chiara. Il laboratorio del Bart's dove ci siamo conosciuti. È come un vecchio film muto, il video va a scatti e poi ricomincia da capo. Io che entro. Lui che prende il mio telefono. Noi che ci diamo l'appuntamento. Lui che esce. Buio. Da capo. 
Vorrei poter semplicemente girare le spalle e andarmene, ma non ci riesco. Mi siedo lì davanti per terra, e mi stupisco di stupirmi che il pavimento non sia freddo. Sono lì davanti a quel video muto, seduto a gambe incrociate come un bambino delle elementari e piango, perché sento già che mi mancherà. Che dovrò tornare spesso a guardare questo globo di nero e argento che continuerà con la sua vita. Che dovrò aiutarlo ad andare avanti. Che, per quanto possa sembrare cattivo, non vedrò l'ora che mi raggiunga, per poterlo abbracciare di nuovo. 

Una goccia di sangue. Due. Tre. Pallini perfetti. Poi diventavano una sbavatura rossa sul dorso della sua mano, lì dove aveva toccato la testa di John. E lungo il polso, due strisce, che ricalcavano la forma delle sue dita. Continuava a guardare il sangue sulla sua mano. Nell'altra quella di John diventava sempre più dura. Sherlock guardava il sangue e pensava a Londra e a quanto fosse bello e difficile seguire le tracce di un omicidio nella nebbia.
Improvvisamente si rese conto che la donna era accanto a lui, inginocchiata sul cadavere di John.
«So come ti senti» non lo guardava neanche negli occhi, si limitava a parlare, passando una mano tra i capelli biondi sporchi di sangue del dottore «È successo anche a me» gli sorrise - non direttamente, più quel sorriso lontano che si fa quando si ripensa a qualcosa che ci è successo molto tempo fa, qualcosa di orrendo ma con cui siamo riusciti a venire a patti. Lui la guardò per un solo secondo «Lo so»
«Lo… sai?»
«Certo. Ti sei innamorata di lui, vero?» indicò con la testa il Dottore, senza mai guardarla «Beh, non proprio lui. Un lui che verrà dopo. Che avrà poco del Dottore che conosciamo adesso, ma che alla fine sarà la stessa persona, se questo è possibile. L'ho visto dalle tue pupille, da come si sono allargate quando gli hai parlato, e da quella tua minuscola increspatura del labbro, quella che sembra dire che ti manca, ma che ancora non ti va bene per com'è. È come se ne avessi conosciuto un… evoluzione. E poi tutto questo mistero che metti intorno alle cose, come gli sorridi e come gli parli, ma senza mai dirgli nulla di te, anche se è chiaro che lui vuole sapere» per la prima volta da che avevano iniziato a parlare si guardarono negli occhi «Tu vieni dal futuro. Sei sua moglie, nel futuro.»
Lei fece una mezza risata «Complimenti. Ma lui non deve saperne nulla. Beh, anche se credo che abbia già capito buona parte del tutto. Le nostre linee temporali non vogliono proprio intrecciarsi quando dovrebbero. Il mio passato è il suo futuro e vice versa. E sì, ci siamo sposati… tra molti anni. Per salvargli la vita, non credo che fosse davvero interessato ad accasarsi. Diciamo che è molto complicato»
«L'avevo intuito» tornò a rivolgere il suo sguardo verso il cadavere di John, e sentì come se qualcuno gli stesse trapassando lo stomaco con la punta di un compasso «Per caso ti ha parlato di noi?»
«Di voi?»
«Sì, di come ne usciamo da questa storia. Sai come va a finire?» lei gli sorrise di nuovo, ma questa volta un sorriso vero, di quelli che scaldano il cuore, anche a chi è stato informato da fonti attendibili di non averne uno. Gli strizzò un occhio alzandosi e volteggiando nella sua matassa di riccioli biondi «Spoiler, dolcezza»


Stavate aspettando una soluzione al problema di John? AhahahAHAH. Abbiamo imparato da Moffat, babes
  
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