Ti vedo di
nuovo.
Sono circa le
due di notte quando, all’improvviso,
vedo un’ombra flettersi da lontano.
Vedo qualcuno
comparire sulla cima di un
grattacielo, proprio di fronte al mio appartamento.
Poggiato sul
rialzo della finestra, fumo ed
osservo la stessa identica scena.
Sono solo un
ragazzo.
Fumo,
perché mi aiuta a distrarmi e a non pensare.
A quello che non ho, a quello che ho perso, a quello che potrei avere.
Poi vedo te.
Quasi allo stesso orario, sempre
solo.
Passano i
minuti, ti guardo, la sigaretta si
consuma. Ne accendo un’altra.
Non lo
capisco. Perché solo? Ho sempre pensato che
tu meritassi tutto, tranne che la solitudine.
Ma io sono
solo un ragazzo, e mi limito a
guardare.
Osservi il
cielo scuro, come se ogni volta ci
fosse qualcosa di nuovo da scoprire, qualcosa che la notte prima ti sei
perso.
So cosa fai.
So cosa sei.
In tanti
anni, sono cambiato. Ho saputo scegliere
quali siano le persone giuste per me, quali evitare, e altre che non
meritano
nemmeno la mia parola.
Posso
sembrare presuntuoso, lo so, perché tutti
meritano almeno una parola, ma è così. Io sono
così, non posso cambiarlo.
Poi ci sono
le persone come te. Persone che non
conosco, che non ho mai sentito, ma che mi limito a vedere. Sono quelle
che
meritano tutte le mie parole, tutte quelle che conosco.
Perché?
Posso
percepire il tuo dolore, posso percepire
quello che provi. Stai soffrendo, perché se così
non fosse non saresti lì,
solo, proprio come lo sono io, adesso.
Non posso
dire di comprenderti, perché non conosco
la tua vita, nemmeno il tuo nome, e ti direi una bugia.
Però, posso dirti ben
altre verità.
E’
da tanto che ti vedo, ti osservo. Non lo so
perché, in verità non capisco nemmeno il motivo
per cui ultimamente la notte
non dormo.
Ma giurerei
su ogni cosa di averle viste. Le
zanne. Le tue.
Come posso
spiegarmelo? Los Angeles non è quella
che viene mostrata in televisione, ho sempre pensato che ci fosse
qualcosa di
diverso dietro tutte le luci abbaglianti e le immagini colorate. Ed
avevo
ragione.
Ma non posso
pensare che esistono persone con le
zanne.
Vampiri.
Eppure, sono
sicuro di averle viste, in più di
un’occasione.
Ma sai
ciò che mi ha colpito di più? Non mi sono
spaventato, non ho temuto che potessi essere un pericolo. E credo sia
una cosa
talmente stupida… ma nemmeno tanto se ci ripenso.
Quello che
avvertiamo verso gli altri è
strettamente personale. Io posso amare una persona mentre altri possono
odiarla,
o addirittura temerla.
Allora mi
sono detto: perché dovrei fingere una
paura dove non c’è? Non è anche un mio
diritto esprimere ciò che sento? Che
provo?
Poi mi sono
accorto di aver pensato una cosa
ancora più assurda.
Io sento. Io
provo.
Verso una
persona che non conosco, con cui non ho
mai parlato, ma solo limitato ad osservare, da lontano.
Com’è possibile?
Ho pensato
che stessi dando di matto. Che io,
infelice come sono, stessi facendo affidamento verso altre persone,
probabilmente immaginarie.
Ed era
così. Lo è tutt’ora. Io faccio
affidamento
su di te. Su due metri di oscurità.
Come si
può basare la fiducia e il rispetto su una
figura tanto misteriosa?
Sei ancora un
mistero per me, e forse è proprio
questo il punto. Forse, amico, è questo il motivo per cui
non riesco a
dimenticare il tuo volto, forse ci si può abbandonare
totalmente ad una persona
solo quando non la si conosce realmente.
Ma tu sei
molto altro che un abbandono. Tu sei un
inizio.
Sento dei
respiri. Non sono i tuoi, perché sei
troppo lontano, ma non sono nemmeno i miei. E’ la mia
ragazza, che si rigira tra
le coperte e mi vede contemplare la luna.
Non sa che,
in realtà, sto contemplando te.
Mi chiede di
tornare a letto, ed io la rassicuro, sorridendo,
e dicendo che farò così.
E’
molto dolce, spero che non mi spezzi il cuore,
come le persone tendono a fare.
Mi volto di
nuovo verso l’esterno, e lo fai anche
tu, adesso ti vedo di spalle.
Ricordo di
qualche sera fa, quando, ancora una
volta, ti ho visto, ma a soli pochi metri, ed oserei dire in azione.
Effettivamente
non ho ben capito ciò che stessi
facendo.
Stavo
camminando per le strade della vecchia
metropoli e, d’improvviso, da un vicolo, sentii uno stridulo
urlo. Era una donna,
almeno lo compresi dall’intensità delle corde
vocali. Non dovevo avvicinarmi,
non dovevo perseguire quel suono.
Era sbagliato
che io lo facessi. Ci sono tanti
pericoli in questa città, soprattutto di sera, quando il
buio cala e le tenebre
invadono ogni cosa.
C’era
solo la luce del lampione, fioca, illuminava
un breve tratto di strada.
Non
resistetti, forse per puro protagonismo,
seguii quel suono raccapricciante, che sentivo ripetersi
ininterrottamente,
ogni volta più forte.
Scorsi la
testa nel vicolo, e vidi la scena.
Un uomo
bruto, dalla corporatura minuta ma, a
quanto pare, potente, teneva stretta una ragazza bruna, abbastanza
bassa.
Trovai tutto
ciò indecente, e maledettamente
ingiusto. Vedevo quei volti scorrermi davanti, tutto succedeva
così velocemente,
e pensai all’inferno che quella donna stava provando in quel
momento.
Un pensiero
veloce andò anche al piacere perverso
di quel bruto. Che schifezza.
Non potevo
crederci. Decisi di avvicinarmi per
aiutare la vittima, anche se avevo tanto sperato che lei stessa
trovasse la
forza di mollargli un calcio nelle palle.
Anche se le
mie probabilità di vittoria erano piuttosto
basse. Anche se io ero solo un ragazzo.
Corsi verso
di loro, alzai la voce, ricevetti
insulti, tesi la mano e poi… arrivò
un’ombra, avvolta in un lungo giaccone
nero, che si confondeva perfettamente con
l’oscurità.
Non so come,
davvero, non lo so proprio, ma io ti riconobbi.
Sapevo che quello eri tu, in un modo o nell’altro lo sentivo,
senza dubbi.
Nella mia
mente riaffiorarono ricordi: tutte le
volte che, alla finestra, ero rimasto lì ad osservarti.
E non ci
mettesti molto. Prendesti quel gran
figlio di puttana per il braccio, e lo sbattesti con violenza contro il
muro.
Vidi del sangue, delle lacrime, delle urla, dei canini…
Era quasi
impossibile riconoscerli in mezzo a
tutto quel trambusto, ma io riuscii a vederli, nonostante il buio ed
una lieve
miopia.
Vedevo altra
violenza davanti ai miei occhi, ed
una cosa mi colpì particolarmente: tu ti fermasti. Non lo
uccidesti, non lo
massacrasti ancora. Perché?
Forse
perché quello zotico non reagiva, e non si
reggeva in piedi. Forse perché non volevi fare il lavoro
sporco davanti a dei
testimoni. Forse perché… sei un eroe.
Solo in quel
momento l’ho capito. Ne ho avuto la
conferma, amico misterioso.
Quando i
canini scomparvero, tu guardasti la
ragazza dritta negli occhi, e lei, ancora scossa, tremava. Si
portò le mani al
volto, nascondendolo, probabilmente afflitta dalla vergogna e dalla
disperazione.
O almeno
così mi parve.
E fu
lì, che davvero mi stupisti. Mi spiazzasti
completamente.
Ti
avvicinasti a lei, liberasti il suo viso dalle
mani. Il tuo sguardo era fisso, irremovibile.
La donna non
riusciva neanche a sostenerlo.
Che scenario
pazzesco, in una giornata qualunque
di una vita qualunque. Mi sembrava tutto così surreale.
E tu, cosa
facesti? Avvicinasti lentamente la tua
bocca al suo orecchio, e cominciasti a sussurrare qualche parola.
Qualche
parola che io non conoscerò mai.
Ma parole
magiche, suppongo. Perché la povera
smise quasi di piangere.
Solo qualche
minuto prima aveva sentito la
presenza di quell’uomo invaderla dentro e fuori. Ma subito
dopo arrivasti tu,
con i tuoi pugni potenti e i tuoi sguardi penetranti, e almeno una
piccola
parte di quel dolore sembrava già passata.
Nel casino,
io, ancora una volta, ero rimasto a
guardare.
Quella sera,
riuscii ad intravedere anche il tuo
aspetto, per poco tempo. Vidi solo dei lineamenti, ma perché
mi parevano
perfetti?
E che
cos’è la perfezione? Come posso
rispecchiarla in un individuo che non conosco, che ho visto raramente,
neanche
con precisione. Ho avvistato parte del suo volto, e basta.
Ricordo che
ero molto confuso. Non sapevo cosa
fare, cosa dire, se raccontare qualcosa dell’accaduto.
No, gli altri
non avrebbero potuto capire. Non
avrebbero mai compreso tutte le emozioni che io avevo provato in quel
momento.
Anche perché, a dire il vero, non le avevo comprese bene
nemmeno io.
In quel
momento, volevo
parlarti. Volevo dirti tante cose, tutte importanti, ma temevo di non
riuscirci.
Temevo che tu non mi avresti ascoltato. Insomma, perché
avresti dovuto? Chi ero
io per meritare la tua attenzione?
Nel
turpiloquio dei miei pensieri, mi chiedo se
abbia un senso ostinarmi ad ammirarti, e ritrarti come un valoroso
eroe.
Beh,
sì, ce l’ha, un senso. Me lo disse il mio
professore di filosofia, ed io non lo scorderò mai.
‘Tutto
ha un senso, ogni cosa a questo mondo ha un senso, bisogna solo
trovarlo.
Perché, a volte, questo è più velato e
indecifrabile, ma non impercettibile’.
Gli
studi… tutti i miei pensieri vanno addietro, e
si perdono in una dolce melanconia.
Ricordo della
famosa materia dei pensieri, delle
giornate passate a studiare sui libri, dei pomeriggi persi in preda
all’esaurimento, delle chiacchiere, degli amici sempre
presenti, della
matematica incomprensibile.
E di una
frase in particolare, ancora una.
‘La
solitudine è il destino di tutte le grandi menti, un
destino a volte deplorato, ma sempre scelto come il minore di due
mali’.
Solo
ricordando ciò, ho capito
davvero la tua identità. Almeno, ho tentato di farlo.
Ho
cercato un’intuizione più
ragionevole, tra tante, e alla fine ho scelto la congettura
più logica ai miei
occhi.
Perché
fai questo, perché sei
solo, perché io ti ammiro tanto in modo irrazionale.
L’ho
capito, sai. Ho capito chi
sei.
Mi
sembra così stupido dirlo, ma
devo. Perché se non lo pronuncio, non ci credo.
“Sei
un angelo. Un angelo custode con le
zanne”.
E’
finito un altro pacchetto di
sigarette. E’ incredibilmente tardi. E tu non ci sei
più.
Scendo
dal rialzo della finestra.
Chiudo, perché il vento è freddo e penetrante.
Spero
che nel tuo giaccone nero
tu non senta freddo.
Guardo
un’ultima volta Los
Angeles, avvolta dall’oscurità.
Torno
a letto, dove un corpo
caldo mi attende. Confido nel fatto che, un giorno, anche tu troverai
un corpo
caldo che ti abbracci, ti consoli, e ti renda felice.
Perché…
potrà essere assurdo, ma
non conoscendoti, io so. So che te lo meriti.
So
che tu meriti tutte le cose
belle di questo mondo.
Buonanotte,
Angel.
Chissà
se un giorno saprò mai il
tuo nome.