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Autore: FitzChevalier    24/07/2012    6 recensioni
Il fuoco così vicino alle mani mi pizzicava la pelle. Volevo allontanarle, ma la presa ferma di Asuma me lo impediva. E così le tenevo come mi aveva insegnato lui, una che stringeva l’impugnatura del wakizashi e l’altra poggiata sul piatto della lana, mentre sfregavo il filo sulla pietra bagnata.
«È ora che impari a prenderti cura delle tue armi» aveva detto Asuma, quand’ero corsa a casa sua per dirgli che volevo fare qualcosa. Ci eravamo seduti uno di fronte all’altra e lui aveva iniziato a insegnarmi.
Se alzavo la testa potevo toccare il mento di Asuma, sentire contro la fronte la barba ispida che curava con incostanza. Diciassette anni. A quell’epoca i nostri sei anni di differenza erano un abisso incolmabile; Asuma sembrava già un uomo fatto, irraggiungibile.
Feci un passo nella stanza calda, ma nessuna delle due figure sedute davanti al fuoco fece caso a me. Mi spostai di lato. Entrambi avevamo ancora le teste chinate sul wakizashi.

Vincitrice del premio talking al contest Couples' War - Per dare un senso agli errori, indetto da Flyonclouds
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kurenai Yuhi | Coppie: Asuma/Kurenai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
- Questa storia fa parte della serie 'I soldati della Konoha dimenticata'
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ANGER CRISIS

 



Questo one-shot partecipa al Contest Couples' War - Per dare un senso agli errori. Non sono ancora usciti i risultati, ma dato che sono accettate anche storie edite ho preferito pubblicarlo, anziché lasciarlo a prender muffa in una cartella del mio computer. Mi è sembrato giusto pubblicarlo così come l'ho inviato per il contest, ma appena sarà possibile farò le dovute correzioni stilistiche che mi suggerirà l'organizzatrice del contest e chi sarà così gentile da recensire.
Come al solito sono graditi sia pareri positivi che negativi.
Buona lettura^^

 




Il fuoco così vicino alle mani mi pizzicava la pelle. Volevo allontanarle, ma la presa ferma di Asuma me lo impediva. E così le tenevo come mi aveva insegnato lui, una che stringeva l’impugnatura del wakizashi e l’altra poggiata sul piatto della lana, mentre sfregavo il filo sulla pietra bagnata.

«È ora che impari a prenderti cura delle tue armi» aveva detto Asuma, quand’ero corsa a casa sua per dirgli che volevo fare qualcosa. Ci eravamo seduti uno di fronte all’altra e lui aveva iniziato a insegnarmi.

Se alzavo la testa potevo toccare il mento di Asuma, sentire contro la fronte la barba ispida che curava con incostanza. Diciassette anni. A quell’epoca i nostri sei anni di differenza erano un abisso incolmabile; Asuma sembrava già un uomo fatto, irraggiungibile.

Feci un passo nella stanza calda, ma nessuna delle due figure sedute davanti al fuoco fece caso a me. Mi spostai di lato. Entrambi avevamo ancora le teste chinate sul wakizashi. Non parlavamo: gli unici suoni erano il raschiare del metallo contro la pietra e il quieto scoppiettare del fuoco dentro l’hibachi.

«Ti manca?»

Mi girai. Asuma era dietro di me, le mani in tasca e una sigaretta in bocca, un sorriso ad addolcirgli i lineamenti duri del volto ustionato. Era leggermente curvo in avanti, la sua divisa squarciata sul petto, zuppa di sangue.

«Una volta tutto era più semplice» risposi. «Nessuna missione rischiosa, nessun... figlio in arrivo.» Abbozzai un sorriso.

Asuma si grattò la barba. «Ma eravamo solo un ragazzo e una bambina.»

«Un dettaglio sacrificabile in cambio della tranquillità.»

La lama ormai era abbastanza affilata, e Asuma mi lasciò le mani.

Lanciai un grido.

Scavalcai la pietra e saltai addosso ad Asuma. Lui rise, e cadde a terra. Gli tirai un pugno sul petto. Asuma finse dolore, poi al mio assalto successivo rise di nuovo e mi bloccò le braccia magre.

«Ed io che credevo davvero di farti male» dissi.

Asuma si strinse nelle spalle. «E chi non ha mai assecondato i giochi di un bambino?»

«Perché l’hai fatto?» chiesi.

«Te l’ho detto, ti stavo assecondando, e...»

«No» lo interruppi. «La missione. Non dovevi attaccarli.»

Lui non rispose. Gli sfilai la sigaretta dalla bocca. «Se non fossi stato così deciso a batterti...» Non sarebbe tornato al villaggio in un sacco di plastica. Non avrebbe fatto di suo figlio un orfano e di me una vedova prima del matrimonio.

Asuma si riprese la sigaretta. «Avevo giurato che l’avrei vendicato» rispose.

Scossi la testa. «Hai sempre cercato di farti carico di fardelli troppo pesanti per le tue spalle.»

«In questo sei uguale a me, amore.» Asuma si rabbuiò. «So cosa vuoi fare... Hai già sofferto abbastanza, perché continuare a tormentarti? Non servirà a niente.» Si passò una mano fra i capelli. «Puoi ancora farti una famiglia, prenderti la tua fetta di felicità. Non fare il mio stesso errore...»

«Tuo figlio ormai è morto, e non ho intenzione di trovare un sostituto per te.»

«La tua vita...»

«La mia vita non vale più niente senza te!» scoppiai. «Eri tu quello che poteva farsi una famiglia! Mi hai abbandonato, hai distrutto il mio futuro, il nostro futuro, e ora pretendi di decidere cos’è meglio per me?» Avevo gridato le ultime parole, e senza accorgermene mi ero parata di fronte ad Asuma. «Lo sai cosa vuol dire perdere l’unica persona con cui tu abbia mai deciso di condividere il resto della tua vita? Lo sai cosa si prova a tornare a casa per trovare solo un letto freddo e una culla vuota?»

«No.»

«Esatto: tu non lo sai. Perciò sta’ zitto.» Presi un respiro profondo. «Andrò in guerra» mormorai. «Andrò in guerra, e giuro che troverò Tobi e lo ammazzerò.»

Asuma sospirò. «Andiamo fuori» disse. «Ti è sempre piaciuto vedere l’alba, no?»

Alba? Socchiusi un occhio. Era buio pesto.

«Cosa c’entra ora l’alba?»

«Nulla, in effetti... Ma che importa?» Asuma mi mise le mani sulle spalle e mi spinse gentilmente fuori dalla stanza.

Mi scrollai di dosso le coperte.

«Ti amo» disse Asuma.

No, pensai. Va’ via!

E lui se ne andò. Quando aprii gli occhi ero sola.

Cercai a tastoni la sveglia: le quattro del mattino. Qualunque cosa avessi ingoiato per cercare di dormire ormai ero sicura che non avrei più chiuso un occhio, così mi alzai dal letto umido di sudore. Barcollai fino al cassettone, appoggiai le mani sul ripiano e fissai la mia immagine nella specchiera. Chissà cos’avrebbe pensato Asuma del viso pallido e smorto che mi fissava con odio...

Forse si sarebbe accorto di quanto mi fosse costata la sua scelta.

Lui aveva preferito un amico morto alla sua donna e a suo figlio. Lui ci aveva abbandonati. Lui sapeva che se fosse morto avrei sofferto come un cane, ma aveva comunque deciso di partecipare alla missione. Lui aveva fatto morire mio figlio, lui mi aveva ridotto così...

Gridai.

Colpii lo specchio con tutte le mie forze. Il mio viso si coprì di una ragnatela di crepe. Battei il pugno più forte, piangendo. Sentivo rivoletti di sangue scorrere dalle mani lungo le braccia, fino ai gomiti. Quando allontanai la mano una scheggia di vetro piantata nella carne si staccò con essa. Me la strappai e me la guardai. Era grande tutto il mio palmo, grande abbastanza per piantarmela in gola, o tagliarmi una vena, o... Colpii ancora lo specchio. Vigliacca!

Buttai a terra tutti i soprammobili della cassettone con un ampio movimento del braccio.

Era per quello che avevo chiesto all’Hokage il permesso di partecipare alla guerra? Speravo che mi uccidesse lui, che facesse quello che non avevo il coraggio di fare io stessa?

Mi salì la bile in bocca e mi spostai di scatto. Vomitai l’anima, accovacciata con la fronte contro il muro freddo. Restai in quella posizione per un po’, le braccia strette sullo stomaco, ansimando e sputando saliva amara, rabbrividendo nonostante il sudore che mi colava dalla fronte, lungo la schiena, nell’incavo tra i seni. Ma l’odore rancido della bile alla fine ebbe la meglio e mi allontanò.

La rabbia rimontò nel mio petto come uno tsunami, accompagnata da vampate di calore e dal cuore che batteva dolorosamente rapido in gola. Aprii e chiusi più volte le mani tremanti.

Dovevo distruggere...

Andai alla finestra. Spalancai le ante. Guardai il vaso dove coltivavo i tulipani rossi che mi aveva regalato Asuma. Ondeggiavano piano nel vento fresco, il loro rosso vivo reso quasi nero dai raggi della luna. «Quando li ho visti ho pensato a te» mi aveva detto porgendomi la busta con i semi.

«Bastardo!» ruggii. Rovesciai sul pavimento terra e fiori, poi lanciai il vaso dall’altra parte della stanza, contro il muro. «Se mi avessi amato saresti qui con me!»

Sentii qualcosa di caldo scorrermi fra le cosce. Infilai una mano sotto la veste sgualcita, ritirandola con le dita ricoperte da una sostanza gelatinosa e scura. Se non avessi abortito... Se non avessi rovinato il mio corpo e la mia carriera... Anche quello era successo perché lui mi aveva abbandonata, no, ci aveva abbandonati!

Scavalcai il letto e mi gettai sulla culla. C’erano ancora le copertine che avevo ricamato seduta sotto un albero, con accanto Hinata. Quanto mi ci era voluto, prima di ottenere un coniglietto che somigliasse ad un coniglietto... Afferrai la culla con le mani imbrattate di sangue e la picchiai contro il muro una, due, tre volte, finché non mi ritrovai quasi più niente in mano.

«Maestra, sta bene?»

Mi voltai di scatto. Hinata era sulla soglia della camera, con indosso la divisa regolare, la mano ancora sul pomello della porta. Aveva gli occhi spalancati, mi guardava come... come se avesse pena di me.

«Vattene!» Urlai. «Non voglio la tua pietà, non mi serve!» Strinsi la mano sul moncone della culla, forte quanto me lo potevano permettere i tagli.

Hinata entrò nella stanza. «Maestra, stia calma.» Abbassò lo sguardo verso la pozza di vomito. «Non le fa bene agitarsi in questo modo...»

«Vaffanculo!» Le scagliai addosso il pezzo di legno e mi girai. Non controllai se avessi colpito la mia allieva. Non me ne preoccupai, non mi scusai. Invece m’inginocchiai sul mucchietto di terra e scavai fino a liberare il fiore striminzito.

Piansi.




Esito del contest Couples' War - Per dare un senso agli errori

Stile 8\10
Grammatica 9\10
Attinenza Pacchetto 8\10
Coppia 7\10
Originalità 8\10
Gradimento Personale 7\10
Per un totale di 47\60

Vincitrice del premio Dialogo


Questa storia ha davvero un contenuto molto forte. è davvero molto particolare e lo stile in cui è scritta è impeccabile. Ci sono un sacco di dettagli, di elementi che alla prima lettura non riesci a cogliere, quindi hai voglia di leggerla,ancora e ancora.
La coppia trattata non è delle mie preferite,adoro i No Happy Ending anche se mi buttano un po' troppo giù.
La cosa che ho apprezzato di più è il dialogo, che costituisce buona parte della storia, e che è molto coinvolgente da un punto di vista emotivo. Un premio estremamente meritato.
Non ho trovato errori di battitura e la storia è risultata molto attinente al pacchetto.
Complimenti!
   
 
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