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Autore: Bethesda    24/07/2012    1 recensioni
Raccolta di flashfic dalle tematiche più varie.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Non prendetemi sul serio. Questa dovrebbe essere una OS comica. Sarebbe addirittura troppo lunga per essere considerata flash ma sarebbe stata una bestemmia nei confronti del fandom occupare un nuovo topic solo per questa cazzata, frutto di scleri e di un'immagine postata su FB. 



Holmes ara seduto sulla poltrona, il mento sul petto e la fronte corrucciata, gli occhi ricolmi di astio puntati in mezzo alle gambe divaricate. La vestaglia  era stretta in vita ma i due lembi di essa ricadevano malamente dai braccioli, dando al mio amico l’aria di un vecchio pipistrello dalle ali malandate.
Posai il cappello e la borsa sul tavolo, avvicinandomi a lui con aira circospetta: temevo infatti che fosse in una delle sue fasi di cattivo umore, quando l’unica sua tendenza era borbottare contro i criminali incapaci e la mia capacità di scrittura, il tutto coronato dal fumo acre che produceva la sua pipa di ciliegio.
 
«Buonasera, Holmes. Novità?»
 
Ottenni unicamente un grugnito.
 
«Un caso. Una donna si è presentata da me con dei problemi riguardanti il marito. Banale: lui è fuggito perché non riesce a sopportarla, e i polsini di lei non mentono».
 
Chiedere spiegazioni sul perché i polsini della donna si fossero dimostrati tanto rivelatori mi avrebbe portato solo a ottenere una risposta sarcastica e superba ed ero troppo stanco per poter approvare questo suo comportamento senza colpo ferire.
 
«Intendi dunque giacere in poltrona fino a che non arriverà qualche nuovo caso, o posso sperare di vederti perlomeno arrivare al tavolo della cena?»
 
«Giacerò in poltrona finché non mi sarò liberato del mio problema più impellente».
 
«Problema? Holmes, quale pro--»
 
Seguii il suo sguardo, giungendo finalmente all’origine del malumore del mio amico.
 Fu come se un groppo di parole mi ostruisse la gola, e ciò che uscì dalle mie labbra fu un flebile gemito strozzato.
 
«Come vede, Watson, sono in lotta con il mio corpo. Il mio cervello non riesce a gestire l’anarchia che in questo periodo si è fatta più prepotente del solito. La questione è estremamente irritante».
 
In quanto dottore sotto i miei occhi sono passati donne ed uomini di ogni tipo, portando malattie e problemi dei generi più disparati; ma sinceramente rimasi piuttosto turbato quando mi resi conto che il rigonfiamento dei pantaloni di Holmes non era dovuto alla presenza della pipa nelle sue tasche.
 
«Holmes», riuscii infine ad articolare. «Lei ha…»
 
In tutta la mia vita di scrittore mai mi fu più difficile trovare i giusti termini per esprimermi ma, fortunatamente, il mio amico mi precedette, lo sguardo sempre fisso sulla scomoda protuberanza.
 
«…un eccessivo afflusso di sangue nel mio apparato riproduttore. Sì, amico mio, e ciò è estremamente dannoso per il mio cervello: necessito che il prezioso liquido rimanga a lavorare presso le meningi e non che si sollazzi presso i miei lombi. Non mi è di alcuna utilità in quella zona».
 
Non osai contraddirlo.
 
«Ma esattamente…quale è la causa di questo afflusso?»
 
«Le ho già risposto: anarchia».
 
«Vi sarà pure un fattore esterno».
 
«Che importanza ha», sbottò, spostando lo sguardo irritato su di me.
 
«Ciò che adesso è necessario è che si plachi».
 
Probabilmente mi lasciai sfuggire una smorfia e Holmes se ne accorse.
 
«Cosa c’è?»
 
Feci un passo verso la porta.
 
«Forse è meglio che vi lasci soli…solo! Ritornerò fra qualche ora».
 
«Non è necessario, Watson. Resti».
 
«No, veramente. Holmes, non vi è alcun bisogno che assista», dissi precipitevolmente.
 
Sembrò abbastanza contrariato e mi fissò con le sopracciglia corrucciate.
 
«Non capisco il perché sia così restio. Non le ha mai dato alcun fastidio e mi ha sempre visto farlo. Anche durante il sonno non sembra che le dia noia. Spesso si unisce anche a me con estremo diletto».
 
«Mi sta calunniando, Holmes! Non ho mai assistito ad alcuna delle sue “attività”, e non intendo affatto iniziare oggi», sbottai, rosso in volto.
 
Il mio amico sembrò piuttosto stordito, poi scrollò le spalle e allungò una mano verso il tavolino, accendendola con calma e senza togliermi gli occhi di dosso.
 
«Watson, se avessi saputo che il mio tabacco le provocava tali problemi avrebbe dovuto dirmelo».
 
Sgranai gli occhi.
 
«T-tabacco?»
 
«Cos’altro, amico mio? Il fumo rilassa le mie membra e al contempo permette al mio cervello di raggiungere il giusto livello di concentrazione. Piuttosto, l’anarchia sembra essersi placata. Le andrebbe di discutere di questa incresciosa discordanza di gusti davanti ad una tazza di tè?»
 
Non obiettai e lasciai che si alzasse, andando a reclamare la bevanda calda presso la nostra governante e lasciandomi in piedi con l’espressione di un uomo afflitto e confuso, domandandomi se dovessi o meno prolungare i turni nel mio ambulatorio per evitare futuri avvenimenti di sorta.






Nota:*fugge*
   
 
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