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Autore: ranyare    25/07/2012    6 recensioni
Aslan ha abbandonato Narnia da molti secoli e solo pochi, strenui abitanti di Narnia credono nel suo ritorno: fra loro, inaspettatamente, c'è anche il giovane condottiero che ha tradito Telmar per guidare i narniani alla rivolta.
La guerra si profila all'orizzonte ma Caspian, assieme agli Antichi Re ritornati dal passato, potrebbe non essere in grado di far fronte a questo scontro che promette di stroncare fin troppe vite.
Ma un potere antico, quasi dimenticato, è pronto a giungere in loro soccorso, col volto di quattro fanciulle nate dallo stesso sangue di Narnia.
[CORREZIONE CAPITOLI: 05/35]
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Miraz, Peter Pevensie, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narnia's ~R~'
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34 chap
Narnia's Rebirth
34th Chapter

Empire of the Sun - Edenbridge

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-Devi smetterla!- Siria, frustrata, si costrinse a non scaraventare la ciotola di terracotta che teneva in mano contro la parete di quella dannata stanzetta; fissò Shay, la rabbia che lampeggiava furibonda negli occhi chiari.

Talia, silenziosa quanto e più che mai, si limitò a spostare lo sguardo sulla finestrella del cubicolo che ospitava la convalescente ed irascibile amica, le braccia conserte ed i capelli raccolti che mettevano in evidenza le lunghe, affusolate orecchie elfiche.

Shaylee, con tutta la calma che possedeva, si avvicinò alla rossa e le tolse il recipiente di mano; si allontanò per posarlo sul tavolo accanto alla porta, i movimenti misurati e calcolati, l’espressione accuratamente neutra.

-Di fare cosa, Siria?- le chiese, con la sua voce più serena ‒ senza, però, voltarsi a fronteggiare lo sguardo pieno d’accusa e sgomento della ragazza. -Voglio solo imparare a combattere. Voglio solo non essere un peso per nessuno.- ripeté, forse per la centesima volta da quando aveva comunicato alle due amiche la sua decisione, abbassando il tono della voce fino a ridurla ad un sussurro dolce e delicato.

Siria, irata, scostò bruscamente le coperte ed afferrò il bastone a cui aveva preso l'abitudine di appoggiarsi per camminare, alzandosi in piedi, traballando un poco, per raggiungere la cassapanca dove aveva raccolto i suoi pochi averi.

-Tu non sei fatta per combattere, dannazione!- sbottò, senza nemmeno guardare l'amica, aprendo il coperchio con violenza: quello, al suo gesto, schioccò al contatto con la parete, un suono che riverberò in tutta la cella.

Shay sospirò, cercando lo sguardo di Talia in aiuto: ma la mezz'elfa non pareva d'accordo con la naiade, tanto che evitò volontariamente di incrociare i suoi occhi, limitandosi a fissare l'esterno della cripta attraverso la finestrella.

-Quella sei tu, vero?- fu il commento esasperato della ninfa, mentre la rossa estraeva un corsetto e una tunica, piuttosto consunti ma tutto sommato in buono stato, e si sfilava la camicia da notte per indossarli.

Talia dovette distogliere lo sguardo dal corpo nudo e terribilmente magro dell'amica, perché le ferite appena rimarginate sulla sua carne bianca disegnavano una storia che lei non voleva rivivere; Shay invece sopportò quella vista, inorridendo però quando vide che persino la fenice dormiente sulla schiena della ragazza era stata intaccata dalla violenza di Flynch.

-Sì!- sbottò la rossa, ponendo fine al supplizio delle due narniane indossando il giustacuore lungo, coprendolo poi con il corpetto per sostenere il seno e rinforzare la spina dorsale malandata.

Si volse verso Shaylee, fronteggiandola con la rabbia ed il disgusto nelle iridi blu.

-Non sono l’eroe della storia, okay? Sono il mostro, quello che il prode Re infilzerà sulla spada, prima o poi! È così che andrà, Shaylee, ma tu NON sei una guerriera!- ringhiò, ignorando il senso opprimente che quel pensiero le dava ogni volta che vi si soffermava: non aveva intenzione di lasciarsi abbattere dalla trista consapevolezza del suo destino.

Non più, almeno.

La ninfa non volle cogliere l'aspetto positivo di quell'esclamazione furiosa, il lampo di coraggio ed ostinazione diventati tanto estranei dal viso di Siria da sembrare appartenenti a qualcun altro: strinse i pugni, sibilando furibonda la sua risposta.

-Tu non esistevi nemmeno quando io combattevo per Narnia, Siria! Mi sono battuta per tanti anni, tanti quanti tu non potrai nemmeno viverne!-

Shaylee, nel pronunciare quelle parole rancorose, seppe istintivamente di aver fatto la mossa sbagliata.

Talia e Siria rimasero a fissarla, stupefatte da quell'uscita che, da lei, nessuno si sarebbe mai aspettato: Shay non era una persona incline a quei gesti così umani, a quel difetto tanto comune che era il risentimento.

-Bene!- fu l'esclamazione della rossa a quel punto, che indossò la calzamaglia con una furia tale da rischiare di romperla. -Bene!- ripeté, infilandosi gli stivali alti e tentando di allacciarli: fu Talia a soccorrerla, dandole una mano quando si rese conto che l'amica non sarebbe riuscita a farcela da sola.

Quando fu vestita, Siria non aspettò nemmeno che Shay potesse dire qualcosa: si avvicinò zoppicando alla porta, furiosa, senza neanche guardarla.

-Vai, diventa un guerriero, combatti l’ennesima guerra di questa terra, fatti ammazzare!- la sentì sbottare la Naiade, mentre la rossa imprecava nei confronti della porta tanto pesante e difficile da aprire.

Siria si volse verso di lei soltanto quando fu ormai sulla soglia, gli occhi blu vividi di un fuoco di nuovo vivido e acceso. -Fai come ti pare, Shaylee, ma non farlo perché ti senti in colpa per essere scappata.- aggiunse, in un tono appena più dolce, ma perentorio: non avrebbe permesso alla sua amica di rovinarsi, di diventare un mostro a causa di una sua scelta.

Non attese una risposta: si voltò, dandole le spalle e zampettando il più velocemente possibile nella penombra opprimente della cripta, Talia accanto.

E non udì, quindi, il sussurro di Shaylee.

-…Anche per quello, Siria.- la ninfa si strinse le mani sulle braccia, abbassando lo sguardo. -Anche per aver quasi fatto uccidere una delle persone più care che ho.-

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§

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Shaylee era partita ormai da un paio di giorni, senza che nessuno quasi se ne accorgesse: Talia e Siria, più taciturne che mai, avevano assistito all'arrivo delle due Naiadi mandate da Mairead per recuperarla, salutando l'amica con sguardi carichi di migliaia di parole mai dette.

Grazie al sostegno dell'amica mezz'elfa, Siria si era ripresa tanto da poter abbandonare il bastone per brevi passeggiate, in cui Caspian o Talia l'accompagnavano più che volentieri.

Nel suo principe, Siria aveva scorto il sollievo, la pace e la speranza che la sua rapida guarigione avevano alimentato, il desiderio di saperla di nuovo in forze ed al sicuro che restituiva vigore e vitalità a quel ragazzo che adorava in un modo totalmente unico.

Ma era Talia per cui Siria era preoccupata, perché l'amica si faceva ad ogni alba più silenziosa e corrucciata, quasi temesse il giorno come foriero di dispiaceri o altro dolore. Quando le aveva domandato, senza mezze parole, cosa stesse succedendo, la laconica risposta della mezz'elfa aveva fugato qualsiasi dubbio: gli alberi l'avevano avvertita di una imminente visita di una delegazione elfica.

Se esisteva una sola cosa che angosciava Talia, quella era il suo popolo a metà; quel popolo che l'aveva ripudiata e allontanata con la facilità con cui si scaccia un animale vagabondo.

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Un giorno, inaspettatamente, fu Peter a presentarsi sulla soglia della rossa raminga al posto del principe o della mezzosangue, con un sorriso sul volto ed il Sole che incorniciava la sua prestante figura: dopo tanti giorni finalmente il Re Supremo si era degnato di farsi vedere, lo aveva schernito Siria, accettando però il braccio che lui le tendeva e seguendolo fuori dalla cripta, immergendosi nel calore di un'estate nel suo pieno vigore.

-Come ti senti?- le domandò, aiutandola a sorpassare una parte di sentiero particolarmente sconnesso reggendola per il braccio, costatando con piacere che Siria riusciva a muoversi quasi senza il bisogno di un sostegno.

La raminga sorrise, senza scacciare la mano che l'aiutava, rivolgendogli uno sguardo che finalmente assomigliava a quello combattivo e focoso della donna che lui aveva imparato ad apprezzare.

-Meglio. Presto tornerò a maneggiare la spada.- lo informò, soddisfatta di se stessa e dei propri progressi: aveva ripreso in mano Kain, il giorno precedente, sotto gli occhi attenti e preoccupati della sua ansiosa migliore amica e del suo apprensivo compagno... sferrare giusto un paio di fendenti era stato terribilmente faticoso, ma, quando aveva lasciato cadere la spada per la stanchezza, sul viso di Siria era comparso un sorriso di puro trionfo.

Peter ridacchiò, a suo modo fiero del portamento molto più solare della giovane: aveva fortemente temuto di perdere il suo guerriero migliore, in quelle ultime sei settimane scarse, ed il fatto che si fosse ritrovato a provare per lei un affetto al limite della paternità non aveva certo aiutato le sue emicranie.

Ma ora Siria era al suo fianco, il viso pulito e libero dalle cicatrici e gli occhi limpidi e accesi come due fiamme di cobalto, con addosso un semplice vestito da donna che Susan l'aveva praticamente costretta a indossare.

-Frena, puledrina, non hai bisogno di fare tutto subito!- le fece notare, punzecchiandola con quel nomignolo saltatogli alla mente nel rammentare una giovane cavalla selvaggia che lui ed Edmund avevano catturato durante il loro regno: nessuno era mai stato in grado di domarla, ma la magnifica bestia dal manto grigio era rimasta nei boschi attorno a Cair Paravel, fiera nella sua decisa libertà.

Siria si fermò di botto, voltandosi verso il biondo con l'orrore che si dipingeva alla svelta nei suoi bei tratti.

-Com'è che mi hai chiamata!?- quasi strillò, tanto era rimasta allibita da quel nomignolo orribile ed infamante con cui l'aveva chiamata quel coso biondiccio.

Lui ghignò, divertito, annuendo con aria solenne.

-Puledrina. Sei una cocciuta, testarda e nevrotica puledrina ribelle.- affermò, soddisfatto di se stesso, aprendosi poi in un sorriso a trentadue denti che fece soltanto crescere il di lei desiderio di strangolarlo.

-Dimmi cosa mi trattiene dal liberare Narnia da un cretino come te.- borbottò infatti Siria, che divenne ancora più rossa dei propri capelli quando Peter scoppiò a ridere di gusto, strappando anche a lei un sorriso.

Gli concesse quasi un minuto d'ilarità, prima di porgli una delle domande che più le premevano. -Come stai, Re Supremo?-

Lui non sembrò sorpreso dal quesito; sospirò, passandosi le dita fra i capelli, gli occhi celesti che si spostavano sull'azzurro carico del cielo, tanto bello da sembrare finto.

-Vado avanti. Shaylee non sarebbe molto contenta di sapermi depresso e inattivo.- rispose, con una sincerità disarmante che lasciò la ragazza momentaneamente senza parole. -Mi manca, Sir.- aggiunse, mentre fra i pensieri faceva capolino il volto delicato e perfetto della sua amata naiade.

Chissà come stava, Shaylee... chissà come andava il suo agognato allenamento, chissà se aveva compreso di non essere portata per la guerra...

Siria annuì, ben riuscendo a capire lo stato d'animo del Re Supremo.

Lei e Shaylee non si erano lasciate nel migliore dei modi, il ricordo di quell'aspra discussione avrebbe aleggiato a lungo fra loro: ma la ninfa era prima d'ogni cosa una sua adorata amica – una delle poche, una delle sole persone a cui Siria, tuttora, avrebbe affidato se stessa.

-Manca anche a me. Tornerà presto, vedrai... Mairead ha i suoi modi per far capire le cose alle persone. La farà ragionare.- lo rassicurò, regalandogli uno dei suoi rari sorrisi sinceri: più di una volta, da quando Shaylee era partita, lei e Peter si erano ritrovati d'accordo sul fatto che le intenzioni della ragazza erano pura follia, dettata più dal senso di colpa che dal reale desiderio di combattere ed uccidere.

Peter si costrinse a sorridere, nonostante l'angoscia e la malinconia gli stringessero il cuore ad ogni ora della giornata. Il suo conforto più grande era il sapere la sua amata al sicuro, in quei giorni; il suo sollievo, invece, la preparazione di una guerra che sembrava oramai imminente.

Condusse Siria per un'altra manciata di metri, prima che la ragazza desse i primi segni di cedimento: si fermarono quindi ai bordi dei campi allestiti per l'addestramento con le spade, osservando il possente Cornell che istruiva pazientemente un giovane centauro dal manto chiaro nell'utilizzo dello spadone a due mani tipico della sua razza.

Il ragazzo, che poteva forse essere dell'età corrispondente a quella di Peter e Siria, era evidentemente alle prime armi con la spada: la maneggiava con goffaggine, non riuscendo a parare nessuno dei semplici colpi che il suo maestro sferrava.

Siria si morse un labbro, preoccupata: erano ragazzi come quello che avrebbero mandato in guerra? Poco più che bambini, mandati a morire?

All'ennesima stoccata andata a fondo di Cornell, il ragazzo parve spazientirsi: mulinò furiosamente la spada, ma il centauro più adulto fece roteare abilmente i polsi, disarmandolo con semplicità e mandando la spada a conficcarsi a non più di un paio di metri dai due spettatori.

A quel punto, Siria non poté più stare a guardare.

Abbandonò il braccio di un Peter quantomai stupito, avvicinandosi all'arma ed estraendola, un po' a fatica, dal terriccio: si avvicinò quindi ai due narniani, porgendo lo spadone al ragazzo e sistemando le enormi mani della creatura sull'elsa, spostando poi delicatamente la lama in modo che seguisse la piega naturale del braccio del giovane.

-Devi tenere la spada più bassa... così.- gli spiegò, guidando quindi i suoi polsi e mostrandogli come affondare in modo molto più fluente, rapido e preciso. -Vedi? Puoi proteggere ogni lato del tuo corpo, in questo modo.- aggiunse con un sorriso, allontanandosi per permettere al centauro di provare la nuova tecnica.

Quello tentò un paio di volte, riuscendo finalmente a prendere dimestichezza con l'arma e riuscendo a parare alcuni dei colpi del maestro. Si voltò quindi verso Siria, mentre rinfoderava la sua nuova compagna di battaglia, sorridendole dal quel volto antico e misterioso che era quello dei centauri.

-Ti ringrazio, lady Siria.- le disse, chinando rispettosamente la testa, provocando un eccesso di rossore sulle guance di lei.

-Non ce n'è bisogno.- lo fermò subito, imbarazzata: ma il giovane ignorò il suo imbarazzo, ritirandosi soltanto quando il più anziano lo liquidò con un gesto della mano.

Siria divenne ancor più paonazza, quando si rese conto di essersi intromessa senza permesso nell'addestramento di quel maestoso e terrificante centauro: le metteva soggezione, Cornell, sin da quella notte nella foresta in cui l'aveva salvata dalla condanna a morte.

-Perdonami Cornell, non volevo interferire, io__-

-Non hai interferito.- la interruppe pacatamente l'altro, indecifrabile nella voce e nello sguardo. -Seguimi, vuoi?- le propose poi dopo un attimo, invitandola ad accomodarsi sulla propria schiena. Lei annuì, incuriosita da quella proposta, rivolgendo un cenno di saluto a Peter che, comprendendo, rispose al gesto e si allontanò verso il resto dell'accampamento.

Il centauro aiutò la ragazza a sedersi in groppa, sollevandola come se fosse una bambolina di pezza. Lei odiava l'abito lungo e scomodo che Susan le aveva dato, le impediva i movimenti in maniera allucinante e non le permetteva nemmeno di montare a cavallo come aveva sempre fatto, costringendola ad accomodarsi all'amazzone.

Cornell la condusse lentamente attraverso i vari centri di addestramento: Susan addestrava uno sparuto gruppo di tremuli arcieri, Edmund duellava contro tre fauni alla volta, Aaron e Caleb addestravano alle picche e alle alabarde i centauri di stazza più minuta.

-Che cosa ne pensi?- le domandò l'antica creatura, voltandosi a guardarla. Lei scosse la testa, sconsolata.

-Si faranno ammazzare. Non sono pronti, Cornell.- fu la trista risposta della rossa, mentre l'ingiustizia di quell'amara verità tornava a stringerle il cuore: gli ideali e gli obiettivi di quei combattenti erano nobili, ma i loro avversari avrebbero trafitto l'onore ed il coraggio, passandoli a fil di spada senza troppi pensieri.

-Lo so bene.- concordò Cornell, serissimo, scrutandola come già una volta – una vita prima – aveva fatto per capire la vera indole della giovane. -Tu hai molta esperienza, Siria. E hai bisogno di un obiettivo.- affermò, alla fine, dopo diversi attimi passati a scrutarla.

Lei sgranò gli occhi, presa in contropiede.

Cornell le stava forse offrendo di addestrare i guerrieri? Le sarebbe indubbiamente piaciuto, ne sarebbe probabilmente stata in grado, ma...

-Io non sono la persona adatta...- cominciò, sollevata suo malgrado di non dover mentire a Cornell: il centauro era perfettamente a conoscenza della sua vera natura e dei segreti che celava, e mentire non sarebbe servito a nulla.

-Provaci.- la incoraggiò lui, ignorando tranquillamente la sua obiezione.

Mosse le enormi mani nell'aria, abbracciando così tutto l'accampamento della Cripta di Aslan e tutti coloro che, al momento, vi vivevano.

Poi, tornò a guardare gli occhi tormentati di Siria.

-Ti ascolteranno. Tu forse non hai fiducia in ciò che sei, ma noi... tutti noi... sappiamo che quando sarà il momento farai la scelta giusta.-

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Quella sera, sola nella sua stanza in attesa di Caspian, Siria si ritrovò a riflettere.

Sopravvivere.

No, non le bastava più. Non le bastava più vivere alla giornata, senza sperare in un futuro.

Voleva combattere.

Ne era certa, era questo che il suo cuore aveva ruggito con una forza mai provata quando si era ritrovata al fianco dei Narniani, in battaglia. Era questo che l’aveva spinta a restare – escludendo Caspian, ovviamente.

Era questo, ciò che quella sete di giustizia che aveva sempre sopito le chiedeva di fare.

Voleva combattere. Voleva combattere per quell’ideale in cui aveva scoperto di credere con tutte le sue forze, voleva vedere l’usurpatore trascinato via dal trono, voleva vedere la giustizia trionfare a Telmar e a Narnia. Voleva arrivare a vedere Caspian con la corona sulla testa, voleva vedere le due civiltà finalmente pacificate, unite sotto una stessa guida.

Voleva tutto questo.

E voleva farne parte. In qualsiasi modo, quello che aveva imparato in sette anni sarebbe potuto tornare utile ai guerrieri – per poco non si ritrovò a pensare i suoi, guerrieri.

Sorrise, sentendo qualcosa scaldarle il cuore, il petto.

Avrebbe dato anima e corpo, per quell’ideale, per quel sogno.

Forse, non era poi così tardi per sperare.

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§

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-E’ brava.-

Sentire Peter elogiare le qualità di Siria, ultimamente, non era più così raro. Certo, non se lo permetteva in presenza della rossa, ma la raminga pareva troppo impegnata nei suoi addestramenti per far caso all’orgoglio che dava a tutti quanti nell’impegnarsi così tanto.

Caspian annuì, un sorriso finalmente sereno sul volto, guardando Siria spiegare ad un giovanissimo fauno come impugnare correttamente una spada, in modo da proteggere le fragili zampe caprine.

-Finalmente sa quello che vuole.- commentò, fiero e felice di tutto ciò che Siria aveva conquistato in quei due lunghi mesi che aveva impiegato per riprendersi.

La ragazza aveva ripreso a camminare definitivamente sicura qualche settimana prima e, da allora, non aveva fatto altro che muoversi, con l’obiettivo di rimettersi in forma il più presto possibile.

Certo, muoversi le costava ancora diverso dolore, diversa sofferenza: le costole e la schiena le avrebbero fatto male molto a lungo, secondo Cornelius, ma Sir sorrideva, quando lui tentava di dissuaderla dall’allenarsi insieme ai guerrieri – guerrieri che, ogni giorno, la adoravano sempre di più.

In quelle due settimane, Siria era diventata l’anima e la guida della resistenza.

Fin da subito, aveva pregato lui e Peter di farla assistere ai consigli, alle pianificazioni delle strategie: e il biondo stesso, più di una volta, si era voltato verso di lei per chiederle un parere – parere che Siria non gli aveva mai negato, dimostrando una conoscenza non comune della strategia che, da lei, nessuno si sarebbe mai aspettato.

Siria aveva dato un contributo non indifferente ai loro piani. La sua conoscenza della guerriglia, della vita com’era quella dei non reali, era stata decisamente utile: in sette anni, Siria ne aveva viste più di Peter, in quei vent’anni in cui aveva regnato.

Pian piano, dietro la spinta ed il consiglio di Cornell, si era avvicinata sempre di più alle truppe, cominciando a insegnare loro tutti quei trucchi che le avevano salvato la vita ben più di una volta. Con lei, Aaron, Caleb, Talia: quattro menti abituate a combattere strenuamente ogni giorno, pur di poter dormire la notte, pur di sopravvivere in mezzo alle avversità.

E negli occhi di Siria c’era una forza, una luce, una determinazione come Caspian non ne aveva mai viste prima.

Vederla impegnata, le maniche rimboccate e l’espressione più serena e duratura che avesse mai scorto sul suo volto, era per Caspian una delle cose più belle di quelle settimane di ritrovata serenità.

Siria si stava impegnando sul serio, per addestrare i loro soldati alle tecniche più nascoste e poco ortodosse del combattimento.

Lui e Peter erano stati allievi di guerrieri provetti, di uomini d’onore; ma Siria e i suoi compagni avevano imparato la fine arte della guerriglia e del mercenarismo, fino a diventare dei guerrieri abili e in pratica impossibili da sconfiggere.

La guardava, quando con una pazienza infinita insegnava ai guerrieri a ordire trappole, ad avere sempre mille occhi e mille orecchie; la osservava, mentre la raminga allenava al combattimento vero, quello sporco, quello di persone determinate ad uccidersi, giovani fauni ancora inesperti: e sorrideva, felice, vedendo in quegli occhi blu una determinazione e una forza che aspettava da tanto di poter scorgere.

Siria aveva finalmente trovato la sua strada: insegnare, dare un aiuto notevole per quella guerra, sembrava poterla guarire ben più delle cure di Shaylee.

Perché non erano ferite visibili, quelle che il nuovo idealismo e la forza che brillavano nei suoi occhi andavano a sanare.

La sera crollava esausta, e non protestava più quando Tara, incaricata personalmente da Shaylee al momento della partenza, le cambiava le bende: le gambe erano già quasi del tutto guarite, soltanto lievi segni rossi solcavano ancora la sua pelle – ma presto sarebbero spariti, gli unguenti delle ninfe cancellavano quasi tutte le cicatrici. Il viso era tornato pian piano ad essere quel volto eburneo e splendido che Caspian non aveva mai smesso di vedervi, con grande gioia di Siria invece: si era rifiutata di guardarsi in qualsivoglia tipo di specchio, finché non le avevano detto che le ferite erano scomparse.

Caspian restava con lei, di notte: ormai non era più mistero per nessuno, quello che li legava, e non potevano che esserne felici. Peter aveva smesso di far loro la guerra, e anzi, più di una volta li aveva anche coperti quando Caspian misteriosamente tardava agli allenamenti.

Le restava accanto ormai quasi sempre, completamente dipendente dalla forza vivida e luminosa che il viso di nuovo sano della ragazza pareva sprigionare.

E Siria, per la prima volta nella sua vita, si sentiva davvero a casa: amava quel che faceva, amava sentire la responsabilità di quelle vite che le erano state affidate, di quei soldati che pendevano ogni giorno di più dalle sue labbra. Sentiva che avrebbe potuto vivere così per sempre, l’anima accesa da quell’obiettivo e il cuore che palpitava per Caspian.

Sentiva di amarlo ogni giorno di più, seppur le paresse impossibile: lo guardava allenarsi, combattere, lo guardava quando la sera si addormentava sfinito accarezzandole i capelli – accoccolata sul suo petto, come un micio. Lo guardava sorriderle, viveva per quelle dita intrecciate alle sue, per quelle lunghissime, eterne chiacchierate che parevano non aver mai fine fra di loro: parlavano di qualsiasi cosa, dal passato di entrambi a ciò che sentivano nei confronti di quella guerra, dai legami che si stavano formando fra tutti i combattenti a ciò che avrebbero voluto dal futuro.

Un futuro, che entrambi non volevano immaginare senza l’altro.

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-Che cosa farai, dopo la guerra?- domandò una sera Siria a Caspian, il corpo bianco velato soltanto dal fumo opalescente dell'incenso, la mente ebbra di piacere e degli effluvi afrodisiaci delle essenze.

Caspian si abbandonò fra le lenzuola, posando la testa sul ventre soffice dell'amante, i riccioli neri che si spargevano sulla carne bianca come inchiostro sulla tela.

-Voglio tornare al castello… Voglio essere un buon Re.- ammise, accarezzando distrattamente la coscia tonica di lei con la punta delle dita. Sorrise, pacificato dalle lunghe ore d'amore di quella notte, alzandosi nuovamente e muovendosi suadente come un felino sul corpo di lei, sovrastandola.

-Tu non dirglielo, ma… ho sempre sognato di diventare come Peter, un giorno.- sussurrò, divertito, sulla gola invitante della ragazza, inframmezzando ogni parola con un bacio su quella pelle bollente. La sentì ridacchiare, il ventre che si contraeva, ma lo lasciò continuare.

-Quando ero piccolo le leggende su di lui mi affascinavano... sognavo di diventare un giorno un Re prode e valoroso come lui, di imitare le sue gesta... lo ammiravo molto, tanto quanto lo ammiro adesso.- le spiegò, sebbene non fosse del tutto sicuro che Siria lo stesse ascoltando; miagolava, infatti, la sua sensuale raminga, al tocco impudico che dai seni floridi era sceso fra le sue cosce, immergendosi nella sua umida femminilità.

-Anche se sopportarlo tutti i sacrosanti giorni ha giusto un po' intaccato il suo mito.- aggiunse, ridendo insieme a lei a quel commento, prima che Siria lo separasse gentilmente dalla propria intimità e lo spingesse morbidamente di lato, portandosi a cavallo su di lui.

Caspian la osservò, sorpreso e compiaciuto, beandosi del corpo tonico della giovane: non riuscì a resistere a quei seni, rotondi e abbondanti a tal punto da farlo impazzire, tanto che dovette alzarsi per immergervi il viso, baciandoli con avidità.

-Ora, negherò di averlo detto, in futuro... ma Peter è stato un grande Re. Lo è tuttora.- sentì mormorare Siria, decisamente poco convinta sulla serietà delle proprie parole -E lo sarai anche tu.- aggiunse, accarezzandogli le guance e portando gli occhi neri di lui ad incrociare i propri.

Sorrise, maliziosa, baciandolo lentamente e profondamente, facendo sospirare entrambi di piacere. -Il mio Re...- si lasciò sfuggire, gli occhi socchiusi e le labbra gonfie di baci.

Caspian le accarezzò il viso, lasciandosi ricadere sul pagliericcio scomposto che era diventata la loro alcova d'amore.

-Tu ci sarai, Sir?- le chiese, posando le mani sui fianchi di lei e disegnandovi pigri circoletti con i pollici.

Lei annuì, accarezzando il torace snello del principe con qualcosa di molto simile alla venerazione.

-Io ci sarò sempre.- lo rassicurò, i capelli che seguivano il movimento del suo corpo e scendevano a colorare l'alabastro della carnagione di Caspian di scarlatto e sanguigno.

Avvicinò il viso a quello di lui, gli occhi blu che contrastavano con l'atmosfera dorata della cella. -Finché mi vorrai al tuo fianco.- aggiunse, baciandolo ancora.

Lui le prese il viso fra le mani, scostando quei crini che tanto adorava, riempiendosi il palmo delle sue guance soffici.

-Sempre. Sempre, Siria. Ti vorrò sempre, con me.- affermò, e Siria sapeva che non mentiva: aveva smesso di dubitare di Caspian nello stesso istante in cui, mesi e mesi prima, si era lasciata amare per la prima volta da lui.

-Ma tu cosa vorresti?- le domandò a sorpresa il ragazzo, facendole sgranare gli occhi.

-Nulla.- fu la sua prima, istintiva risposta: non riusciva a desiderare nulla, in quel momento, che non fosse l'amore carnale e mentale del suo adorato Re.

Caspian inarcò un sopracciglio, scettico.

-Non ci credo. Non ci riesci a mentirmi, lo sai.- le ricordò, con ironia. Lei rise.

-Continuo a scordarmelo.- ammise, sospirando poi con voluttà. -Vorrei solo la pace. Sono stanca della guerra, della sofferenza. Vorrei anch'io un posto da chiamare casa... un posto in cui ci sia tu.-

Ammettere quel desiderio, fu per Siria la più ardua delle sfide.

Era un'esperienza nuova, per lei, sperare nel futuro: ma non riusciva a fare a meno di credere che, una volta terminata la guerra, lei avrebbe potuto rivelare a Caspian il segreto del proprio retaggio e lui l'avrebbe accettato, per poi passare assieme ciò che rimaneva delle loro vite.

Caspian la ribaltò sotto di sé, intrappolandosi fra le sue gambe morbide, gli occhi neri due braci ardenti come non mai.

-Lo avrai. Te lo giuro.- fu la sua promessa, una promessa che strappò un sorriso ed una lacrima alla giovane raminga.

-Ti credo.- sussurrò, baciandolo poi con dolcezza e desiderio, intrecciando le dita ai suoi capelli.

Quando posero di malavoglia fine al bacio, Caspian posò la fronte nell'incavo dei suoi seni, sospirando beato della sua confortevole posizione. -Sai…- Siria gli sfiorò il viso, con appena la punta delle dita affusolate. -…io ti ho già incontrato, prima di tutto questo.- sussurrò, piano, un lieve sorriso sulle labbra rosse.

Caspian non schiuse gli occhi, i capelli scuri sparsi sul suo petto, l’espressione beata di chi si sta pienamente godendo certe attenzioni.

-Davvero?- le chiese, dopo qualche attimo di silenzio. Le sue dita sottili si chiusero con dolcezza sulla mano della rossa, e un istante più tardi la portò alle labbra, premendole delicatamente sul palmo candido.

Siria lasciò che le proprie dita sfiorassero la pelle chiara del principe, accarezzando le palpebre socchiuse, il profilo della fronte, degli zigomi, delle guance – rapita, completamente rapita da quel volto che amava.

-Sì.- annuì, accavallando le gambe con delicatezza, sentendo l’erba pungerle la pelle chiara.

.

È notte.

È notte, una di quelle notti senza Luna e senza stelle, nel cielo coperto.

È notte, una notte cupa e scura in cui lei si ritrova perfettamente.

Il suo corpo è ancora acerbo, ma è già scattante, tonico, vivo. Ha sedici anni, ma il suo fisico è già stato modellato, temprato da una vita troppo dura per una ragazzina della sua età.

È una ladra, Siria, mentre silenziosa come la morte danza nel buio.

Il castello di Telmar è addormentato, a quella tarda ora di notte. Nessuno, può rendersi conto della silenziosa, secca figura che una stanza dopo l’altra depreda i dormienti dei loro tesori.

Niente di troppo appariscente, di troppo impegnato; ruba gioielli anonimi, fibbie, libri pregiati di cui ha sentito parlare. Sono per lei, quei libri, per saziare il suo desiderio di conoscenza.

Poi arriva in una stanza. Una stanza più piccola, meno appariscente, dove riesce a distinguere – i suoi occhi non si lasciano intimorire dal buio fitto della notte – vecchi giocattoli impolverati, e un’armatura troppo piccola per appartenere ad un uomo fatto e finito.

Sente la curiosità premere sotto al suo sterno, il desiderio di sbirciare oltre quelle tende chiare che si fa sempre più pressante. Si impone di non darci retta, setaccia silenziosamente la stanza, senza trovare nulla che abbia un vero valore smerciabile.

È la stanza di un ragazzino.

Un ragazzino come lei, che nonostante i tanti giocattoli ha consumato solamente quella spada di legno, e l’armatura troppo piccola.

È allora, che la curiosità vince: riesce benissimo a immaginare chi può essere quel ragazzo.

Il principe.

Tutti, nei bassifondi, conoscono il silente colpo di stato che ha portato Miraz al potere. Tutti, in quella marmaglia di gente in cui lei è totalmente immersa, sanno che il fratello ha alzato la spada sul suo stesso sangue.

Scosta le tende, con delicatezza, facendo bene attenzione a non provocare il minimo suono. Talia le ha insegnato bene: è silenziosa, come un gatto.

Una fitta pare attraversare il suo petto, quando scorge nella penombra il volto contratto di quel ragazzo. Può avere uno, forse due anni meno di lei, ma l’espressione che oscura il suo volto, mischiando le gote ancora rotonde dell’infanzia alle profonde rughe premature che solcano la sua fronte, è inequivocabile.

Quel ragazzo ha perso tutto.

Sua madre è morta anni prima, tutti lo sanno, a Narnia. Suo padre è stato appena ucciso: è pronta a scommettere qualsiasi cosa, Caspian non è a conoscenza dell’omicidio del padre. La versione ufficiale è morte nel sonno, una morte miserevole per un Re: soltanto chi vive nella feccia, sa.

-Hanno ucciso tuo padre, principe…e si sono portati via anche la mia mamma.-

Il sussurro le esce più tremante di quanto avesse pensato, gli occhi bruciano fastidiosamente.

Il destino di quel ragazzo le pare tanto triste, in quel momento.

Le ricorda terribilmente il suo.

Lo guarda, non riesce a smettere di farlo: diventerà un bell’uomo, Caspian, ma adesso è solamente un ragazzino cresciuto troppo in fretta, preda d’incubi troppo dolorosi per un così giovane cuore.

Sospira, Siria, quando il tubare di una civetta spezzare il silenzio assoluto in cui si ritrova, di cui fa parte: in cui vorrebbe perdersi, alla fine.

Sospira, distogliendo lo sguardo dagli incubi del giovane, sfiorando appena il volto del ragazzo con la punta delle dita candide.

-Cerca di trovare pace anche per me, principe Caspian.-

E Caspian, quando si sveglia di soprassalto, distingue solamente una macchia rossa svanire nel cielo nero, nero come la morte.

.

Caspian rimase in silenzio dopo il breve racconto di Siria, rammentando quella notte e l'ombra rossa che aveva visto svanire nel cielo... era poco più di un ragazzino, a quei tempi, ma si ritrovò a desiderare di averla incontrata prima, di aver avuto più tempo da passare con la sua donna. Gli sembrava così terribilmente poco, ciò che riuscivano a passare insieme nell'enorme incertezza di quella guerra...

Improvvisamente, ricordò.

-Ho una cosa per te. Chiudi gli occhi, te ne prego.- le chiese, scostandosi dal suo corpo per allungare una mano verso il mucchio dei propri abiti, recuperando qualcosa di metallico chiuso da una catenina. Lo avvicinò al collo di Siria, chiudendo il fermaglio dietro la gola di lei, posando il monile esattamente fra i due seni della giovane. -Ecco.- affermò, sorridendo per la soddisfazione, concedendole di aprire gli occhi.

Sotto il suo sguardo, Siria vide delinearsi la forma ovale di un pendaglio molto antico, su cui due figure eleganti si attorcigliavano in un abbraccio eterno ed indivisibile: due cigni bianchi, incisi nell'argento di quell'oggetto magnifico.

Il simbolo dell'amore eterno.

-Caspian... Caspian, è...- balbettò, prendendo il gioiello fra le dita, senza parole: non aveva mai ricevuto nulla di così bello, nulla che avesse, per lei, un valore tale da essere incalcolabile, dal significato intrinseco tanto potente.

Amore eterno.

Caspian.

-Me lo diede mia madre prima di morire, tanti anni fa.- le spiegò il giovane principe, sorridendo nel vedere gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime.

-Mi disse di darlo a chi avrei ritenuto la persona giusta per possederlo.- aggiunse, quando lei alzò lo sguardo per guardarlo adorante: le prese una mano, poggiandola sul proprio petto.

-È tuo, Siria. È tuo come il mio cuore.-

.

§

.

Pochi giorni dopo quella notte, Siria stava allenandosi assieme a Caleb e a Caspian, quando Talia giunse di corsa, trafelata e ansiosa come non la vedeva ormai da tempo.

-Che cosa succede?- le domandò subito, stringendo più forte l'elsa di Kain: quella spada era e sarebbe stata il suo punto di riferimento, la sua sicurezza, la custode stessa della sua forza e Siria sapeva che, qualunque fosse stata la minaccia, Kain non l'avrebbe mai abbandonata..

Talia abbassò lo sguardo, mentre Caleb le si avvicinava le le cingeva le spalle con un braccio, attonito e preoccupato quanto la rossa. Gli occhi della mezz'elfa erano più cupi che mai, le venature nocciola che parevano annegare nel bruno dell'iride.

-È arrivato un messaggero per te, Sir.- la informò, torcendosi le mani come faceva sempre quando era turbata. -Viene dal villaggio di tuo padre.-

.

Siria irruppe come una furia nella propria stanzetta della cripta, dove Talia le aveva detto di poter trovare il messo: il solo pensiero che potesse essere successo qualcosa al suo unico genitore le aveva dato la velocità di fiondarsi lì, precedendo Caspian e chiunque altro avesse voluto seguirla, con l'ansia che le batteva nel giovane ma provato cuore.

Suo padre.

Lei ed Aaron avevano lasciato il padre in un villaggio anonimo al limitare della foresta, lontano almeno dieci miglia da quello in cui erano cresciuti: Roan era zoppo, vecchio e distrutto dalla morte della moglie, ed entrambi i suoi figli avevano sperato che nessuno andasse a tormentarlo.

Evidentemente, aveva sbagliato.

Quello che la distrasse dalla preoccupazione, però, fu riconoscere una familiare zazzera di capelli castani che incorniciavano il viso affilato e ruvido di un uomo che lei conosceva molto, molto bene.

.

Un ragazzino spigliato ed irriverente, uno sguardo pronto alla battuta e agili mani di guerriero.

Un ricordo di un passato oramai perduto da tanto, troppo tempo.

.

-Gwaine?- esclamò, sgranando gli occhi per la sorpresa, non riuscendo a credere che il suo amico d'infanzia – il suo compagno di malefatte, come lo aveva spesso definito sua madre – fosse proprio lì dinanzi a lei.

Non lo vedeva da, quanto, dieci anni?

Gwaine si era trasferito nello stesso villaggio in cui viveva Roan, questo Siria lo sapeva: ma mai si sarebbe aspettata di ritrovarselo davanti dopo così tanto tempo, mentre l'imbarazzo di ciò che avrebbe potuto esistere fra loro le riempiva il cuore di ricordi.

-Siryn?-

Gwaine parve sorpreso quanto la raminga di vederla, gli occhi castani che si riempivano della figura florida e snella della rossa che aveva chiamato col nome che sua madre le aveva dato, il suo nome di nascita.

Si lasciò andare ad un basso fischio d'ammirazione, un sogghigno divertito che appariva sulle sue labbra sottili. -Accidenti, già eri bella, adesso sei… indescrivibile.- commentò, rivolgendole un esagerato inchino galante che portò la sua folta chioma di lunghi capelli scuri a nascondergli completamente il volto.

Gwaine era sempre stato un idiota, questo Siria lo sapeva molto bene.

Da bambini e da ragazzini, loro si erano divertiti a combinare quanti più disastri e cataclismi fossero in grado di causare: ma Gwaine non era soltanto un caro amico... Gwaine condivideva con lei lo stesso segreto, la stessa angoscia, le stesse bugie, figlio com'era di una stirpe gemella di quella di Siria.

Quanto conforto, da bambina, fra le braccia di un errore sbagliato quanto lei...

-Ma vai a quel paese, cascamorto.- rispose, sentendo il cuore ardere quando si rese conto che, per loro, gli anni non erano passati: le risposte pungenti uscivano naturalmente dalle loro labbra, fra i loro sguardi c'era ancora l'antica complicità che li aveva resi i terrori di tutti i contadini e gli abitanti del paesino dove avevano vissuto.

-E che male c’è ad apprezzare una bella donna?- fu la semplicissima risposta del giovane uomo, più alto di Siria di almeno una spanna e mezzo. Sogghignò, scostando i lunghi crini dalle guance ruvide di barba – quanto diamine era cresciuto, cambiato!?

-Sono un mostro dai gusti raffinati, lamentati! D’altronde, tu dovresti saperlo bene...- la malizia colorò la voce del giovane uomo, mentre i pensieri di entrambi andavano alle sciocche promesse di due ragazzini ignari del sangue che avrebbe permeato la loro vita di lì a poco: Gwaine, in un modo molto singolare, era stato il primo uomo a cui Siria aveva sentito di voler bene in un modo molto diverso da ciò che provava verso Aaron.

Sbuffò, la rossa, per nulla affranta: tanto tempo era passato e, nel suo cuore, c'era posto per un uomo soltanto.

-Siamo anche mostri dai denti affilati, Gwaine; sai che ho poca pazienza.- gli fece notare, esibendosi in un sogghigno che sottolineò in maniera inquietante il candore dei suoi denti, il baluginio scarlatto delle sue iridi chiare.

Il ragazzo scoppiò a ridere, esilarato: Siria aveva sempre amato le dimostrazioni di forza e lui, questo, lo ricordava molto bene.

-Meraviglioso, ringhi come la più bella delle fiere.- la punzecchiò, divertendosi ancor di più quando lei diventò paonazza, avanzando di un passo nella sua direzione e stringendo i pugni, esasperata.

-Gwaine, vuoi diventare un rospo? Dillo che vuoi diventare un rospo!- grugnì, ottenendo in risposta solo un altro scroscio di risate. Scosse la testa, chiedendosi perché tutti gli uomini della sua vita fossero degli imbecilli, tornando seria dopo giusto un istante. -Evita di parlare di mostri, qui in giro: non siamo molto graditi.-

Gwaine annuì, comprendendo perfettamente ciò a cui la vecchia amica si stava riferendo.

-Non me ne parlare, il clima fra i telmarini è ancora più duro. Questa rappresaglia del nipote di Miraz in combutta con i narniani ha riacceso l'acrimonia verso le creature diverse.- sputò, il veleno che colorava le sue parole nel nominare Caspian.

Siria si morse la lingua, impedendosi di sbottare qualcosa di sicuramente molto difensivo per proteggere il suo principe: conosceva la proverbiale cocciutaggine di Gwaine e, purtroppo, cercare di fargli capire i motivi di Caspian nel continuare la guerriglia sarebbe stato perfettamente inutile.

La vedo male...

Stava cercando un modo per spiegare a Gwaine chi era esattamente il nipote di Miraz per lei quando, con un tempismo terribile, la porta si spalancò ed i due legittimi Re di Narnia apparvero sulla soglia, le mani sui pomoli delle spade e l'espressione guardinga, attenta.

-È tutto okay, Sir?- le domandò Peter, gli occhi che volavano sul viso belloccio ed arrogante dello sconosciuto: Caspian, invece, si portò al fianco della propria compagna, apostrofando Gwaine con un cauto ma rispettoso: -E voi chi sareste?-

Gwaine inarcò un sopracciglio, sorridendo: Siria poté quasi vedere le battute sarcastiche formarsi nella sua mente, al di là di quegli occhi castani che non aveva dimenticato.

-Un umile messaggero foriero di cattive notizie.- fu la sua pragmatica risposta, le mani che si alzavano in un muto, ironico gesto di resa.

Lei roteò gli occhi, avanzando e frapponendosi fra loro.

-Caspian, questo idiota si chiama Gwaine, ed ho avuto la sfortuna di conoscerlo da bambina e di sopportarlo fino ad oggi. È un amico d'infanzia.- fece le presentazioni alla svelta, sperando che quell'imbecille di Gwaine evitasse di menzionare a Caspian il piccolo dettaglio che riguardava la loro fanciullezza.

Si volse verso il vecchio compare, accennando al principe. -Gwaine, lui è Caspian. È__-

-Il suo uomo. Piacere.- la interruppe il moro, con una delicatezza pari a quella di un pachiderma, scrutando con cipiglio diffidente il nuovo arrivato. Gwaine indossava un paio di stivali alti da cacciatore, brache di cuoio, casacca scura e giustacuore in pelle: un abbigliamento anonimo con cui avrebbe potuto facilmente essere scambiato per un viaggiatore qualsiasi, se non avesse portato due spade corte incrociate in un fodero sulla schiena ed un lungo pugnale appeso alla cintura.

Il “messaggero” sgranò gli occhi, spostando rapidamente lo sguardo dalla donna al moro e poi di nuovo su di lei, un sorrisone sarcastico che si apriva sulle sue belle labbra.

-Hai fatto un salto di qualità, Siryn! Da mercenaria ad amante di principi traditori, un bel cambio!- ridacchiò: ma Siria, purtroppo, sapeva che Gwaine le avrebbe fatto pagare a lungo quella, per lui sgradevole, novità.

Qualcuno, al momento della sua nascita, aveva donato a Siria un tempo di reazione molto più rapido di quello di quasi tutte le donne che aveva conosciuto: fu grazie a quel tempismo, infatti, che riuscì ad impedire a Caspian di sguainare la spada e decapitare Gwaine in un sol colpo.

-Caspian, lascia stare!- sbottò, stringendo il polso del ragazzo già volato all'elsa della spada, impedendogli di sguainarla: da quel che ricordava, Gwaine era un ottimo combattente, e proprio non ci teneva a scoprire chi avrebbe vinto fra lui ed il principe.

Si voltò verso il suddetto giovanotto, esasperata, sempre rimanendo immobile in mezzo ai due. -Sei un coglione, Gwaine!- lo apostrofò, mentre Peter, per una volta silenzioso, cercava di fare del suo meglio per non scoppiare a ridere in faccia a tutti e tre.

Peter, infatti, sapeva: Siria gli aveva raccontato del suo ipotetico “promesso sposo” di cui si era invaghita da ragazzina, ma certo non avrebbe immaginato di trovarselo davanti a poco meno di due giorni di distanza da quel racconto.

Era una situazione a dir poco esilarante, e lui aveva così poche occasioni per ridere, ultimamente.

-Io? Io sono solo un messo innocente!- si difese Gwaine, alzando le mani in un esageratissimo gesto di umiltà, sgranando teatralmente gli occhi scuri: era sorprendente la somiglianza dello straniero con Caspian... Siria, evidentemente, aveva un debole per gli occhi scuri ed i capelli lunghi.

Sospirò, vedendo l'amica sull'orlo dell'autocombustione spontanea, facendosi avanti per sedare la discussione che rischiava di esplodere da un momento all'altro.

-Senti, messo innocente, che cos'hai da dire?- chiese, rivolgendosi a Gwaine: il giovane lo soppesò per un istante, chiedendosi come mai un biondino impomatato portasse la spada che era appartenuta al grande Re Supremo, prima di voltarsi verso Siria.

E lei si sentì gelare, quando gli occhi castani di Gwaine persero ogni luce di giocosità e si fecero grevi, addolorati.

-Tuo padre è stato aggredito dai soldati di Miraz. Cercavano te.-

.

Siria strinse con forza i lacci di cuoio del corpetto rigido, sentendo la schiena sussultare e contrarsi sotto la morsa del giustacuore. Le era mancata, quella sensazione di costrizione mischiata alla fluidità di quella stoffa pesante che aderiva perfettamente al suo corpo, dandole l'impressione di non indossarla nemmeno.

Nello stesso istante in cui Gwaine l'aveva informata su ciò che era successo, Siria si era voltata verso Peter. Lo aveva semplicemente guardato, gli occhi blu che parlavano più di qualsiasi supplica, e lui non aveva potuto fare altro che annuire, consentendole di sfrecciare fuori dalla cripta per avvertire Aaron dell'imminente partenza.

Perché sì, era vero: ancora una volta, Siria sarebbe partita verso l'ignoto e la paura, in compagnia di Gwaine e di suo fratello, in una disperata corsa contro il tempo per riuscire, almeno, a dire addio a suo padre.

Roan.

Non era mai, mai riuscita a chiamarlo “papà”.

Roan per lei era stato quasi più un fratello che un padre, sempre incline alla risata ed al gioco: l'idolo di quei tre bambini scapigliati e selvaggi che pendevano dalle sue labbra ogni volta che l'uomo dai capelli rossi creava per loro un nuovo gioco, fatto di draghi e streghe e malefici stregoni da combattere per permettere al bene di trionfare.

Roan... papà.

Roan era rimasto zoppo durante un incidente sciocco, stupido, facilmente evitabile: era nato e cresciuto contadino e contadino era sopravvissuto alla sua prima moglie, sposando la madre di Siria dopo due anni passati a crescere da solo quel piccolo Aaron che Siria stessa non avrebbe mai potuto riconoscere.

Quando Siria era appena un infante, una tempesta terribile si era abbattuta sulla loro modesta abitazione, rischiando di far saltare via il tetto instabile: Roan si era arrampicato sui muri, cercando di fissare le tegole malmesse allo scheletro della casa, ma...

Siria ricordava soltanto che Aaron, quando le aveva raccontato quella triste storia, aveva pianto.

Roan.

Aveva adorato suo padre, Siria: ancora lo adorava. Nonostante non fosse riuscito a salvare sua moglie, a salvare lei dalla fine che sapeva attenderla al termine della sua probabilmente breve vita, non era mai riuscita a farne una colpa per quel padre che aveva sempre almeno tentato di proteggerla, che l'aveva sempre amata.

-Siria, cosa stai facendo?- la voce di Caspian la fece sussultare, strappandola ai poco limpidi pensieri che turbinavano nella sua mente rapidamente tornata al gelido calcolo di un soldato; le settimane di pace e di serenità le sembravano già così lontane…

-Sto preparando le mie armi.- rispose, allungando la mano e lasciando scivolare le dita diafane sull’elsa conosciuta e amata del suo Kain; la spada del Drago si adattò ancora una volta al suo palmo, legandosi con naturalezza alla sua carnagione, la lama che si muoveva rapida e sicura per raggiungere il suo fodero.

Ma la stretta di Caspian le tolse improvvisamente la spada di mano, gettandola poi malamente sul letto disfatto: la rossa si voltò verso il suo compagno, stupita e allarmata dal gesto... trovandosi davanti due iridi nere come il carbone e piene di una determinazione che riuscì, per un secondo, ad intimorirla.

-Tu non vai.- fu la perentoria affermazione del principe: tre semplici parole che, per Siria, furono una condanna.

-Cosa?- sbottò, allibita, guardandolo come se fosse improvvisamente ammattito. -C’è mio padre in pericolo, come puoi pensare che io non vada?- continuò, sempre più sconvolta, senza riuscire a comprendere il comportamento irrazionale di lui, proprio lui che aveva perduto suo padre...

-Non ho intenzione di rischiare un’altra volta di perderti.-

Siria sentì il cuore sprofondare, a quella frase pronunciata con sicurezza e decisione: Caspian non l'avrebbe mai lasciata andare... di questo, purtroppo, era certa.

-Ma io…- cominciò, ma Caspian posò le dita sulle sue labbra, zittendola.

-Non ci sono “ma” che tengano. Tu, da sola, non vai.- la interruppe, in un tono molto più dolce che riuscì a far breccia nell'ostinata decisione della raminga.

-No.- la ragazza si liberò della stretta di lui, improvvisamente gelida e spaventata. -E’ troppo pericoloso! Rischieresti la vita, potrebbe…-

-…succedermi qualcosa di peggio rispetto a ciò che hanno fatto a te?- completò lui in sua vece, una strana malinconia nelle iridi scure, un sorriso dolce e triste sulle labbra chiare. Fu quell'espressione, mista alla coscienza che il cocciuto futuro Re di Narnia non le avrebbe mai permesso di partire senza di lui, a far sospirare Siria.

Caspian riusciva sempre ad averla vinta, con lei.

Sospettava anche che ci fosse lo zampino di Peter in quella decisione, ma avrebbe indagato sulla ficcanasaggine del Re Supremo al suo ritorno: ora, le interessava soltanto di raggiungere il villaggio di suo padre il più velocemente possibile.

Si separò da lui, recuperando Kain dal materasso di paglia e infilandolo con un gesto secco nel fodero. Non voleva guardare in faccia Caspian, non voleva fargli capire quanto l'angosciasse l'idea di saperlo ancora in pericolo – quanta paura avesse di quel viaggio, con i ricordi ancora ben presenti fra i suoi incubi.

-Saremo in quattro, a partire, non saremo soli e nemmeno indifesi. Tu, senza di me, non ti muovi.- tentò di rassicurarla il principe, senza molto successo: lei abbassò gli occhi, angosciata, tormentando l'orlo del corsetto ed un filo che pendeva, ribelle, dall'allacciatura.

-Sei un testone.- mormorò, quando lui le si fece più vicino e le accarezzò una guancia, cancellando un'unica lacrima dispettosa sfuggita al suo ferreo autocontrollo.

Caspian sorrise, a quell'affermazione indubbiamente vera, baciandola teneramente sulla fronte.

-Sappilo, Siria. Non ti permetterò più di allontanarti da me.-

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My Space:

NON ho scusanti. Mi dispiace.

Avevo relegato questa storia nei meandri del mio computer, vergognandomi di una cosa sciocca e rischiando di non tornare più a scriverla. Se non esistesse la mia adorata Kiaretta, la mia Kay, in questo momento non starei pubblicando e certamente non sarei qua a scrivere queste due righe che, come al solito, non mi vengono mai come avrei voluto io.

Ebbene!

Sono tornata, Rebirth è di nuovo sugli schermi, ed io spero davvero che voi non vi siate dimenticati delle mie ragazze e dei miei ometti di Narnia.

Come avrete notato, la storia sta subendo un restyling: è stato necessario, vitale quasi, perché io riuscissi a rimettere le mani su questa mia adorata creatura.

Allora!

In tre capitoli, Siria farà ritorno: non sarà un viaggio lungo e non ci saranno intoppi particolari, quindi non temete altre ritorsioni da parte di assassini pazzi da legare ^^'''' nel prossimo, invece, sarà Talia a fare da padrona di casa (il che mi rende mooooolto sicura che sarà probabilmente uno sfacelo!) xD

Spero che il mio ritorno vi faccia piacere, vi faccia sorridere e vi convinca a lasciarmi una piccola traccia di voi in questa Rinascita che è vostra, di EFP... ma anche un po' mia.


B.

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PS: qui sotto, due volti possibili per Gwaine :)

Jamie Dornan

Eoin Macken (da cui ho rubato il nome per "Gwaine", personaggio del telefilm di Merlin)





   
 
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