Finalmente te l'ho detto. Quello che provo per te. Poi, sola, chiudo gli occhi, e i sentimenti così tante volte passati in rassegna riaffiorano. Pensavo si fossero affievoliti, credevo che fingendo, convincendo me stessa, anch'essi sarebbero scomparsi.
Mi accorgo che i miei occhi chiusi stanno osservando qualcosa. Solo effetti ottici, ovviamente, ma la mia razionalità non toglie loro poesia. Mi affanno a non perderli, per non interrompere il flusso di strane immagini mai viste; un movimento impercettibile della palprebra e tutta la scena cambierebbe. La parte ancora bambina di me prende il sopravvento, è un gioco, sorrido. I puntini disposti in file infinite sullo sfondo nero, a formare muraglie misteriose, diventano stelle; sto viaggiando per vortici, tunnel, sentieri, nell'intero universo. Mi domando se fra quei miliardi di stelle, galassie, pianeti, lune e asteroidi ci sia ciò che non sono ancora riuscita a trovare qui: un luogo da poter chiamare casa.
Mi ricordo, allora, che da piccola pensavo continuamente “Voglio andare a casa”, avevo sempre in mente casa, casa, casa. E mi sembrava così assurdo, anche quando mi trovavo effettivamente a casa mia, coi miei genitori, questo pensiero non svaniva; l'idea di tornare a casa, dovunque e qualsiasi cosa fosse, mi assillava. Mi capita ancora, a volte; forse la ricerca continuerà in eterno, vagante, perchè non può esistere un luogo a cui sento veramente di appartenere, il mio posto, CASA.