Come into my
world,
See through my eyes.
(See who I am, Within Temptation)
-
Co… cosa avete detto? – balbettò Arthur.
Catherine aggrottò la fronte: - Siete il Marchese di
Pembroke, non sbaglio.
- Non potete permettervi questo tono confidenziale –
osservò, piccato.
- Oh, lady Catherine, è proprio il Marchese di
Pembroke…
imparerete a conoscerlo anche come il personaggio più
scortese della corte –
osservò placidamente Elizabeth, prima di uscire assieme alla
dama. Arthur
rimase a bocca aperta, la sua colorita invettiva troncata sul nascere;
benché
non fosse né violento né sanguigno come molti
altri, bastava molto poco a
infastidirlo.
Elizabeth
sedette su una seggiola di ebano intagliato,
imbottita.
- Dimostratemi che le vostre abilità non sono frutto di
mere chiacchiere, milady…
- E se lo fossero? Cosa mi accadrebbe?
- In tal caso, mi rallegrerei all’idea che non sentirete la
mancanza della vostra testa, dopo avermi dimostrato che ne eravate
priva anche
quando respiravate – prese una ciliegia dal piatto
lì accanto.
- Cosa devo fare per dimostrarvi che non mento?
Elizabeth aggrottò la fronte.
Catherine attendeva la risposta, eppure sentì
l’impulso di
volgerle le spalle, nonostante sapesse e desiderasse fare qualsiasi
cosa fosse
in suo potere per compiacere la sovrana e non attirare la sua ira su di
sé.
Posò di nuovo gli occhi sulla bellezza tizianesca della
donna, gli occhi
scintillanti, il respiro affannato: - Vostra Grazia, fra breve
entrerà da
quella porta un vostro attendente; io non posso forzare il mio potere,
poiché
arriva solo in momenti di grande tensione e secondo un ordine
superiore, ma vi
giuro, sul mio onore di vergine, che d’ora in poi vi
aiuterò e vi sarò accanto.
Elizabeth cercò di replicare, ma un certo fracasso sulla
soglia attirò la sua attenzione.
L’uomo che aveva osato irrompere negli appartamenti reali
senza farsi annunciare doveva essere molto preoccupato, o molto
arrogante, o
molto sciocco; le due donne lo guardarono nello stesso istante, lui non
si
lasciò confondere e si concentrò solo sulla
Regina. Dopo aver deglutito, si
piegò.
- Vostra Maestà.
- Perché lo avete lasciato entrare senza preavviso?
– disse
lei, rivolgendosi a Pembroke.
- Ascoltate ciò che ha da dire, Vostra Grazia –
rispose il
marchese, uno sguardo durissimo negli occhi.
Elizabeth rimase immobile per qualche secondo, bianca in
volto, dopodichè fece un cenno stizzito all’uomo e
prese le distanze da tutte
le altre persone nella camera.
- Cosa dovete dirmi?
- Vostra Grazia… mi trovavo a nord, praticamente sul
confine con la Scozia, quando fermai un uomo che diceva di voler
semplicemente
far visita ad una vecchia zia. Lo lasciai entrare nella casa indicata
con un
nostro compagno, consapevoli che nella casupola viveva solo un vecchio
contadino… frugando nella bisaccia che portava, trovai
questa. So leggere
abbastanza bene il francese, ma sono state solo alcune parole ad
attrarre la
mia attenzione – si schiarì la voce e lesse
– Marie, reine des Ecossais
e la
conception pieuse de Dieu veut le sang de Élisabeth
versé et notre reine sur le
trône d’Angleterre.
Scese un silenzio attonito.
- No, una sciocca, frivola ragazzetta qual è Mary non
salirà mai sul trono che mi spetta – si
voltò verso Arthur e gli scoccò
un’occhiata indecifrabile – Sarai ben lieto, adesso
che anche Mary Stuart potrà
scaldare il tuo letto, il letto dell’amante
di tutte le Regine d’Inghilterra! –
sogghignò, a suo agio.
Arthur la lasciò parlare, avvicinandosi a lei con mosse
furtive; Catherine approfittò dell’ira della
sovrana per distogliere lo sguardo
dalla sua persona; puntò gli occhi sui propri piedi, poi
vagarono, senza
controllo, sul pavimento di pietra, finché non incontrarono
le gambe del
soldato.
Risalirono lungo i pantaloni grigi, la casacca azzurra –
poi, un paio d’occhi scuri.
Lui le fece un sorriso rapidissimo, dopodichè
stornò lo
sguardo.
Catherine pensò solo che fosse molto attraente, anche se il
viso glabro era fuori moda e quasi infantile.
- Devo fare qualcosa per Vostra Grazia? – domandò
il
soldato, sfidando l’irritazione di Elizabeth.
- No, non ancora. Arthur, il trattato è stato firmato da
nemmeno un anno e già i Francesi tramano contro di me?
perché mai?
- Io non considererei colpevoli i Francesi, Vostra Maestà
–
replicò Arthur, stringendo i pugni.
Elizabeth si arrestò e lo fissò con occhi di
brace: - Non
penserai che…
- Wallace è cattolico. E non ha mai fatto mistero del suo
odio per me e… e per voi.
- Wallace!
Arthur abbassò la testa, tentennò per un poco,
poi le prese
una mano; fu un gesto talmente intimo che Catherine e il soldato si
scambiarono
un’altra occhiata perplessa. Stranamente, Elizabeth lo
accettò.
- Uscite, tutti e due. Lady Catherine, vi manderò a
chiamare qualora la Regina desiderasse la vostra compagnia. Henry, voi
portate
quella lettera nei miei appartamenti e rimanete là, vi
raggiungerò fra non
molto – ordinò il marchese; i due si inchinarono e
si congedarono.
- Esca pure, milady – la riprese Henry, in tono per
metà
ironico e per metà angustiato.
- Avete
detto di chiamarvi Catherine?
- L’ha detto il marchese, non io.
- Perdonate la mia sfacciataggine, ma ciò non toglie che vi
chiamiate Catherine.
La dama si fermò in mezzo al corridoio.
Henry continuò a camminare.
-
Io…
- Io cosa?
Arthur si morse il labbro inferiore, dopo aver balbettato
quella parola.
La mano con cui aveva stretto quella di Elizabeth profumava
di lei; la annusò.
La Regina nascose un sorriso dietro la mano.
Sotto le fitte ciglia bionde, i suoi occhi scuri
ammiccarono.
- Voi cosa, Arthur?
- Vi amo, mia Signora.
Lei si appoggiò allo schienale della sedia, massaggiandosi
la tempia.
- Ditelo ancora, Arthur. Ditelo per me. Rendetemi felice,
fatemi dimenticare le congiure.
Fu un lampo fugace, il sorriso di Arthur: - Vi amo, mia
Signora, più di quanto abbia mai amato un’altra
persona; mai e poi mai vi
tradirei, né farei qualcosa per privarmi del vostro amore,
Vostra Grazia.
- Come siete puerile, mio caro… ah, stasera desidero
danzare a lungo con Leicester – lo provocò.
Arthur era attonito: quella donna era incomprensibile anche
per lui, che la conosceva meglio di tutti.