Give me
strength to
face the truth, the doubt within my soul
(The truth
beneath the Rose, Within Temptation)
il
ventiquattro del mese di Giugno dell’Anno Domini 1561
Vostra
Eccellentissima Grazia,
è con il cuore colmo di gratitudine che la vostra
umile e sottomessa servitrice si accinge a partire per Londra, ove la
Vostra
Illustrissima Maestà ha richiesto la mia umile presenza e i
miei ancor più
umili servigi.
Più di quanto le
parole possano esprimere desidero informare Vostra Grazia che ogni
notte prego
per la Vostra salute, felicità e lungimiranza, per Voi che
siete la più grande
Regina mai nata sul suolo d’Inghilterra – e con
altrettanto ardore saluto il
nobile e giusto Marchese di Pembroke, quand’egli
leggerà questa missiva.
Che Dio vi abbia
sempre in gloria, Vostra Maestà.
La
Vostra sottomessa, umilissima
Catherine
Fitzjohn
- Che ne
pensate, Arthur?
- Io non credo che Vostra Grazia desideri conoscere la mia
idea.
- Non vi avrei posto la domanda, se non fossi stata
interessata alla risposta.
- Rimango dell’idea che Vostra Grazia desideri vedermi sul
fondo del mare da quando ha scoperto il ritratto di sua cugina Mary nei
miei
appartamenti. Di conseguenza, Vostra Grazia non ascolterebbe una parola
di ciò
che potrei dire finché un nuovo amore non lenirà
il suo orgoglio ferito.
Elizabeth scoccò un’occhiata in tralice al
cortigiano, che
le dava le spalle per osservare i giardini.
- Io e Leicester potremmo trascorrere un lungo pomeriggio a
disquisire su cosa tu possegga di più affilato: la tua spada
o la tua lingua? –
commentò, abbandonando la forma di cortesia cui era solita.
- Se vostra Grazia smettesse di provocarmi…
- Arthur! – sibilò Elizabeth, zittendolo.
Lui contrasse la bocca, tornando a fissare le aiuole di
Hampton Court.
- Allora, che opinione vi siete fatti di Catherine
Fitzjohn?
Arthur fece un mezzo sorriso.
- Se nessuno dei cortigiani più vicini a Vostra Grazia le
ha rivelato che sono stato investito del titolo di Marchese di
Pembroke, sento
di poter affermare, in tutta sincerità, che è la
prima dama che vi consiglio
caldamente di prendere al vostro servizio.
- Non mi interessano i vostri consigli – affermò
Elizabeth,
scrutando nella tazza di thé.
- Lo so, ma insistevate – rispose Arthur, con sicurezza;
abbandonò la sua postazione, ma prima di uscire dalla
stanzetta si chinò sulla
donna e le sussurrò, con un sorriso mefistofelico dipinto
sulle labbra: - Ho il
diritto di essere geloso della miniatura di Leicester che portate sul
petto?
Wallace si
tolse in fretta la camiciola, gettandosela alle
spalle come uno straccio qualunque.
Scalciò via anche il kilt, digrignando i denti per la
lentezza che stava impiegando; nudo, si tuffò
nell’acqua color ferro del loch,
emettendo al contempo un ansito a
lungo trattenuto. Riemerse.
Nuotava pigramente nell’acqua fredda, studiando con
interesse composto la propria epidermide, bianca come il latte; il loch Katrine era un ambiente familiare,
in cui nuotava fin da bambino e, se solo avesse potuto, avrebbe passato
molto
più tempo in quelle acque che in mezzo a quegli odiosi
nobili…
Fece un sorriso malevolo: - Dopo scriverò a Caino, per
ricordargli la mia esistenza…
Mentre tornava a riva e cercava, imprecando, i vestiti che
aveva lanciato in ogni direzione, pensò che non conosceva
modo migliore per
ritrovare il buon umore che nuotare nel loch
e pensare a come infastidire il suo compagno d’oltre confine
con i suoi commenti
sulla sua sgualdrina.
Mise la camicia senza curarsi di essere ancora bagnato.
Era così personale, il loro rapporto epistolare, che non
valeva la pena di farlo diventare uno scandalo.
- Cosa fate?
Arthur sollevò appena lo sguardo dal libro che stava
leggendo.
- Studio – rispose con ovvia semplicità, mettendo
da parte Moriae Encomium.
Elizabeth lesse il titolo sulla copertina rilegata e un
sorriso delizioso affiorò sulle sue labbra.
- Oh, ricordo che leggevate questo trattato fin da
quand’ero bambina - osservò, prendendolo in mano.
Fece per aprirlo, ma Arthur
glielo strappò dalle mani, mascherando il suo turbamento con
un sorriso.
- Cosa nascondete? Consegnatemelo! – esclamò la
Regina,
allungando la mano.
Reticente, le labbra serrate, il Marchese di Pembroke le
riconsegnò il libro e chinò la testa con aria di
gran contrizione; Elizabeth
osservò la sua espressione, a lungo e con aria sospettosa,
dopodichè aprì il
libro, strappandolo quasi, e scoppiò in una risata volta a
nascondere la sua
irritazione.
- A sir Arthur Cecil,
il mio più grande e amabile sostenitore in questa terra
nemica, Anne Boleyn.
È per questo che vi ho accordato fiducia? Per vedervi
nascondere come un
furfante le tracce di Nan Bullen?
Arthur espirò il fiato dal naso, chiudendo gli occhi.
- Adesso basta, vi farò allontanare da corte una volta per
tutte! – strepitò Elizabeth, correndo verso la
porta. Aveva già la mano sulla
maniglia, quando sospirò e tornò a fronteggiare
il cortigiano, che raddrizzò la
schiena in vista dell’imminente battaglia.
La regina attraversò di nuovo la camera e si
tuffò tra le
braccia di Arthur, afferrandogli il collo.
- Preferivate mia madre, Arthur? E adesso desiderate poter
stringere tra le braccia la bella nipote di mia zia Margaret, non
è così?
Ammettete quanto vi piacerebbe vederla sul trono
d’Inghilterra, così da averla
alla vostra mercè!
Arthur le afferrò i lacci del corpetto, ringhiando qualcosa
contro l’orecchio bianco di lei.
- Rispondetemi, Arthur! Lo esigo! Lo esigo, vi dico!
Lo colpì sul petto con i palmi delle mani, poi bussarono.
I due si separarono, furibondi.
- Milord, la nuova dama di compagnia è…
- Fatela entrare, Tennyson – lo interruppe Elizabeth, con
voce squillante.
La porta si aprì e, nel riquadro luminoso comparve la
ragazza. Lei abbassò subito il capo, inginocchiandosi con
aria molto graziosa;
le guance erano arrossate dalla fatica della cavalcata.
- Sono giunta non appena mi è stato possibile, Vostra
Grazia.
- Vi attendevo con impazienza, lady Fitzjohn. Sono certa
che la vostra presenza mi sarà di gran conforto,
poiché in questi giorni sulla
corte aleggia una certa aria di insubordinazione… -
osservò la Regina,
perfettamente a suo agio, e lasciò il fianco di Arthur per
accogliere la
ragazza.
Le osservò entrambe, fingendosi annoiato: la pallida
Catherine, con i grandi occhi chiari spalancati e le labbra indecise
tra un
sorriso consapevole ed un’aria seria e computa; e poi
Elizabeth.
Indossava un abito leggero, con ricami floreali rosso scuro
su rosso chiaro; e balze, balze color avorio dappertutto. La pesante
collana di
granati e oro aveva lasciato un segno rosa acceso sul collo, tra i
capelli
rossicci vedeva file di perle. Riconosceva la bellezza di Mary Stewart,
solo
uno sciocco non l’avrebbe riconosciuta, ma il suo amore
andava tutto a
Elizabeth.
Catherine
Fitzjohn sembrava una ragazza davvero ammodo,
posata e sobria come il vestito che indossava. Era azzurro pallido,
nella
stessa tinta dei suoi occhi, con una stampa di farfalle.
Gli unici ornamenti era un filo di piccole perle ed un paio
di orecchini dello stesso genere.
In effetti, la sua semplicità quasi stonava
nell’opulenza
propria delle dame e dei cortigiani di Elizabeth.
L’opinione di Arthur nei suoi confronti fu subito positiva,
ma venne cancellata l’istante successivo dalla candida
osservazione della
ragazza: - Marchese di Pembroke, ho già fatto qualcosa per
non meritarmi i
vostri saluti?!