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Autore: Rhye and Embrido    11/02/2007    5 recensioni
Ok...adesso non ci ferma più nessuno ed infatti siamo già a pubblicare la nostra terza fanfic su uno dei gruppi che più adoriamo, ovviamente i mitici, insuperabili GREEN DAY!! come abbiamo già detto, dobbiamo terminare anche le altre, ma ce la faremo ugualmente...passiamo adesso alla storia: nonostante nel primo capitolo venga dato spazio alla coppia Adrienne/Billie, la storia si baserà principalmente sull'adolescenza dei tre Green Day ed in particolar modo su quella di Billie Joe, che si fidanzerà con una ragazza speciale, che lascerà per sempre un segno su di lui...Joyce...una ferita che non si è ancora del tutto rimarginata...beh, buona lettura!!
Genere: Romantico, Commedia, Drammatico, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

Capitolo 10

Don’t listen to what Mama says

 

All’aeroporto…

Billie uscì dall’aereo, mettendo finalmente piede sulla terraferma. Appoggiò senza curarsene le valigie per terra, allargò le braccia fino a portarle all’altezza delle spalle, in un evidente gesto di gioia ed inspirò profondamente, quasi fosse rimasto a lungo in apnea. In un certo senso così era stato: arrivando a Berkeley, dopo qualche settimana, non aveva potuto far a meno di notare che persino l’aria della sua città era diversa da quella dell’Ohio. Sarà perché era casa sua, sarà perché lì erano presenti tutti i suoi amici, sarà perchè avrebbe potuto rivedere Joyce, ma l’atmosfera era decisamente diversa, o almeno, questo secondo il suo punto di vista. Era felicissimo di essersela cavata con così poco tempo: quando era partito non sperava certamente di ritornare in patria dopo un periodo così breve; fortunatamente lo zio aveva avuto delle capacità di ripresa sorprendenti, che avevano anticipato la data della loro partenza. Era contento della rimessa del suo parente, ma soprattutto gioiva del fatto di poter rivedere la sua adorata fidanzata ed ovviamente anche Mike e Trè. In quel periodo di assenza si era reso veramente conto di quanto quei tre, seppur in maniera diversa, contassero per lui: loro erano le persone più intime che aveva, quelle con cui si confessava, quelle su cui sapeva di poter contare. Erano entrate a far parte della sua vita per un caso fortuito e non ne erano mai uscite; e non lo avrebbero fatto mai, aggiungeva sempre lui. Dava già per scontato che la sua amicizia con il batterista ed il bassista sarebbe durata fino alla loro vecchiaia e qualche volta aveva anche accarezzato con la mente l’idea di un possibile matrimonio con la biondina che si era intrufolata nella sua esistenza, lasciandone un segno indelebile.

Certo, ancora siamo troppo giovani per un simile passo, ma se tutto dovesse procedere in questa maniera, se noi dovessimo essere ancora fidanzati e dovessimo amarci nel solito modo…beh, perché non prendere in considerazione una simile ipotesi? E’ più di un anno che stiamo insieme, poco, lo so anch’io, ma quest’anno è stato speciale per me. Non credevo che potesse esistere una ragazza capace di farmi perdere la testa. Lei mi ha dimostrato, inconsciamente, quanto mi sbagliavo. Prima di conoscerla prendevo sempre in giro i miei amici, che dicevano di essersi innamorati delle proprie partner; adesso che ho provato anch’io, non posso far altro che ammettere quanto sia stato sciocco. Non riesco a capire, tuttora, come mai non abbia mai creduto nell’innamoramento fino a poco tempo fa…forse “perdere la testa per qualcuna” l’ho sempre considerato come un segno di debolezza…e la cosa che meno desideravo in quei giorni, era dimostrare al mondo intero di essere volubile. I miei amici hanno sempre avuto sotto gli occhi la visione di un Billie Joe Armstrong deciso, strafottente, sicuro di sé, sarcastico; in realtà il mio comportamento serviva solo a coprire la profonda irresolutezza ed indecisione del mio carattere instabile. La mia spavalderia, l’essere estroverso come sono io, sono due dei molti sintomi della mia timidezza ed imbranataggine. Sia Joyce, che Mike, che Trè, hanno capito il mio vero stato d’animo, il vero carattere che i miei genitori mi hanno ‘donato’, se così si può dire, e forse mi apprezzano più per quello che sono veramente che per quello che mi sforzo di essere. Come è giusto che sia. Grazie a loro tre ho capito che non è necessario mostrarsi forti all’esterno, quando dentro si è deboli, che non è necessario mostrarsi impavidi, quando all’interno si ha paura. Dobbiamo fare la nostra comparsa sul mondo così come siamo, con le abitudini che abbiamo, con le idee e con i valori che sempre abbiamo considerato giusti. Se li altri non ci apprezzano, pace. Vorrà dire che non erano stati fatti per noi; ma state sicuri che ci sarà sempre qualcuno che ti capirà e quel qualcuno non vi lascerà mai scappare. Così è successo fra me e Joy: entrambi abbiamo capito il valore reciproco, entrambi siamo riusciti a renderci conto dell’importanza della nostra interiorità e di conseguenza si è sviluppata la solida unione sulla quale si basa il nostro rapporto, che resiste imperterrito alle dure prove presentategli…l’ultima delle quali si è affacciata poco fa, con la sollevazione da parte di Abigal del problema “Jonathan”: non voglio attribuirle tutta la colpa, anche perché io ho sempre nutrito una leggera avversità nei confronti del fratello, tuttavia, in un momento di debolezza, crisi e depressione come quello, le sue affermazioni mi hanno accecato dalla rabbia, spingendomi a trattare male la mia unica ragione di vita…vi rendete conto che avrei potuto perderla? Così, per niente? Fortunatamente, dalla nostra riappacificazione sono si sono più verificati simili casi, sarà che Joyce ha imparato a non parlare del fratello e io di Abigal. Ora che però sono tornato qua, tutti i miei guai sono finiti, sicuramente e niente potrà più oscurare la relazione fra me e Joyce.

“Forza, Billie!” lo richiamò Ollie, spazientita “hai tanto sbuffato per ritornare e poi ti fermi all’improvviso a contemplare l’aeroporto! Se tu non fossi mio figlio, dirrei quasi che sei smanioso di partire…”

“NO!” tuonò il moro, al quale l’idea di andarsene nuovamente dal California non piaceva affatto.

“Ecco, allora diamoci una mossa…i tuoi fratelli ti stanno aspettando…”

 

***

Casa di Billie, mattina presto…

“Trè, mi puoi passare la scopa, per favore?” chiese Mike, spazientito, girando stancamente per la casa e stando ben attento a dove metteva i piedi. Ovunque, nell’appartamento, erano disseminati oggetti: in quelle settimane di totale libertà, il biondo si era dato alla pazza gioia, organizzando feste e cene con gli amici, evitando però di ripulire accuratamente il giorno dopo. Quotidianamente la confusione, che sembrava regnare ormai sovrana, aumentava, senza che al bassista desse troppa noia. Anzi, ripeteva sempre a se stesso, che nel proprio disordine si sta decisamente da Dio. Ed in un certo senso aveva anche ragione: sapendo di non essere un ragazzo fanatico della precisione, mai si immaginava di andare a cercare i propri effetti personali nel loro posto, piuttosto metteva a soqquadro la sua camera, anche nei punti più improbabili, convinto che si trovassero lì. E quella volta in cui aveva fatto, non si sa come mai, pulizia, riponendo tutto nella sua giusta collocazione, si ammoniva dicendo: “Macché…tanto non sarà certo qui…”

E così, sia che pulisse che non, la sua stanza era sempre una mescolanza disordinata, un garbuglio indefinito, impossibile da sciogliere, una matassa di fili tutti attorcigliati l’uno all’altro.

Fino a quel momento aveva vissuto bene: stando da solo, non aveva dovuto ‘rispondere delle sue azioni’ nei confronti di nessuno, ma la pacchia adesso era finita. Con Ollie di ritorno, ri-iniziava il duro lavoro. La donna, infatti, non sarebbe stata troppo contenta di ritrovare la sua abitazione in quello stato, con quella baraonda e di questo Mike ne era certo. Saputa la data della partenza, il biondo non aveva potuto far altro che chiamare il suo migliore amico, chiedendogli di dargli una mano per rimettere tutto in ordine.

“Se la trovassi, mio caro, lo farei molto volentieri…” urlò il moro, da una parte all’altra della casa.

“Vedi di farlo in fretta, non si può lasciare tutto questo sudicio per terra!” protestò Mike, rattristato. Si era divertito, aveva sconvolto il design dell’appartamento, aveva insudiciato tutto, e adesso doveva pagarne le conseguenze.

“Se solo ci avessi pensato prima!” si disse fra sé e sé, scuotendo la testa “del resto si sa, io agisco troppe volte prima di meditare…”

Allargò il grande sacchetto della spazzatura di colore nero e ci infilò una maleodorante scatola di cartone, che in precedenza doveva aver contenuto una pizza. Fece qualche passo, raccolse delle lattine di birra, delle bottiglie di vino e di altri alcolici e buttò via pure quelle, insieme al branco di tovaglioli sporchi che infestavano il pavimento, decisamente sporco.

Si chinò sulle proprie ginocchia, per guardare se tante volte qualcosa fosse rimasto sotto il divano e le poltrone; ma non vi trovò nient’altro che dei pacchetti di sigarette, consumati in quelle sere di balorda allegria.

Ripescò i vestiti sparsi a giro per la terra e andò a gettarli direttamente nell’armadietto che conteneva i panni sporchi.

“Vuoto” considerò il biondo ridendo “strano”

“Per forza ti sembrerà strano” si intromise una voce bassa, quella di Trè, che nel frattempo era arrivato brandendo la granata e aveva squadrato a lungo l’espressione perplessa e divertita del compagno “i tuoi abiti sono tutti sulle mattonelle, come se avessero preso il posto dei tappeti…”

Mike abbozzò un sorriso, ma subito riassunse la sua espressione seria: non c’era tempo per respirare, figuriamoci quello per ridere.

“Dobbiamo sbrigarci” esclamò, uscendo dalla stanza, dopo aver afferrato la scopa per ripulire. Lasciato il secchio della spazzatura in un angolo, il biondo diede sfoggio di tutte le sue abilità da domestico: solo dopo una terribile lotta all’ultimo sangue, riuscì a brandire decentemente quello che lui considerava un ordigno o “l’aggeggio pulente”, per iniziare finalmente a dare una rassettata. Chili e chili di polvere, insieme a grandi mucchietti di briciole e sporcizia varia, venivano ‘alla luce’ grazie alle setole della granata, che continuava in ogni caso a creare grossi problemi al bassista.

“Amore bello, io sono pronto per dare il cen…” disse Trè, allegro, entrando nella stanza, ma interrompendosi di colpo, dopo aver visto un Michael Ryan Pritchard alquanto irritato dalla sua incapacità di fare qualsiasi lavoro casalingo.

Il batterista scoppiò in una risata, trovandosi davanti una scenetta comica come quella.

“Che hai da ridire tu, eh?! Qualche problema?!” ringhiò il bassista, che odiava mostrare agli altri le sue debolezze. Convinto com’era di poter essere paragonato al paranormale, quasi al divino, non poteva tollerare che gli altri notassero le sue mancanze nei diversi campi, quali essi fossero. In realtà, l’unico campo in cui poteva veramente vantarsi era la musica, per il resto, faceva acqua da tutte le parti. Certo, di questo lui era pienamente consapevole, ma una cosa è rendersene conto e una cosa è ammetterlo pubblicamente. In effetti, ammettere le proprie ‘ignoranze’ non è semplice: bisogna essere umili e modesti, qualità che il biondo di certo non possedeva.

“Chi? Io, problemi? Qui l’unico che dà l’impressione di averne, sei tu” gli fece notare Trè, non riuscendo però a smettere di ridere.

“Grazie per avermelo ricordato” rispose Mike, lanciandogli un’occhiata in cagnesco “visto che tu sei tanto più bravo, allora, perché non vieni a farlo tu?”

Il batterista valutò quanto aveva già pulito e quanto ancora rimaneva da pulire, poi sentenziò: “Mio dolcissimo amico, la parte che spettava a me è gia risistemata…basta passarci un po’ l’aspirapolvere ed il cencio e poi è finito…ma vedo che te sei ancora a mezzanotte…ma siccome questo tocca a te, è giusto che lo faccia tu”

Detto questo, scomparì nuovamente, mentre si dirigeva verso le camere che aveva già messo in ordine, compresi i letti che erano stati rifatti a dovere. Al contrario dell’opinione comune, Frank Edwin Wright III, nome con cui non amava farsi chiamare tra l’altro, aveva una grande esperienza nei lavoretti di casa: la madre ed il padre, infatti, lo avevano abituato sin da piccolo a sbrigarsela da solo nelle faccende domestiche, in modo tale che se loro non ci fossero stati, lui avrebbe comunque pensato alla pulizia, visto che non potevano permettersi una donna di servizio.

“Grrrr…quanto lo odio quando fa così” bisbigliò, pentendosene subito amaramente, poiché voleva veramente molto bene a Trè, nonostante a volte il suo atteggiamento non fosse troppo corretto.

Un rumore assordante lo avvisò che il batterista aveva attaccato la spina dell’aspirapolvere. Meno male, almeno se ne sarebbero andate anche le ultime briciole, insieme a quanto potesse esserci di così piccolo da non poter essere catturato a mano.

Finita la sala, passò alla cucina, forse quella ridotta nella maniera peggiore. Ma non si perse d’animo e, consapevole del fatto che di lì a poco si sarebbe visto comparire sulla soglia otto persone memori della casa quando ancora era nel suo antico splendore, si buttò con più foga e tenacia nella ripulitura della stanza. Il lavoro di entrambi andò avanti ancora per un po’ e, nonostante le proteste, alla fin fine, Trè acconsentì a strusciare anche il pavimento di cui avrebbe dovuto occuparsi l’amico. Dopo un’ora, si gettarono sfiniti sul divano, con la testa pesantemente appoggiata sullo schienale e le braccia che ricadevano penzoloni lungo i fianchi. Il loro volto era segnato da una profonda spossatezza, una spossatezza che non provavano da anni.

M (con il fiatone): “Consolati, Trè…ora è tutto lindo e profumato e quando passeranno di qui, nemmeno si accorgeranno di ciò che c’è stato prima…”

T (anche lui con il fiatone): “Lo spero proprio, perché starebbe a significare che non abbiamo sprecato le nostre energie per nulla…”

M: “Davvero…però, è stato alquanto faticoso, eh? Chi se lo immaginava…”

T: “Se volevi provare, per il gusto di scoprire fino a quanto potesse arrivare la tua resistenza, sappi che sei proprio un disperato che non sa cosa fare…ed in ogni caso, dimezza il valore che hai ottenuto, perché ti è stata data una mano”

Mike lo guardò di sottecchi. Prima che il biondo avesse il tempo materiale di formulare una risposta decente, da ripropinare al compagno, per cercare di frenare la sua irriverenza, questo continuò il suo discorso, con un ammonimento: “Ah, e ricordati che se, nella malaugurata ipotesi, ti venisse voglia di fare questo simpaticissimo giochino un'altra volta…beh, sappi che io non ci sarò! Intesi?”

Il biondo fece cenno di sì con il capo, poiché emettere dei suoni dalla gola gli costava troppo. Non appena finì quella specie di dialogo, i due sentirono il classico suono della chiave che apre la serratura.

 

***

Qualche ora dopo…

Camminando, per andare al Gilman Street, dove avrebbero incontrato Jonathan e Joyce…

B (stupito): “Però, Mike, non avrei mai immaginato che tu fossi così abile nel tenere in ordine una casa…”

M (passandosi una mano fra i capelli, credendo che quel gesto lo rendesse particolarmente macho): “Modestamente…non c’è nulla che non possa riuscire al sottoscritto”

T (scettico): “Certo, come no…qui l’autostima sale alle stelle…”

M (convinto): “Macchè…sono solo giuste considerazioni…”

B (sereno): “Sapete, ragazzi, mi mancavano questi battibecchi…”

T (con un tono scherzoso, ma che non ammette repliche): “Noi manchiamo a tutti, lo sappiamo”

M (stizzito): “Bello! E poi dicevi di me?!”

T (alla evidente ricerca di una scusa): “Uhm…ehm…ma io posso!”

B (sempre ridendo): “Cos’è, hai un ordine speciale?”

T (alzando gli occhi al cielo): “Beh, essendo tutto speciale, potrei dire…sì, ho una specie di ‘lascia passare’ fatto apposta per me…”

B (accarezzandolo e dandogli pacche affettuose): “Ok, Trè, non ti preoccupare…è tutto a posto…”

T (diventando improvvisamente serio): “Mi stai trattando come un dissociato mentale…”

M (assumendo un’espressione finta): “No, è solamente una tua impressione…”

T (seccato): “Se non la smettete potrei diventare violento…”

B (autoritario): “Qui gli unici che dovrebbero finirla siete voi due”

Mike e Trè si scambiarono un fugace sguardo perplesso.

M&T (non capacitandosi del discorso): “Noi?!?!?!?”

B (continuando sulla scia autoritaria): “Sì, proprio voi e non fate quelle facce. Se non cambiate il vostro odioso vizio di essere così poco modesti e così tanto fiduciosi in voi stessi, lascio il gruppo”

M (mentre un sorriso sornione gli si dipinge sul viso): “Ti vorrei far notare, nostro adorato amico, che tu fai proprio come noi…”

B (tentando di opporre resistenza): “Ma…”

M (dispotico): “Niente ‘ma’! E’ così e basta e tutti lo possono confermare…”

T (da vera carogna) “E poi c’è un secondo punto…cosa faresti da solo?”

B (valutando tutte le possibilità): “Beh…potrei trovare un altro gruppo oppure mettermi a lavorare come solista…”

T (sempre da farabutto): “Andiamo, Billie, lo sai meglio di noi…primo di tutto, come solista non vali un granché e poi, chi sarebbe disposto, oltre a noi, a sopportarti?”

Il moro ci pensò su un attimo e poi disse: “Giusto, solo voi!”. I tre scoppiarono a ridere. A loro non importava fare qualcosa di particolarmente esilarante per divertirsi, anzi, traevano gioia anche dal solo stare insieme. Vedersi, palare e scherzare, era il loro passatempo preferito, non contando ovviamente la musica, che rimaneva ferma al primo posto. L’amicizia che li legava indissolubilmente era specialissima, ed ogni loro gesto era una dimostrazione in più di questa tesi. Andavano quasi sempre d’accordo e affrontavano le difficoltà ed i problemi insieme, ed insieme cercavano di risolverli. Se non ci riuscivano non importava, era comunque maggiore esperienza sulle spalle, dalla quale avrebbero potuto trarre consiglio negli anni futuri.

Dopo aver riso, così, senza un vero e proprio motivo, calò un silenzio imbarazzante, che fu rotto subito dal moro, che disse: “Sapete, vi ho rivisti adesso, dopo tante settimane e mi sembra di non essermene mai andato…”

“Ha fatto lo stesso effetto anche a me” concordò il batterista, afferrando l’amico per la vita e facendolo un po’ sbandare “è perché siamo così uniti che anche nella lontananza riusciamo ad essere vicini!”

“Più che altro, riusciamo a sentirci vicini” lo corresse il bassista, mettendosi nel frattempo le mani in tasca.

“Pignolo” fu l’unanime commento dei due. Il biondo scrollò le spalle, come per dire che a quel mondo nessuno lo capiva, né lo apprezzava.

Percorsero una stradina stretta e buia, sfociarono in un’altra decisamente molto più grande e trafficata, attraversarono non appena si illuminò la luce verde del semaforo, per ritrovarsi sull’altro lato della carreggiata, ombreggiato dai dei grandi salici piangenti che si riversavano all’esterno del recinto della modesta villetta che stava loro davanti. Andarono avanti per qualche metro, fino ad arrivare in una piccola piazzetta, dove da una fontana di medie dimensioni, zampillava a getto continuato l’acqua, nella quale erano state buttate diverse monetine, pensando che quel gesto portasse fortuna. Delle panchine, occupate da dei ragazzi punk in tutto e per tutto, si trovavano sulla parte desta dello spiazzo e lì, proprio davanti a lui, c’era un miraggio, quella visione celestiale che credeva fosse venuta dal paradiso apposta per lui. Di fronte a Billie, si stagliava in tutta la sua altezza Joyce, che vestiva dei semplici jeans scuri a vita bassa, le scarpe da tennis nere, un top nero con gli strass da legare dietro al collo e un giacchettino leggero, dello stesso colore con delle rifiniture in argento. Non era niente di speciale, eppure per lui quella semplicità, quella non ricercatezza nell’abbigliamento, era la fine del mondo. Nel vederla gli si illuminarono gli occhi, questo secondo Mike e Trè, che glielo rivelarono in seguito, e quasi non poteva credere di trovarsi lì, a due metri di distanza da lei. Una dolce sensazione pervase il suo corpo, scosso da profondi tremiti. Al ragazzo sembrò di essere tornato indietro nel tempo, a quella sera in cui l’aveva baciata per la prima volta.

Non è lei, non è lei, non è lei, non può essere lei. No, no, Billie, tu sei in Ohio, tu sei da tuo zio, questo è un sogno ed anche se è bellissimo, rimane pur sempre un qualcosa di irreale. Non è possibile che mi stia trovando a pochi passi la mia adorata ragazza, lo scopo della mia vita, l’unica ragione per cui vivo. E’ così bello che non mi sembra vero.

Entrambi attaccarono una rincorsa, gettandosi l’uno nelle braccia dell’altro.

Apri gli occhi, Joyce, apri gli occhi! Pensi forse di essere veramente nelle braccia di Billie Joe Armstrong? Quel Billie Joe Armstrong che ho tanto amato e desiderato? Macchè, suvvia! Stiamo scherzando? Chi ci crede? Io no. Lui non è qui, questa figura in tutto e per tutto uguale al moro per cui ho perso la testa è solo un’illusione della mia mente, di una mente che non riesce più a sopportare l’idea di stargli lontano per così tanto tempo.

Non si ricordarono mai con precisione chi, preso da quello stupore e da quella contentezza palpabile, di decise per primo a baciare l’altro. Fatto sta che qualche istante dopo i due erano abbracciati: lui la cingeva con una stretta forte per la vita, mentre lei affondava delicatamente le mani nella sua schiena, muovendole in su ed in giù, facendogli provare degli immensi brividi di piacere. I ragazzi si baciarono con trasporto ed ardore, ma anche con un’infinita dolcezza, che non era altro che l’indice del loro profondo amore. Stettero stretti l’uno all’altro per un po’, come se avessero paura che terminato quel momento di passione, sarebbe finito tutto.

Non voglio lasciarla, di sicuro lei un sogno che svanirà via…

Non voglio lasciarlo, di sicuro lui è un sogno che svanirà via…

Mike e Trè fissavano la scena in silenzio, o meglio, si sforzavano per non guardarla, ma la cosa risultava loro impossibile. Era inconcepibile non osservare una così chiara e plateale dimostrazione d’affetto; dall’altro canto, però, avevano paura di restare lì impalati a contemplare, temevano infatti di violare la privacy di quel bacio, che i due avevano atteso a lungo. Non poterono dunque far altro che abbassare pudicamente gli occhi e, cosa assai strana per loro, arrossire vistosamente. In ciò che non era mai riuscito nessuno in tutti gli anni della loro vita, erano riusciti Billie e Joyce in una frazione di secondo.

I due si sciolsero finalmente da quel bacio appassionato, ma rimasero saldamente abbracciati l’uno all’altro, per riconfermare in continuazione a sé stessi che non era tutto pura e semplice fantasia.

“Ti amo, Joyce” sussurrò Billie, all’orecchio della ragazza.

“Anch’io, tesoro”

“Che emozione…” esclamò Trè, sotto sotto commosso.

I ragazzi si guardarono con estrema dolcezza, per poi accennare un sorriso.

“Come siete carini! Io ho sempre detto che voi state bene insieme…” aggiunse Mike, prima che un forte applauso risuonasse in tutta la piazza. Tutto il Gilman sapeva della lontananza che li aveva divisi, tutto il Gilman seguiva le vicende dei fidanzati, ma soprattutto tutto il Gilman aveva assistito alla scena e nessun presente aveva potuto far a meno di notare con quanta naturalezza fossero stati compiuti quei gesti, che sembravano in tutto e per tutto ripresi da un film.

Al boato assordante che li circondava, Mike commentò: “A quanto pare, lo spettacolo è piaciuto…”

“Io opterei per lasciare la musica, mettere su un teatro e ripetere quest’atto, fino a quando non abbiamo fatto fortuna!” ironizzò solare Trè, che era felice solo per il fatto di vedere il suo migliore amico più che contento.

 

***

Al Gilman, seduti ad uno dei tavolini…

“Sai, sinceramente sono proprio curiosa di vedere questo Jason…” constatò Joyce, giocherellando distrattamente con le mani del fidanzato, che le lanciò un’occhiataccia, prima che lei continuasse: “Insomma, Billie, me ne hai parlato così tanto…è normale che mi interessi vederlo”

“Non essere esagerata” minimizzò il soggetto in causa “non stavo mica a parlarti sempre di lui…”

“Oh, no, è vero…” lo squadrò torva lei “diciamo che in una telefonata, i 2/3 erano dedicati a lui e poi il terzo rimanente a noi due…”

“Accidenti, Billie…lo sospettavamo” si intromise Trè, sorridendo beffardo “ma questo comportamento non fa altro che confermare le nostre teorie sulle tue incerte preferenze sessuali…”

“Cosa vorresti insinuare?!” il moro ridusse gli occhi a due fessure.

“Quello che ho detto” ribattè serafico il batterista, ridacchiando sornione.

“Caro Trè, mi dispiace fartelo notare, ma il qui presente fanciullo ha al suo seguito un’affascinante donzella, è quindi da escludere la tua ipotesi sull’orientamento in ambito amoroso di Billie…” lo smentì il biondo, stiracchiandosi.

“E’ tutta una copertura, Mike, solo una copertura…” liquidò la questione con un gesto della mano, prima che il bassista chiedesse: “Ehi, ma dove hai detto che abita questo famigerato Jason?”

“Ehm, precisamente non lo so…ha detto che non sapeva spiegarmelo…ha solo saputo dirmi che si trova in una parte tranquilla di Berkeley…” rispose il cantante, mentre si sdraiava sul tavolino, un po’ stanco dal cambiamento del fuso orario.

“Ottima spiegazione, non c’è che dire…soprattutto è molto precisa…” sottolineò Trè, assumendo un’espressione contrariata.

“Sai quanti posti tranquilli possono esserci qui…” diede man forte Mike, allungando le gambe.

“A parte gli scherzi, più un posto è tranquillo, meglio è…a me non piacciono quei quartieri, dove devi guardarti da chiunque e stare attento non appena metti piede fuori casa” tentò di intavolare un discorso serio Joyce.

“Vorrà dire che quando ci sposeremo, compreremo una casa in un quartiere con tali caratteristiche… oppure un rustico in aperta campagna…che ne dici?” ipotizzò scherzando Billie, al quale però l’idea non dispiaceva per niente.

“La prima è decisamente più realizzabile della seconda…di campagne non ce ne sono troppe in America, o per lo meno, in California” rispose la bionda, escludendo a malincuore l’idea di una casa grande, in mezzo al verde.

“Consolati con il fatto che sareste lontani da tutto e da tutti” cercò di tirarle su il morale Mike, realista.

“Giusto. Immaginati la seguente situazione. Siete appena ritornati dalla città, è quasi l’ora di pranzo, quando per uno sfortunato caso ti accorgi che ti sei scordata di comperare…che cosa? Il pane! Con tutta la spesa che hai fatto, quello ti era proprio sfuggito. Non puoi nemmeno dire ‘è uguale, scendo e lo compro’. No, devi riprendere la macchina, rifarti un quarto d’ora buono (dipende dalle distanze) di viaggio, parcheggiare, andare al panificio, sperando che non sia già chiuso” disse Trè, pragmatico come al solito.

“Con tutto questo, abbiamo dedotto che la vita campagnola è scomoda e che non fa per noi” concluse il moro, stringendola a sé e guardandola, sorridendo.

“C’è sempre la possibilità di prendere una casa in riva al mare…” suggerì Joyce, speranzosa. Una casa sulla spiaggia era tutto ciò che aveva sempre desiderato, fin da quando era molto piccola. Amava il mare, così come lo amava suo fratello. La loro passione per questo elemento era uno dei tanti punti che li accomunavano. Ma mentre da una parte il mare rispecchiava il carattere piuttosto pacato di Joyce, ma anche vendicativo e traditore, dall’altra rispecchiava quello del fratello collerico, impulsivo e furioso, così come sono le onde quando si infrangono violentemente sugli scogli, che incassano i colpi, erodendosi pian piano.

“Questa è un’idea più carina” ammise il biondo “e poi molto più romantica. Sarebbe perfetto per voi”

“Rimarrebbe il problema della distanza dalla città” cominciò Trè, al quale non andava mai bene niente; ma prima che avesse potuto trovare una soluzione soddisfacente all’attuale questione, si vide venire incontro un ragazzo piuttosto altro, con i capelli rossi e due occhi color nocciola. Fu la prima cosa di Jason che rimase impressa a tutti. Gli occhi. Quelli occhi così dolci ed espressivi, che insieme al suo viso buffo, ispiravano istantaneamente una profonda simpatia.

“Jason!” urlò Billie, alzandosi in piedi “che ci fai qui?! Pensa, sei arrivato al momento opportuno, stavamo appunto parlando di te…”

“Oh, perfetto, allora…comunque, mia madre mi ha portato a fare un giro e, ricordandomi che sei solito ‘militare’ al Gilman, ho pensato di dare un’occhiata…ho fatto bene, a quanto pare, visto che ti ho trovato ed in piacevole compagnia!” ribattè lui, dandogli una pacca sulla spalla.

“Esattamente…però, che memoria…ma su, via, lascia che ti presenti i miei compagni… Allora, Jason, questo biondo è Mike” elencò il moro.

“Piacere”

“Questo è Trè” continuò.

“Piacere”

“Avrai già capito da solo, in ogni caso lei è Joyce, la mia ragazza”

“Piacere” disse lei, mettendo i mostra i suoi denti bellissimi. Nello stingerle la mano, il ragazzo non potè fare a meno di ammettere che Billie aveva ragione: la biondina assomigliava particolarmente ad Abigal, nonostante, ovviamente, entrambe si differenziassero per qualche piccolo dettaglio.

“Bene, amici miei…vi chiederete come abbia fatto a conoscerlo…beh, dovete sapere che anche lui è dell’Ohio e si è trasferito qui da poco…”

Subito quella pillacchera di Joyce si volle informare sui motivi della sua partenza dal paese natale, mettendo ben in chiaro però che se non avesse voluto spiegarle niente, non ci sarebbe stato nulla di male, in fondo non si conoscevano. Jason però non sembrava minimamente imbarazzato, anzi, trattava le nuove conoscenze come se fossero amici di lunga data e si soffermava su qualsiasi cosa destasse la loro attenzione, dilungandosi in spiegazioni ricche di particolari.

“Devo dedurre che questi siano gli amici con cui ti trovi meglio” commentò Jason, alla fine.

“Esattamente” confermò il cantante “sono i miei migliori amici e la mia ragazza, ovviamente…non ci manca nessuno, vero?”

“Beh, dipende da come consideri il tuo rapporto con Jonathan” si intromise il batterista, riportando a galla un problema apparentemente senza soluzione.

Mike gli lanciò un’occhiata inceneratrice: Billie e Joyce si erano quasi lasciati per suo fratello e lui glielo accennava nel giorno in cui avrebbe dovuto essere il ragazzo più felice del mondo?!

Tuttavia né l’uno, né l’altro parvero minimamente turbati: dopo che la storia si era risolta con un nulla di fatto, tutto era filato liscio come l’olio: la bionda non aveva fatto più accenni a tale storia, come Billie del resto ed Abigal pareva aver perso improvvisamente la sua vena velenosa che l’aveva portata a semi-distruggere la storia del cantante.

Billie fece finta di niente, si dette una manata sulla fronte, facendo chiaramente intendere di essersene proprio dimenticato: “Già! Jonathan! Dov’è adesso? Credevo sarebbe venuto con voi…in ogni caso devo salutarlo…”

“E’ con Beth” rispose Joyce, afona.

B: “Beth? O chi è questa?”

J: “Non te la ricordi? Impossibile”

B: “Non mi sembra di conoscerla…”

J: “Era quella che era con lui quella sera, al Drive In…”

Billie fece un sorriso malizioso: “Ah, si…ora mi viene tutto in mente…”

***

Camminando, per andare a casa di Joyce…

Non ci credo, non ci credo, non ci credo. Il mio cervello si rifiuta, si ribella a questa notizia. Jonathan sta con Beth? Con quella Beth? Ma anche se non si trattasse di lei, la domanda verrebbe spontanea: Jonathan sta con una?!?! Questo è un fatto assolutamente inaudito. E la cosa che mi fa sembrare anche tutto più strano è che il loro rapporto va ormai avanti già da un bel po’. Qui le cose sono due, o non stiamo parlando del solito Jonathan Raphael Stanyhurts, oppure lui ha fatto un grossissimo cambiamento. Quando l’ho lasciato io, era il classico ragazzo che di donne non vuol sentire parlare, o meglio, ne vuol sentir parlare solo per puro e semplice divertimento. Diciamo che lui non sa nemmeno cosa siano le storie serie, visto che mai ne ha avuta una. Le trova carine, le trova intelligenti, simpatiche e quanto di bello possa esserci nel genere femminile e lui cosa fa? Ma certo, dopo una settimana al massimo, le lascia tutte…non potete nemmeno immaginarvi quante buone occasioni si sia fatto scappare con questo suo atteggiamento scostante. Ed è qui allora che sorge il dubbio. Cos’ha Beth in più delle altre? Io non la conosco, ma a prima vista non sembra avere qualche prerequisito in più delle precedenti sfortunate. Allora, uno si domanda, Jonathan si sarà innamorato? Forse. Ma sinceramente, trovo un po’ difficile che il ragazzo perda la testa per qualcuna. In un certo senso, la sua testa l’ha già persa, ma per la sorella, che, mettiamolo in chiaro è solo mia. L’unica nota positiva è che, essendo tutto preso da Beth, difficilmente romperà le uova nel paniere a noi…bene, ci trattiamo cordialmente, non ci diamo noia a vicenda, tutto va alla perfezione. Non potrei essere più felice di così.

“Billie, ti vedo assente” disse Joyce, riportandolo alla realtà.

“Eh? Dicevi?” chiese il moro.

“Perfetto, vedo che mi ascolti sempre” ribattè la bionda, facendo finta di essere un po’ scocciata.

“Ma io ti ascolto sempre, infatti” si giustificò il cantante “è che stavolta mi sono perso solo un passaggio”

“Ma guarda un po’ te se devo avere un fidanzato che, dopo giorni e giorni che non mi vede, pensa anche agli affari suoi!” si lamentò la ragazza, facendo l’offesa.

Billie capì al volo che stava facendo la sostenuta solo per gioco, ma in ogni caso si scusò ugualmente: “Okay, scusa. E comunque lo sai come sono…mi devi accettare per i miei pregi, ma anche per i miei difetti”

“Beh, direi più per i tuoi difetti…i pregi, in confronto sono un numero molto esiguo…” commentò sarcastica Joyce.

A questo punto, fu Billie a fare l’indignato: “Ma guarda questa! Prima mi critica perché non la considero, e poi mi insulta!”

“Non era un insulto, mio caro, era una semplice constatazione…”

Il moro borbottò un qualcosa a denti stretti, che doveva assomigliare ad unmah’, e decise di lasciar cadere il discorso.

“In ogni caso” riprese il suo tono da battaglia “per me è come se non ti avessi mai lasciato, è come se fossi stato sempre qua con te”

Joyce lo guardò con tenerezza, come del resto faceva sempre, quando si perdeva in quelli occhi verde smeraldo, che erano sempre illuminati da una luce infantile.

“Anche per me è lo stesso” rispose, accarezzandogli i capelli come solo lei faceva “si dice che la lontananza può distruggere l’amore, ma anche rafforzarlo”

“E io credo sia la seconda, l’opzione giusta” ribattè il moro, dandole un bacio in fronte.

Effettivamente era come se i due non fossero mai stati divisi, come se tutti quei giorni li avessero passati sempre a stresso contatto. La loro passione non era diminuita, anzi, forse si era accresciuta maggiormente, nella consapevolezza reciproca che esisteva al mondo un solo Billie Joe Armstrong e una sola Joyce Renée Stanyhurts. Ormai si capivano senza il bisogno di esprimersi a parole, un’occhiata, un’espressione, una smorfia, erra sufficientemente eloquente per dire al compagno cosa stesse pensando o cosa stesse provando dentro di sé l’altro.

Stettero un po’ in silenzio, fino a quando i due non arrivarono davanti casa di Joyce. Si fermarono lì, rimanendo sempre muti, continuando a fissarsi negli occhi, che si dice siano lo specchio dell’anima.

“In ogni caso, signorino” rincominciò la bionda, assai curiosa ed inquisitoria “a cosa stavi pensando prima?”

Il chitarrista sorrise: “A Jonathan. Dai, non può essersi fidanzato”

“Ti dispiace?”

“No, ma…boh, non so spiegare” rispose Billie, alzando le mani verso il cielo.

“Ah, l’ho sempre sospettato che tu stessi provando qualcosa per mio fratello…che bello avere un ragazzo gay…” scherzò Joyce, incrociando le braccia sul petto.

“Non sono gay, e tu lo sai benissimo”

“Poteva essere tutta una copertura, no? Lo dice anche Trè”

“No, non è una copertura, te lo dimostro anche”

Il moro si chinò per baciarla nuovamente e proprio mentre i due si stavano dichiarando i propri sentimenti, si fermò davanti casa una macchina. Quando i due si separarono, si trovarono davanti la madre di Joyce.

 

***

Casa di Billie, un’ora dopo…

Il campanello di casa Armstrong suonò, rompendo stranamente quella quiete irreale che regnava in casa. Era uno dei pochi pomeriggi in cui Billie avrebbe potuto godersi casa sua tutta per sé: la madre, appena ritornata, era subito andata a lavoro, i diversi fratelli erano tutti occupati nelle loro faccende al di fuori del nucleo familiare e Mike, doveva essere a giro per la città con Trè, a fare cosa non lo sapeva, ma nemmeno gli interessava. Aveva pensato di stare con Joyce tutto il giorno, ma lei aveva detto che prima doveva andare in palestra di pomeriggio e non poteva permettersi di saltare perché era già mancata troppe volte, oltretutto ci si era messa anche sua madre, che li aveva beccati proprio in pieno. Se Louise fosse stata una persona normale, avrebbe accettato con relativa tranquillità e sopportazione quel lungo fidanzamento, purtroppo però che non fosse così. Da quanto la donna aveva saputo in giro che Billie non era un ragazzo affidabile, non almeno per la figlia, aveva fatto di tutto per impedire a Joyce di vederlo, ma con scarsi risultati. Quando si erano messi insieme, avevano deciso di informare solo Ollie, lasciando la mandre della bionda completamente all’oscuro. Erano stati bravi: avevano limitato le uscite, si erano incontrati quando non c’erano problemi e così, Louise non aveva mai sospettato di nulla. Purtroppo però, quel giorno, era rientrata prima e gli aveva decisamente colti in fallo.

Povera Joyce, chissà cosa deve averle detto sua madre. Io non capisco perché si ostini a non volermi. Ok, capisco che le abbiano detto che non sono uno stinco di santo, che mi sarò fatto qualche canna, ma non sono un drogato. E la dimostrazione più palpabile di questa teoria ce l’ha tutti i giorni sotto gli occhi: sua figlia. Voglio dire, non l’ho mai sviata, mai l’ho fatta entrare nel mondo della droga, l’ho sempre protetta. Non le ho nemmeno mai offerto una sola sigaretta perché tengo a lei, e di conseguenza alla sua salute e so, per esperienza personale, quanto una sigaretta possa dare dipendenza e rovinare la vita prima di tutto di noi stessi e poi di quelli che ti stanno attorno, e che respirano il così detto “fumo passivo”.

Il ragazzo si diresse con passo lento verso la porta, ed il suo stupore fu grande quando vide chi c’era dall’altra parte. Davanti si trovava Joyce, piangente, che si copriva il volto con le mani.

Il moro l’abbracciò subito, sussurrandole: “Ehi, Joy…che è successo? Vieni, vieni dentro”

Il ragazzo l’afferrò per un polso e la guidò dentro la casa, facendola accomodare in sala.

“Amore mio, dimmi tutto” la esortò il moro, prendendole una mano fra le sue.

 

Poco prima

Quando Joyce era entrata in casa, si era subito scatenata l’ira funesta della madre.

L: “Ma bene! Vedo che qui le cose vanno avanti, allora”

La ragazza non aveva potuto far altro che rimanere zitta, ammettendo in silenzio la propria colpa.

L: “Cosa ti avevo detto io, eh?”

Silenzio.

L: “Dimmelo, Joyce, DIMMELO!”. Il tono di voce della donna era così alto e così carico di rabbia, che l’aveva persino spaventata.

“Che non dovevo vederlo” si lasciò sfuggire la bionda, abbassando lo sguardo verso il pavimento.

Ma come potevo non vederlo?

“Bene, e te cosa hai fatto, invece?” continuò la donna, infuriata come mai era stata. Nuovamente la ragazza rimase in silenzio, e nuovamente fu scossa da quel tono collerico, che le intimava di darle una risposta.

“Ho ignorato il consiglio” rispose finalmente Joyce, fissando ancora il terreno.

“Il consiglio?!” s’infiammò Louise “il consiglio?! Ti pareva forse un consiglio?! Sappi che non lo era, mia cara, piuttosto era un ordine, che tu avresti dovuto seguire”

Ma come seguirlo?

“Ti avevo detto che era un soggetto pericoloso, e tu cosa hai fatto? Ma sì, sei rimasta lì con lui, come se fosse un angioletto” urlò la madre.

“Non è un soggetto pericoloso” si decise finalmente a parlare la ragazza, trovando chissà dove la forza per ribattere.

“Ah no? Ah no? E cosa te lo fa supporre, sentiamo” rispose Louise, mostrandosi disponibile a sentire le sue motivazioni. Ma in realtà non era così, la donna non voleva sentir ragioni, convinta com’era di essere nel giusto.

“Posso dire di conoscerlo un po’ più di te, se permetti” sostenne  Joyce.

“Ne deduco dalla tua affermazione allora, che questa storia è duratura…da quanto vi frequentate?” domandò irata la donna, il cui volto era deformato dai segni violenti della rabbia.

Così inviperita, riusciva persino a diventare brutta, cosa che era piuttosto difficile, per una bella signora come lei.

Joyce ci pensò su un attimo: cosa fare? Rivelare tutto oppure no? Rammentandosi che ormai non aveva più nulla da perdere, optò per la verità.

“Ci vediamo da quasi due anni” proclamò, contenta di vedere l’espressione di odio che piano piano si andava dipingendo sul volto della mamma “stiamo insieme da più di un anno”

Per Louise fu come un fulmine a ciel sereno, come una pugnalata in pieno petto: da un anno? Aveva sentito bene? Un anno?

“No- non può essere” balbettò la donna, incredula.

“Proprio così” confermò Joyce.

A Louise mancò il terreno sotto i piedi, le sue gambe vacillarono.

Parlò di nuovo, ma stavolta era più riferita a sé stessa, che agli altri: “Ed io non me ne sono mai accorta? Ma come è possibile?”

Nel frattempo la bionda stava ammutolita ad osservare la reazione della sua genitrice, che sembrava realmente scioccata.

Continuò per qualche minuto ancora a pronunciare frasi sconnesse, parole prive di significato, poi sembrò riscuotersi nuovamente ed allora attaccò più violenta e spietata di prima.

L: “Complimenti Joyce, complimenti. Avresti dovuto tenere in considerazione ciò che ti avevo detto”

J: “Come avrei potuto farlo, se ho una madre che, tutto sommato, non si cura i particolar modo di me? Qualsiasi genitore si sarebbe accorto di un fidanzamento del proprio figlio, ci sono sintomi e segni inconfondibili che lo dimostrano; ma se tu, in un anno e passa, non ti sei mai resa conto di ciò che c’era sotto, beh, la cosa è grave, vuol dire che poi non tieni più di tanto a noi”

Quando ebbe finito di parlare, la bionda si stupì con sé stessa: mai si era rivolta con quel tono ed in maniera simile a Louise, mai aveva pensato di farlo. Ma da troppo tempo era stufa di vivere all’oscuro e da troppo tempo era stufa di avere una madre che, si vedeva in qualsiasi cosa, si interessava assai poco dei figli. Da una parte era stato una fortuna, perché aveva potuto portare avanti la sua relazione con Billie, ma dall’altra avrebbe desiderato una madre affettuosa e premurosa, che l’avesse ascoltata quando ci sarebbe stato bisogno, che l’avesse capita ed aiutata nelle scelte e situazioni difficili che prima o poi la vita le avrebbe presentato. Era irritata, si, poiché vedeva che le madri delle sue amiche erano così, ma la sua no. La sua era fredda, disinteressata, distante. Per non parlare poi del padre, che ormai in quella casa, dopo tutta la sua assenza, aveva decisamente poco peso. Gli unici con cui Joyce si poteva sfogare erano Jonathan e i suoi amici, e dunque non aveva certo intenzione di perderli.

L: “Non ti rivolgere così a me, signorina. Io ci tengo a te”

Ma si vedeva chiaramente che lo stava dicendo più per modo di dire, che per una vera e propria convinzione. Aveva ripercorso mentalmente tutta la sua vita, rendendosi conto che il pensiero dei figli, non era mai realmente stato il suo primo pensiero. E adesso era troppo tardi per rimediare.

J: “Lo vedo come ci tieni”

L: “Tieni a freno quella lingua, cara. Sono tua madre e come tale merito rispetto”

J: “Il rispetto non si esige, il rispetto si guadagna”

Ancora una volta la ragazza si meravigliò della sua risposta.

L: “Mi sono scocciata di te e di quel drogato che hai come ragazzo. Chiudi quella bocca e pensa due volte prima di parlare. Considera da oggi ufficialmente chiusa la tua storia con Billie”

Non ebbe nemmeno il tempo di replicare, che la donna se ne andò, per chiudersi in camera.

A quel punto, pensò Joyce, l’unica cosa da fare era solo andare per l’appunto dal proprio ragazzo, per avvertirlo di tutto e soprattutto di quella minaccia. La madre si era rinchiusa, come al solito in camera e per le prossime due ore di sicuro non ne sarebbe riemersa. Era strano il suo modo di mettere in atto le punizioni, dato che lasciava alla fin fine i figli liberi di fare ciò che volevano. Nonostante la bionda lo sapesse, stavolta aveva veramente paura delle possibili ripercussioni di quella litigata.

 

“Suvvia, Joyce, non avrà detto sul serio, magari l’ha fatto solo perché in quel momento era particolarmente incavolata” cercò di rassicurarla il cantante, nemmeno lui troppo convinto di ciò che stava dicendo.

“Speriamo” rispose lei, un po’ rincuorata, ma ancora scossa da lunghi sussulti.

Il chitarrista la strinse a sé, rimanendo in silenzio per un po’, poi cercò di sdrammatizzare, quando valuto che era venuto il momento giusto: “Non si può certo dire che io porti fortuna, eh? Sono appena tornato, e ti ho subito messo nei pasticci”

La bionda accennò un sorriso: non sapeva perché, ma Billie riusciva sempre a tirarla su di morale.

D’altronde, era o non era il suo ragazzo? Ci saranno state delle ragioni per cui aveva scelto lui, rispetto ad altri.

B: “Meglio?”

J: “Si…più o meno…”

B: “Vieni con me”

Joyce si fece portare senza opporre resistenza. Il moro l’accompagnò in camera sua e si mise a frugare nelle valige che ancora non aveva sfatto, poiché si era subito precipitato fuori di casa, per rivedere tutti quanti.

“Che cerchi?” chiese lei, perplessa.

“Ora lo vedi”

Dopo poco Billie assunse un’espressione raggiante e la bionda ne dedusse che doveva aver trovato ciò che stava cercando: “Ah! Eccola qui…brutta, brutta, non ti volevi far trovare, eh?”

Joyce guardava tranquilla il ragazzo che parlava con la sua chitarra Blue: per lui era normale rivolgersi a lei come se fosse una vera persona e non un oggetto ed ormai la biondina ci aveva fatto l’abitudine.

J: “Cosa dovrei osservare?”

B: “Qui…” rispose, indicando.

In una parte di Blue, c’era marchiata, non sapeva con cosa, la scritta: “Joyce, ti amo”

J: “Oddio, sei un tesoro…”

B: “E non è finita qui”

Estrasse in seguito da una borsa, una maglietta gialla, sulla quale erano state stampate, in calligrafia gotica, i loro nomi, dentro a un cuore.

J: “Grazie, piccolo…non so come dirti quanto mi fai felice…”

B: “Volevo dartele prima o poi, ma questo mi sembrava il momento migliore…anche per renderti quel bel sorriso…”

J: “Hai fatto bene, la litigata sembra un ricordo lontano. Quando sto con te, non me lo spiego, mi sento infinitamente bene”

B: “Posso dire la stessa cosa anch’io”

Il moro ripose accuratamente la sua chitarra e appoggiò sulla sedia la t-shirt, poi abbracciò la ragazza e la baciò nuovamente. Dopo tanto che non la vedeva, sentiva chiaro e tondo il bisogno di coccolarla. Lei si sedette sul letto e lui fece lo stesso. Quando vide che la fidanzata si stava sdraiando completamente, accompagnò dolcemente il suo corpo, finché tutti e due non si trovarono distesi, uno sopra all’altro. Lei si stringeva con una mano alla sua vita e con l’altra al suo collo, e sentiva le sue mani esplorala, esperte ed abili.

Joyce, Joyce, questo non dovevi farmelo. Io ti voglio, ti desidero, ti adoro. Tu mi possiedi dalla testa ai piedi, lo sai. Questo contatto fisico, che non avevamo mai avuto è troppo…boh, non saprei spiegare. Fatto sta che ogni volta che mi tocchi, sprofondo nel piacere più assoluto ed ogni volta che io assaporo con il tatto le tue curve, il tuo fisico asciutto e perfetto, non posso fare a meno di volare oltre con la fantasia. Non sai quanto abbia immaginato questo momento e ora che sembra essere arrivato, ho quasi paura di andare avanti. Infondo sei venuta da me, per sfogarti, in cerca di consolazione e tutto ciò che so e che posso darti è solo un po’ di prestazione fisica? Sono queste le volte in cui mi sento assolutamente inopportuno. Che ho potuto regalarti, oltre al piacere carnale? Nonostante tutto non so resisterti, non so se è ciò che tu desideri ora come ora, ma mi è impossibile fermarmi. Ma basta che tu mi dica di smettere e subito io lo farò. Tu sai che lo farei.

Billie cominciò a sbottonarle i pantaloni e a slacciarle il nodo della maglietta. Sentiva che Joyce non opponeva resistenza, così andò avanti, sganciando i ferretti del reggiseno. Prima che potesse sfilarle anche le mutande, sentì la mano di lei che lo fermava: “Billie…io…”

“Non ti senti pronta? Se vuoi, evitiamo…per te aspetterei per sempre…” rispose lui, dolcemente, dandole un bacio sul collo.

“E’ che io…ehm…ecco…è un po’ imbarazzante da dire…” ribattè la bionda, cercando di distogliere lo sguardo dal ragazzo. Il moro riuscì però ugualmente a guardarla dritta negli occhi per qualche secondo e vi lesse la paura e la vergogna che tutte le ragazze provano al loro primo rapporto.

“Ho capito. Se è solo quello il problema, non devi preoccuparti” la rassicurò il cantante “cosa credi che me ne importi dell’esperienza? Io amo te per quello che sei, non per le tue prestazioni, ricordatelo sempre”

Nonostante dentro di sé si sentisse un tantino rassicurata e si rendesse conto che Billie avrebbe fatto di tutto per metterla al proprio agio e per non farle male, non si decideva ad andare avanti.

Il chitarrista non sapeva cosa fare, se andare avanti oppure no. Non voleva forzare la cosa, perché quest’ultima doveva venire da sé. Se Joyce non fosse stata pronta, pace, avrebbe aspettato ancora un po’, fino a quando non si sarebbe decisa. L’amava sul serio e rispettava tutte le sue scelte, come i veri fidanzati sanno fare. Tuttavia gli sembrava che la biondina fosse trattenuta più dalla paura di fare una figuraccia e dalla paura stessa che la nuova esperienza già di per sé provoca nell’animo umano. La fissò dunque per diverso tempo, e poi le chiese: “Ti fidi di me?”

La ragazza ci pensò su per un po’, poi si lasciò andare: “Sì”

 

 

Ps: eccoci qua, con un nuovo capitolo! Come avevamo promesso, stavolta non vi abbiamo fatto aspettare tanto…e pensate, è quasi ultimato anche il successivo, sicché potete star contenti! Come direbbe Rhye, questo è un capitolo che ‘parla da solo’, pieno di avvenimenti: il ritorno in patria di Billie, la conoscenza di Jason da parte di Mike, Trè e Joyce, la scoperta del fidanzamento di Jonathan, l’ordine perentorio di Louise di non poter più vedere Billie e, come ciliegina sulla torta, il primo rapporto fra quei due innamorati! A conti fatti ci hanno messo tanto, secondo le medie dell’America, ma voi prendetela ugualmente per buona…dunque, vogliamo ringraziare le nostre due uniche commentatrici, in quanto il capitolo precedente, con nostro sommo dispiacere, è stato disertato dalle recensioni…pertanto, thanks to:

  • Lady Numb: certo che abbiamo capito a chi è riferito il nome ‘vipera’…ormai sappiamo troppo bene cosa vuoi dire quando scrivi! Effettivamente, per ora i tentativi di scollare Billie da Joyce sono andati in fumo, ma ti assicuriamo che dovrai vederne delle belle…e non solo da parte di Abigal che, poverina, è una marionetta nelle mani di Guinevere…lo sappiamo che Jonathan non ti piace, più o meno è dal secondo capitolo che ce lo ripeti…in questo potresti unirti a Billie e fondare il club contro il fratello di Joyce…siamo sicure che raccoglierebbe molti ‘proseliti’!
  • Laura Joe: secondo le leggi della telepatia, fra breve dovresti aggiornare pure tu, allora! Abigal e Guinevere tramano nell’ombra, oddio, mica tanto…secondo noi si capiscono benissimo le intenzioni di loro due, peccato che Billie sia un po’ ritardato e soprattutto non sappia il risvolto di questa amicizia…concordiamo sulla bruttezza dei nomi, anche se Abigal non ci dispiace del tutto…le domande te le concediamo, però non possiamo risponderti…a una abbiamo risposto con questo capitolo, l’altra invece troverà risposta con lo svolgersi della storia…ci dispiace, ma non possiamo sbottonarci or ora!

Ci auguriamo quindi che anche questo capitolo vi sia piaciuto e comunque ringraziamo tutti coloro che hanno solamente letto, senza recensire…dicendo loro che, magari, un piccolo commentino non ci starebbe male, visto che le nostre commentatrici sembrano essersi ridotte ad un numero piuttosto esiguo…ancora un ultimo capitolo e poi si entrerà nel vivo della vicenda…promesso…ciao a tutti, bacionissimi, by Rhye and Embrido!

  
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