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Autore: miseichan    29/07/2012    2 recensioni
- Fallo! – inveì la ragazza, sbattendo violentemente un piede sul selciato umido – Forza! Premi quel dannato grilletto! – continuò a gridare, imperterrita.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel cuore della notte

 

 

Ginevra agitava il piede.

In modo cadenzato, ritmico, leggero: era più forte di lei. Lo faceva sempre, da sempre. Era così che cercava di allentare la tensione: l’unico modo sicuro che conosceva. Accavallava le gambe e agitava il piede.

Se ne stava lì, seduta al tavolo della cucina: una tazzina rossa fra le dita, piena di caffè.

L’altra tazzina, quella blu, l’aveva poggiata sul tavolo. La tazzina di Lello.

Si guardò attorno, soffiando sul liquido fumante: la finestra era chiusa, la tapparella abbassata… non filtrava un solo raggio di sole. L’aria era ancora pesante, viziata. Scrutò i mobili, il tavolo, le sedie, e trovò tutto coperto da uno strato di polvere: non era solo come se nessuno si fosse preso la briga di dare una pulita, ma era come se nessuno avesse vissuto in quel posto. Come se in quella casa non vi abitasse anima viva. Terrificante.

Sorseggiò piano, lasciando che il liquido ancora caldo scendesse senza ustionarla. E aspettò.

Guardava la porta, sperando di veder comparire Lello da un momento all’altro. Pregando che tornasse da lei, sedendosi al tavolo e stringendo tra le mani la tazzina di caffè che aveva preparato per lui, come piaceva a lui.

- Lello? -

Era stato più forte di lei: un richiamo. Fievole, timoroso.

Inascoltato.

Con uno scatto si alzò, abbandonando la tazzina sul tavolo e incamminandosi per il corridoio: la conosceva bene quella casa; per anni non aveva fatto altro che rifugiarvisi, immancabilmente. Arrivò fino in fondo, per poi girare subito a destra: era la camera di Lello. La porta era aperta, ma non una luce che fosse stata accesa.

Entrò in punta di piedi, indecisa se cercare o meno l’interruttore della luce.

Stava già tastando il muro, il respiro corto, quando sentì una mano che le si poggiava sulla spalla.

- La miseriaccia nera bastarda! – imprecò, trasalendo miseramente e voltandosi di scatto, il cuore bloccato in alto, proprio in gola – Lello e che diamine! – sbottò, tentando di riprendersi dallo spavento – Perché fai così, perché?! Da dove diavolo spunti, eh?! -

- Dal bagno –

La risposta era stata data con tono ovvio, in un qualche qual modo ancora duro.

Ginevra assottigliò lo sguardo, tornando a passo di marcia verso la cucina e trascinandosi dietro anche lui.

Non fu difficile: lui, certo, non oppose resistenza, ma in ogni caso sembrava leggero… era come tirare un corpo senza vita, o quantomeno un corpo che non ha più voglia di vivere. Di lottare.

Un corpo inerme.

Fu con uno strano scatto che lasciò andare la manica del ragazzo, quasi spaventata.

Era strano. Non era il Lello che conosceva e non riusciva a fare a meno di notarlo, di ripeterselo.

Non riusciva a realizzarlo.

- Il caffè si sta freddando – borbottò, rimettendosi a sedere.

Lui non fece niente, immobile. Fermo sull’uscio, fissava la tazzina blu con aria assente, come se non la vedesse. Il maglione gli stava largo, accentuando quella che ormai era la sua esile struttura. Ginevra rabbrividì, sforzandosi di non dar troppo a vedere lo sgomento che provava nel vederlo in quello stato, nel non riuscire a riconoscerlo. Accennò un sorriso, sperando invano che lui lo ricambiasse.

- Non ti va? – domandò allora, rompendo ancora una volta quel silenzio troppo, troppo pesante.

- Non bevo più il caffè –

Era stata una risposta secca, coincisa. La risposta di uno a cui non va di fare conversazione.

- Come mai? – chiese comunque lei, ignorando la voce ancora roca del ragazzo, sorvolando sul fatto che lui continuasse a guardare nel vuoto, assente.

- Non mi lascia dormire –

Ginevra annuì, inclinando leggermente di lato il capo. Il caffè non lo lasciava dormire? Il caffè?

Non indagò oltre, fingendo di aver dimenticato il passato: quegli anni che avevano condiviso, in cui avevano imparato a conoscersi l’un l’altro meglio di quanto conoscessero realmente se stessi. Fingendo di non ricordare quanti caffè bevesse lui normalmente, giornalmente, senza che la caffeina gli facesse il minimo effetto.

- Preferisci altro? Ho visto qualche bustina di the nella credenza, o un po’ d’acqua, non saprei… -

- Niente – fece lui, strascicando anche quell’unica parola – Niente, Gin –

Ginevra annuì, gettando la spugna.

Cercò disperatamente lo sguardo di lui, senza riuscire ad incontrarlo nemmeno per un secondo.

Pensò ad Amanda, al discorso della ragazza, alla sua paura che lentamente stava cedendo il passo a un cieco terrore, sconvolgente. Lo aggiusti tu?

Voleva aggiustarlo. Voleva farlo con tutta se stessa, non desiderava altro da quando l’aveva sentita al telefono che la pregava di raggiungerla… di raggiungerli. Perché c’era bisogno di lei. Perché era la sua ultima speranza.

Voleva aggiustarlo. E prendendo il treno aveva creduto che sarebbe bastato bussare alla sua porta per farlo. Per rimettere tutto a posto, per far tornare tutto indietro. Non aveva messo in conto questo.

Voleva aggiustarlo, ma non si aspettava di trovarlo così. Di imbattersi in un giovane uomo che non era più il ragazzo che conosceva come le sue tasche, in uno sconosciuto che non riusciva a inquadrare. Con chi diavolo aveva a che fare? Che fine aveva fatto Lello? Il suo Lello?

Voleva aggiustarlo e avrebbe ancora cercato di farlo. Non si sarebbe arresa per niente al mondo.

Solo, doveva mettere un attimo in ordine le idee, fare chiarezza. Delineare un piano, una pista da seguire.

Non poteva muoversi alla cieca.

- La mia stanza è sempre libera? – domandò di punto in bianco, la sua voce che rimbombava nel silenzio.

Aspettò una risposta, una minima reazione da parte del ragazzo: lui non si smosse, apparentemente non la sentì nemmeno. Stava per ripeterlo, le labbra già dischiuse e il cuore più pesante di qualche grammo, quando la replica giunse, come al solito, sorprendendola:

- Non è tua -

Secca, lapidaria come tutte le precedenti. Non se ne lasciò intimidire, affatto scoraggiata.

- E’ libera? – ripeté, sfacciata, stringendosi leggermente nelle spalle.

Un intervallo di qualche minuto, il tempo che a quanto sembrava era necessario al ragazzo per recepire una domanda e formulare una qualche stentata risposta. Qualche minuto di stallo e subito dopo il consenso di lui.

Ginevra sorrise, rinfrancata. Bevve l’ultimo sorso di caffè e poggiò la tazzina nel lavandino, quindi si avvicinò a Lello, passandogli accanto per tornare nell’atrio: non lo sfiorò nemmeno, cauta.

- Mi fermo per qualche giorno – annunciò, giusto a titolo informativo, afferrando con presa salda il borsone.

Aveva già cominciato a percorrere il corridoio quando sentì ancora la sua voce, distante come prima:

- No – biascicò – No, Gin, no -

Era quasi arrivata alla fine del corridoio, il vago sentore che lui la stesse seguendo: invece di girare a destra, però, questa volta svoltò a sinistra; aprì la porta con una spinta decisa e accese la luce:

- Come no? – ribatté, lasciando cadere il bagaglio sul pavimento – Sono appena arrivata, mi devo riposare e questa stanza è libera. Spiegami perché no, Lello -

Si mosse con sicurezza, conscia di avere qualche minuto di silenzio prima di dover riprendere la discussione.

Ripiegò le coperte, lasciando che le lenzuola e il materasso prendessero aria. Quindi si diresse verso l’unica finestra e spalancò il vetro, un gesto di pura liberazione, sollevando in pochi istanti la persiana: quella camera dava a nord e il sole non era visibile, eppure bastò la semplice aria, fresca e pulita, a farla sentire meglio.

- Ti ho già detto che non è il momento – fece il ragazzo, tormentato – Voglio stare da solo -

- Oh, ma io non ti darò fastidio! – esclamò Ginevra, aprendo gli armadi per farli arieggiare – Sarà come se non ci fossi, te lo assicuro. Tu fingi di non avermi visto arrivare, okay? –

Spense la luce, lasciando che ad illuminare l’ambiente cupo fossero soltanto gli ultimi bagliori provenienti dalla finestra: sospirò, rinfrancata, mentre una leggera brezza sembrava restituire un briciolo di vita a quel pezzo della casa. Con il sorriso ancora stampato in viso si voltò per osservare Lello: erano passati più minuti di quanti si aspettasse, cogliendola impreparata. Si voltò e si trovò a fissare un paio di spalle.

Lello si era girato, gli occhi spenti che puntavano nel buio del corridoio: lontano dalla luce, lontano dall’aria.

Lontano anche da lei.

Non fece in tempo ad aprire bocca che lui già si era allontanato, uscendo dalla camera: lo seguì, solamente con lo sguardo, spiandolo mentre rientrava nella sua stanza e si accostava la porta alle spalle. Sparendo.

Ginevra tremò, l’immagine di lui che si seppelliva nel buio che la colpiva diritta al cuore.

Crollò sul letto, il materasso che si inclinava sotto di lei con un movimento fin troppo familiare: quasi le si adattava al corpo, ormai. Affondò la faccia nel cuscino, sperando persino di ritrovarvi gli stessi profumi… quelli di allora, i suoi. Profumo di sogni, caffè, risate e segreti. Profumo di alcol e fumo, di amore e paura.

Profumo di casa, di sicurezza, di certezza.

Come se niente fosse cambiato.

Fremette, rigirandosi fra le lenzuola e lasciando che lo sguardo si perdesse sul soffitto: come poteva fingere che niente fosse cambiato quando la prova tangente che non era così si trovava appena fuori quella porta?

Ah, Lello, Lello… cosa diavolo mi combini?

Non senza difficoltà si mise a sedere, togliendosi le scarpe e restando a piedi scalzi: quando poggiò i piedi sul pavimento, su quel parquet che le era sempre piaciuto da impazzire, avvertì finalmente il freddo. Non si era resa conto di quanto fosse bassa la temperatura in casa, troppo sconcertata da ciò in cui si era appena cacciata.

In punta di piedi arrivò fino alla finestre e la socchiuse appena, lasciando comunque aperto uno spiraglio.

Poi sgattaiolò fuori dalla stanza, raggiungendo quella di Lello: non accese la luce, si limitò ad aspettare fino a che gli occhi non si abituarono all’oscurità. E lo vide: raggomitolato sotto le coperte, solo i capelli visibili, sparsi sul cuscino. Sentì una stretta al cuore, l’impulso fortissimo di correre da lui che l’assaliva: il desiderio assurdo di saltare sul letto, stendersi al suo fianco e stringerlo a sé, avvolgendolo fra le braccia, sussurrandogli parole di conforto… voleva solo riprenderlo con sé e non lasciarlo più andare.

In punta di piedi, silenziosa come era entrata, uscì. Si chiuse la porta alle spalle e strofinò le mani, espirando.

E ora?

 

 

- Pronto? -

- Ginevra? – chiese la voce, esitante – Sei… sei tutta intera? –

- Intera, sì. Distrutta, anche – rispose la ragazza, sospirando mentre poggiava la schiena al frigorifero, uno straccio stretto in mano e un rivolo di sudore che le scendeva lungo la tempia – Questa casa era un macello

- Un macello? – borbottò la voce, recuperando un briciolo di vigore – Quindi… quindi sei entrata? Ti… ti ha vista? Come… come sta? Non… -

- Amy, calmati – sussurrò Ginevra, rilassata – Va tutto bene, okay. Lo aggiusto io, ricordi? –

Una risata raggiunse l’orecchio di Ginevra. Una risata sollevata, con ancora un fondo di isteria.

- Non riesco a crederci -

- Credici, invece. Sono entrata e lui mi ha vista. Ora… ora ti racconto, dai –

Prese un bel respiro e si lasciò scivolare sulla sedia più vicina, sempre attenta a non fare troppo rumore, sempre attenta a non alzare troppo la voce. Camminava in punta di piedi, sempre.

- Gli ho detto che mi fermo qui per qualche giorno -

- E lui? Non ha detto niente, era d’accordo?!

- No. No, non era d’accordo. Ma… mi è sembrato che non avesse nemmeno la forza di discutere. Ci è voluto poco, alla fine: mi sono sistemata di nuovo nella vecchia stanza, ma mi sarebbe andato bene anche il divano. Lui… non lo riconoscevo quasi, sai? Non credevo stesse così… così. Mi sono spaventata –

Amanda non disse niente, il senso di amarezza che tornava a farsi sentire. La preoccupazione sorda che lenta la assaliva di nuovo, rischiando di annientarla.

- Non è più lui, te lo avevo detto – si limitò a ribadire, la voce atona.

- Lo so, lo so. Solo non riuscivo a crederci, ecco tutto. Non è… Lello. Ha la barba, mio Dio! Non si è mai, dico mai, fatto crescere la barba e ora ne ha una che basterebbe a tenerlo al caldo per tutto l’inverno. E i capelli… da quant’è che non li taglia, porca miseria? No, aspetta, da quanto non li pettina?! E la casa, Amy! –

- Te lo avevo detto – la interruppe l’altra, il tono duro che ricordava quello del fratello – Ti avevo detto che non sapevo più che fare, come comportarmi. Ho… ho cominciato a temere il peggio. Tu… tu non sai quello che è successo. E’ stato terribile, ho avuto paura… ho ancora paura che lui non riesca a superarlo e… -

- Non voglio saperlo, Amy –

Amanda si bloccò, presa in contropiede. Le parole che le morivano in gola.

- Non voglio saperlo da te – chiarì Ginevra – Quando e se vorrà raccontarmi cosa è successo per ridurlo così, dovrà essere lui a farlo. Solo lui. Non ho il diritto di sentirlo da te, mi dispiace. Non dopo un’assenza di cinque anni. Tutto quello che mi serve sapere è che sta male e basta uno sguardo per capirlo. Tutto il resto viene dopo. E sta a lui. Solo a lui -

- Va bene –

- Ora. Vuoi sentire cosa ho fatto, sì o no? – sorrise Ginevra, guardandosi attorno con soddisfazione.

- Certo. Lo hai convinto a farsi una doccia? –

- Oh, no, no. Magari. Non faccio miracoli, sai? Lui si è chiuso in camera e sepolto sotto le coperte. Io però mi sono data da fare – ghignò la ragazza – Ho finalmente aperto le finestre, si respira Amy, renditi conto! Ho lavato per terra e spolverato ovunque: non puoi immaginare lo strato di sporco che ho dovuto togliere solo per arrivare a vedere le superfici originarie! E ho messo a cuocere un sugo, anche se ho i miei dubbi che ne uscirà qualcosa di decente… - tentennò un attimo, indecisa, poi prese coraggio - … il frigorifero era vuoto, Amy –

- Lo so –

- E…? Che faceva, Amy? Si stava lasciando morire di fame? –

- Gli portavo io qualcosa – borbottò la ragazza – E restavo con lui finché non mi assicuravo che avesse mandato giù almeno qualche boccone. Poi… quando non mi ha più voluto far entrare ho… -

La voce di Amanda aveva cominciato a tremare.

- Hai chiamato me. Va bene. Va bene così, Amy -

- Lo aggiusti tu – sussurrò quella in risposta, cercando di convincersi della cosa, per poi provare a tornare su un tono più allegro – Ma non stai morendo di freddo con tutte le finestre aperte? –

- Sì, in effetti sì – rispose Ginevra, alzandosi con un certo sforzo – Ora le chiudo e cerco di far funzionare questo dannato riscaldamento. Poi mi faccio coraggio e torno nella tana dell’orso

Amanda accennò una risatina non troppo convinta, ringraziandola ancora e ancora, facendosi promettere altre chiamate e mandandole un enorme, stritolante abbraccio. Ginevra sorrideva quando chiuse la telefonata.

Un sorriso stanco, certo, ma pur sempre un sorriso. Le era sempre stata simpatica quel folletto.

Fece un rapido giro dell’appartamento e chiuse tutte le finestre, lasciando aperte le persiane.

Diede una rapida controllata al sugo e poi tornò in salotto, inginocchiandosi di fianco al centro di controllo del riscaldamento: era un aggeggio che detestava. Fissò la centralina, scorrendo i vari tasti, e scosse il capo.

Girò la manopola dell’aria calda, quindi alzò la temperatura intorno ai 22°C. E aspettò.

Aspettò di sentire quel particolare rumore, come di un jumbo che si appresta a partire, che palesava l’avvio riuscito del riscaldamento. Tese le orecchie, impaziente, ma non sentì niente. Si sollevò sui talloni, incerta.

Che avesse sbagliato qualcosa? Imprecò a denti stretti, nervosa, lanciando un’occhiata malevola in direzione del corridoio: come diavolo faceva Lello a farlo funzionare? Si lambiccò il cervello, cercando di ricordare… e poi sentì un leggero fruscio provenire dalla conduttura. Assottigliò lo sguardo, pregando di esserselo immaginato.

Non poteva essere.

Sollevò il coperchio e, quasi senza respirare, si piegò per guardarvi meglio all’interno: fu con estremo sollievo che non vide assolutamente niente. Arretrò, una risatina che le sfuggiva dalle labbra: si era preoccupata senza motivo. Figurarsi poi se dopo anni andava ancora a dormire…

E il serpente strisciò fuori dalla conduttura.

- Lello! –

Non riuscì a trattenere l’urlo, isterica.

Fissava le lunghe spire del serpente che avanzava verso di lei e si sentiva assalire dalla rabbia, incredula.

Quel dannatissimo serpente era ancora vivo! Ma che cazzo, non ce l’aveva una data di scadenza?!

- Lello! Vieni subito qui! – strillò ancora, mentre il serpente le si avvicinava sempre di più, sibilando piano.

Ginevra ignorò il sibilo del serpente, ignorò il fatto che il riscaldamento avesse cominciato a funzionare.

- Lello, dannazione! – sbraitò nell’istante stesso in cui il rettile le si arrampicò sulle gambe – Lo so che mi senti, bruttissimo bastardo! Vieni immediatamente qui, mi hai capito! Ora! -

Respirò con affanno, le spire dell’animale che ormai erano arrivate fino al suo collo, avvolgendole il collo.

- Lello, vieni – piagnucolò, le membra che le si irrigidivano – Toglimi il tuo stupidissimo serpente di dosso, ti prego. Lo sai che non l’ho mai sopportato. E dire che quasi me l’ero aspettato di vederlo uscire dalle cond… -

Si zittì di colpo.

Fu questione di istanti: pochi attimi e non sentì più il peso del rettile su di sé.

Si voltò, sorpresa, e si trovò faccia a faccia con Lello:

- Oh – riuscì solo a balbettare – Grazie -

Lui non mosse un muscolo, il serpente che placidamente gli si accomodava addosso: lo avvolse in quello che a Ginevra sembrò tanto un amorevole abbraccio, poggiandogli il capo sulla spalla. Gli occhi dell’animale erano fissi in quelli della ragazza, ironici. E Ginevra arretrò di un passo.

- E’ ancora vivo – affermò, ricambiando lo sguardo del serpente con odio.

- E’ sopravvissuto a tutti i tuoi attentati, non vedo perché avrebbe dovuto morire proprio quando non c’eri –

Ginevra aggrottò la fronte, senza sapere se a sorprenderla fosse stata più la risposta in sé o la velocità con cui le era stata data. Arricciò le labbra, risentita, alternando lo sguardo da rettile a padrone:

- Mi stava per uccidere – sibilò – Non avevamo detto che lo avresti regalato a uno zoo? E’ troppo lungo, per la miseria! E ti guarda in quel modo strano, inquietante… e ti viene alle spalle, quando meno te lo aspetti, e poi io non lo sopporto questo dannatissimo serpente, okay? Mi mette i brividi! E… -

Il serpente cacciò la lingua, sibilando in direzione della ragazza, troncandole di netto tutte le parole.

- Ti sta salutando -

Ginevra sgranò gli occhi, incrociando le braccia sul petto. Dannato rettile.

- Ricambia il saluto, Gin -

Roteò gli occhi, sbuffando piano.

- Ciao, Biss -

Lello annuì, solo una volta. Si girò, il serpente sempre sulle spalle, e strascicò i piedi lungo il corridoio. Lei lo guardò, incapace di dire altro, limitandosi a guardarli mentre sparivano entrambi un’altra volta, andandosi a rinchiudere nella stanza del ragazzo.  Sentì il rumore della porta che si chiudeva.

Rilassò le spalle, chiudendo gli occhi.

Doveva ucciderlo quel serpente.

§

 

 

 

* risorge dalle tenebre *

Non sono morta, avete visto? Ancora viva, vegeta… sopravvissuta all’esame di stato! ^-^

A scanso di equivoci: mi sono data un bel po’ da fare con lo scrivere u.u

Ho qualcosa come tre e più capitoli pronti per ogni storia ancora in sospeso, quindi: non disperate!

Detto ciò, non so quanti di voi ancora si ricordano di me .___.

Per quelli che straordinariamente ancora lo fanno, alle recensioni risponderò presto! Mano sul cuore <3

Un saluto enorme a tutti e un abbraccione,

Sara

 

P.s. ricordo sempre, a scanso di equivoci, il gruppo: Tutto fuorché uno sbaglio

      Come sempre, siete i benvenuti *-*

 

   
 
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