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Autore: miseichan    24/09/2012    2 recensioni
- Fallo! – inveì la ragazza, sbattendo violentemente un piede sul selciato umido – Forza! Premi quel dannato grilletto! – continuò a gridare, imperterrita.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Palpatine

 

 

Nel cuore della notte

 

 

 

- Che stai facendo? -

- Gigì! – esclamò Luca, perforandole il timpano – Finalmente! Continuavo a fissare il telefono! Non sapevo se chiamarti oppure no: temevo sempre di sbagliare momento e… -

- Scusa – mormorò lei, interrompendolo – Dovevo chiamarti prima, ma mi sono fermata solo adesso –

- Che stavi facendo? –

- Pulendo, cucinando, strillando – elencò – Le solite cose, insomma –

- Com’è la situazione? – s’informò Luca, abbassando la voce – Sta messo davvero tanto male? –

Ginevra tentennò, senza riuscire a scegliere le parole. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Che sì, Lello davvero stava messo tanto male? Ma proprio tanto, tanto, tanto. Che lei non aveva idea di come comportarsi?

- No – mentì – Ha solo bisogno di qualcuno che si prenda un po’ cura di lui -

- Non è un bambino, Gigì –

- In questo momento sì. A stento lo riconoscevo, Lu. Barba lunga, occhiaie… non sembrava Lello

- Quanto hai intenzione di restare lì, quindi? –

- Il tempo necessario –

Luca sospirò, avvertendo il tono irritato della ragazza: aveva sbagliato domanda. Si morse il labbro, inveendo mentalmente. Con voce più pacata, cercò di porre rapidamente rimedio:

- Non posso resistere a lungo senza di te, lo sai? -

Ginevra sorrise, stringendosi le gambe al petto e accoccolandosi meglio sul divano:

- Non mi hai più risposto – disse – Che stai facendo? -

- Zapping –

- Hai cenato? –

- Ancora no. Stavo decidendo se ordinare una pizza o ripiegare su una scorpacciata di gelato. Tu? –

Ginevra scosse il capo, mugugnando una risposta negativa: lanciò un’occhiata al sugo ormai pronto e subito dopo al corridoio. Sentì lo sconforto assalirla nuovamente e ringraziò silenziosamente che Luca fosse lì, al telefono con lei:

- Cercavo la forza di alzarmi dal divano per andare a chiamare Lello -

- Ti ha accolto bene, almeno? –

- Certo – rispose lei, decidendo di omettere la pistola che le aveva puntato contro.

- Va bene – sospirò Luca, fingendo un tono più sollevato e accomodante – Non stare via troppo, però, mi raccomando. Ti rivoglio qui, Gigì. Mi sento solo, altrimenti –

- Hai la televisione – ridacchiò lei – Sopravvivrai –

- Lo so. Non voglio sopravvivere con la televisione, però. Voglio vivere con te –

Ginevra reclinò il capo all’indietro, sorridendo a occhi chiusi: lo odiava quando se ne usciva con frasi di quel genere. Lo odiava perché riusciva sempre a colpirla proprio lì, nel profondo.

- Cretino – borbottò – Ordina la pizza e fai il buono -

- Sarà fatto – ridacchiò Luca – Fatti sentire domani, va bene? Non farmi stare in ansia –

- Domani mattina, promesso –

- Buona notte, Gigì –

 

 

- Posso? -

Schiuse la porta, aspettando che gli occhi si abituassero all’oscurità. Era soffocante.

Il buio, il chiuso… soffocante.

- Lello? – chiamò piano, solo un bisbiglio.

Riusciva a scorgerlo adesso: sempre sepolto sotto le coperte, immobile. Se ne stava lì, senza dar segno di vita.

- Ho messo l’acqua per la pasta – sussurrò Ginevra, guardandosi attorno con circospezione: non riusciva ad individuare quel dannatissimo serpente. Dove si era andato a rintanare, adesso?

Mosse un passo in direzione del letto, solo uno. Allungò la mano come a voler toccare le coperte, ma si fermò subito, incapace. Non ci riusciva. Non poteva.

- Vattene -

La mano ancora sporta verso il letto, sussultò, rischiando di perdere l’equilibrio.

- Io… - balbettò, incrociando le braccia al petto – Non ti va la pasta? Preferisci la pizza? Posso ordinarla, sai. O il cinese, non so. C’è sempre quel ristorantino adorabile, dopo l’incrocio? -

- Non ho fame, Gin –

La voce già normalmente rauca di Lello, da sotto le coperte giungeva ancora più attutita.

- Io sì, però – fece lei – Non vorrai lasciarmi mangiare da sola, vero? Lo sai che non mi è mai piaciuto: è triste, okay? Vieni a farmi compagnia, almeno. Ti siedi al tavolo con me e… -

- Sarà come se non ci fossi – grugnì il ragazzo – Hai detto così. Come se non ci fossi –

Ginevra fremette, cercando con tutta se stessa di impedire all’angoscia di avere il sopravvento su di lei. Non doveva dargliela vinta, per nulla al mondo. Doveva essere lei quella forte, forte per entrambi.

- E invece ci sono! – sbottò – Lo sai che dico un sacco di scemenze, Lello, non sono cambiata. Ci sono e non voglio cenare da sola. Alzati -

- No –

Assottigliò lo sguardo, l’impressione sempre più forte che l’aria cominciasse a mancarle.

- Alzati – ripeté – Vieni a farmi compagnia, dai -

- No –

Ginevra gemette, massaggiandosi le tempie con le dita. Un bambino, ho a che fare con un bambino. Guardò le coperte e strinse le labbra, prendendo una decisione improvvisa. Un bambino, eh?

- Non fare i capricci! – borbottò, stringendo saldamente le dita sulle coperte e tirandole via.

Lo aveva fatto con un gesto fulmineo; e subito dopo scattò all’indietro, orripilata. Un grido le era salito alle labbra, irrefrenabile:

- Oh, ma che schifo! – eruppe – Dormi con il serpente, Lello?! Con il serpente?! -

A fissarla erano due paia d’occhi: uno nero e uno giallo. Entrambi irati, temibili e minacciosi. La guardavano, palesemente infastiditi dalla sua presenza. Ginevra scuoteva il capo, incredula e schifata:

- Come, come si fa a dormire con un serpente? – continuava a borbottare – Non è freddo? E viscido? Oh mio Dio, non riesco a crederci… toglilo, dai. Allontanalo –

Lello non mosse un muscolo, girando il viso dall’altra parte. Il rettile continuava a squadrarla, gli occhi gialli che sembravano animati da una luce di aspettativa. Ginevra rabbrividì mentre strisciava via.

Quando si fu allontanato sospirò, ancora scossa. Se ne era andato da solo, realizzò dopo poco: bravo, Biss.

Senza più la presenza del serpente a intralciarla, si piegò su Lello e lo attirò con forza a sé, ignorando il suo sguardo omicida. Le dita strette sul maglione del ragazzo, lo buttò giù dal letto:

- Vieni a cenare con me -

Lello a stento si reggeva in piedi, le gambe che non riuscivano nemmeno a sopportare il peso del suo corpo. La guardò come se la vedesse per la prima volta.

- Ho detto che non ho fame – biascicò dopo poco, facendo per ricadere sul letto.

Ginevra lo placcò giusto in tempo, bloccandolo con il braccio:

- Dai, Lello – pregò – Vieni a farmi compagnia, almeno. Che ti costa? Posso anche parlare solo io, no? Tu devi solo stare lì, seduto. Presenza fisica ecco tutto -

- No, Gin, no! – sbottò il ragazzo, spaventandola – Perché non capisci un no?! Non ho fame, è così difficile da capire?! Non mi va di uscire dal letto, non mi va di lasciare la mia stanza! Non voglio farti compagnia! –

Ginevra arretrò, guardandolo con due occhioni enormi, feriti. Non era preparata alla sfuriata, ecco tutto.

Non se l’aspettava.

I bambini non ti gridano contro, ecco. I bambini ubbidiscono.

- Va bene – mormorò, abbassando il capo – Scusami –

Uscì dalla stanza senza guardarsi indietro. A passo veloce raggiunse la cucina, appoggiandosi al ripiano dei fornelli e riprendendo finalmente a respirare; aveva i pensieri in subbuglio, l’espressione dura e scostante di lui che non smetteva di ripresentarsi davanti ai suoi occhi. Non erano state tanto le parole a ferirla, quanto il tono.

Aveva alzato la voce, Lello. Non lo faceva mai.

Era la prima volta che gridava con lei, la prima in assoluto. E l’aveva sconvolta.

Buttò la pasta e guardò l’ora, gesti automatici che non si rese realmente conto di star compiendo. Ogni tanto girava il mestolo, lanciando occhiate alla tavola apparecchiata per due: la mente, però, era sempre altrove.

Sempre in quella stanza, mentre le urla di Lello le rimbombavano nelle orecchie. Assurde, inconcepibili.

Sbagliate.

Continuò a muoversi davanti ai fornelli senza essere davvero in sé: la pasta nel piatto, il sugo sulla pasta, una spolverata di parmigiano; quando si girò, ormai pronta, il piatto quasi non le scivolò dalle mani.

Lello era seduto al suo posto, le braccia incrociate sul tavolo, e la guardava in silenzio.

Non lo aveva sentito arrivare: lo fissò senza riuscire a camuffare lo sbalordimento; si sedette, rigida, posando il fazzoletto sulle gambe. Serrò le dita attorno alla forchetta e addentò il primo maccherone. Muta.

Quando sollevò lo sguardo, incontrò gli occhi di Lello: avrebbe giurato di vederci passare un lampo divertito, ironico quasi. Lo vide sporgersi verso di lei, annusando l’aria. Poi riabbassò lo sguardo e tornò a mangiare.

- Ha un buon odore -

Si impose di non sollevare il viso, il cuore che aumentava i battiti.

- Grazie – si limitò a rispondere, tesa, la voce controllata. Senza guardarlo si versò un bicchiere d’acqua, pieno fino all’orlo. Stava per chiudere la bottiglia quando la grande mano di lui entrò nel suo campo visivo, avvicinandole il suo bicchiere: lo riempì, velocemente, e poi tornò a fissare il piatto.

Lo sentì bere, i loro respiri unici rumori nella cucina silenziosa.

Avrebbe voluto sollevare lo sguardo, avere il coraggio di incontrare di nuovo gli occhi di lui… solo per poter ritrovare il Lello che conosceva. Ogni volta che era sul punto di farlo, però, sentiva la voce del ragazzo alzarsi.

Serrò la mano sinistra attorno al coltello, frustrata.

E fu in quel momento che sentì la mano di Lello. La grande, fredda mano di Lello: avvolse la sua, facendole liberare il coltello; gliela fece poggiare sul tavolo, le dita distese, e ci poggiò sopra la propria, coprendola tutta.

Ginevra guardò le loro mani e sospirò, un peso che la abbandonava.

- Sono riuscita ad accendere il riscaldamento – mormorò Ginevra, lo sguardo sempre fisso nello stesso punto del tavolo: lì, dove la sua mano spariva sotto quella di Lello.

- Adesso posso camminare a piedi scalzi tranquillamente – continuò, lasciando che la propria voce riempisse la cucina, scaldandola. Ravvivandola.

- Sai cos’è successo l’altro giorno? – fece ancora, rilassandosi un po’ di più a ogni parola – Ero in fila alla cassa, in libreria, e davanti a me c’era uno sui trenta: un figo pazzesco, per farla breve. Comunque, la cassiera se la prendeva comoda, così avevo tutto il tempo di starmene là, buona, a fissare il didietro di questo tipo

Sorrise, mandando giù un altro boccone, gli occhi che di tanto in tanto si sollevavano a incontrare quelli di lui. Sembrava che la tensione si andasse alleggerendo, un po’ alla volta, lentamente.

- Un sedere da dieci e lode, ti assicuro. Ed ero lì tranquilla che me lo rimiravo, quando due ragazzini che si stavano rincorrendo mi urtano, spingendomi in avanti: vado a sbattere contro il tipo. Assurdo. Gli palpo il culo, capisci? Non volontariamente, eh -

Ridacchiò, bevendo un sorso d’acqua, la vaga impressione di star tornando indietro nel tempo: a qualche anno prima, quando chiacchierate come quelle erano all’ordine del giorno, normali.

A quando quelle chiacchierate, però, non erano a senso unico.

- Oddio, non che non ci avessi pensato… ma erano fantasie, no? E invece per colpa di quei marmocchi sono finita giusto con le mani sulle sue chiappe

Masticò per qualche attimo in silenzio, come se stesse riflettendo su qualcosa.

- Mmh – mugugnò, assorta – Forse dovrei dire grazie a loro, sai? Sì, perché quel sedere da dieci e lode non era bello solo da guardare -

Sogghignò, scuotendo il capo. La pasta era quasi finita.

- Solo io sono capace di fare queste figure da niente, Lello – sussurrò – Non puoi immaginare la faccia che ha fatto il tipo, completamente persa! Si è girato e mi ha fissato con due occhi enormi, spalancati. Non riusciva a crederci, poverino… come se poi fosse la prima volta che qualcuno glielo tastava a dovere! -

Ginevra fissò il piatto vuoto e aggrottò le sopracciglia, sorpresa: non si era nemmeno accorta di star ancora mangiando, troppo distratta dal suo monologo. Troppo impegnata nello sperare che Lello la interrompesse, o le rispondesse, o commentasse: un qualsiasi segno, insomma, che le ricordasse che lui era davvero lì con lei.

Un segno che fosse vivo.

- Mi sono scusata, comunque, spiegandogli l’inconveniente. Lui non mi è sembrato troppo convinto, però… e non aveva tutti i torti, devo dire. Potrei aver indugiato un po’ più del necessario sulle sue chiappe, sai com’è. Mi sono detta: già che ci sono, perché avere fretta? -

La storiella era finita. Stava già cercandone un’altra da raccontare: qualcosa di così divertente che forse lo avrebbe smosso, facendolo ridere, quando sentì la stretta della sua mano aumentare. Abbassò lo sguardo, come per accertarsene: la mano di Lello ricopriva ancora la sua, avvolgendola tutta. E stringeva. Affettuosa.

Sollevò lo sguardo, fermandolo negli occhi scuri del ragazzo: e fu sicura, questa volta, di vederli addolcirsi.

Solo un pochino, solo un istante. Prima di alzarsi e andare via, verso il buio.

Erano le sue scuse, quelle. Una promessa silenziosa.

Non avrebbe più alzato la voce.

 

 

Faticava a riprendere sonno, Ginevra.

Si era svegliata di soprassalto, senza sapere come mai. E da più di dieci minuti non faceva altro che girarsi e rigirarsi nel letto, il lenzuolo che le si avvolgeva attorno. La casa era avvolta nel silenzio, completamente buia.

Aveva teso l’orecchio, aspettandosi di cogliere qualche rumore, ma niente.

Che rumore doveva poi esserci alle tre di notte, eh?

Nel cuore della notte.

Passarono altri dieci minuti, un po’ alla volta si calmò: smise di agitarsi, il viso che affondava nel cuscino.

Stava per cedere di nuovo al sonno, i sensi già smorzati e gli occhi chiusi, quando percepì quel qualcosa che non si aspettava più di sentire: un rumore, alle tre di notte. Un rumore che proveniva dalla camera di Lello.

Si districò dalle lenzuola, allontanando le coperte, e scivolò giù dal letto: percorse il corridoio, al buio, senza accendere alcuna luce. In punta di piedi, silenziosa. Quando arrivò davanti alla porta di Lello la vide socchiusa, stava per sporgersi a sbirciare, ma un sibilo la bloccò. Ginevra pietrificò, fissando sconcertata il serpente ai suoi piedi: i due occhi gialli la guardavano, insondabili; poi il rettile voltò il capo, sibilando sottovoce, quando dalla camera provennero altri rumori, più forti, consecutivi. Sembrò invitarla a sbirciare, infilando anch’egli la testa nella piccola fessura per guardare. Ginevra non si fece pregare.

Si piegò in avanti, attenta a non sfiorare il serpente, e spiò attraverso la porta socchiusa.

Gli occhi le si erano già abituati al buio, perciò non fu difficile inquadrare Lello: in piedi, davanti all’armadio. Fissava un completo appeso all’anta: una divisa da poliziotto. Aveva il fiatone, le mani chiuse a pugno.

E ben presto Ginevra capì come mai.

Lo vide arretrare di un passo e poi scagliarsi contro l’armadio, contro la divisa: colpiva, colpiva alla cieca.

Con rabbia, furia, disperazione. Colpiva. Un pugno, due. E poi calci, uno dopo l’altro, in rapida successione. Non sembrava avvertire dolore, totalmente assorto.

Il respiro si faceva sempre più sconnesso, sempre più difficile. Ansante.

Eppure non si fermava.

Al massimo si interrompeva per qualche istante, come prima, e poi tornava alla carica: più deciso e spietato di quanto non fosse stato in precedenza.

Ginevra arretrò, la mano che le copriva la bocca.

Non sapeva come affrontarla, una situazione del genere. Non sapeva se entrare oppure no. Se sgusciare nella stanza e provare a fermarlo fosse o meno una buona idea: e se avesse solo peggiorato tutto, attirando la rabbia del ragazzo contro di sé? Abbassò lo sguardo, combattuta, e incontrò di nuovo gli occhi gialli del serpente.

La fissavano, ancora insondabili.

- Perché non ci pensi tu, Biss? – si ritrovò a bisbigliare – Tu lo conosci, sai cosa fare… -

Si sentì una mentecatta, pronunciando quella richiesta d’aiuto.

Stava chiedendo l’appoggio di un serpente.

Sospirò, smarrita, facendo per muovere un passo malfermo in direzione della porta. Biss le sbarrò la strada, rapido, strisciandole davanti ed entrando nella camera di Lello. Lei sgranò gli occhi, basita, e osservò.

Il serpente strisciò fino al ragazzo, silenzioso. Letale.

Incurante dei calci che lui continuava a tirare, cominciò piano ad arrampicarsi lungo le sue gambe: le avvolse e continuò a salire, arrivando fino al collo. Lieve, rassicurante. Poggiò il capo sulla spalla di Lello come lei gli aveva già visto fare, innumerevoli volte. Lo aveva avvolto tutto: fermandogli le gambe e le braccia.

Salvandolo da se stesso.

 

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