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Autore: RossaPrimavera    30/07/2012    4 recensioni
“Non avvicinarti, non toccarmi… Questa è una cosa che devo fare da solo"
“Ti sbagli, sai che puoi ordinami tutto ciò che ritieni opportuno, Mio Signore. Io sono il tuo Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto”
Dal 1942. Il fiorire della giovinezza, dove un adolescente prende coscienza di chi è, e soprattutto, di ciò che è capace di fare.
Gli anni in cui la rabbia e l’ambizione di Tom Orvoloson Riddle divampano come fiamme, delineando un futuro di distruzione. Quegli anni di cui nessuno ha mai voluto parlare.
Eppure qualcuno c’era: qualcuno che conosceva, qualcuno che partecipava, qualcuno che lo accompagnava in ogni sua impresa. Qualcuno che ha eseguito più dei suoi ordini, occupando un ruolo che Lord Voldemort non ha mai più lasciato libero. Qualcuno che era più di una serva, e più di un' amante.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Un Pugno di Ferro, in un Guanto di Velluto
di Elle H.




CAPITOLO QUINTO
Uccidere un Usignolo

 
 

“Patriotic to the promised land
Of never-waking dream
Nightquest a quest not for the past
But for tomorrow to make it last
Simply the best way to walk this life

 
Patriottico verso la terra promessa
Di un sogno eterno
Notturna ricerca non del passato
Ma del domani perché possa durare
Semplicemente la via migliore
per camminare in questa vita”

[Nightquest, Nightwish]

 

“Pearl mi sembra piuttosto pallida in questi giorni” sentenziò Schneizel, la fronte aggrottata e le labbra mosse da un continuo movimento rimuginante.
Interrogò con uno sguardo il suo interlocutore, ricevendo come risposta soltanto un suono meditativo.
“Tu non ne sei preoccupato?”
“Schneizel, cosa vuoi che ti dica? Metà degli abitanti di questo castello sono fin troppo pallidi in questo periodo, casomai tu non l’avessi notato” replicò il fratello minore.
“Lo so bene, ma lei nasconde di certo qualcosa… Quando le pongo delle domande sugli attacchi, sai così en passant, lei evita sempre di rispondermi!”
“E ti stupisci pure? Andiamo, nessuna delle tue domande è mai en passant. Pearl ha solo paura come chiunque altro” concluse il ragazzino, quasi seccato.
Per i suoi tredici anni e mezzo, Barron Ballantyne dimostrava una maturità e una capacità di giudizio del tutto inusuali.
I suoi limpidi occhi azzurri, ereditati dal padre, erano in perenne movimento, vigili e attenti a  tutto ciò che lo circondava. Intelligente e solerte nello studio com’era, creativo e capace di ricavare il tutto dal nulla, Corvonero era la casa che gli spettava di diritto.
Il suo carattere era sempre stato molto più simile a quello della sorella che al fratello maggiore, ma era ormai un periodo a quella parte che faticava ad intavolare con lei anche un minimo accenno di dialogo.
Un dettaglio che aveva avuto il potere di preoccuparlo, ma che preferiva ampiamente tenere per se stesso: era più che consapevole dell’astio di Schneizel nei confronti della casa cui Pearl apparteneva, e come volevasi dimostrare…
“No mi spiace, qui c’è qualcosa che non mi torna. E’ da quando ha stretto rapporti con quel Riddle che non è più la stessa. Sai che li ho visti uscire insieme alla festa di Halloween, e non promettevano nulla di buono!” esordì nuovamente, il tono di voce che assumeva una sgradevole connotazione petulante.
Barron non poté fare a meno di lasciarsi scappare uno sbuffo profondamente annoiato.
“Ancora con questa storia? Ma lascia perdere, Pearl è abbastanza grande per capire da sola come sono fatte le persone che frequenta” lo consigliò con tono stanco, tentando di tagliare corto.
Schneizel aveva tutta l’aria di voler ribattere qualcosa di feroce, ma un suono decisamente più forte si levò in tutto il castello, coprendo totalmente il vociare degli studenti ancora nei corridoi.
Il cielo al di fuori delle finestre segnalava il tramonto con ampie pennellate rossastre, e l’avvicinarsi della sera poteva voler dire soltanto una cosa.
“A tutti gli studenti, siete pregati di recarvi immediatamente in Sala Grande per la cena. Ripeto, a tutti gli studenti, nessuno escluso. Vi resterete come sempre sino al termine della cena, finché i Direttori delle vostre rispettive case non vi riaccompagneranno in Sala Comune”
L’annuncio si concluse con tono grave e roboante, la voce magicamente amplificata del preside Dippet che trasudava chiaramente preoccupazione.
Gli studenti si mossero tra loro nervosi, accalcandosi gli uni sugli altri colti da una fretta irrefrenabile e finendo per creare notevoli ingorghi sulle scale.
Perché da quando quegli strani attacchi agli studenti avevano iniziato a verificarsi con eccessiva frequenza, Hogwarts sembrava essere piombata in un regime militare.
Gli alunni venivano ormai scortati tra una lezione e l’altra da insegnanti spesso sull’orlo di una crisi nervosa, pronti ad abbaiare ordini non appena qualcuno osava distanziarsi dal gruppo.
I corridoi, la biblioteca e gli altri luoghi d’incontro erano ormai perennemente deserti, e anzi evitati come la peggior epidemia di vaiolo di drago.
Da un mese a quella parte, la vita dentro Hogwarts era divenuta in definitiva molto difficile, riducendo sino a rendere impossibile il dialogo tra gli studenti delle diverse case, proprio come quello tra i fratelli Ballantyne.
Non era raro incontrare visi pallidi, scontenti e dall’espressione spaurita, ma tutto ciò era una conseguenza inevitabile: le aggressioni verificatisi si potevano ormai contare sulle dita di due mani.
Ben nove, tutte nel mese di maggio.
Si trattava per ora di cinque ragazzi, e quattro ragazze: occupavano un’area dell’infermeria esclusivamente riservata a loro.
Giacevano immobili e scomposti, con gli occhi spalancati e gli arti paralizzati in strane posizioni, chiaramente pietrificati da qualcosa di ben più forte di un solo incantesimo.
Si trattava di una magia oscura e potente, antica quanto la paura stessa, e mago o creatura che fosse ad averli resi così, sembrava del tutto intenzionata a perseverare nel suo intento.
Perché da quando erano apparse le scritte sui muri, le voci nella scuola non facevano che rincorrersi, sempre più esagerate e spaventose, e a quanto pare incredibilmente veritiere.
Ormai era noto a tutti che non vi fosse alcun legame tra gli studenti colpiti, eccetto un’unica, inquietante analogia: erano tutti definibili con lo status di mezzosangue.
Le scritte sulle mura del castello, realizzate con uno spiacevole colore sanguigno, sembravano sputare a chiare lettere la loro sentenza: “Temete nemici dell’Erede”
Certo, l’idea che un qualche discendente di Serpeverde fosse deciso a sbarazzarsi di tutti i mezzosangue e i nati babbani presenti ad Hogwarts era ridicola, ma tuttavia gettava attorno a sé un certo scompiglio, poiché richiamava alla mente antiche leggende, ruderi di un antico passato risalente alla nascita del castello stesso.
“Schneizel, tu ci credi alla storia della Camera dei Segreti?” chiese il fratello minore, unendosi a lui nel flusso di studenti intento a raggiungere la Sala Grande.
“Sinceramente non saprei, ma all'infuor di dubbio preferisco tenermi il più lontano possibile dai Serpeverde.
Ma tu piuttosto, Pearl? Credi all’esistenza della Camera?” aggiunse improvvisamente con uno spiccato interesse, non appena riuscì ad individuare la sorella nella folla, poco distante da loro.
Anche quella sera Pearl sembrò ad entrambi incredibilmente pallida, il viso smunto segnato dall’ombra di occhiaie scure; alle sue spalle, fin troppo vicino per i gusti del fratello maggiore, vi era l’onnipresente Tom Riddle.
La ragazza si limitò a scrollare le spalle, liquidando la sua domanda con indifferenza.
“Non saprei, preferisco non avere voce in capitolo”
“Ma come, detto da una Serpeverde suona veramente strano... Dovresti senz’altro essere a conoscenza di qualcosa che a noi sfugge, non trovi?” continuò imperterrito, ma fu bloccato da un’occhiata ferrea e decisa di Barron.
“Ehi, cerca di darci un taglio, d'accordo?” proruppe sbrigativo, osservandolo senza dispiacere allontanarsi irritato.
“Lascialo perdere Pearl, è solo nervoso. Al contrario di te, mi sembri stanca… sei sicura di stare bene?” chiese apprensivo, trovandosi spiacevolmente d’accordo col fratello nell’individuare un aspetto malsano su di lei.
La giovane gli rivolse un sorriso tenue, scompigliandogli i capelli scuri identici ai suoi.
“Ma certo, sono solo un po’ in ansia per gli ultimi GUFO… Sai, svolgerli con questo clima non è esattamente il massimo, dico bene?” disse, rivolgendo uno sguardo divertito allo studente al suo fianco.
A Barron non dispiaceva affatto Tom Riddle: ora che a sua volta faceva parte del piccolo, illuminato circolo di Lumacorno, riusciva ad incontrarlo spesso, ed ogni volta non poteva fare a meno di ammirarlo.
Lo trovava dignitoso e pieno di contegno, bello e affascinante senza tuttavia farne un vanto.
Gli sembrava in tutto e per tutto un modello da imitare, così taciturno e dedito agli studi.
Le sottili e oscure voci che circondavano la sua figura non lo toccavano, preferendo considerarle solo cattiverie.
Solitamente silenzioso, il giovane non poté fare a meno di stupirsi quando Riddle aprì bocca.
“Che cosa ha da correre quella ragazzina?”
La sua voce tradiva una leggera irritazione, i suoi occhi scuri seguivano una figuretta bassa e spettinata che si faceva strada nella folla a suon di gomitate e spintoni.
Barron alzò gli occhi al cielo.
“Oh, è solo Mirtilla, una del secondo anno; diciamo che non è proprio la più amata della nostra casa…
In ogni caso è mezzosangue, e da quando si sono verificati gli attacchi non fa altro che chiudersi in bagno a piangere” spiegò il ragazzo, tornando poi a rivolgersi alla sorella.
Intenti com’erano ad approfittare di quel ritaglio di tempo per scambiarsi qualche parola, nessuno dei due fratelli colse il lampo di compiacimento che passò negli occhi di Tom.
Il suo significato era chiaro quanto crudele: all'improvviso aveva intravisto una nuova opportunità da cogliere.

 

*******

 

“A quanto pare non tutto sta procedendo secondo i tuoi piani”
Iniziava ad avvertire la stanchezza, Pearl: anzi, a dire il vero si sentiva immensamente stanca.
Nonostante la sua effettiva bravura, gli esami appena conclusi non le avevano dato alcuna soddisfazione; in quel momento l'ultima cosa che l'interessava era dedicarsi ad analizzare le proprie aspettative future.
Era quell’opprimente atmosfera di ansia e terrore a sfiancarla, a farle ampiamente desiderare di fuggire il più lontano possibile da un luogo che, sino a pochi mesi prima, amava considerare casa.
Certo, era sicuramente preferibile la consapevolezza di non correre un reale pericolo.
Se non altro, i suoi pensieri erano esenti dalla preoccupazione per se stessa e le persone che le erano care.
Ma era conscia che una parte di lei, quella più corretta e coscienziosa, avrebbe largamente preferito il terrore per un pericolo imminente, piuttosto che quel lacerante senso di colpa che non la smetteva di darle tregua.
Trovava nauseante il proprio sollievo ogni volta che veniva a conoscenza del fallimento di un qualche attacco, e quasi ammirava la freddezza di Tom, la sua gelida capacità di giocare con le vite altrui come fossero pedine.
Un giorno questo qui, un'altro quello là...
E lei rimaneva lì, immobile: inutile complice, ma testimone essenziale, non era niente di più che l'ombra del proprio compagno.
“Taci, Pearl. E’ stata solo una questione di sfortuna”
“O fortuna, dipende dai punti di vista”
Era esasperata da quelle continue riunioni notturne, durante le quali il giovane si ostinava a renderla partecipe di ognuna delle sue macchinazioni; l'unico elemento positivo era la buia intimità della Sala Comune, giacché aveva categoricamente rifiutato di inoltrarsi anche solo un'altra volta nella Camera dei Segreti.
“Sono stati solo dei casi... Quei mezzosangue non hanno mai incontrato direttamente lo sguardo del basilisco, tutto qua!”
La sua voce, sempre così controllata, fremeva ora di collera, e Pearl decise di rincarare la dose.
“Beh, sino a prova contraria quei casi sono stati ben nove. Sei ancora sicuro che il tuo animaletto sia così efficiente?”
Provocarlo era la sua unica, piccola ed insignificante rivincita; ma non era stato così sin dall'inizio, non quando si era ritrovata a scongiurarlo di desistere dai suoi piani.
E questo lui pareva ricordarlo molto bene.
Tuttavia quella sera Tom non parve dare adito alle sue parole, e anzi si lasciò cadere sul divano con un morbido tonfo, gli occhi chiusi rivolti al soffitto.
La giovane quasi preferiva assistere a quei momenti di muta insoddisfazione, piuttosto che veder nuovamente il suo sguardo farsi spietato e sanguinario.
Ma di una cosa era certa: Tom detestava visceralmente la compassione altrui, ragion per cui non le sarebbe mai neppure passata per la testa l'idea di cercare di confortarlo in un qualche modo.
“Forse la situazione ci sta scappando di mano” si limitò a mormore con un filo di voce.
“E questa fantastica deduzione da dove l’hai tratta?” ribatté il ragazzo, con uno sbuffo tra il derisorio e l'annoiato.
“Oggi Lysandra mi ha confessato di aver udito Silente parlare con Lumacorno: se la situazione dovesse proseguire a questo modo, Dippet potrebbe decidere di chiudere la scuola” rivelò con vivida preoccupazione, ma Tom liquidò con un gesto della mano le sue parole.
“Non dire sciocchezze. Sfortunatamente, appena le mandragole saranno mature, quei ragazzi torneranno sani in un batter d'occhio. Certo, una serie di omicidi cambierebbe un po' le cose... Ma non temere: Hogwarts non chiuderà mai" affermò pronto e sicuro di sé, senza tradire il benché minimo accenno di apprensione.
Di fronte al quel sorriso autoritario, Pearl perdeva ogni capacità di ribattere.
Era stato così sin dal principio, sin da quando aveva realizzato che varcare la soglia della Camera rappresentava un punto di non ritorno.
Da quel giorno le cose erano cambiate, lentamente aveva lasciato che lui la trasformasse, la rendesse talvolta persino fiera della posizione che occupava, proprio al suo fianco.
Ma in fin dei conti, ancora una volta non avrebbe saputo spiegare l'esatto motivo per cui eseguiva ognuno dei suoi ordini...
Cosa cercava quando aveva realizzato le scritte minacciose sulle pareti?
Cosa desiderava quando osservava il suo sguardo brillare di cupa soddisfazione?
“Non temere Pearl, ben presto tutto procederà secondo il mio piano. Anzi, dovrei correggermi... secondo i nostri piani” sussurrò socchiudendo nuovamente gli occhi.
Volgendo lo sguardo verso di lui, Pearl capì che il suo gesto non era dettato da alcun accenno di stanchezza: semplicemente, stava già immaginando l'attuarsi del suo prossimo piano.
 

 
 

“Avete mai notato che, nell'universo della vostra percezione,
la morte è qualcosa che succede sempre a qualcun altro?” 

 
 
 
13 Giugno 1943
 

Quel giorno l'inizio della stagione estiva aveva deciso di presentarsi in modo del tutto differente dai giorni precedenti.
Il calore e l'afa erano insolitamente soffocanti, del tutto inusuali per il clima inglese, e sicuramente favoriti da un cielo occluso di nuvole nere e minacciose.
L’atmosfera che si respirava ad Hogwarts era tuttavia insospettabilmente serena, persino allegra: le continue aggressioni che avevano terrorizzato gli studenti tempo prima non si verificavano più da giorni, e con la fine degli esami finalmente si riusciva a scorgere l’arrivo delle vacanze.
Ma quel giorno non sembrava essere destinato alla serenità.
Non nel giorno in cui ogni cosa sarebbe cambiata: il giorno della tragedia.
Lontano dal parco zeppo di studenti, accoccolati sotto agli alberi o in riva al lago, una ragazzina sfrecciava correndo lungo i corridoi del castello, del tutto disinteressata alle istruzioni dei professori.
Aveva un corpo tozzo e sgraziato, tendente alla pinguedine; i capelli scuri, dritti come spinaci, le piovevano su un volto dai tratti larghi e grevi, puntellati da un’evidente acne giovanile e corredati da un paio di enormi occhiali.
La divisa spiegazzata denotava la sua appartenenza alla casa di Corvonero.
Il suo nome era Mirtilla, e aveva 12 anni.
Per lei quello non era un gran bel giorno; anzi, a dire il vero nessuno dei suoi giorni era mai veramente un granché.
In due anni ad Hogwarts non era ancora riuscita a conquistarsi neppure un’amicizia… non che ci avesse mai provato veramente, in ogni caso.
E come poteva, d’altronde? Con quell’aspetto goffo che si ritrovava, con quel suo carattere che la trasformava in un essere petulante e bizzoso…
Erano tutti particolari che avevano sempre autorizzato la sua compagna di classe, la bella Olive Hornby, a perseguitarla con il totale sostegno di tutto il resto della compagnia, proprio come quella mattina.
Colma di rabbia e delusione, Mirtilla percorse i lunghi corridoi sino al bagno delle ragazze al secondo piano: era il suo preferito, poiché molto spesso stranamente deserto.
Fortunatamente lo era anche quel giorno, e come da sua abitudine scelse l’ultimo bagno in fondo, quello che le sembrava fornire maggior solitudine e riparo.
Prima di chiudervisi dentro si guardò accuratamente alle spalle: poco prima, per un fuggevole istante, era stata quasi convinta che qualcuno la stesse seguendo.
Ma solo lì, accoccolata sulla tazza, riuscì a concedersi di piangere liberamente, levandosi quegli occhiali grossolani che sembravano non far altro che attirare lo scherno dei suoi coetanei.
Quelle mura magiche non erano mai state clementi con lei: tutte le sue aspettative erano state distrutte, e non poteva fare a meno di addossarne la colpa agli altri e ad odiarli, persino più di quanto odiava sé stessa.
Persino più di quanto nell'ultimo periodo si era ritrovata ad odiare il suo stato di mezzosangue… 
Fu in quell’esatto momento che, nonostante i suoi forti singhiozzi, udì chiaramente la porta principale del bagno aprirsi.
Per un attimo tacque, in ascolto: qualcuno aveva fatto il suo ingresso a passi pesanti, e con tutta l’aria di star intrattenendo una conversazione con qualcuno.
Due cose la colpirono immediatamente: la sua voce, fredda e maschile, e le sue parole: un rauco sussurrare aspro e sibilante, una lingua che le risultò del tutto estranea.
Non dedicò del tempo a pensare, Mirtilla.
La prima cosa che ipotizzò fu uno scherzo, magari un altro degno compare di Olive deciso a perseguitarla fin lì.
Fu così che colta da un improvviso impeto di rabbia, spalancò la porta del proprio cubicolo pronta a rivolgere insulti e ingiurie a quel ragazzo sfrontato, ordinandogli di tornarsene al proprio bagno.
Ma quando aprì la porta, Mirtilla non urlò.
Anzi, a dire il vero, Mirtilla non aprì proprio bocca: non disse assolutamente niente.
Neanche una parola, neppure una flebile sillaba.
L’unica cosa che poté fare in realtà fu proprio solo vedere.
Perché prima ancora che gli occhiali le sfuggissero dalle mani e toccassero il suo rompendosi, Mirtilla era già morta.

 
 

*******

 
 
Alcune ore dopo, nel pieno pomeriggio, la porta del bagno si aprì per la terza volta.
Era stata per una pura e spiacevole coincidenza che quel bagno non fosse più stato visitato durantel'intero corso della giornata.
Fu Olive Hornby ad aprire la porta esitante: avvertiva già uno spiacevole senso di colpa all’idea di ritrovarsi davanti la compagna ancora in lacrime a causa sua.
“Mirtilla, sei ancora qui dentro a mettere il broncio?” chiese, insolitamente gentile.
Ma non ottenne risposta, e osservò tra il sollievo e lo sconcerto come il luogo fosse inspiegabilmente deserto: sapeva bene che quello era il posto preferito della compagna per i suoi sfoghi.
“Mirtilla? Il professor Dippet mi ha mandato a cercarti, ma…”
La voce le morì in gola nell’esatto momento in cui le sembrò di intravedere qualcosa di totalmente inusuale proprio là, di fronte all’ultimo bagno.
La porta era aperta e spalancata contro al muro, ma dal suo interno sembrava sbucare qualcosa, un qualcosa che assomigliava spiacevolmente ad una piccola mano straordinariamente pallida.
“Mirtilla…?” chiese ancora la ragazza, avanzando lentamente come se i suoi piedi si muovessero da soli, e avvertendo la propria voce fremere di paura.
Quando si trovò di fronte al cubicolo, dovette aggrapparsi allo stipite della porta per non vacillare.
Il corpo di Mirtilla era riverso a terra, compresso in modo innaturale nello spazio esiguo.
I suoi occhiali da vista erano lì poco distanti, le lenti infrante, mentre il viso era rivolto verso la parete; sporgendosi leggermente cercò di guardarlo.
Fu solo quando scorse il sottile rivolo di sangue che le scorreva da un angolo della bocca, che Olive si permise di urlare a squarciagola.

 

 

“A nightingale sings his song of farewell
You better hide for her freezing hell
On cold wings she’s coming
You better keep moving
For warmth, you’ll be longing

 
Un usignolo canta la sua canzone d’addio
Faresti meglio a nasconderti dal suo inferno ghiacciato
Sta arrivando su fredde ali
Faresti meglio a sbrigarti
Per del calore, implorerai”

[Ice Queen, Within Temptation]

 
 
 

Come se avesse voluto prendere le distanze da quel giorno cupo e afoso, la notte appariva ora come un manto nero trapuntato di gelide stelle.
La luna risplendeva alta e senza posa, a illuminare d’argento l’intero parco: uno spettacolo che Pearl trovò terribilmente freddo ed agghiacciante.
Quella notte era stato sorprendentemente facile lasciarsi alle spalle l’intero dedalo di corridoi e uscire all'aria aperta: erano bastate così poche ore a rendere la sorveglianza al minimo.
Pearl si accoccolò meglio sul gradino su cui aveva preso posto, il più alto della scalinata che conduceva alla Guferia nella Torre Nord.
Non aveva potuto tollerare di restare in Sala Comune quella notte, non dal momento in cui era divenuta un fitto brulicare di ipotesi e congetture su quanto successo in quel terribile giorno.
Non le interessava ascoltare le considerazioni di Cygnus o i macabri pettegolezzi di Lysandra; aveva uno stretto bisogno di calma e silenzio, per tentare di districare quella matassa di pensieri che rischiava di soffocarla da un momento all’altro.
La notizia della morte di un studentessa si era diffusa con la medesima velocità e violenza dello scoppio di una bomba; in quel momento lei si trovava nella Sala Comune circondata dalle amiche, ma la notizia non aveva tardato a raggiungerla e a spiazzarla definitivamente.
In men che non si dica ogni singolo abitante del castello, dal primo degli studenti all’ultimo degli elfi domestici, pareva a conoscenza dell’accaduto.
Per lunghi, spaventosi attimi il panico aveva regnato come sovrano incontrastato: urla e grida di terrore erano risuonate in ogni dove, gli studenti e persino alcuni degli insegnanti avevano intrapreso corse cieche e insensate per i corridoi, mentre da ogni finestra sciami di gufi e volatili si levavano carichi di lettere allarmate.
Poi lentamente, con l’ausilio di una massiccia dose di autorità, le cose avevano iniziato a quietarsi, e solo allora un silenzio grave e pesante era crollato sull’intero castello.
Erano stati in molti quelli che si erano accalcati attorno a quel bagno al secondo piano per osservare il feretro della sfortunata ragazza, poco più che una bambina, che veniva trasportato in un luogo più consono.
E solo allora una terribile e minacciosa voce aveva iniziato a circolare per il castello.
Ma Pearl non la temeva, non avvertiva più neppure uno straccio di timore: sapeva di aver svolto il proprio dovere, contribuendo a metterla a tacere.
Come previsto, poco dopo dei passi felpati l’avvertirono dell’avvicinarsi di un’altra persona.
Quando Tom raggiunse le scale, trovò la sua compagna seduta su uno degli scalini, la testa reclinata contro il corrimano.
La luna le illuminava chiaramente il viso: aveva pianto, i suoi occhi apparivano rossi e gonfi.
“Approvo la scelta del posto” esordì il ragazzo con voce incolore, sedendosi al suo fianco.
“Ne sono lieta” mormorò in risposta la giovane.
Per un lungo attimo tacquero, il silenzio interrotto solo dal fischio dei gufi che si destavano per la caccia notturna.
“Raccontami” sospirò infine Pearl, cercando lo sguardo del ragazzo.
Effettivamente Tom non desiderava altro che parlarne, ma il tono ferito e dimesso di Pearl lo infastidiva.
Avrebbe dovuto sentirsi come lui: forte, vittorioso, colma di ammirazione.
Era stato lui a riscrivere la storia di Hogwarts, quel giorno, e a lei era stata offerta la possibilità di parteciparvi.
Tuttavia decise di parlare procedendo per gradi.
“Ho seguito il tuo consiglio, anzi, ti ringrazio per la prontezza; non avrei saputo ricordarmi dell'esistenza di quell' Hagrid.
Come facevi a conoscerlo? Mi aveva chiesto ripetizioni una volta, ma pensavo di averlo dimenticato…”
“Schneizel me ne aveva parlato qualche volta” rispose la ragazza laconica.
“Beh, poco male. L’ho scovato in uno sgabuzzino nei sotterranei, in compagnia di una qualche assurda creatura. Chiaramente gli ho addossato tutta la colpa” continuò, le labbra che svelavano un sorriso impregnato di malevolenza.
“Nessuno ha sospettato nulla: lui è stato cacciato, e io ricoperto di tutti gli onori. Dippet mi ha promesso un Premio Speciale per i Servigi Resi alla Scuola”
C’era qualcosa di disgustoso e riprovevole nella voce vittoriosa e soddisfatta di Tom, ma Pearl si sforzò per un attimo di non darvi adito.
“Quindi ti sei salvato, la scuola non ha più intenzione di chiudere”
“Così pare, l’unica pecca è che non posso ugualmente rimanervi durante le vacanze estive” ribatté il ragazzo, ostentando un’espressione contrariata.
“E nessuno ha la più vaga idea di quanto sia successo in realtà?”
“E come potrebbero? In ogni caso erano tutti così sollevati… avresti dovuto vedere le loro facce! Solo Silente si è dimostrato un po’ troppo insistente con le domande, ma d’altronde non gli sono mai piaciuto" rispose, osservando con improvviso distacco i giardini circostanti.
"In ogni caso ho nuovamente sigillato la Camera, il basilisco tornerà al suo sonno per un prossimo futuro. Gli altri mezzosangue guariranno e... sì, ho dimenticato qualcosa?” chiese con un’espressione fintamente riflessiva.
Pearl sentì che qualcosa, molto simile ad uno sgradevole misto di sentimenti contrastanti, le risaliva la gola: rabbia, disgusto, senso di colpa, odio, disprezzo, dolore; all’improvviso provò il forte desiderio di urlare.
“Tom, hai ucciso una persona” proruppe invece con un fil di voce.
Fu il tono di voce con cui glielo fece candidamente notare che lo fece voltare di scatto, alla ricerca del suo sguardo.
Ma non riuscì ad incontrarlo: gli occhi della giovane erano rivolti verso il basso, il viso semi nascosto dai lunghi capelli scuri; piangeva piano, senza far rumore.
“Ho ucciso, o forse è meglio dire abbiamo?” sussurrò il ragazzo, osservando quella reazione con una punta di disgusto.
“Come preferisci, non ha importanza, non mi interessa! Mi sento ugualmente così…” ribatté Pearl prendendosi il capo fra le mani.
“Così come?”
“Così come un mostro” sibilò infine, rivolgendogli un’occhiata carica di astio.
Tom mosse le braccia in un gesto spazientito, afferrandola poi impulsivamente per un polso.
“Ma perché Pearl? Perché continui a reagire in questo modo, perché non riesci a comprendere che oggi abbiamo fatto il primo passo giusto?”
I loro occhi si osservavano a vicenda, spalancati e spiazzati da quell'attimo di comprensione.
Perché fu guardandolo in quel momento, che Pearl realizzò definitivamente che quella di Tom non era una maschera, una sorta di finzione: quel ragazzo credeva realmente nelle parole che pronunciava, era consapevole e convinto della strada che aveva deciso di intraprendere.
E tutto ciò non faceva che scindere la sua coscienza a metà: una parte di lei se ne sentiva scottata, impaurita, invocava a gran voce la sua fuga lontano da quelle mani che immaginava già lorde di sangue; ma l’altra ne era irrevocabilmente attratta e affascinata, trovandosi ad ammirare quella fermezza che mai aveva incontrato in vita sua.
Ma nonostante ciò, la sensazione più viva dentro di lei al momento, che continuava ad agitarsi e dibattersi come una creatura braccata, era il senso di colpa.
Cercò di frenare le lacrime, scacciandole rabbiosamente con il dorso della mano.
“Ciò che è giusto per te, non necessariamente è giusto per tutti gli altri. Era soltanto una bambina, aveva dodici anni!” si limitò a dire, la voce che le si strozzava in gola.
Tom lasciò andare il polso della giovane, rifuggendo il suo sguardo accusatorio.
“Cosa può importarmene? Io mi curo esclusivamente di me stesso”
Per uno strano caso del destino, a spezzare il loro silenzio giunse distrattamente il melodioso canto di un usignolo, nascosto chissà dove nel folto della Foresta Proibita.
Pearl chiuse gli occhi, in ascolto, lasciandosi sfuggire soltanto un'altra lacrima.
Aveva l’acuta e dolorosa consapevolezza di non meritare d’udire quel suono dolce e carezzevole: nella sua testa, era qausi come se avesse ucciso quell’animale.
“Sai, mio padre una volta mi disse che è peccato uccidere l’usignolo. E’ un uccello piccolo, innocuo…
Non si ciba di granaglie, ma bensì di insetti, vermi e larve, e inoltre il suo canto è meraviglioso.
Uccidere un usignolo è quindi un atto crudele, doppiamente grave. Ed è ciò che abbiamo fatto noi” mormorò la giovane, il tono di voce che perdeva la sua modulazione tremolante e si faceva più deciso e risoluto.
Tom la guardò interrogativo, come se faticasse a capire.
“Puoi anche sostenere di star seguendo un ideale che ritieni corretto, ma ciò non toglie che hai ucciso un’innocente, e che con tutta certezza lo farai ancora. Che spezzerai vite, sogni, storie altrui, senza neppure curarti di conoscerle.
Sei consapevole di questo?”
Il ragazzo la osservò con freddezza, annuendo infine rigidamente.
“Lo sono”
“Bene, perché ti servirà ben più della certezza un giorno. Nessuno è così forte da sostenere in eterno il peso della colpa, nemmeno tu” concluse la giovane alzandosi, stringendosi le braccia nel tentativo di scaldarle da un freddo improvviso, che nulla aveva a che vedere con il clima.
Ma prima che potesse avviarsi,  Tom la richiamò indietro.
“E tu Pearl, che cosa hai intenzione di fare? Non puoi continuare a dibatterti nel senso di colpa per l’eternità, ormai ci sei dentro fino al collo e non puoi tirarti indietro”
Per la prima volta in tutta la serata la vide sorridere: un riso freddo e amaro, che rendeva il suo bel viso come più adulto e consapevole.
“Credimi, lo posso; ma in ogni caso non ho mai dichiarato di volermi tirare indietro”
Tom si alzò a sua volta, avvicinandosi a lei e prendendola delicatamente per le braccia sottili, più sorpreso che mai.
“Mi stai dicendo che dopo tutto ciò che hai appena detto, manterrai i miei propositi?”
Pearl si mosse a disagio, ma tuttavia non si ritrasse dal suo tocco.
“Non fingere di starmi dando una scelta, Tom. Sappiamo entrambi che ho preso una decisione in quella Camera, e ho intenzione di mantenerla.In ogni caso fare retromarcia sarebbe stupido, ormai sono colpevole quanto te" concluse con amarezza, alzando poi la testa e sfidando apertamente il suo sguardo.
"Non è questo quello che volevamo che io divenissi? Un coltello in un fodero”
E fu il turno di Tom di comprendere: la mente di Pearl era identica alla sua, rapita da un perenne fiume di pensieri, un costante movimento di idee, ipotesi e congetture di ogni sorta di genere.
Ma i loro concetti si muovevano in senso contrario: se lui tendeva a soffocare ogni sorta di ansia ed apprensione, lei le sviscerava.
Questa sua sorta di purezza la rendeva ben oltre la concezione di "lama", un mero oggetto da estrarre e utilizzare.
Aveva una doppia faccia, una mutevole personalità, che la classificava come una creatura viva e senziente che avrebbe dovuto imparare a conoscere, muovere e gestire.
E all'improvviso realizzò che questa possibilità di dominarla e assoggettarla a sé aveva il potere di intrigarlo notevolmente.
“No Pearl, sei qualcosa di molto diverso. Sei il mio pugno di ferro in un guanto di velluto” concluse, sfiorandole il volto e raccogliendo un'ultima lacrima sulla punta di un dito.

 
 




COMMENTO AL CAPITOLO

Un capitolo direi piuttosto corto rispetto agli altri, ma ogni cosa ha un suo perché. Non amo "ricopiare" la storia originale o rigirarla per descriverla in altro modo. Sappiamo come si sono svolte le cose dal diario di Tom Riddle, e ho preferito tralasciare per una volta il suo punto di vista.
L'importanza l'ho particolarmente conferita all'atmosfera di paura e terrore, che nel secondo libro trovo appena accennata; ma sopratutto, i punti di vista di Mirtilla e Olive sullo svolgersi della vicenda.
Il rapporto tra Pearl e Tom resta pressoché invariato, e nonostante gli eventi, anche le loro personalità non accennano a cambiare, semmai si cementano e solidificano.
Sarà dal prossimo capitolo, che prevedo anche molto lungo, che ci sarà una vera svolta.
Ma ad ogni cosa il suo tempo.
PS: la frase sull'usignolo è ispirata ad un accenno nello spettacolare libro "Il buio oltre la siepe", citazione necessaria ^^


COMMENTO DELL'AUTRICE

Non so se definirmi pienamente soddisfatta di questo capitolo, ero particolarmente in dubbio se aggiungervi un'ultima parte, e anche mentre procedevo tornavo spesso indietro a vedere che caspita avevo scritto.
La mentalità di Pearl è così confusa che a volte ho il timore di scendere nel noioso e capitare sui soliti cliché, tipo attrazione fatale e compagnia bella...
Spero di non star combinando qualcosa del genere, o se non altro, ci provo ;)
Ho intenzione di aggiornare il più presto possibile, ma definiamolo un tempo ipotetico perché sono decisa a continuare una storia dimenticata da tempo che merita ancoa giustizia u.u
Nel frattempo mi limito a ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite, e naturalmente  
ArgentoSangueEllyraCherolain e EvaAinen per aver recensito.
Un saluto a tutti, al prossimo capitolo ^^

 


Elle H.
   
 
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