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Autore: OttoNoveTre    30/07/2012    9 recensioni
- Mi offrirei di accompagnarla a casa, signorina, ma non credo si usi più.
- Questo non vuol dire che rifiuterei, capitano Rogers.
- Lo sapevo.
- Cosa?
- Una cameriera di diner rimane sempre un po’ anni ’50.
[raccolta di storie serie, semiserie o per nulla serie sulla coppia Steve Rogers/Josephine March]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Beth, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Diner Apollo'
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TRENTA OTTIMI MOTIVI



- Nonna, ho trovato un posto all’ombra, andiamo che ci siamo fatte a piedi quasi tutto Central Park.
Lilian la prese a braccetto e la accompagnò sotto le fronde di un castagno, le appoggiò il cuscino sulla panchina e la aiutò a sedersi. Peggy riprese fiato un attimo e si asciugò il sudore dalle guance con un fazzoletto. Lilian si mise accanto a lei, con le gambe incrociate e le braccia aperte ad abbracciare lo schienale.
- Sia chiaro, Lily, mi sono seduta solamente perché ti vedevo boccheggiare e ho avuto pietà di te. Non sono mica come tuo nonno, io. E mettiti composta che rubi spazio.
Lilian drizzò la schiena e si portò la mano destra alla fronte, tesa.
- Signorsì generale, signore.
Peggy emise un sospiro e tirò fuori dalla borsa un libro. Lilian aveva già infilato le cuffie nelle orecchie e scorreva col dito gli album dell’Ipod, con il rosso lucido delle unghie che risaltava sullo schermo nero. A quanto pareva quella settimana le aveva preso in prestito lo smalto e un braccialettino d’argento.
Due ragazzi che passavano in bici voltarono la testa verso la loro panchina e suonarono i campanelli. Lily emise uno sbuffo e non alzò gli occhi dall’Ipod, ma aveva dipinto in faccia quell’orgoglio misto a imbarazzo che hanno le ragazzine quando cominciano a capire di essere belle.
- Devi uscire più spesso con me, Lily. Tutti i giovanotti mi notano, quelli che non mi piacciono posso presentarli a te, che ne dici?
- Ah, questo lo dico al nonno!  
- Come se lui non fosse stato uno di loro.
- Io la sapevo diversa.
- Del nonno ti devi fidare solo quando non parla di pesca e di donne. E di pesca di donne, a maggior ragione. Altrimenti finirà per raccontarti di quella volta che ha salvato una naufraga dalle grinfie di un polipo gigante. Lily, la schiena.
Lilian si raddrizzò di nuovo dalla posizione accucciata in cui stava ancora scorrendo lo schermo dell’Ipod. Non solo si tirò dritta più di un manico di scopa, ma posò l’Ipod sul palmo aperto e cominciò a scorrere la lista solo con la punta del dito indice.
- Oh, sei impossibile! Perché non sei rimasta la bimba di 5 anni con cui andavamo a vedere i pesci rossi nella fontana e che si teneva buona con un gelato?
- Il gelato! Sai che è un’ottima idea, nonna?
- Lily…
- Giusto. Ahem, - Lilian abbassò la voce di qualche tono – generale, lasci che provveda al rancio per la truppa.
- Nessuno ha mai parlato così nell’esercito.
Ma parlò alla panchina vuota, perché Lilian aveva afferrato il portafogli dalla sua borsa e stava già correndo verso il carrettino dei gelati.
Peggy alzò gli occhi al cielo, poi tornò a occuparsi del suo libro. Tolse la foto che usava come segno e aprì il libro sull’ultima pagina, per metterla lì in attesa di usarla di nuovo, ma un colpo di vento strappò la foto dalle sue dita e la fece volare qualche metro avanti sul viale del parco.
Peggy si attaccò al bracciolo e si alzò dalla panchina il più in fretta possibile, il libro che teneva in grembo cadde a terra e lì rimase. La foto svolazzava e si posava di nuovo sul viale, poi una folata la fece sterzare bruscamente verso il prato, dove planò vicino alla coscia di una ragazza bionda.
Quella se ne accorse subito e la prese in mano. Peggy tirò un sospiro di sollievo e agitò in aria un braccio.
- Signorina!
La ragazza si guardò attorno per un attimo, poi la vide e le andò incontro.
- Salve, questa è sua, vero?
- Temevo che finisse in acqua, grazie. È un ricordo, sa.
- Immaginavo. Quella è lei, gli occhi sono gli stessi.
Peggy tentò di rispondere, ma lo spavento le aveva fatto venire un po’ di affanno. La ragazza se ne accorse.
- Aspetti, la riaccompagno alla panchina, se la sente di camminare? Poi le prendo un po’ d’acqua magari.
- Adesso non esageriamo. Sono anziana, non moribonda – borbottò Peggy, ma si fece prendere a braccetto e recuperò la posizione su cuscino. Appoggiò la mano sulla panchina per far segno alla ragazza di sedersi: - Lasci perdere l’acqua e stia un momento qui, appena torna mia nipote ci penserà lei.
Peggy riprese il libro e infilò la foto dov’era prima. Rimasero a guardarla, incastrata tra le due facciate.
- Era il 1947, sa? A sinistra c’è la vecchia befana, a destra ci sono io.
La ragazza scoppiò a ridere, guardando l’uomo in divisa, a sinistra, che abbracciava una sposina raggiante.
- Suo marito è nell’esercito?
- C’eravamo entrambi. Ci ha sposati un tenente che era anche pastore, lì alla base. Ne sono rimaste poche di foto di quel giorno, perché il rullino di quelle “ufficiali” ha preso luce per colpa di quell’incompetente del soldato Kowalskj. Indovini chi è stato messo alla pelatura cipolle e patate per i cinque anni successivi?
- Stai attenta, sembra un’innocua vecchietta ma questa donna è un demonio! Hai presente le scene all’inizio di “Tutti insieme appassionatamente”, coi ragazzini che si presentano a passo di marcia? Io da piccola vedevo scene del genere, in casa. - Lilian era ricomparsa con due granite. – Ti ho preso la menta. Faceva troppo caldo per il gelato, mi si sarebbero squagliati in mano.
Lilian si infilò sulla panchina tra Peggy e la ragazza e si passò il bicchiere di granita sulla fronte.
- Ragazzi che afa! Non vedo l’ora di essere come te, nonna, per avere sempre freddo. – si girò verso la ragazza – Sai che stamattina mi ha detto di prendere un golfino perché saremmo state fuori la sera? Un golfino!
- Solo perché andiamo al ristorante, Lily, e c’è l’aria condizionata.
La ragazza sorrise educatamente, ma si vedeva che era un po’ imbarazzata dal battibecco. Si alzò dalla panchina.
- Se va tutto bene, torno al mio angolo, anche perché temo che qualcuno mi stia dando per dispersa… - indicò in direzione della cerata. Peggy seguì il dito e vide un uomo biondo che si aggirava per il prato con in mano due bicchieri di caffè.
- Steve, qui! – la ragazza si sbracciò e il biondo si girò nella loro direzione. Con quattro falcate raggiunse la panchina e sorrise sollevato. Peggy aveva avuto un sussulto a sentire il nome, come tutte le volte che lo sentiva. Stava per dire qualcosa di carino a quel particolare Steve, a dirgli che aveva una ragazza molto premurosa, a spiegargli perché il suo era un nome che non la lasciava indifferente, ma ogni suono le si bloccò in gola. La granita che Lilian le aveva messo in mano tremò leggermente e ne finì qualche goccia sulla gonna.
- Nonna, stai bene?
No, impossibile. Vecchia bacucca, hai il cervello che ti fa venire le traveggole.
- Signora, è tutto a posto?
Anche la voce era esattamente la sua voce. Era lì davanti, aveva la stessa faccia dell’ultima volta che si erano visti, gli stessi capelli, la stessa voce.
Sono Peggy, Steve, Peggy Carter! Mi hai fatto preoccupare come una matta, brutto stupido.
- Non vi preoccupate, sto benissimo. Lilian, tesoro, andiamo che voglio darmi una rinfrescata prima di andare al ristorante, stasera. Grazie davvero per la foto, non saprei come sdebitarmi. Avanti, Lily, andiamo.

- Mamma, lo sai cosa ne penso sul fatto che vai troppo in giro. Lily mi ha detto che avete camminato ore, oggi, e faceva un caldo indecente. Infatti alla fine hai avuto quel brutto giramento di testa, poi sai che mi preoccupo.
- E tu sai cosa ne penso io. Dove si è cacciato tuo padre, invece?
- A fumare, dove vuoi che sia!
- Dai, intanto fai accomodare lo squadrone che siamo in ritardo.
Entrarono da Charles’, dove il flusso di aria condizionata fece tirare a entrambe un sospiro di sollievo. Peggy porse il suo scialle a un cameriere e lanciò uno sguardo al salone principale. A un tavolo un po’ in disparte, vicino alla pista da ballo, un uomo biondo stava studiando il menu.
Una volta era caso, due era destino
- Anne, ho visto un amico che non saluto da un pezzo, arrivo subito.
Lasciò la figlia al bancone, proprio mentre entravano anche Mark e i ragazzi. Attraversò la pista da ballo vuota e arrivò al tavolo dell’uomo. Si sedette nel posto vuoto davanti a lui. Steve alzò gli occhi dal menu, la guardò con il suo sguardo smarrito e buono, proprio quello del ragazzino mingherlino che ammetteva di non aver mai parlato con una donna in vita sua.
- Sei in ritardo.

Jo arrivò trafelata e spalancò la porta a vetri più con la spalla che con le mani. Riprese fiato e si avvicinò al maitre con le prenotazioni.
- Salve, dovrebbe esserci un tavolo per due a nome “Rogers”.
Mentre il maitre scorreva la lista, Jo guardò nella sala in cerca della testa bionda. Il maitre trovò il nome sul libro e controllò il numero del tavolo.
- Sì, il capitano Rogers è già arrivato, la faccio accomodare subito.
- Non fa nulla, l’ho visto, lo raggiungo da sola.
Jo andò verso la pista da ballo ma, quando arrivò a qualche metro dal tavolo in cui era seduto Steve, vide la signora che avevano conosciuto al parco quella mattina, seduta al tavolo con lui.  
Steve aveva una faccia indescrivibile, quasi quella di chi ha visto un fantasma. Jo indietreggiò di qualche passo e tornò verso il bar, raggiungendo una signora che tentava di mettere il farfallino a un bimbetto di otto anni.
- Mamma, poi dato che ho lo smoking come James Bond posso farmi fare un Martini agitato non shakerato?
- La mamma ti ha già detto che ti regala la sua oliva. Poi appena la nonna finisce abbiamo già da mangiare e da bere un sacco di cose buone. Mi chiedo chi sia quello lì, tra l’altro.
Jo colse lo sguardo della signora che saettava verso il tavolo di Steve, allora prese coraggio e si schiarì la voce.
- Scusi se la disturbo, sua madre è la signora seduta al tavolo vicino alla pista?
La donna lasciò perdere per un attimo il farfallino e la guardò.
- Sì esatto, è lei. Non so se sia peggio gestire lei o il signorino qui, James Bond Junior. Và, sei bellissimo! – e diede un ultimo colpetto di aggiustata al completo del bambino.
- La nonna Peggy lo può bere il Martini?
- La cosa più alcolica che la nonna Peggy dovrebbe bere è lo sciroppo per la tosse, ma come si fa a dare ordini a un generale?
Aggiunse altre cose su come il bambino doveva stare composto e non accapigliarsi con sua cugina Yuki, ma Jo aveva una specie di bestia ringhiante nello stomaco da quando aveva sentito il nome della nonna.
Perché sapeva di Steve e della foto che teneva in una vecchia bussola, anzi si diede della stupida per non averla riconosciuta quella mattina, nell’altra foto.
E allora la scena al tavolo le fece venire un groppo alla gola, specie in quel momento, in cui Peggy, quella Peggy, accarezzava una guancia di Steve.
- Guarda te se devo stare dietro ai colpi di testa di tua nonna. Non bast-
- Mamma, la signorina piange.
- Oddio, tutto bene? Aspetti, devo avere un fazzoletto nella borsa…
Ma Jo aveva già sorpassato la porta a vetri.

Al tavolo, i primi minuti erano passati in un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal cameriere che era arrivato con la bottiglia di vino. Steve, dopo aver contato i cristalli del lampadario, si allentò la cravatta e si schiarì la voce.
- E… e cosa mi racconti?
- Santo cielo, Steve, spero che con le altre donne tu riesca a intavolare conversazioni migliori di quelle che hai fatto con me.
- Scusa, scusami.
Peggy rise dell’imbarazzo del… sì, del ragazzino che aveva davanti. Perché non era cambiato di una virgola da quando lo aveva beccato in braccio alla bionda e lui la aveva accusato, balbettando, che lei e Stark avrebbero “fondueato” assieme.
- Stamattina per un momento mi sono sentita di nuovo la ventenne di fronte al grande eroe americano. Poi stasera ti ho rivisto qui, ma avevo per mano Fred, il figlio più piccolo di Annie. Stasera abbiamo la riunione annuale di famiglia, mio figlio Mickey è arrivato apposta da Okinawa. – Peggy guardò verso la sala con la festa privata – Lì dentro c’è quello tutto quello che ti posso raccontare, Steve.
- Mi sono perso un sacco di cose, vero?
- No, direi che hai solo ritardato un po’. La puntualità non è mai stata il tuo forte. E nemmeno quello della tua ragazza, se non si è ancora presentata.
Steve fece una faccia colpevole e preoccupata.
- Posso spiegarti…
- “Spiegarti”? – Peggy rise tanto da doversi asciugare una lacrima – Steve, io mi ero invaghita del sogno americano e dei tuoi muscoli, tu della prima donna che ti avesse mai rivolto la parola.
- Io…
- Ed ero anche una frivola superficiale, dato che ho cominciato a considerare l’idea di uscire con te solo dopo che Stark ti ha fatto entrare in quel marchingegno. Scusa ma devo tornare dalla mia famiglia e da quell’adorabile muso giallo di mio marito, adesso. E spero che la dolce bionda di stamattina al parco arrivi presto. Posso chiederti solo un’ultima cosa, capitano Rogers?
- Quello che vuoi, Peggy.
- Ti avevo promesso che ti avrei insegnato a ballare.
- Ne sarei felice.

Seduta per una volta dalla parte dei clienti, Jo non sapeva bene cosa ordinare, soprattutto in un posto come quello. Si era infilata in un bar poco distante da Charles’, dove aveva sistemato alla meglio il trucco, in bagno, e ora tentava di far passare il tempo fino a quando Steve non fosse uscito dal ristorante. Decise di andare sul sicuro con un bicchiere di vino.
- Permette? Mia moglie mi ha scaricato con uno molto più giovane di me e sono solo per stasera.
Sullo sgabello accanto a lei si era accomodato un uomo asiatico dai lineamenti affilati, con gli occhi stretti e nerissimi. Li riconobbe come quelli della foto nel libro, esattamente come quelli sognanti di sua moglie.
- Permette? Generale Morimoto.
Jo sorrise stiracchiando le labbra e bevve un sorso dal suo bicchiere.
- Josephine March. Come ha fatto a trovarmi?
- E’ stata Anne, l’ha vista correre fuori.
Il generale si limitò a fare un cenno al barista e quello gli mise davanti del whisky.
- Dunque?
Jo sussultò alla domanda.
- Che cosa vuol dire?
- Avanti, mi dica cosa ne pensa.
- Beh, che è incredibile che si siano ritrovati così, che è una cosa bellissima e che…
-…che lei non può fare a meno di essere gelosa.
Jo prese un tovagliolino di carta e cominciò a farlo metodicamente a pezzettini.
- Mi sento una stupida, ma non posso farne a meno. Dovrei essere contenta per lui, e invece sono qui a rodermi il fegato, a…
-… a essere gelosa di una novantenne perché è stata il primo amore del suo fidanzato. Effetti collaterali di uscire con un super-esperimento militare, immagino.
Jo cercò di far prevalere la bestiaccia gelosa che covava nel suo stomaco, ma le uscì una risatina, che non sfuggì a Morimoto.
- La chiacchierata che stanno facendo adesso non è l’inizio di nulla, è il finale di una vecchissima e malinconica questione in sospeso. Che cosa crede che abbia fatto Peggy, per settant’anni, che abbia pianto su un vecchio fumetto dove il suo ragazzo dava un cazzotto a Hitler? Glielo dico io cosa ha fatto, - indicò il ristorante dall’altra parte della strada, - laggiù ho trenta ottimi motivi per non essere geloso di Steve Rogers. E anche perché sono più bello e ho una collezione di katane, ovviamente.
Jo questa volta rise e basta, la bestia nello stomaco si era addormentata, o se n’era andata. Levò il bicchiere di vino e lo fece tintinnare contro quello di whisky. Morimoto rispose al brindisi con la sua faccia da volpe.
- Alla provvidenziale ibernazione, che il cielo sia ringraziato.

- Signore, credo stia ballando con la mia ragazza.
L’uomo che aveva tamburellato sulla spalla di Steve era un anziano dagli occhi svegli, arrivato a braccetto di…
- Josephine?
- Takumi!
Peggy si era fermata a metà del ballo e guardava con disapprovazione la coppia appena arrivata. L’uomo, Takumi, ghignò.
- Non ti posso lasciare sola un attimo che te la fai con i ragazzini, vecchia sporcacciona?
- Guarda che ci metto un attimo a rispedirti a Naha, ho ancora parecchi amici nei piani alti della Nato.
- Mi rifugerò in una isoletta del pacifico e non mi troverete mai.
Peggy si sciolse dalla stretta di Steve e si piantò a braccia conserte di fronte al marito. Lui le porse la mano.
- Credo che di là stiano aspettando solo noi, generale. – spostò gli occhi verso Steve. - Per questa volta la perdono giovanotto, ma veda di non lasciare più da sola una bella ragazza, il Nemico Giallo è sempre in agguato per rubare all’America le sue donne migliori. Insomma, una volta passi, ma due sarebbe davvero troppo…
- Oh, falla finita, Takumi. Josephine.
La ragazza scattò sull’attenti.
- Io gli ho insegnato le basi, ma sono troppo vecchia perché un marcantonio mi pesti i piedi. Sacrificati un pochino anche tu.
Jo non se lo fece ripetere e avanzò verso il suo capitano, proprio nel momento in cui l’orchestra attaccava un altro lento. Si spostarono in mezzo alla pista, mentre il generale e la generalessa attraversarono la sala a passo di tango.
Jo sentì la scarpa di Steve che quasi le sfilava la sua, ma quando abbassò lo sguardo al pavimento glielo fece rialzare subito.
- Non te l’ha detto la generalessa? Il cavaliere e la dama si guardano negli occhi.
- Preferisco farti ballare quando siamo da soli all’Apollo, almeno se ti pesto i piedi non lo vedono decine di persone.
- Credevo che data la sua età avesse una lunga esperienza di balli, capitano Rogers.
- Chiedere a qualcuno di ballare era sempre tremendo, e negli ultimi anni avevo capito che era meglio aspettare.
- Aspettare cosa?
Steve si fermò e la baciò lì, in mezzo alla pista.
- La compagna giusta.



EPILOGO: CARRAMBA

Jo uscì dal bagno rimettendo la cipria nella pochette, e quasi finì per terra nell’urtare un tipo tarchiato.
- Ehi, stia attento… agente Carter?
- Agente March, che piacere! Vedo che anche lei apprezza il Charles’. Se non ha ancora ordinato, le consiglio il tris di agnello, una cosa che si scioglie in bocca. Ah, e questa è la mia Barbara.
Una biondona con gambe chilometriche da modella le fece un sorriso a trentadue denti e strascicò un  “ciaaaaooo”, accompagnato dalla manina.
- P-piacere Barbie. È strano non vederla in completo o in grembiule, Carter.
- Occasione specialissima, stasera. Ora però dobbiamo andare, che la zia ci aspetta, siamo già in ritardo.
- Cenerà con sua zia, agente?
- La mia prozia per essere esatti. Gran donna, anche allo SHIELD molti degli anziani si ricordano del generale Peggy Carter. Ci vediamo martedì al diner, agente March, mi saluti il capitano Rogers.
Jo tornò al tavolo ridacchiando. Steve, che stava scrutando il menu con aria assorta, alzò la testa e la guardò educatamente perplesso.
- Questa non la indovineresti mai…





La tana di Otto

Peggy Carter è, assieme a Jane quella di Thor di cui manco ricordo il cognome, un personaggio femminile che nel film ho detestato. Di conseguenza, dato che coerenza è il mio secondo nome, avevo in mente da tempo di inscenare questo incontro 70 anni dopo. Credo che la storia spieghi già cosa penso dell'infatuazione che hanno avuto uno per l'altro i due, al tempo della guerra. Ma anche fosse stato amore vero, la vita (specie 70 anni di vita) continuano.
Takumi Morimoto è una mia invenzione, non so se nel canone Marvel Peggy si sia sposata con qualcuno o sia morta o cosa. Io mentre scrivevo questa storia pensavo molto intensamente al Giappone, così mi è venuta l'idea. Okinawa è l'isola più a sud dell'arcipelago giapponese, Naha è il capoluogo. E' stata purtroppo vittima di uno degli episodi più brutti del conflitto tra giapponesi e americani, con i primi che obbligavano interi gruppi di persone a suicidarsi, mentre i secondi tutt'ora occupano l'isola con la base militare più grande del mondo. Immaginare almeno qualcuno disposto a non ammazzarsi, da entrambe le parti, mi sembrava bello.
Come mi sembrava bello circondare Peggy di una prova tangibile dei 70 anni di vita passata, in modo che non fosse solo "beh è vecchia che senso ha" il motivo per cui non aveva senso che fosse ancora invaghita di Steve.
Tutta la storia del ballo, del ritardo, delle lezioni di ballo e lo scambio di battute
- Chiedere a qualcuno di ballare era sempre tremendo, e negli ultimi anni avevo capito che era meglio aspettare la compagna giusta. - vengono dritte e uguali dal film "Capitan America".
Jimmy "Big Jim" Carter e il suo cognome (che giuro è stato un puro caso, quando l'ho scelto) li potete trovare da quest'altra parte.
James Bond Junior esiste, mi chiedo quanti se ne ricordino ancora...

Davvero grazie a chi è arrivato fino in fondo anche a questo capitolo :)









   
 
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