-Buongiorno, ragazzi!-
salutò il professor Motherwell,
entrando nell’aula con passo veloce e chiudendosi la porta
alle spalle. Un coro
sparso di “buongiorno, prof.” Si levò
stanco dall’aula.
Con mio enorme dispiacere, il finesettimana era passato, e la scuola
–purtroppo- era
ricominciata.
Presi svogliatamente il libro di letteratura dallo zaino e, dopo averlo
lentamente posato sul banco, ci buttai la testa sopra, arrendendomi
alla
stanchezza. La mia compagna di banco, Noah, in tutta risposta, mi
lanciò uno
sguardo severo da dietro gli spessi occhiali rotondi. Sbattei
più volte le
palpebre, tentando di riuscire a concentrarmi anche solo un poco sulle
parole
dette dal professor Motherwell, a proposito di qualche verifica o
qualcosa giù
di lì.
“Diamine” pensai,
“questo vecchio quando parla ha
effetto
soporifero.”
Temendo una sgridata da parte del vecchio professore se mi avesse
scoperto,
alzai la testa dal libro e mi misi a fissare la lavagna nera di fronte.
Mi misi
a studiare ogni taglio, ogni segno, ogni rimanenza di gesso bianco su
quello
sfondo d’un nero scuro quasi quanto i miei capelli.
Mi stavo per addormentare sul serio.
Scossi la testa una, due, quattro e più volte. Poi mi
guardai intorno confuso.
“Ah…”
pensai. Guardai degli uccellini
appollaiati fuori dalla finestra su un filo di non so quale
utilità, e mi venne
in mente Denali.
Quel dannato era libero proprio come un pennuto, in quel momento. Non
era
obbligato ad andare a scuola come lo ero io.
Scommessi con me stesso che in quel preciso momento stava dormendo
–cosa che
avrei voluto fare volentieri anche io-, oppure si stava vedendo un
film…
Da quando mia madre aveva scoperto che io avevo portato in salvo un
perfetto
sconosciuto, Denali aveva libero accesso a tutta la mia casa. Anche
quando
c’era mia madre dentro.
Purtroppo –o per fortuna- a lei non interessava molto chi
c’era e chi non c’era
in casa. Le uniche cose che le passavano in quella testa ricoperta di
boccolosi
capelli castani erano il suo lavoro e sua figlia.
Sì… solo sua figlia.
-Vargas!- sentii urlare a pochi
centimetri dal mio viso.
Sobbalzai sgranando gli occhi e mi girai verso l’origine di
quella voce che mi
stava letteralmente bruciando vivo.
- P-professore…- balbettai, cercando di risvegliarmi. Posai
il mio sguardo sul
viso adirato del vecchio docente, ma qualcosa non andava.
Lo vedevo opaco, quasi sfocato. Anzi, diciamo che vedevo come dietro un
velo
bianco.
-Che fai, dormi?!- disse quello.
Io, in tutta risposta, strinsi gli occhi, cercando di capire se stessi
diventando cieco o se fosse il sonno che mi giocava brutti scherzi.
-Che diamine stai facendo, eh?- chiese quello nuovamente. Chiusi gli
occhi e mi
portai una mano alla tempia.
-Posso… posso uscire un attimo?- chiesi cortesemente.
Mi balenò in mente l’idea che non riuscissi
neanche ad arrivare alla porta, con
quella semi-cecità temporanea.
-No.- rispose il docente. Un brivido mi salì lungo la
schiena.
Improvvisamente il sonno era passato.
Sentii come una sorta di dejà-vu. Una sensazione che avevo
già provato una
qualche altra volta…
Qualcosa sbattè contro la porta con una forza inaudita.
L’intera classe
sobbalzò, e il vecchio professor Motherwell si
voltò di scatto verso la fonte
di rumore.
Un altro forte botto sulla porta fece
sobbalzare nuovamente
tutti gli alunni, me compreso.
Il professore non si mosse più di un millimetro,
così come non si sentirono più
rumori da fuori l’aula.
Mi alzai e, cautamente, mi diressi verso l’entrata.
-Vargas…?- sussurrò il professore, spaventato.
Lo fulminai con lo sguardo, con uno dei miei più perfidi
sguardi –aggiungo-, e
posai una mano sulla
maniglia rovinata della porta.
Abbassai piano la maniglia e aprii la porta quel tanto che bastava per
vedere
cosa avesse provocato quei rumori. Ciò che mi si
parò davanti, però, non era né
un ariete –come avevo immaginato-
tantomeno un alieno. Era un occhio, color verde-castano, con alcune
sfumature
azzurrastre, e pareva felice. Come si specchiò nel mio, di
un profondo blu, si
allontanò un po’ e poi scomparve definitivamente.
Avevo un espressione confusa, e feci per spalancare del tutto la porta
per
conoscere l’idiota che aveva messo in atto quella stupida
messinscena, ma la
porta si aprì prima che io muovessi un dito e venni buttato
a terra con
nonchalance da un ragazzo.
Sbattei la testa sul muro e mi misi ad imprecare parole inesistenti.
-Oh scusa, caro, ti sei fatto male? Beh, si muore una volta sola nella
vita,
quindi fai con calma.- disse una voce che trovai immediatamente
fastidiosa.
Alzai lo sguardo, massaggiandomi ancora la testa, e vidi la figura di
un
giovane sulla ventina, basso –ma sempre più alto
di me..- con una zazzera
disordinata di capelli biondi, con alcune ciocche più scure
verso le punte.
Aveva le mani poggiate sui fianchi e una faccia insoddisfatta.
Mi venne una voglia assurda di prenderla a pugni, quella faccina
così
imbronciata.
Si mosse verso la fila centrale di banchi, a passo deciso e seguito a
ruota da
un enorme… orso?
No, era una persona. Altissima.
Sarà stato sul metro e novanta se non di più.
Aveva i capelli castano-rossicci,
un po’ lunghi e disordinati, a coprirgli quasi completamente
gli occhi. Una
barbetta rada si faceva spazio sul suo viso. Indossava un giaccone che
lo
rendeva ancora più enorme di quello che
–immaginai- doveva essere.
E emanava un aura omicida che mi fece rabbrividire.
Rimasi per terra seduto, ad osservare
quello strano duo che
squadrava ogni ragazzo con aria disgustata. Anzi, solo il ragazzo
più basso
squadrava ogni mio compagno di classe con aria di
superiorità. Li squadrò uno
per uno, ma notai che gli studiava soltanto gli occhi.
Della serie: Gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Quando arrivò a Noah, la mia secchiona compagna di banco “sono-più-intelligente-di-te-e-lo-sai”,
si soffermò più a lungo di
qualunque altro essere umano in quella stanza.
Fece un verso di stizza con le labbra e voltandomi verso Noah, notai
che aveva
gli occhi illuminati come mai glieli avevo mai visti.
Chi era quel tipo? E cosa diamine voleva?
“Bah, come se me ne fregasse qualcosa.” Dissi
alzandomi in piedi e
spolverandomi i jeans.
-Axel, andiamo.- disse il biondo. –Qui non
c’è.- Scosse la testa deluso. Vidi
l’omaccione che, compresi,si chiamava Axel fare un cenno
d’assenso con la
testa. Mi accostai alla porta, aspettando che uscissero fuori.
Vidi il professore e gli alunni accatastati quasi tutti verso il fondo della classe, tranne Noah, che sedeva ancora al suo posto e guardava con i suoi occhi violacei il biondo.
Osservai fino alla loro uscita i due
estranei, e, quando
furono completamente fuori, chiusi la porta. Sbattei le mani per far
scivolare
via il gesso con fare menefreghista.
Avrei dovuto ringraziarli, mi avevano fatto passare il sonno e quella
semi-cecità di chissà quale origine.
Però chissà cosa volevano…
Feci spallucce e allontanai la sedia dal banco per sedermici sopra,
quando vidi
la porta volare via e andare a sbattere con un fragore assordante
contro il
muro di fronte.
Con gli occhi sbarrati guardai il biondo di prima passare con grazia
tra le macerie
del muro e cercare qualcuno nella classe mormorando qualcosa sottovoce.
Quando mi vide, sorrise a trentadue denti e si diresse verso di me.
-Eh, però! Axel, potevi fare anche un po’ meno
casino!- disse quello sorridendo
e dirigendosi verso di me. Rimasi basito dal loro comportamento e, con
gli
occhi sgranati e ancora piegato come se mi stessi sedendo, cercai aiuto
con lo
sguardo alla ragazza accanto a me, che mi ignorò.
-Hai ragione, scusa Nathan.- disse il ragazzo chiamato Axel con una
voce più
chiara e giovane di quello che mi aspettavo.
Raddrizzai la schiena quando mi si pararono tutt’e due
davanti, uno sorridente
come non mai e l’altro con uno sguardo annoiato.
-Ma tu sei lo sfigatello che ci ha aperto la porta! Vedi, Axel, forse
è lui!-
disse Nathan.
Mi si gonfiò un nervo sulla fronte.
“Ah, e quindi
io sarei lo sfigatello?” pensai, adirandomi
leggermente.
-Calmati, stupido.- disse Nathan. –Posso vedere un attimo il
tuo occhio
destro?- continuò.
Mi portai d’istinto la mano
all’occhio in questione, sapendo
perfettamente che il ciuffo di capelli corvini che lo copriva non era
messo a
caso.
Lo squarcio che c’era sotto non mi piaceva per niente. Era
comparso quasi per
caso durante un normale giorno di scuola dei miei dieci anni.
Potreste immaginare il trauma.
Da quel giorno non ho visto più nulla da quel dannato
occhio. Non so cosa gli
sia successo e tantomeno mi interessa, ma penso che la mia perenne
rabbia sia
iniziata da quel giorno.
Penso sia maledetto.
-Pe…perché?- chiesi, non sapendo a chi
indirizzare il mio
sguardo, se al giovane biondo con la faccia sadica o
l’apatico dietro di lui
che emanava un’aura omicida soffocante.
-Solo… una curiosità.- disse, sempre sorridendo,
Nathan.
Non mi fidavo molto, no no.
Rimanemmo immobili per i seguenti due minuti, con Nathan di fronte a me
che
continuava imperterrito ad osservarmi sorridendo sadicamente e Axel,
dietro di
lui, che giocherellava con la cerniera della felpa che indossava, il
resto dei
componenti della classe dietro di noi che ci osservava spaventati,
molto
probabilmente, dall’omaccione dai capelli rossicci.
-Allora?- chiese Nathan sporgendosi verso di me e continuando a
sorridere. C’era
solo un banco a dividerci, mancava poco che mi prendesse per il collo e
mi
strozzasse.
Non risposi, continuavo semplicemente ad osservarli con una faccia
interrogativa.
Allora il biondo si girò, dandomi le spalle, e disse:
-Pensavo di non dover
arrivare alle maniere forti, una volta tanto. Ma a quanto pare non
è cambiato
nulla, eh? Axel.- chiamò. Subito il più grande
lasciò la felpa e si diresse
verso di me.
Il non poter vedere i suoi occhi mi spaventava.
-C-che cosa volete fare?- chiesi, spaventato.
Se qualcosa fosse andato storto ero anche pronto a tirare fuori il
pugnale che
avevo nella tasca dietro dei pantaloni.
Nathan si voltò nuovamente verso di me, sfoggiando uno
sguardo dannatamente
fastidioso e crudele.
-Ti ho solo chiesto un favore. Se non lo vuoi rispettare, allora
passiamo alle
maniere forti.-
Axel, con un movimento veloce, mi bloccò le braccia dietro
la schiena.
-Noah, aiutami!- dissi, la voce spezzata dal dolore temporaneo. La
ragazza mi
ignorò altamente, continuando ad osservare la scena
annoiatamente.
-Ah, lei non può fare niente.- disse Nathan, osservandola
con uno sguardo
truce.
-Fe… fermi!- disse una voce dietro di me, che riconobbi come
quella del vecchio
Motherwell. –Io ora c-chiamo la polizia!- disse poco convinto.
Venne ignorato.
-Anche se ormai son quasi sicuro che sei tu, anche se per ora non hai
dato
segni d’esserci. Chissà, forse dormi?- disse
Nathan allungando una mano verso
la mia fronte. Il suo tocco era caldo e, con un gesto veloce, mi
alzò il ciuffo
nero dall’occhio destro.
Quindi qualcosa riuscivo a vederla da quel maledetto occhio.
Angolino
dell'Autrice:
WOAH drastico cambiamento! Se qualcuno la stesse leggendo ora, questa
storia, avviso che i primi quattro capitoli fanno schifo. Schifo
profonfo. xD
Comunque
boh, ecco i miei due amori in scena. °3° Spero possa
avervi fatto aumentare la curiosità nei confronti di
quest'umile urban-fantasy. ewe
Al sesto capitolo! <3