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Autore: Ginx    01/08/2012    3 recensioni
Erano passati sette anni da allora.
Sette anni in cui avevo provato a ricostruire la mia vita, in cui avevo tentato di dimenticare il passato.
Sette lunghissimi anni senza un messaggio, una chiamata, un qualsiasi segno che mi provava che stessero ancora cercando di rintracciarmi.
Ma come potevano, dopo quello che avevo fatto loro?
Due settimane dopo il diploma sono scappata da Lima senza guardarmi indietro, senza dare spiegazioni alle persone che amavo.
Non potevo restare lì. Lima era il centro del mio dolore.
Pensavo che trasferendomi a New York tutto sarebbe passato, che l'avrei dimenticata, che sarei riuscita a ricominciare.
Eppure fu in una classica giornata a Central Parck, mentre riflettevo sulla mia vita, che, a causa di un piccolo incidente, li ho ritrovati.
Tutti.
Tranne lei.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. Central Park
 
Quinn non sapeva quanto tempo era rimasta a fissare il soffitto. Le sembravano passate ore.
Le lacrime non accennavano a diminuire e delle fitte acute alle tempie annunciavano un bel mal di testa dovuto al pianto. 
La ragazza si asciugò il viso con una manica del pigiama rosa e si voltò lentamente sul fianco destro, cercando di leggere le cifre luminose sul display della sveglia coperta dai libri. 
I numeri verdi semi nascosti segnavano le 7:33.
Ci pensò su un momento, poi decise che sarebbe stata una pessima idea provare a riaddormentarsi, quando ancora le ronzavano in testa le immagini del suo ultimo sogno. Scalciò via le coperte da sopra di sé e rabbrividì, sentendo l'aria fredda della stanza sfiorarle le caviglie, i polsi e ogni parte del suo corpo non coperta dal pigiama. Sbadigliando, fece leva su un braccio e si mise a sedere sul bordo del letto, facendo attenzione a non svegliare l'altra occupante che dormiva profondamente in una posizione scomposta. Si guardò intorno per qualche minuto e poi si alzò, stiracchiandosi braccia e gambe; si infilò la vestaglia azzurra poggiata sulla sedia e aprì appena la persiana. La luce troppo forte la costrinse a chiudere gli occhi, in un primo momento, ma dopo averli riaperti rimase incantata, poggiata al davanzale: era una fresca domenica mattina a New York, il primo fine settimana di febbraio; dalla finestra della sua casa si vedeva quasi tutta la Columbus Ave e la leggera brezza che attraversava la strada scompigliava le lucide foglie degli alberi, portando con sé l'odore dell'erba appena tagliata. Era la prima giornata calda e soleggiata del mese, nell'aria si sentiva il profumo della primavera quasi alle porte, accompagnato dal lieve cinguettio degli uccellini che si svegliavano e dal vociare dei primi bambini nei parchi.
La via iniziava a popolarsi di persone: chi andava a lavoro, chi approfittava della giornata per fare jogging e chi, come lei, si godeva semplicemente il sole prima di iniziare la mattinata.
Quinn chiuse gli occhi, beandosi della sensazione del tepore del sole sulla sua pelle e il venticello che le scompigliava i capelli corti; inspirò profondamente il mix di odori che era tipico di New York, unito al profumo dei fiori che aveva piantato nel fazzoletto di giardino davanti casa.
 
Sospirando, la ragazza chiuse la finestra e tirò su le lenzuola a ricoprire la bionda che giaceva sul letto a mo' di stella marina, camminando poi in punta di piedi verso la cucina. 
Quest'ultima era un caos totale: da un lato del tavolo la tovaglia era ancora accartocciata, in attesa di essere ripiegata; dall'altro erano sparsi documenti, fatture e bollette che doveva finire di sistemare; il lavandino era ancora pieno dei piatti della cena precedente e sul pavimento erano sparpagliati dei colori a pastello e dei fogli bianchi. La sera prima era crollata sul divano, esausta, e non era riuscita a sistemare la casa, trovando a malapena la forza per spostarsi in camera.
Con un gemito di sconforto, Quinn si appuntò mentalmente di non permettersi più di rimandare le pulizie: se c'era una cosa che detestava, era l'odore di detersivo e candeggina di prima mattina.
Sospirando si rimboccò le maniche, svogliata, e prese a insaponare i piatti per poi infilarli nella lavastoviglie. Strofinò con cura ogni scodella, cercando di allontanare i pensieri, concentrandosi sui movimenti circolari della spugnetta, e sul sistemare in ordine le ciotole nel cestello; regolò le impostazioni di lavaggio, mise il sapone nell'apposita vaschetta  e fece partire l'apparecchio, canticchiando tra sé.
Tutto pur di impedire alla sua mente di vagare sul sogno della notte precedente. Sul ricordo di quell'anno. Sul ricordo di lei. 
Gettando uno sguardo al grande orologio a muro accanto alla porta, iniziò a preparare il latte e il caffè per la colazione, non volendo rischiare ti fare troppo tardi; accese la caffettiera e, aspettando che la spia rossa lampeggiasse, prese il latte dal frigorifero e lo mise a riscaldare nel bollitore; infilò la cialda nella caffettiera e spinse il tasto di accensione. Concentrandosi sul ronzio della macchina, sistemò i documenti sparsi sopra il tavolo in una cartellina azzurra, che ripose in uno scaffale accanto al corridoio. Per un secondo il suo sguardo cadde sulla foto accanto al mobile: il Glee Club al completo, il giorno del diploma.
“Dio, se mi mancano.”  pensò Quinn con un sorriso malinconico. Era da quando era scappata da Lima, sette anni prima, che non aveva più contatti con loro. Spesso si sorprendeva a chiedersi che cosa stessero facendo in quel momento, il loro lavoro, la loro vita. La piaceva immaginarsi insieme a loro, creare dei discorsi che avrebbero fatto se lei non fosse fuggita a causa del dolore. Ma la sua immaginazione correva sempre troppo veloce e non riusciva mai a fermarsi prima di arrivare a lei. Le era ancora doloroso pensare soltanto il suo nome e, quando riaffioravano i ricordi dell'ultimo anno di liceo passato con lei, i sospiri quando si erano concesse l'una all'altra per la prima volta, i baci dentro i bagni durante i cambi delle ore, le lacrime iniziavano ad uscire dai suoi occhi prima che riuscisse a fermarle. 
Il beep della caffettiera la riportò bruscamente alla realtà. Ringraziando il cielo, corse a spegnere sia il bollitore del latte, sia la caffettiera, riuscendo per un pelo a non far traboccare il liquido sul fornello. Mentre aspettava che il caffè si freddasse, prese la tovaglia e la ripiegò nell'apposito cassetto; poi prese due tazze dallo scolapiatti. In una, tonda e rossa, ci versò un'abbondante quantità di caffè, che addolcì con un cucchiaino di zucchero e un goccio di latte; nell'altra, bianca e nera a forma di mucca, versò il latte che mescolò con un cucchiaio di cacao dolce e un cucchiaino di zucchero.
Mentre girava il cucchiaino nella tazza, un movimento alle sue spalle la fece sobbalzare: seduta su una sedia accanto al tavolo c'era una figurina arruffata, gli occhietti verdi gonfi di sonno e i riccioli biondi scompigliati.
«Dio Beth, mi hai spaventata.» ansimò Quinn, portandosi una mano al petto.
La sua bambina. La sua gioia, la sua luce, la sua piccola ricciolina bionda. Sempre così silenziosa, come un gatto, che riusciva sempre a coglierla di sorpresa. La ragazza sorrise, accarezzandole i capelli.
Beth si stropicciò il visino e sbadigliò, rivolgendo poi alla madre un sorriso assonnato. La piccola inclinò la testa da un lato, allargando il sorriso e sbattendo le ciglia.
«Buon giorno anche a te, piccola.» sorrise Quinn, prendendo le due tazze e portandole al tavolo, facendo attenzione a non far cadere il latte. Diede un bacio sulla fronte della bambina e raccolse velocemente i fogli e i colori, che poggiò su un lato del tavolino.
«Allora, stamattina vuoi cereali o biscotti?» chiese la bionda, aprendo la dispensa. La bambina si strinse nelle spalle e ci pensò un momento; poi rise, di una risata silenziosa ma genuina. Anche la madre rise. «Ok, ho capito. Biscotti come tutte le mattine.» disse prendendo il baratto colorato. «Pensavo che avevi voglia di cambiare.» aggiunse sedendosi a tavola, accanto alla bambina.
Rimasero un po' in silenzio, mentre Quinn sorseggiava il suo caffè e Beth intingeva i biscotti nel latte. 
«Hai dormito bene nel letto di mamma?» domandò la bionda. 
La bambina annuì, masticando il biscotto. Come la madre, anche lei si era addormentata sul divano e Quinn aveva deciso di farla dormire assieme a lei. Accarezzò i riccioli della bimba, osservando i lineamenti del suo viso; crescendo le assomigliava sempre di più: il naso, gli occhi, erano i suoi. E crescendo assomigliava sempre di più al padre: nei sorrisi che le rivolgeva, nella sua imprevedibilità e in certi suoi atteggiamenti, vedeva il ragazzo ai tempi del liceo. Beth era l'unica cosa che la teneva ancora legata al suo passato. 
Scosse leggermente la testa, per scacciare i pensieri. Sul volto della bambina si dipinse un'espressione interrogativa. 
«Non è niente tesoro, tranquilla.» sorrise la bionda, bevendo un altro sorso del suo caffè. «Allora cucciola, ti va di venire a lavoro con me oggi?» domandò poi. Beth sfoggiò un sorriso luminoso e annuì, finendo in un attimo il latte. 
 
Quinn sospirò. Quella cosa andava avanti da sette anni; gli sguardi, le espressioni del viso, i sorrisi della piccola dicevano tutto quello che lei si rifiutava di dire a parole. Perché Beth, la sua gioia, la sua piccola bambina perfetta, non parlava. Mai. 
Nonostante la portasse in terapia da mesi, nonostante secondo i testi effettuati dai migliori medici dell'ospedale in cui lavorava, la piccola fosse perfettamente in grado di parlare, nonostante il QI che si era dimostrato nettamente superiore agli standard per la sua età, Quinn non riusciva a non preoccuparsi, a non chiedersi perché mai la sua piccola non parlasse. 
Non una sola parola, un verso, un qualsiasi segnale che indicasse che la sua gola fosse ancora in grado di produrre suoni articolati. Se non fosse stato per le canzoni che ogni tanto canticchiava a bocca chiusa, andando dietro alla mamma che cantava per farla sorridere, avrebbe pensato che fosse muta. 
Era ancora molto piccola quando Shelby, in una mattina di agosto, si era presentata a casa sua con il fagottino rosa tra le mani e una borsa di vestiti stretta in mano, dicendo che non poteva più prendersi cura della piccola. A quel tempo la biondina, che aveva a malapena due anni, faceva solo qualche versetto e qualche gorgoglio tra le risate, prima di chiudere definitivamente la bocca e non riaprirla più. Non una volta in sette anni, nemmeno durante i pochi pianti in cui era scoppiata da quando viveva con la sua madre naturale. 
Forse, aveva sempre pensato con terrore, era lei la causa del suo rifiuto di proferire parola?
Beth scese dalla sedia, interrompendo il flusso di pensieri di Quinn, appoggiò la tazza dentro il lavandino e si diresse in bagno saltellando. La bionda più alta la guardò con un sorriso, vedendo i suoi piedini paffuti scivolare appena sul pavimento liscio del corridoio. 
Dopotutto, pensò, finché fosse rimasta felice e serena, finché i medici avessero continuato a dirle che non si trattava di un problema organico, né psicologico, ma solo di una scelta, consapevole o meno, lei poteva restare tranquilla e godersi la sua piccola bambina dai riccioli dorati.
 
Quinn guardò l'orologio sopra la cappa di metallo. Le 7:58, non era ancora in ritardo.
Finì il suo caffè e, canticchiando a bassa voce, sciacquò le tazze e le mise nello scolapiatti. 
Finito di sistemare la cucina, si dedicò velocemente alla camera da letto: tirò le coperte e infilò i cuscini dietro la testiera bianca, poi prese gli abiti in fondo al letto e li ripiegò nei loro cassetti. Sentì la porta del bagno aprirsi e Beth camminare verso la propria camera, pronta per vestirsi.
Aprì l'armadio, prese un paio di jeans a sigaretta, una maglietta di cotone rossa e nera, infilandosi dentro il bagno ora libero. Si infilò dentro la vasca e lasciò scorrere l'acqua calda lungo il proprio corpo, concentrandosi nel rilassare una parte del corpo alla volta. 
Cercava di non pensare a nulla, solo al calore dell'acqua che iniziava a dare benefici, schiarendosi la mente e lasciandosi cullare dal dolce massaggio del getto caldo sulla pelle; quando uscì dalla doccia, era decisamente molto più rilassata rispetto a prima e nell'umore giusto per iniziare la giornata.  Si avvolse in un asciugamano e si lavò velocemente i denti, vestendosi e truccandosi in fretta. 
La bionda uscì dal bagno e si guardò nello specchio a busto intero che stava nel corridoio; si girò e rigirò un paio di volte, guardandosi da ogni angolazione, anche se le importava poco del suo abbigliamento perché a lavoro indossava sempre il camice; soffiò un bacio e un sorriso al proprio riflesso allo specchio, e prese i cappotti dall'armadio.
In salotto, Beth la aspettava seduta sul divano, già vestita con un abito giallo a maniche lunghe, le calze bianche e un paio di scarpe argentate.
«Sei pronta paperella?» le domandò la madre, alludendo al vestito della figlia e tendendo la mano verso la bambina. Quest'ultima scese velocemente dal divano, ridendo per il come era stata chiamata e si lasciò vestire da Quinn, che sorridendo le infilò il cappotto e le legò la sciarpa al collo. Uscendo di casa, la bionda chiuse la porta a chiave e prese la mano della bimba bionda, percorrendo in fretta il vialetto. Quinn si strinse nel cappotto: c'era il sole, ma il vento freddo del mattino pungeva sul viso, facendole pizzicare il naso. 
Fece scattare la chiusura centralizzata della sua Golf nera, affrettandosi per non far prendere troppo freddo alla sua bambina; aprì il sedile del passeggero, vi fece sedere Beth e la legò al seggiolino, per poi entrare anche lei in macchina. Diede un ultima sistemata al caschetto specchiandosi nello specchietto retrovisore e poi avviò il motore. 
Per un po' l'unico rumore furono le fusa della macchina; Quinn cercava di concentrarsi il più possibile sulla guida, lanciando di tanto in tento un'occhiata alla bambina seduta dietro di lei, ma i ricordi riaffioravano nell'esatto momento in cui si distraeva leggermente dalla strada. 
«Ti va di cantare un po'?» chiese la bionda alla figlia, cercando per l'ennesima volta di indirizzare i suoi pensieri altrove. Beth spostò lo sguardo da fuori il finestrino al riflesso della madre e sorrise di rimando.
Quinn ci pensò un momento, poi prese un respirò profondo e iniziò a cantare.
 
«You can buy your hair if it won’t grow 
You can fix your nose if he says so 
You can buy all the make-up that M.A.C. can make 
But if you can’t look inside you 
Find out who am I to 
Be in a position to make me feel so damn unpretty.»
 
La bambina canticchiava a bocca chiusa, seguendo il ritmo con la testa e alzandola leggermente nelle note alte. Le era sempre piaciuta quella canzone, era stata la sua ninna nanna per molto tempo, prima che iniziasse ad amare le storie che inventava la mamma. 
Dal canto proprio, quella era la canzone preferita di Quinn; era l'unico ricordo suo che non la faceva soffrire tremendamente. Ricordava come se non fosse passato neanche un giorno loro due sedute sugli sgabelli, che si guardavano con le lacrime agli occhi; quel giorno lei le aveva chiesto, davanti a tutto il Glee, di essere ufficialmente  la sua ragazza. Era stato il giorno più bello di tutta la sua vita, non sarebbe mai riuscita a dimenticarla. 
 
Cantarono per altri dieci minuti, finché Quinn non parcheggiò nel parcheggio a più piani dell'Hospital for Special Surgery.  
Lì sotto faceva veramente freddo e, prima di scendere dall'auto, la ragazza strinse bene la sciarpa di Beth; poi la prese per mano e chiamò l'ascensore. Durante l'attesa, la bambina tirò delicatamente la maglietta  alla madre, per farsi prendere in braccio; la bionda sorrise e l'accolse tra le sue braccia, posandosela su un fianco.
«Va bene, ho capito.» sorrise, stampando un bacio leggero sulla guancia della bimba e entrando dentro l'ascensore. «Sai quale tasto devi premere.» concluse, capendo al volo le intenzioni della figlia, che sorridendo e sbattendo le ciglia premette il dito contro il tasto del quinto piano.
Fecero il loro ingresso nella sala d'attesa del reparto pediatria giusto in tempo per l'inizio del turno di Quinn. Fece scendere la bambina dalle sue braccia, timbrò il cartellino e andò verso il suo armadietto.
«Quennie!» la chiamarono da dietro, facendola sobbalzare. 
“Fantastico.” pensò scocciata la bionda, prendendo sbuffando le chiavi dell'armadietto dalla borsa nera. Sentì che la bambina si nascondeva piano piano tra le sue gambe e il metallo freddo.
«Ciao Jenny.» salutò la ragazza, senza tentare di nascondere il fastidio. 
Jennifer era un'infermiera alta, sulla trentina, con lunghissimi capelli neri e occhi di azzurro chiarissimo. Lavorava lì da prima dell'arrivo di Quinn, a cui non era mai stata simpatica. Avevano sempre avuto turni opposti, quindi la bionda la doveva sopportare solo per i cinque minuti del cambio turno, ma le bastavano e le avanzavano.
«Visto che oggi è domenica, ho cambiato il turno. Lavoriamo insieme, sei contenta?» la informò la mora, battendo le mani come una bambina.
«Mmh..» annuì la bionda, tirando fuori il camice azzurro dall'armadio e soffocandoci dentro un sospiro esasperato. Quella giornata non sarebbe passata mai.
Jenny sbuffò per lo scarso entusiasmo della collega, notando poi una piccola figura dietro a Quinn. 
«Hai portato la tua cucciola!» esclamò scompigliando i morbidi riccioli di Beth.
«Già, non volevo lasciarla con la baby sitter.» spiegò velocemente la bionda, prendendo in braccio la figlia. Beth incatenò i suoi occhi smeraldo in quelli di Quinn, piagando appena la testa scocciata.
«Lo so.» mimò la bionda con le labbra, dirigendosi verso il banco bianco della sala d'attesa e accomodandosi su una delle due poltroncine, seguita subito dopo da Jenny.
Beth si accomodò su uno sgabello dietro la mamma, prendendo un foglio bianco dalla stampante vicino al computer e una delle matite contenute in un barattolo rosso. Quinn osservò per qualche minuto la bambina, per poi ordinare i documenti sparsi sul bancone.
«Non mi sembri in vena di chiacchierare oggi.» commentò l'infermiera più anziana, innervosita dall'atteggiamento poco partecipativo della collega.
«Sono molto stanca.» rispose Quinn vaga. «Potresti portare questo modulo al dottor Jonson?» aggiunse poi, porgendole un foglio. Jenny si alzò, scansando con forza la sedia.
Quinn sospirò, accarezzando la testolina della figlia, che alzò lo sguardo dal suo foglio; il suo sguardo era piano di comprensione e conforto. 
Spesso la bionda pensava che sua figlia fosse l'unica che l'avrebbe mai capita veramente. Involontariamente, le sue labbra si tesero in un sorriso.
«Ce la possiamo fare. Insieme.» mormorò, sentendo i tacchi della collega che si avvicinavano sempre di più.
 
*** 
 
Quinn timbrò di nuovo il cartellino, stavolta più spensierata di prima, con la bambina addormentata in braccio: Beth si era addormentata sullo sgabello verso mezzogiorno e la madre l'aveva sistemata su una delle poltroncine della sala d'aspetto. 
La ripose delicatamente nel seggiolino, facendo attenzione a non svegliarla mentre le allacciava le cinture; poi si infilò a sua volta in macchina, salutando Jennifer. Non si pentiva di non essere stata molto educata con lei, almeno non le aveva rivolto la  parola per cinque ore.
L'orologio della radio segnava le 13:32. Ci voleva troppo per andare a casa e mettersi a cucinare; no, voleva fare una sorpresa alla sua bimba, visto la bellissima giornata. Così, deviò verso Central Park, accompagnata dal respiro pesante della piccola.
Si fermò in un parcheggio aperto, poco distante dal posto dove andavano sempre.
Lo aveva visto per la prima volta durante il soggiorno delle Nazionali, assieme a Santana e Brittany subito dopo essersi tagliata i capelli, ed era stata felice di ritrovare qualcosa di familiare dopo che si era trasferita. Si trovava davanti al The Lake, il lago più piccolo del parco, ed era formato da un ampio spiazzo arancione nel centro del quale troneggiava la Bethesda Fountain; a destra si trovava una pista ciclabile dove ragazzi con biciclette, skateboard e pattini a rotelle potevano divertirsi senza preoccuparsi delle automobili. A sinistra, accerchiato da pini secolari e panchine di legno, si trovava un piccolo parco giochi per bambini, dove Quinn poteva lasciar giocare Beth e supervisionarla anche stando seduta.
Se ricordava bene, poco più in la, c'erano una serie di pizzerie, ristornanti e fast food, che facevano proprio al caso suo.
Scese dall'auto e si sfilò il cappotto: iniziava a fare veramente caldo. Poi, aprì il posto del passeggero e, il più delicatamente possibile, la prese in braccio.
«Beth, cucciola?» sussurrò la mamma nell'orecchio della bambina, che si voltò verso di lei e aprì gli occhi verdi, gonfi di sonno come la mattina.
«Ciao dormigliona.» la salutò la bionda, dandole un bacino sul naso. «Andiamo a mangiare?»
Beth annuì e sorrise assonnata, infilando il viso tra la spalla e il collo della mamma, provocando dei brividi sulla sua pelle.
Quinn si incamminò verso la piazza, accompagnata dal respiro pesante della bimba, guardandosi intorno. Il parco, baciato dal sole, era ancora più bello del solito; le folte chiome verdi degli alberi, ancora bagnate  a causa dall'ultima pioggia, provocavano dei strani giochi di luce sul terreno. A quanto pareva non erano state le uniche a sfruttare quella giornata splendida, come era ovvio: c'erano persone che prendevano il sole sdraiate su degli asciugamani sul prato, bambini che giocavano a nascondino dietro agli alberi, signore anziane che chiacchieravano felici mentre tiravano le molliche di pane ai piccioni, ragazze che si allenavano, percorrendo la pista apposita.
All'improvviso una ragazza in particolare attirò l'attenzione di Quinn: era di bassa statura, con lunghi capelli castani e gambe corte e carnose. Alla bionda gelò il sangue nelle vene.
“Non può essere.. lei.” pensò la bionda, affrettando il passo, cercando di raggiungerla e contemporaneamente di non svegliare Beth. Ma all'improvviso la ragazza svoltò in un'altra strada, interrompendo l'inseguimento della bionda, che scosse la testa sorridendo tristemente. 
Non poteva essere lei. Lei non sarebbe mai tornata.
 
Sovrappensiero, arrivò nella piazza arancione; nello spiazzo risuonava il vociare delle persone accompagnato dal rumore del lago in sottofondo. Quinn si avviò in un altra strada, dove sicuramente avrebbe trovato qualche pizzeria.
«Amore?» chiamò la bionda, accorgendosi dell'assenza del respiro della bambina sul suo collo. Beth fece capolino da sopra il suo petto, osservando la mamma con i suoi occhioni verdi.
«Hai finito di dormire? Sei proprio come un ghiro dormiglione!» le disse la mamma, facendo il solletico alla bimba, che rise (ovviamente in silenzio) di gusto; poi si divincolò delicatamente, cercando di farsi mettere a terra. La bionda fece scendere la bambina dalle sue braccia e le sfilò il capottino blu e infilandoselo sotto il braccio.
«Allora, micia, ti va una pizza?» chiese Quinn dopo qualche minuto, spostandole i capelli sudati dalla fronte. Beth annuì lentamente, anche lei incantata dal paesaggio. La bionda si ricordò di una pizzeria che faceva pizze tonde di ogni tipo, quindi la cercò un po' con lo sguardo tra gli altri negozi. 
Quando riconobbe l'insegna verde, che recitava “Il pizzaiolo italiano” accelerò il passo; entrarono e subito furono investite da una fresca ventata che portò con se l'odore della mozzarella e dell'origano.
Una cameriera, alta e con lunghi capelli rossi, venne loro incontro con un sorriso.
«Salve.» salutò cordiale.
«Buon pomeriggio. Potremmo avere un tavolo per due, per favore?» domandò Quinn educatamente.
«Certo. Se volete seguirmi.»rispose la cameriera, guidandole verso il tavolo più vicino all'enorme vetrata che illuminava tutta la stanza e prendeva tutto il paesaggio.
«Cosa vi porto da bere?» domandò ancora la cameriera, sorridendo alla bionda. Quest'ultima guardò Beth, che inclinò, come suo solito, la testa da un lato.
«Aranciata e acqua, per favore.» rispose Quinn, sorridendo di rimando. La cameriera scomparve con un sorriso dietro una porta marrone ciliegio.
«Mai qualcosa di salutare vero?» domandò la bionda alla figlia,alludendo alla sua passione per l'aranciata. Beth rise, scuotendo la testa. La bionda sorrise, appoggiando la giacca della figlia su una sedia accanto alla sua e poi prese il menù verde sul tavolo.
C'era una lista varissima di pizze: c'erano le più comuni, come la margherita, la boscaiola, la quattro formaggi, altre che la bionda non aveva mai sentito nominare, piene di ingredienti strani.
«Immagino che neanche nei gusti della pizza sei cambiata vero?» chiese Quinn, chiudendo il menù e appoggiando il mento su un pugno. Beth però non rispose e spostò lo sguardo verso fuori dalla vetrata, mentre la cameriera appoggiava le due bottiglie sul tavolo, facendo sobbalzare Quinn.
«Ditemi, avete già deciso che cosa ordinare?» domandò, sfilando dalla tasca del grembiule bianco, un notes e una matita.
«Grazie. Allora, per lei una margherita con prosciutto crudo e olive.» iniziò Quinn, facendo l'occhiolino alla figlia . «Per me una capricciosa. Se possibile senza carciofini e uova, e con salame piccante.» aggiunse poi, tornando a guardare la rossa. Questa, annotò velocemente sul taccuino e poi alzò lo sguardo, tornando a fissare la bionda.
«Ve le porto subito.» disse, per poi avvicinarsi all'orecchio di Quinn.
«Sai, le ragazze madri sono veramente sexy.» soffiò, con voce seducente. La bionda raddrizzò la schiena, sbarrando gli occhi e voltandosi lentamente verso la cameriera, che si allontanava con un sorriso malizioso.
Non era più abituata a quel genere di complimenti. Aveva i brividi sulla pelle e, voltandosi verso la figlia, la trovò che si reggeva la pancia, non riuscendo neanche a respirare a causa della sua risata muta. Quinn incrociò le braccia, riducendo gli occhi ad una fessura.
«La vuoi smettere?» domandò stizzita dopo qualche minuto, visto che la bambina non riusciva a frenare le risate. Beth prese un respiro profondo, asciugandosi una lacrima sull'angolo dell'occhio verde.
«Tutta tuo padre.» borbottò Quinn e la bambina annuì, con aria fiera.
Una fitta al petto le fece perdere il fiato, mentre i pensieri correvano subito a cosa implicava per lei il concetto di “Puck”: Beth, come prima cosa; poi morte, tradimento, strappamento di genitali a morsi... e ovviamente lei.
Scosse la testa,decisa a concentrarsi su altro. Solo in quel momento notò che il locale era quasi vuoto, eccetto loro e un altro paio di persone, cosa strana visto che erano in piena ora di pranzo. Si versò un bicchiere di aranciata, sotto lo sguardo corrucciato di Beth.
«Sono arrabbiata con te, mi devi un bicchiere .» borbottò Quinn, sorridendo nel bicchiere.
La porta della cucina si aprì con un cigolio e vi spuntò la cameriera, che portava in mano le loro due pizze.
«Una margherita mista per la bimba.» disse poggiando il piatto davanti a Beth, che inspirò a pieni polmoni.
«E una capricciosa piccante per te dolcezza.» aggiunse poi, rivolta a Quinn. La rossa si allontanò, accarezzandole seducentemente il braccio. La bionda si voltò imbarazzata verso il suo pranzo, giusto in tempo per vedere la figlia che ricominciava, muta, a ridere.
«Quando hai finito, mangia che si fredda.» borbottò la ragazza, prendendo un tracio di pizza e infilandoselo in bocca, dimenticando, a causa della rabbia, che era bollente.
 
«Il conto prego.» disse la bionda, dopo l'ennesimo sorriso malizioso della cameriera.
Beth bevve l'ultimo sorso dell'aranciata, mentre la mamma tirava fuori il portafoglio dalla sua borsa, sperando di avere contanti.
La cameriera tornò con un libricino marrone, poco più piccolo del menù. Al suo interno c'era il foglio del conto e un piccolo post-it giallo, con sopra scritto “Syu” e un numero di telefono. La bionda infilò la banconota nel libricino e si lasciò cadere il foglietto giallo nella tasca, con un sospiro; rivestì Beth e uscì dal locale, facendo suonare di nuovo i sonagli attaccati all'architrave.
Subito, la piccola allungò il passo, piazzandosi davanti alla mamma, a braccia conserte e un sopracciglio alzato.
«Era maleducazione buttarlo di fronte a lei.»  si difese la bionda capendo subito a cosa alludeva la figlia.
In realtà, quella ragazza non era male. Tanto lei non sarebbe mai tornata. Perché doveva attaccarsi ad una promessa fatta anni prima, che era stata infranta?
Ormai erano sette anni che la aspettava, che vedeva il suo viso ovunque, che popolava tutti i sui sogni. Per quale motivo? 
Lei aveva ricominciato la sua vita ed era ora che Quinn facesse lo stesso.
Prese per mano la bimba, che, sospirando, riprese a camminare assieme alla mamma.
La bionda si bloccò di nuovo, guardando prima in direzione del parcheggio e poi in direzione dello spiazzo arancione. Ci pensò su qualche momento, poi guardò la figlia.
«Che ne dici di andare al parco?» domandò la bionda. Non aveva la minima voglia di tornare tra le quattro mura della sua casa con quella giornata semplicemente stupenda.
Beth annuì seria e le diede le spalle, iniziando a camminare verso la piazza. 
Anche se il parco e le panchine intorno ad esso erano piene, il primo di bambini urlanti, le seconde di genitori che ad ogni movimento dei figli si sbracciavano per farli calmare, Quinn notò con piacere che la sua panchina e la cesta della sabbia erano vuote.
Con un sorrisetto soddisfatto si sedette sul legno umido, poggiando i due cappotti al suo fianco e poggiò le mani sulle spalle di Beth.
«Dovrò dire addio per sempre a questo vestito.» sussurrò, son finta voce dispiaciuta. Sapeva per esperienza che, qualsiasi capo di abbigliamento indossasse la bimba, vecchio o nuovo, non usciva intero dalla cesta della sabbia.
Beth le fece la linguaccia e corse verso il suo gioco preferito, mentre Quinn si poggiava sulla spalliera della panchina; cerco con lo sguardo il lago, cercando di scorgerlo tra il mare di teste che affollava lo spiazzo. La rilassava osservare l'increspatura dell'acqua e i giochi di luce che il sole provocava su di essa, e in quel momento aveva veramente un gran bisogno di rilassarsi.
Mentre continuava ad allungare il collo e scorgere uno squarcio dello specchio d'acqua, il movimento di una treccia scura catturò la sua attenzione. Di nuovo, il sangue le si gelò nelle vene.
“E se fosse veramente...” pensò, cercando di scorgere il viso della ragazza, purtroppo costantemente coperto da una ciocca più corta dei capelli scuri.
La fissò per una paio di minuti, sperando che da un momento all'altro cambiasse direzione e si mostrasse, fino a quando lei non inciampò nelle gambe di una ragazza china sul bordo del lago e, nel rialzarsi, mostrò un tenero naso alla francese un una paio di occhi verdi smeraldo
Sospirò, delusa. Ma che cosa le saltava in testa?
Lei non sarebbe tornata, aveva ricominciato la sua vita.
Tornò con lo sguardo alla cesta della sabbia e, per poco non svenne: Beth era sparita. 
Si alzò con uno scatto, il cuore a mille, lo sguardo che saltava da una persona all'altra, in cerca della testa riccioluta della figlia.
«Beth?» urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo, spostando violentemente la gente che intralciava la sua visuale, beccandosi i peggiori insulti.
La cercò e la chiamò, fino a quando la vide che camminava tranquillamente verso  la fontana. Quinn corse verso di lei, prendendola in braccio da dietro e stringendola forte a sé.
«Ma cosa ti salta in mente?» la sgridò, incatenando i suoi occhi furenti in quelli verdi della bimba. 
La figlia non si mosse di un millimetro e indicò con la manina paffuta la ragazza bionda davanti al bordo di marmo. 
Quinn si calmò, confusa.
«Vuoi che ti porti da quella ragazza?» chiese. La  piccola annuì decisa, divincolandosi per scendere dalle braccia della mamma, che la mise a terra e si lasciò portare.
Non capiva per niente cosa, in quella ragazza, potesse attrarre Beth. In effetti era vestita in modo stravagante: aveva lunghissimi capelli biondi e indossava una maglietta lunga e grigia, a mezze maniche; un paio di shorts verde lime, che le arrivavano a poco meno di metà coscia, con delle perline attaccate tutto in torno ai bordi; un paio di calzettoni a strisce viola e azzurri, con due pon pon che pendevano e un paio di Nike bianche, con i lacci arancioni.
Beth  si avvicinò lentamente alla ragazza e, timidamente, le diede un paio di colpi sulla spalla.
La bionda si voltò, rivelando un viso infantile e un paio di occhi blu profondissimi.
Quinn sgranò gli occhi. Era lei.
«Brittany?»

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Gina's Corner:  Eccomi qui, con il primo capitolo! 
 
È un pochino corto, ma il resto continua nel prossimo capitolo. Mi pareva giusto farmi rosicchiare un po'=)
 
Ringrazio le persone che  hanno letto e messo tra le seguite/preferite/ricordate  il prologo!
Anche  se è una sola recensione, immagino che sia perché non era un capitolo soddisfacente e non perché non piace!
Ok, mi sono capita da solo XD
 
Non mi piace moltissimo, preferivo la prima versione, ma la mia scartavetra ovaie adorata sorellina ha detto che era migliore così. Dice che i suoi consigli sono oro per noi giovani scrittori .-.
Date la colpa a lei se non vi piace u.u
 
Non ho nient'altro da dire, fatemi sapere con una piccola frasetta che ne pensate e se ci sono domande, I'm there =)
 
And that's how Gina sees it.
Peace and Love ;)
                                                                                                                                                                                                                                                                
   
 
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