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Autore: elsie    02/08/2012    2 recensioni
"In ognuno di noi c'è un eroe e un assassino, essere l'una o l'altra cosa dipende da quale carta giocherà il destino." Delilah ha scelto di correre un rischio altissimo pur di proteggere la persona che l'ha abbandonata da bambina. Ora si trova ad essere una pedina in un gioco pericolosissimo, ma avrà anche la possibilità di tentare di salvare ciò che altri prima di lei hanno distrutto...
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Nuovo personaggio, Severus Piton, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Cap. 39 – Sanctuary Cap. 39 – Sanctuary


“Aspetta qui.” disse Remus. Lasciò la stanza e Delilah sentì i suoi passi arrampicarsi velocemente su per le scale.

Lei si guardò intorno, vagamente inquieta, ed osservò la sua ombra danzare sul muro, proiettata dalle lampade di ferro battuto che decoravano il salotto. Il divano sembrava morbido ed invitante, ma Delilah si sentiva troppo nervosa per rimanere seduta.

Quando aveva chiesto a Remus dove si trovasse Tonks, lui le aveva dato solo una vaga risposta che non aveva fatto nulla per calmare la sua inquietudine. Una serie di possibili e orrendi scenari le si erano delineati nella mente prima che lei li scacciasse con forza.

Nessuna notizia é una buona notizia, ripeté per l’ennesima volta Delilah alla parte del suo cervello che non voleva crederci.

Accarezzò distrattamente le foglie dell’aspidistra che cresceva in un vaso a fianco della libreria, e qualcosa su una delle mensole catturò il suo sguardo.

Era la foto in bianco e nero di tre bambine, sorelle, giudicò Delilah dalla somiglianza. La più piccola, una minuta bimba dai boccoli biondi, era seduta al centro, una bambola tra le mani. La bambina alla sua destra sorrideva debolmente, di tanto in tanto lanciando un’occhiata alle sue sorelle.
La terza, una bambina di non più di dieci anni, aveva lunghi capelli neri che le ricadevano sul viso, quasi nascondendole gli occhi. La sua espressione era seria e accigliata, terribilmente fuori posto sul volto di una bambina così piccola.

“Finalmente sei arrivata.”

Delilah si voltò, e quando vide la persona che aveva parlato il sangue le si ghiacciò nelle vene. D’istinto indietreggiò, in preda al terrore, ma poi si accorse che, nonostante la somiglianza con sua madre, la donna che si trovava ora davanti a lei aveva i capelli castani, e non neri. Il suo volto era spigoloso, ma i suo tratti erano più morbidi di quelli di Bellatrix.

Soprattutto, negli occhi di quella donna non c’era traccia dell’ossessione febbricitante che scintillava sempre negli occhi di sua madre.

La donna le sorrise stancamente. “E’ un piacere poterti finalmente conoscere, Delilah. Sono anni che Dora ha intenzione di portarti a pranzo da noi.”

Delilah ignorò la fitta di senso di colpa che le trafisse il petto. “Tu sei Andromeda.” disse. “La madre di Tonks.”

Il volto della donna si rabbuiò di colpo. “Sì, io sono Andromeda.” rispose tristemente avanzando verso Delilah. “Madre di Nymphadora, vedova di Ted.” I suoi occhi si posarono sulla fotografia sulla mensola. “Sorella di Bellatrix e Narcissa.” Il suo sguardo incrociò quello di Delilah e sorrise. “Immagino che nessuno si sia mai degnato di dirti che hai un’altra zia, non é vero?”

Delilah le restituì lo sguardo. I suoi occhi erano scuri e seganti da palpebre pesanti, identici a quelli di Bellatrix, ma allo stesso tempo caldi e luminosi.

“Ho sentito a volte parlare di te.” disse Delilah. Alla mente le tornarono brani di conversazioni che non avrebbe dovuto ascoltare, in cui il nome di Andromeda veniva sempre pronunciato come qualcosa di sporco.

Andromeda sorrise di nuovo, senza gioia. “Posso solo immaginare in che contesto.” sussurrò, gli occhi di nuovo fissi sulle bambine nella foto.

“Che cosa hai fatto per essere esclusa dalla famiglia?” domandò d’istinto Delilah. Una piccola parte di lei si vergognò per la sfacciataggine di quella domanda, ma la sua mente le rispose che, dopo tutto quello che era successo, aveva il diritto di sapere tutto quello che poteva sulla sua famiglia.

Andromeda la guardò per qualche istante senza rispondere, e Delilah arrossì, distogliendo lo sguardo.

“Beh, sposare un Natobabbano era un peccato assolutamente imperdonabile nella nostra famiglia.” disse Andromeda, la voce grondante di amaro sarcasmo. Delilah tornò a scrutare il suo volto.

“Immagino che lo sarebbe tuttora, se la famiglia Black non si fosse estinta con mio cugino Sirius.” aggiunse Andromeda dopo qualche secondo, alzando le spalle.

I suoi occhi tornarono a posarsi sulla fotografia. “Quella é l’unica cosa che ho portato con me quando me ne sono andata.” continuò Andromeda in un sussurro. Delilah sentì chiaramente una vena di dolore scorrere nella sua voce. “Sapevo che i miei genitori... Beh, mi aspettavo la loro reazione. Mi aspettavo che mi avrebbero cacciata fuori di casa quando ho detto loro che avrei sposato Ted, che mi avrebbero considerata come morta. Ero preparata a quello.” Sospirò senza incrociare gli occhi di Delilah.

“Ma le mie sorelle... Speravo che col tempo mi avrebbero perdonato. Che avrebbero capito. ‘Siamo sorelle’ mi dicevo, ‘un giorno anche loro se lo ricorderanno.’” Un sorriso triste tornò a piegarle le labbra.

“Bellatrix era fuori di sé dalla rabbia. Non capiva come potessi portare uno scandalo simile sulla nostra famiglia.” Andromeda rise, senza gioia. “Lo disse mentre era incinta di un uomo che non era il suo fidanzato.”

Delilah inspirò a denti stretti, come se quelle parole le avessero procurato un dolore fisico. Andromeda si voltò di scatto e le poggiò una mano sulla spalla, accarezzandola dolcemente, come se volesse scusarsi della sofferenza che quelle parole le avevano inflitto.

“Quando glielo feci notare andò su tutte le furie. Disse che il padre del suo bambino era purosangue, mentre i miei figli sarebbero stati feccia mudblood. Fu allora che me ne andai sbattendo la porta.” Sospirò nuovamente, distogliendo lo sguardo. “Sapevo che per loro era difficile da capire, da perdonare, ma ogni volta che guardavo questa foto sapevo che prima o poi sarebbero riuscite a farlo. ‘Hanno bisogno solo di un altro po’ di tempo.’ mi dicevo ogni volta che una lettera che avevo scritto alle mie sorelle tornava indietro senza essere stata aperta.”

Tornò a guardare Delilah, la mano ancora appoggiata sulla spalla della nipote. “Finché non andai a trovare Narcissa all’ospedale, il giorno in cui nacque Draco.” sussurrò Andromeda. “E lei mi fece cacciare via come un cane da suo marito. Fu allora che capii che non saremmo mai più state come in quella foto.”

Delilah strinse le labbra alla vista delle lacrime che le scorrevano sul volto. “Mi dispiace.” disse.

Andromeda le sorrise, senza più traccia della tristezza che aveva oscurato la sua espressione fino a poco prima. Le sue mani salirono ad incorniciare il volto della nipote. “Sei una brava ragazza, Delilah.” le disse, guardandola dritta negli occhi. “C’é qualcosa di Bellatrix in te. La sua forza, la sua determinazione, il suo coraggio. Ma tu sei migliore di lei. Sei ogni cosa buona che tua madre ha in sé.” Con delicatezza, asciugò le lacrime che correvano lentamente lungo le guancie di Delilah.

“E’ mai stata felice?” domandò la ragazza in un sibilo roco, indicando la foto con un cenno.

Andromeda sorrise. “Un tempo, lo é stata.” sussurrò, mentre le sue lacrime si mischiavano a quelle di Delilah. “Quando ricevette la sua prima bacchetta, nostro zio Alphard le mostrò come trasformare le foglie secche in bolle di sapone. Bellatrix passava ore a fare e rifare quella magia, solo perché io e Narcissa lo trovavamo divertente.”

Delilah pensò a un pomeriggio d’autunno, ad uno scialle rosso che le volava accanto al viso, e a sua madre che rideva inginocchiata sull’erba gialla e marrone. Non l’ho inventato, si disse. L’ho ricordato, perché é successo davvero.

Andromeda le sorrise di nuovo. “Ma alla fine, Bellatrix ha fatto la sua scelta.” disse. “Così come l’hai fatta tu.”

****

Quando Remus le disse che Tonks non vedeva l’ora di vederla, ma che non poteva lasciare la sua stanza, Delilah si era preparata al peggio.

Quello a cui non era assolutamente preparata era vedere Tonks seduta sul letto, la schiena reclinata contro un cuscino e un minuscolo bambino tra le braccia.

“Santo Merlino!”

Tonks la guardò implorante. “Shhh, ti prego, sono appena riuscita a farlo addormentare.” le sibilò cullando il piccolo.

Delilah osservò a bocca aperta la scena che aveva di fronte, incapace di dire anche una sola parola.

Tonks allungò il braccio libero verso di lei. “Vieni qui e fatti abbracciare.” la implorò in un sussurro. “Ero preoccupata da morire per te.”

Delilah si avvicinò e si sedette sul letto. Le due cugine si strinsero in un abbraccio maldestro, staccandosi immediatamente quando il bambino cominciò ad agitarsi.

“Quando... Quando é nato?” mormorò Delilah.

Tonks cullò il neonato fino a farlo addormentare prima di risponderle. “Tre giorni fa.” disse. “Non potevamo andare al St. Mungo, perciò ho dovuto partorire qui, con mia madre e Remus. E’ stato terribile.”

Delilah annuì con partecipazione. “Lo immagino.”

Il neonato emise un piccolo mugolio e Tonks tornò a guardarlo, un sorriso radioso sul viso. “Ma finalmente ho il mio cucciolotto qui con me.” gli sussurrò, la voce piena di gioia e di orgoglio.

Il suo sorriso sbiadì velocemente quando i suoi occhi tornarono a posarsi sulla cugina.

“Oh, Delilah, Remus mi ha raccontato tutto.” le disse, stringendole delicatamente il polso con la mano libera. “Avrei voluto venire da te, ma...”

“Non ti preoccupare.” la rassicurò Delilah. “Avevi cose più importanti da fare.”

Tonks le sorrise. “Vuoi tenerlo in braccio?” le chiese a bruciapelo.

Delilah sentì una vaga ondata di panico percorrerla dalla testa ai piedi. “Non ho idea di come fare.” balbettò. “Probabilmente lo farei cadere.”

“Sciocchezze, é semplicissimo.” tagliò corto Tonks, porgendole il bambino. “Ecco, distendi le braccia. Così. Sorregigli la testa... Perfetto.” Ridacchiò, guardando sua cugina cullare cautamente suo figlio, sul viso un’espressione che si avvicinava parecchio al terrore.

Delilah osservò il fagotto che teneva fra le braccia. Il bimbo aveva un minuscolo nasino a bottone, simile a quello della madre, ma quando aprì gli occhi Delilah poté vedere che erano dello stesso colore di quelli di Remus.

“Lo abbiamo chiamato Ted, come mio padre.” sospirò Tonks, improvvisamente triste. “E’ morto il mese scorso, mentre cercava di scappare da un gruppo di Ghermidori.”

Delilah sentì un’ondata di gelo percorrerla dalla testa ai piedi. Tonks le mise una mano sulla spalla, come aveva fatto Andromeda, e strinse.

“Tu hai fatto tutto quello che hai potuto.” le disse con decisione. “Hai fatto più di molti altri.”

Delilah annuì, e strinse Ted più forte tra le sue braccia.

****

Tre settimane dopo, il Marchio Oscuro apparve improvvisamente all’orizzonte.

Fu difficile per Remus e Delilah convincere Tonks a restare a casa, e alla fine solo le suppliche di Andromeda convinsero la ragazza a rimanere con il suo bambino.

Lo sguardo di Delilah si concentrò per qualche secondo sul Marchio che brillava maligno nel cielo, poi si abbassò sui resti dell’accampamento nel quale lei e Remus si erano materializzati.

Due cadaveri giacevano accanto a una tenda. Uno aveva la faccia completamente bruciata, ma Delilah poté comunque riconoscerlo dalla corporatura e dai vestiti. L’altro, un ragazzo mingherlino con una fascia rossa attorno al braccio, era Odhrán.

Delilah incrociò lo sguardo di Remus. Il lupo mannaro aveva la mascella serrata, come se stesse lottando per tenere sotto controllo la repulsione che quello spettacolo gli procurava.

Spostandosi vicino agli alberi, Delilah trovò il corpo di Vargo. Le ossa delle gambe e delle braccia gli spuntavano dalla carne, scintillando nel bagliore verdastro del Marchio. Loki e Tamir mancavano all’appello, ma Delilah sospettava che se avesse usato un’incantesimo di illuminazione, avrebbe potuto intravedere i loro cadaveri riversi tra gli alberi.

Scabior giaceva sulla schiena,
i suoi lunghi capelli castani incrostati di fango e foglie. Le sue mani erano serrate al punto che le unghie gli si erano conficcate nella carne talmente in profonditá da macchiare il terreno di sangue. Aveva la testa gettata all’indietro, i tendini del collo ancora gonfi e tesi come cavi d'acciaio, e la bocca piena di sangue. Delilah osservò i suoi occhi scrutare opachi e vuoti il cielo.

Il mio nome é Yoska.

Rivestiti e basta, Scabior.

Si inginocchiò al suo fianco e, con delicatezza, chiuse le sue palpebre e pulì il rivolo di sangue che gli solcava una guancia.

Il rumore di passi alle sue spalle la fece voltare e i suoi occhi trovarono quelli di Lupin. Delilah non aveva mai visto un’espressione così tesa e preoccupata sul volto di Remus.

“Mia madre mi sta cercando.” disse semplicemente Delilah, dando voce al pensiero di entrambi.

Usarono la magia per scavare delle fosse, e per avvolgere i corpi in pesanti sudari di tela scura. Era più facile non dover guardare i segni delle torture.

Quando tutti i corpi furono nelle buche, Remus agitò la bacchetta e la terra cominciò a scivolare dolce e leggera nelle tombe, coprendole lentamente.

Delilah osservò la fossa di fronte a sé.

Addio, Yoska, gli disse.

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Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Sono molto felice della prima parte (quella come Andromeda); un po' meno dell'ultima. Consigli e critiche sono molto piu' che bene accetti.

Grazie a cucciola 95, Hotaru_Tomoe e Erodiade per le loro recensioni al capitolo precedente.

Il titolo e' una canzone di Paradise Fears.

Spero di tornare a farmi sentire presto. Il prossimo capitolo, intitolato "If I had possession over Judgment Day" , sara' l'inizio della battaglia di Hogwarts. ;)

  
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