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Autore: Opalix    17/02/2007    6 recensioni
“Prendimi con te, se tu non puoi tornare!” le disse, e sentì risuonare dentro di sé quelle parole come se le avesse pensate, non pronunciate, come se le avesse dette l’uomo che avrebbe voluto essere e che non era più. Poi il volto e il corpo di lei si dileguarono nell’ombra. – V.M.Manfredi “Il Tiranno”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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CAPITOLO 4: FROZEN FLOWER

Passare la mano su quei capelli era come toccare fili di seta nel buio.
Harry, sollevato su un gomito, guardava la sagoma di Rachel dormire, rannicchiata, inconsapevole della tristezza negli occhi verdi che la osservavano e della tenerezza di quelle carezze distratte… mentre mille pensieri attraversavano la mente insonne del ragazzo.
Due anni.
Era piombata nel suo mondo, invadendo la sua casa, con quella dolcezza discreta e solare che aveva fatto sì che lui non si fosse neppure accorto di quanto lei gli aveva rivoluzionato la vita… tanto che mangiare ogni giorno allo stesso tavolo, mischiare le calze nello stesso cassetto e mettere lo spazzolino nello stesso bicchiere gli era sembrato la cosa più normale del mondo – lasciarla entrare in quella parte della sua vita che non le avrebbe fatto del male, lasciare che intuisse che c’era altro di lui ma non permetterle di vedere che cosa.
La pelle della sua guancia era bianca e traslucida nella penombra. Alla luce, Harry lo sapeva, avrebbe avuto quella lievissima sfumatura rosata dei petali bianchi di ciliegio, congelati per sempre nella primavera del suo sorriso: il sorriso che aveva per lui ogni giorno, incurante di quei segreti che non le venivano rivelati, quel sorriso sicuro che gli scaldava via il passato dal cuore da quando, quella sera di due anni prima l’aveva incontrata.
Guardando la sua immagine allo specchio – o la proiezione di se stesso che aveva in quella mente malata, una mente che a volte credeva di rivivere ancora quei maledetti diciott’anni – gli sembrava impossibile che lei avesse potuto notarlo, esserne attratta, innamorarsi di lui.
Di lui, e della sua vita di ricco fallito.
“Cosa ci trovi in me?”
Rachel lo aveva guardato, con quell’espressione affettuosa, a cui solo una scintilla di malizia impediva di essere del tutto materna - a metà tra una sentimentale crocerossina e un’inglese di buona famiglia alla ricerca del cattivo ragazzo con cui scandalizzare papà.
La risata un po’ roca di lei lo aveva fatto rabbrividire tra le coperte.
“Mi piaci quando ti dimentichi di farti la barba, e hai la maglietta stracciata come un reduce dalla guerra del Vietnam…”
La verità inconsapevole nascosta in quelle parole scherzose aveva il puzzo amaro dei segreti sepolti da troppo tempo.
Tornando seria, Rachel gli aveva accarezzato il viso.
“Mi piace quando riesco a farti sorridere e tu cerchi di trattenerti e fai quella faccia buffa, e mi piace sentirti ridere quando Dorian dice qualche idiozia…”
“Cioè sempre?”

Rachel aveva riso contro il suo collo.
“Smettila, lo sai che gli vuoi più bene di quello che vuoi far credere. Sembra che vi conosciate da sempre, da prima di questa vita… chissà, magari in un’altra vita eravate anime gemelle!”
“Ma ti prego… sai che sofferenza!”

Un bacio aveva troncato quella sarcastica protesta.
“E mi piace la tua voce, perchè sembra fatta di mille voci insieme… anche se alcune vengono da lontano e non le posso sentire.”
“Tu hai troppa fantasia…”

E dietro quel sorriso amaro, lui avrebbe voluto urlarle che tutto quel mistero non nascondeva che un mostro, qualcosa che non avrebbe dovuto sopravvivere mentre tanti erano morti al suo fianco… avrebbe voluto dirle di scappare, perché lui non era l’eroe che un tempo il mondo aveva creduto, non era che l’ombra del ragazzino pieno di boria e coraggio in cui tanti avevano riposto quelle flebili speranze. Non c’era che un tormentato codardo, imbottito di rimpianti a galleggiare nell’alcol, nascosto dietro la maschera di ricco e dannato che Henry Evans si portava a spasso tra un pub e l’altro, tra una notte e l’altra. Tra le notti popolate di incubi e quella parodia di vita che recitava nelle ore di luce.
Invece lei era rimasta, senza sapere e senza rivelare nulla, perché in fondo anche Harry, di lei, sapeva a malapena il nome della madre.

Un sommesso CRACK in soggiorno lo distolse dai suoi pensieri. Harry si alzò dal letto il più piano possibile e attraversò il corridoio.
Draco barcollò nel buio verso il freezer, in cui immerse completamente la testa, rovistando finchè non trovò una bottiglia di vodka quasi finita. Strabuzzando i begli occhi grigi, armeggiava col tappo tentando di aprirlo, le dita troppo scoordinate per riuscirci.
“Queste notti mi sembrano un film rivisto centinaia di volte” mormorò Harry, avvicinandosi. Tolse la bottiglia congelata dalle mani di Draco e la aprì per lui; mentre si allungava per prendere due bicchieri, il biondo si era già attaccato alla bottiglia.
“Salute…” borbottò Harry, riprendendogliela dalle mani e versandosene due dita. Draco tossicchiò per un sorso andato di traverso ed Harry gli assestò due sonore pacche sulla schiena.
“San Potter…” biascicò Draco, asciugandosi la bocca con la manica, “sempre pronto ad aiutare gli altri, vero?”
Harry scosse la testa.
“Già… e dopo il Prescelto ti terrà pure la fronte mentre vomiti l’anima nel cesso di casa sua. Pensa che onore.” borbottò.
“Un grande onore…” concesse Draco, riattaccandosi alla bottiglia. E dopo un silenzio, riprese, masticandosi le parole: “…se non muori per salvargli il Culo Sopravvissuto, vinci un buono per vomitare nel suo bagno.”

“Sometimes you fight what you are and sometimes you give in to it. And some nights you just don’t want to fight yourself anymore, so you pick someone else to fight.”
Laurell K. Hamilton
“Incubus Dream”

La voce di Draco era scherzosa e cantilenante.
Mormorare parole che un tempo facevano male, rigirate da lingue impastate di alcol, parole che ormai non potevano che strappare un amaro sorriso… era un gioco vecchio quanto una briscola tra ottantenni. Ma c’era un limite oltre il quale non bisognava spingersi. C’era una linea che, per tacito accordo, nessuno dei due si permetteva di oltrepassare. C’erano parole proibite, recriminazioni che ognuno faceva a se stesso nella solitudine degli incubi, ma risparmiava all’altro… per mantenere splendente lo specchio della propria codardia.
Harry posò il bicchiere sulla tavola, con il gesto misurato di chi si sforza di non tremare. Quegli occhi grigi da angelo rubato ad un paradiso piovoso, lanciavano frecce di gelido odio che potevano – lo sapeva, per Dio se lo sapeva – centrare il bersaglio senza nemmeno prendere la mira. Perché il bersaglio era un buco nero pronto ad inghiottire ogni luce del mondo.
“Sei troppo ubriaco anche per i tuoi standard, Draco” disse sommessamente, distogliendo lo sguardo, “credo che dovresti andare a casa. A vomitare nel tuo bagno, tanto per cambiare.”
Draco proruppe in una risata che assomigliava ad un rauco ululato.
“San Potter si è offeso….” cantilenò, con velenosa dolcezza, “bisogna proteggere il Prescelto dalla cattiva verità…”
“Malfoy.”
Una parola che suonava come un avvertimento, pronunciata da un uomo che una volta era un ragazzino, un ragazzino che non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di prendere a calci nel culo quel presuntuoso, stronzo, arrogante.
“No Harry… Malfoy era il mio caro paparino, quello che per colpa tua ha ucciso la tua fidanzatina…”

Il pugno arrivò, secco e preciso, sullo zigomo di Draco. Non forte: l’essere seduti ad un tavolo aveva limitato il danno, ma l’equilibrio di Draco era comunque già precario, e il ragazzo rovinò a terra schizzando di vodka il tavolo e il pavimento. Senza aspettare che si riprendesse, Harry lo tirò in piedi per un braccio e, prendendolo per il collo, gli ficcò la testa dentro l’acquaio. L’acqua gelida cominciò a piovergli sulla nuca e Draco si divincolò, ansimando.
“Potter…” sibilò.
“Che sta succedendo!”
Harry registrò la presenza di Rachel nel buio, al di là della spalla di Draco e lo spinse da una parte.
“Rachel…” mormorò, avvicinandosi con due balzi, “va tutto bene, tesoro. Dr… Dorian è ubriaco. Un po’ più del solito. È tutto ok, torna a dormire.”
Rachel lanciò un’occhiata severa a Draco, appoggiato malamente all’acquaio.
“Sei sicuro?”
“Si. Tu… gli parlo io, Rachel. È solo un po’ scosso. Torna pure a dormire, ok?”
“Va-va bene…”
Rachel arretrò, poco convinta. Non era la prima volta che beccava Dorian ubriaco. Cristo, non sarebbe stata nemmeno la prima volta se li avesse trovati entrambi a vomitare nell’acquaio! Ma qualcosa quella sera sembrava decisamente diverso. Henry aveva avuto un’indecisione nel pronunciare il nome dell’amico… non che si fosse mai bevuta che Dorian fosse il suo vero nome. Oh, andiamo! Quale genitore sensato chiamerebbe un bambino con quel nome idiota! Ma tutti avevano sempre rispettato quella recita assurda e lei si era adeguata.
C’era qualcosa di strano. Qualcosa nell’aria.

“Se ne va alla finestra e ci si appoggia contro: respira pesante, da animale braccato. Negli occhi ha un bisogno disperato e nient’altro.”
Irvine Welsh
“Trainspotting”

Draco aveva attraversato la stanza, lasciando le impronte delle mani bagnate di vodka sulle pareti a cui si era appoggiato. Era uscito sul balcone, a gelarsi il culo alla luce della luna.
“Ti porto a casa. Dammi la mano, avanti.” mormorò Harry.
“Dammi la mano.” Una frase che usciva da un racconto leggendario, in cui maghi-bambini combattevano insieme, con l’anima spezzata troppo presto dal male del mondo, e la fiducia in chi si ha accanto, silenziosa e sola, a sostenerli. Fiducia sbocciata dall’odio. Odio germogliato su radici recise che sembravano espandersi fino all’inizio del tempo.
Draco si voltò a guardare Harry negli occhi, le iridi grigie stralunate dall’alcol, dietro le lenti finte degli occhialetti quadrati. Distrattamente mostrò il dito medio e si rimise a guardare la città illuminata dalle luci notturne.
…va tutto bene, tesoro…” parodiò, con la voce in falsetto.
“Dorian!” ruggì Harry, prendendolo per una spalla.
Draco si spostò, come se la mano di Harry bruciasse.
“Non va bene proprio un cazzo, tesoro! Lo sai?!? Lo sai che non va bene un cazzo?!?” strillò.
Harry tentò di avvicinarsi ancora e questa volta Draco non lo respinse. Ma nemmeno si voltò a guardarlo.
“Non va bene un cazzo che noi siamo qui, a nascondere la testa nella sabbia!!! Non va bene!!” si tolse gli occhiali e li lanciò in strada con uno scatto rabbioso. Quando si girò, puntò addosso ad Harry due occhi spalancati, rossi per l’ubriachezza e lucenti come specchi. “Non va bene che LORO stanno là, tranquilli, in pace… dopo che NOI abbiamo combattuto per quella cazzo di pace che non ci stiamo neanche godendo! Non va bene che quei fottuti marmocchi vivano nella nostra leggenda, ci venerino come eroi caduti, e noi non abbiamo più… non abbiamo più niente! Niente!”
Draco si interruppe all’improvviso in un conato di vomito e si piegò sul parapetto, tentando di rimettere al di là di esso come da una barca. Harry strinse i pugni e li riaprì più volte, impotente.
“Sei libero. Puoi fare quello che vuoi… non devi nasconderti se non è quello che senti…”
Draco si tirò in piedi e, mettendo a dura prova l’equilibrio instabile, si issò a sedere sul parapetto. “No che non sono libero, Potter!” sibilò.
“Si. Fatti vedere anche una sola volta al ministero, ad Hogwarts, dove vuoi… avrai tutti gli onori che desideri.”
“Ma NON VOGLIO farmi vedere! Prendere in mano quella cazzo di bacchetta mi da il voltastomaco!” si sporse verso Harry, gli occhi vacui e pieni di lacrime, “non riesco più a neanche a guardarla! Lo capisci, Grande Potter?!?! Eh? Lo capisci?!”
Harry annuì.
“Lo capisco…” mormorò.
“E allora come fai a non impazzire!” urlò Draco.
Harry non stava più guardando, non ce la faceva. Era raro che Draco si facesse sfuggire la situazione in quel modo: anche da ubriaco manteneva una certa classe e un certo distacco dalle idiozie che rotolavano fuori da quelle labbra. E non era mai successo, mai, che uno di loro torturasse l’altro con le ansie che ribollivano sotto la superficie piatta e tranquilla delle loro vite. Mai prima di allora.
Forse il vaso di Pandora che Draco aveva chiuso tanto tempo prima nel proprio cuore, era meno capiente di quanto credeva. Forse era meno capiente di quello di Harry. O forse quello di Harry era esploso tanto tempo prima e ora lo spazio vuoto nel suo cuore era così grande da non poter essere mai più riempito.
“Io sono impazzito molto tempo fa, Draco. E tu lo sai meglio di tutti.” rispose con voce sommessa.
Sono impazzito la prima volta che ho visto quel fantasma dai riccioli rossi, seguirmi, nell’ombra sfocata che precede il punto in cui l’occhio più non arriva.
Sono impazzito quando l’ho creduta reale e l’ho rincorsa, pur senza vederla, gridando e strepitando che era tornata, era di nuovo con me. E sono impazzito quando mi hai preso a pugni per fermarmi, per farmi star calmo, per farmi capire che non era reale… perché ero impazzito. Perché quel fantasma l’avevo creato io, e avrei dovuto conviverci senza distruggermi.

“Draco, te lo ripeto: sei libero. Io ho scelto… questo, altrimenti le ferite non si sarebbero mai rimarginate. Ma tu devi vivere la tua vita, devi fare quello che vuoi.”
Draco alzò le mani dalla ringhiera per portarsele alla testa.
“E quando mai hanno smesso di far male queste cicatrici, eh?” singhiozzò, ritornando improvvisamente il ragazzino con la bacchetta tremante davanti a quello che avrebbe dovuto essere il suo primo omicidio, “Io non lo so che cazzo voglio, Harry! Non lo so, va bene! Non sono te, che alla fine trovi sempre qualcuno disposto a far da balia a San Potter! Non sono te che chissà come riesci sempre ad essere amato!! E che hai sempre pure il lusso di buttare tutto a puttane, tu! Io non so più neanche chi sono!”
“Sei Draco Malfoy. Quello purtroppo non cambia.” rispose Harry, ignorando le frecce affilate che Draco aveva mandato (bastardo) dolorosamente a segno, “Draco io non posso aiutarti. Andiamo in casa, dai. Sto gelando.”
“No!”

L’energia con cui si divincolò dalla mano di Harry.
La veemenza di quel gesto.
L’equilibrio precario.
La rabbia.

Harry vide se stesso balzare in avanti come al rallentatore, e i capelli biondi di Draco svolazzare nell’aria mentre, nella violenza della ribellione, il ragazzo perdeva l’equilibrio e scivolava all’indietro, cadendo verso la strada sottostante.
Verso il vuoto.
Verso Londra, presuntuosa puttana che reclamava il suo esoso salario.

La mano di Harry sfiorò il braccio teso di Draco mentre lui precipitava.
Un altro momento infinito che sarebbe stato in grado di rivivere solo molto tempo dopo, come silenziosi fotogrammi con il solo sottofondo assordante dell’urlo di Rachel.
Incurante della presenza della ragazza, Harry si smaterializzò disperatamente.
Destination. Determination. Deliberation. (*)

“No… no, no, no…”
Harry stringeva a sè Draco, immobile e pallido… più pallido di quanto non fosse mai stato. Il sangue usciva, nerastro e abbondante, da una ferita alla fronte. La guancia era martoriata da un’abrasione e il braccio era piegato in una posizione innaturale…
“Draco! No… no, svegliati…”
Gli occhi verdi di Harry erano spalancati, stravolti… singhiozzava senza piangere, scuotendo delicatamente il corpo di Draco, toccando ossa spezzate e sporgenti dalla spalla sinistra, dove la camicia si inzuppava di sangue. Il respiro del ragazzo sdraiato sull’asfalto si percepiva appena contro la pelle.
Harry alzò lo sguardo verso il cielo, bluastro e punteggiato da rare, lontanissime, stelle, la bocca aperta in un urlo muto, e la gola che lottava per far uscire un rantolante singhiozzo.
A sinistra, nel punto in cui l’occhio ormai non riesce più a mettere a fuoco, un viso bianchissimo incorniciato da lunghi riccioli rossi brillò di lacrime nel chiarore della luna, e una mano altrettanto bianca si protendeva verso di lui. Un’altra ombra sfocata si aggiunse alla prima, un viso pallido e splendente, come splendente era il riflesso su quei capelli biondi d’oro chiaro… la seconda ombra si volse, in una parvenza di saluto, prima di stendere la mano verso il ricordo che ormai abitava da tempo quel luogo che nella realtà non esisteva…
“No!” Il rauco strillo di Harry echeggiò nella strada. “No, brutto bastardo! La mia testa è già troppo affollata, non ti aggiungerai anche tu, idiota!” urlò, stringendo di più a sé il corpo di Draco. Senza nemmeno porsi il problema di dove andare, smaterializzò entrambi.

“L’imperatore della Britannia giaceva per metà sulla terra e per metà sulle acque del lago, e stava guardando, alla luce del nuovo giorno, il proprio sangue tingere le acque di carminio. Non aveva mai saputo che l’alba potesse essere tanto bella.”
Marion Zimmer Bradley
“La signora di Avalon” (morte di Carausio)

Era l’alba quando riapparve nel parco davanti a casa, sull’altro lato di quella maledetta strada. Un ingombrante gioco di legno per bambini aveva offerto un riparo da occhi indiscreti per la materializzazione.
Rimase immobile, i piedi nudi e gelati tra l’erba bagnata, la fronte pallida tesa su due occhi cerchiati, di quel verde abbagliante che sembrava fatto apposta per portare speranza… gli occhi di Lily. Rimase fermo, come per far assorbire a quegli occhi spenti la luce dell’alba che, lenta, riportava alla vita quell’angolo di mondo.
Una rosa aranciata era sbocciata fuori stagione, in un cespuglio a pochi passi da lui, quasi che la notte avesse voluto lasciare quel dono inconsueto al giorno in arrivo. Una mano bianchissima, apparsa dal nulla, sfiorò con delicatezza i petali appena spiegati, e le gocce di rugiada caddero dal fiore in uno scintillio di piccoli diamanti.
Harry sbattè le palpebre.
La rosa era ancora al suo posto, immobile, e le gocce brillavano come congelate sul velluto di quei petali. Nessuna mano l’aveva toccata.
Mosse qualche passo per andare posare le dita dove poco prima aveva visto quelle delicate di lei; la rugiada imprigionata tra i petali bagnò il palmo della sua mano. La mano bianca riapparve, chiudendosi attorno allo stelo del fiore, incurante delle spine, come per staccarlo. Harry si mosse velocemente per afferrarla, ma quella sparì… confondendosi come uno sbuffo di fumo nella la luce rosata dell’alba.
Perché? Perché non vuoi portarmi con te?

Quando varcò la soglia, la casa era piena delle note strazianti di un pianoforte, che uscivano dallo stereo acceso. Rachel si era addormentata con la testa sul tavolo di formica, infreddolita nella vestaglia leggera; il viso era impiastricciato di lacrime… le prime lacrime che lui avesse mai visto scendere dai suoi occhi. Il primo cedimento di lei… lei che si era presa cura di lui come se la sua forza non dovesse mai mancare. Gli era rimasta accanto senza farglielo pesare, senza chiedere se non ciò che lui era disposto a dare. Per anni.
When you cried, I'd wipe away all of your tears/When you'd scream, I'd fight away all of your fears/And I held your hand through all of these years…(**)
Sfiorò quella guancia umida con le dita e le palpebre di Rachel fremettero; quando aprì gli occhi, in quelle pozze scure c’era una muta, ma urgente, domanda.
“è vivo” disse Harry, la voce rauca, senza alcuna inflessione. Come se il peso della paura si sollevasse improvvisamente dalle sue spalle, Rachel si appoggiò allo schienale della sedia, le mani contratte sul viso stanco. Il ragazzo distolse lo sguardo e si avvicinò alla finestra… la luce dell’alba illuminò la fronte bianca su cui spiccava, definito, il segno di un male che pareva appartenere ad un'altra vita. Ad un altro uomo.
Nell’angolo a sinistra, all’ombra della parete, il noto viso dai capelli rossi sembrava inclinato a fissare la figura angosciata di Rachel.
“Che cosa sei?”
Le parole di Rachel echeggiarono nell’aria immobile e tesa… risuonarono nel silenzio come il rintocco inesorabile del tempo che passa, svelando segreti che ormai puzzavano così tanto di vecchio da non poter essere più coperti. Un sospiro piegò le spalle di Harry.
…These wounds won't seem to heal/This pain is just too real/There's just too much that time cannot erase…(**)
Sul viso amato che popolava i suoi ricordi, la dolcezza infantile non sarebbe mai sparita: il tempo non avrebbe intaccato quella bellezza ingenua di fiore appena sbocciato, perché la morte l’aveva congelata in un ricordo che non avrebbe mai potuto essere cancellato. Mai.
Sorrise con la mente a quel ricordo splendente di baci rubati e carezze sognate. Sei andata vicina ad avere compagnia stanotte, piccola…
Troppo vicina.
Non poteva permettersi di distruggere altre vite.
Non quella di Rachel.
Non la propria. Non dopo che tanti si erano sacrificati perché lui avesse la possibilità di viverla.
Forse doveva sbatterci la testa una centesima volta prima di capirlo, prima di sentire quella scossa dell’anima. Prima che il suo cuore perdesse un battito, e la sua anima un altro pezzo, per la paura di vedere la storia ripetersi… per la centesima volta.

Una lacrima scivolò lungo la guancia di Harry, mentre sollevava le palpebre nello sforzo più doloroso della sua vita. Voltando leggermente la testa fece ciò che da anni non aveva il coraggio, o la capacità, di fare: la guardò negli occhi.
Si specchiò in quegli occhi scuri che nella sua mente erano grandi e lucenti come stelle, riversandovi tutto l’amore che non aveva potuto donarle quando sarebbe stato ancora in tempo… quando era viva. In quell’istante eterno, che non fu altro che lo spazio tra una nota e l’altra nella canzone che continuava a suonare, gli parve che anche gli occhi di lei si riempissero di lacrime.
“Lasciarla andare non significa amarla di meno.”
Non smetterò mai di amarti, Ginny…
Il sogno di un bacio si dissolse tra la lacrima di un addio e l’amaro sorriso di un arrivederci…
e, per la prima volta, non arrivò quell’urlo straziante che nessun altro udiva, quella muta ma assordante preghiera in cui lui stesso la implorava di prenderlo con sé. Tutto tacque.
I riccioli rossi si agitarono un’ultima volta prima di sparire nella luce del sole che sorgeva. Per sempre.

“…dopo aver vinto il cielo e battuto l'inferno,
basterà che mi volti e la lascio nella notte, la lascio all'inverno...
(e mi volterò) Le carezze tue di ieri
(mi volterò) non saranno mai più quelle,
(mi volterò) e nel mondo, su, là fuori
(mi volterò) s'intravedono le stelle
Mi volterò perché ho visto il gelo che le ha preso la vita,
e io, io adesso, nessun altro, dico che è finita;
e ragazze sognanti m'aspettano per danzarmi il cuore,
perché tutto quello che si piange non é amore.
e mi volterò perché tu sfiorirai, mi volterò perché tu sparirai,
mi volterò perché già non ci sei e ti addormenterai per sempre.”
Roberto Vecchioni
“Euridice”

Una seconda lacrima seguì la prima sulla guancia di Harry. E una terza. Le prime lacrime che versava per lei, per la sua Ginny, dopo tanto tempo… forse dal giorno stesso della sua morte. Senza rendersi conto di come c’era arrivato, Harry Potter inzuppava di lacrime di liberazione la vestaglia sdrucita di una donna babbana, una donna che non sapeva niente di lui e del suo mondo. In ginocchio sul pavimento freddo, il viso sepolto tra le sottane di una ragazza che lo cullava, in un fiume di lacrime che l’anestetizzato Sir Henry Evans non gli avrebbe mai permesso di versare, il grande eroe del mondo magico ritornava a sentire se stesso, dolorante, acciaccato… vivo.

***************

(*) J.K.Rowling, “Harry Potter and the Half Blood Prince”, capitolo 18.
(**) La canzone nello stereo quando Harry ritorna in casa è “My immortal” degli Evanescence.

E siamo quasi alla fine, perché il prossimo è l’ultimo capitolo… o per meglio dire, è una specie di epilogo. Intanto grazie davvero per le recensioni!!
A Chiara in primis, per aver betato sempre i capitoli, nonostante fosse molto impegnata. Ti ho fatto innamorare di Draco, piccola peste, ce l’ho fatta!!!
A Euridice e i cavalieri dello Zodiaco (o dell’apocalisse?)… che ti inventi stavolta? Uno più figo dell’altro (AndromedaLaChecca.com a parte…), grazie per questa sfilata di bellezze… astrali. Ehm… Phoenix lo posso tenere? In cambio ti cedo Dorian che si scrolla l’acqua di dosso sul tuo divano!!!
E continuiamo con Saty: sei sempre un tesoro, ti ho già risposto in separata sede, e comunque grazie, grazie, grazie!!! Un bacio!!!!
Fiubi: una vagonata di grazie anche a te! L’uso delle citazioni per separare le scene è sempre stato una mia fissa, sono contenta che vengano apprezzate. Un bacione anche a te!
Laja: sono famosa per fare strage di personaggi… in teoria doveva restarci secco pure Draco, in questa storia, ma mi sono lasciata convincere ad essere magnanima… grazie per la recensione!
Kamomilla: spero che continui a piacerti, grazie davvero per tutti i complimenti!!!
Maecla: grazie pure a te, addirittura due recensioni! Un bacio!
WithoutEstel: in quanto a musica, quindi, dovremmo intendercela abbastanza. Hai visto che Trainspotting l’avevo già in repertorio? Comunque non credo che questa arriverà alla complessità di Trapped, primo perché è davvero molto corta, e secondo perché non credo di avere più la forza fisica di tentare un’impresa come quella. Ah, mi dici di non aver capito il rapporto tra Draco e Ginny: beh, immagino nessun rapporto, se non quello che Draco potrebbe aver avuto con Hermione o chiunque altro del gruppo di Harry, una volta cambiata barricata… questa non è una Draco/Ginny, sebbene quello sia stato il mio pairing di elezione (a parte quell’esperimento orrendo di “Scusa, qual’era la domanda?”). Grazie dei complimenti e della recensione così accurata, e soprattutto per i complimenti a Trapped, cara! ^_^
ADESSO FACCIO LA ROMPISCATOLE: alcune di voi hanno scritto di aver letto anche gli altri miei racconti… beh, SE E QUANDO avete tempo e voglia, non è che mi lascereste due righe di impressioni anche a Trapped Under Ice? Ho amato tanto scrivere quella storia, e avere qualche impressione in più sarebbe davvero bello per me! Grazie e… alla prossima settimana (oddio così mi sento Mike Buongiorno…)!!!

   
 
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