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Autore: ProcrastinatingPalindrome    03/08/2012    1 recensioni
Una serie di one-shots scritte per il Cuban Missile Crisis Event alla russiamerica community su LJ. Contiene di tutto da guerre biologiche a pony parlanti e un'incredibile dose di fluff. Siete stati avvertiti.
Genere: Comico, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Russia/Ivan Braginski
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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[17 Ottobre Prompt: …è un po’ difficile da spiegare, ma il prompt era un’immagine dello Zio Sam e di un orso Russo in altalena sopra il mondo.]

Gli adulti probabilmente non lo sapevano, ma il parco giochi era un luogo complicato. Non potevi semplicemente giocare dove ti pareva. La casetta di legno era già stata reclamata da Arthur e Francis. Le altalene erano state occupate da Gilbert e Ludwig. Lo scivolo apparteneva a Feliks e Toris. A Ivan non era permesso giocare con nessuno di loro. Lo sapeva, perché quando aveva provato ad arrampicarsi sulla casetta di legno o a salire su un’altalena o a scendere dallo scivolo, gli altri bambini lo avevano guardato male. Qualche volta Gilbert gli aveva tirato addosso dei rametti per farlo andare via prima. Una volta Feliks gli aveva detto che era troppo grasso per giocare con loro, e Ivan era dovuto correre via il più velocemente possibile prima di scoppiare a piangere davanti a tutti.

Ma andava bene così. Gli altri bambini potevano tenersi la casetta e le altalene e lo scivolo. L’altalena a due apparteneva a Ivan. Non si sentiva solo, neanche un po’. Aveva tutta l’altalena per sé. Poteva farci tutto quello che voleva! Poteva…poteva sedersi da una parte e far salir su l’altra. E poi poteva correre dall’altra parte sedendosi su quella facendo salire la parte opposta! Era molto divertente, no? E poteva anche giocare con le tesserine in legno attorno all’altalena. Il primo giorno nel quale aveva reclamato l’altalena a due, Ivan si era messo all’opera scavando un fossato nei pezzetti di legno, per tenere al sicuro la sua proprietà da qualunque invasore. Non gli era venuto fuori molto profondo, e non riusciva a trovare dell’acqua da versarci dentro (versarci il suo succo di frutto non si era rivelata una decisione efficace) perciò probabilmente non avrebbe funzionato bene come i fossati che aveva visto attorno ai castelli nei suoi libri. Comunque, era un avvertimento. ‘L’altalena è di Ivan. Stare alla larga.’

Il fossato doveva aver funzionato, perché gli altri lo lasciarono solo. Non gli fecero gli sberleffi né lo presero in giro. Non lo guardarono nemmeno. Era meglio così. Ivan non aveva bisogno di giocare con gli altri. Aveva sei anni, era quasi un adulto. Gli adulti non avevano bisogno di amici.

I giorni passarono, ognuno praticamente identico all’altro. Finché non arrivò il bambino nuovo. Ivan l’aveva visto qualche giorno prima, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, sempre a scalare alberi da solo, sempre più in alto come a voler raggiungere il cielo. Ivan si domandò se si sentiva da solo lassù. Non che Ivan si sentisse solo, ma non tutti potevano cavarsela da soli come lui. Qualche volta Ivan aveva quasi, quasi pensato di andare dal bambino per parlargli, ma l’idea veniva sempre abbandonata all’ultimo minuto. Sarebbe andata male come ogni volta che provava a farsi degli amici.

Ivan era quasi riuscito a togliersi dalla testa quel bambino, fino al giorno nel quale si incontrarono per davvero. Ivan era seduto da un lato dell’altalena, dibattendo fra sé e sé se la prossima volta sarebbe stato il caso di portare anche il suo orsetto di pelouche cercando di bilanciarlo sull’altro lato, quando sentì uno stridio. All’improvviso la sua parte dell’altalena cominciò a muoversi, alzandosi di diversi centimetri. La testa di Ivan si alzò di scatto. C’erano delle dita appese sull’altro sedile. Qualcuno stava cercando di rubare l’altalena a Ivan!

“Ciao!” Disse una voce, presumibilmente appartenente al possessore delle dita. “Sei tutto solo? Spostati, voglio salire anche io!”

“Molla!” Gridò Ivan, saltellando sul suo sedile cercando di far cadere l’intruso. “È mia!”

Le dita scomparvero, ma invece di fare il bravo e lasciare Ivan da solo, l’intruso si avvicinò a Ivan con le mani sui fianchi. Era il bambino! Ivan lo fissò. Il bambino aveva occhi di un blu intenso. Erano ancora più blu dei lecca-lecca al mirtillo che piacevano tanto a Natalia. In quel momento, quegli occhi erano pericolosamente sottili.

“Non puoi dirmi cosa fare!” Disse, scuotendo la testa così che il suo ciuffo ribelle ondeggiasse avanti e indietro. “L’altalena non è tua!”

“Sì che lo è!” Insistette Ivan, incrociando le braccia al petto. “Sono arrivato prima io. Quindi è mia.”

“No!”

“Sì!”

“No!”

“Sì!”

“No!” Il bambino pestò il piede a terra, facendo volare per aria i pezzetti di legno, e ritornò dall’altra parte dell’altalena. “E ci giocherò non importa quello che dici!”

Si sentì un brusio mentre il bambino saltava per raggiungere il sedile, e Ivan vide ricomparire le dita.

C’era solo una cosa da fare, un solo modo per far andare via il bambino. Senza pensarci due volta, Ivan balzò via, causando un improvviso cambiò di peso che fece cadere il sedile dalla parte del bambino. Il bambino cadde pesantemente a terra con un grido di dolore che presto divenne un pianto. Ivan si morse le labbra colpevole e gli si avvicinò. Il bambino era seduto a terra, tenendosi il ginocchio destro con una mano e strofinandosi gli occhi con l’altra.

“T-ti odio!” Pianse, e Ivan si sentì raggelare. “Volevo s-solo giocare co-con te, ma adesso non voglio più!”

Ivan rimase pietrificato. Il bambino voleva giocare con lui? Nessuno voleva mai giocare con lui, tranne le sue sorelle, ma Katyusha era sempre impegnata a svolgere i suoi compiti per casa e Natalia voleva sempre giocare a Mamma Casetta. Qualcuno voleva giocare con lui, e lui aveva rovinato tutto. Ivan tirò su col naso. Le lacrime del bambino erano orribilmente contagiose.

“Non v-volevo farti male.” Singhiozzò.

“Non mi interessa!” Urlò il bambino, portando entrambe le ginocchia al petto. “Ti odio!”

La vista di Ivan si fece sfocata mentre se ne andava. Non voleva più giocare sull’altalena. Non era giusto. Anche lui voleva degli amici. L’altalena e il suo orsetto di pelouche non erano sufficienti. Voleva giocare con il bambino dagli occhi blu. Non voleva più stare da solo. Ivan si strofinò la guancia con la maglietta quando gli sfuggì una lacrima, ricacciando indietro un gemito. Se solo ci fosse stato un modo per rimettere a posto le cose.

L’ispirazione lo colse all’improvviso. Se la vita di Ivan fosse stata un cartone, una lampadina gli sarebbe apparsa sopra la testa. Probabilmente avrebbe anche fatto ‘ding’. Cacciò la mani in tasca, rovistandoci dentro fino a che non ebbe trovato quello di cui aveva bisogno: un cerotto. Katyusha gliene faceva sempre portare uno, visto che era piuttosto bravo a procurarsi graffi e a sbattere i mignoli contro gli oggetti. Questa volta avrebbe servito una causa più nobile.

Si diresse di nuovo verso l’altalena, cercando di racimolare un po’ di coraggio. Il bambino non si era mosso, ancora nascondeva il viso dietro le ginocchia tremando silenziosamente. Ivan prese un profondo respiro e gli si mise di fianco.

“T-ti ho portato un cerotto.” Sussurrò, muovendo timidamente i piedi.

Nessuna risposta.

“Ci sono dei girasoli sopra.”

Il bambino permise ad un solo, lacrimoso occhio blu di sbirciare da dietro le ginocchia. “I fiori sono per le femminucce.”

Ivan appassì. Le cose non stavano andando come sperava. “Non sono una femminuccia. È solo un cerotto. Ti farà stare meglio.”

Un secondo occhio apparve, e dopo un’agonizzante attesa, il bambino distese la gamba, porgendo a Ivan il ginocchio insanguinato. Con la calma di un chirurgo, Ivan tolse la pellicola da dietro il cerotto, lo posizionò sopra la ferita e, stando attento a non premere troppo, lo mise a posto. Per finire il lavoro, Ivan ci premette contro un rapido bacio.

“Perché l’hai fatto?” Chiese il bambino inclinando la testa di lato.

“Fa sparire la bua più in fretta.” Spiegò solennemente Ivan. Non c’era dubbio nella sua mente che si trattasse di un fatto scientificamente provato. Di sicuro funzionava quando Katyusha lo faceva per lui.

Il bambino flesse la gamba pensosamente. “Huh. Mi sento meglio in effetti. Um. Grazie.”

“Non devi ringraziarmi.” Mormorò Ivan. “M-mi dispiace di averti fatto cadere. Non sapevo che volevi giocare con me.”

Il bambino arricciò il naso. “Sei strano. Perché avrei voluto salire sull’altalena se non volevo giocare con te?”

Ivan scavò un buco fra i pezzetti di legno, evitando gli occhi del bambino. “Credevo volessi avere l’altalena tutta per te.”

“È una cosa stupida. A che serve avere l’altalena se non puoi giocare con qualcuno? È noioso!”

Ivan si permise un piccolo sorriso. “È noioso.”

“Allora posso giocare con te sull’altalena?”

Ivan arrossì. “Uh. S-se lo vuoi. Se non mi odi più.”

“No, non ti odio. Possiamo essere amici, se vuoi.”

Il viso di Ivan si illuminò. “L-lo voglio! Mi chiamo Ivan!”

“E io mi chiamo Alfred!”

Gli occhi di Alfred sembrarono ancora più blu quando sorrise, e Ivan sentì qualcosa di caldo pervadergli il petto.

Alla fine, Ivan scoprì che non gli dispiaceva condividere l’altalena con qualcuno.

 
  
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