“Ciao Grace, allora? Come stanno le tue gambe? Ti fanno ancora
male?” esordì Elizabeth al telefono, il giovedì successivo.
Infatti le due avevano pensato di uscire anche due giorni prima, ma
Grace aveva dovuto rinunciarvi poiché la domenica precedente era stata al mare
con la sua famiglia e si era ustionata le cosce, trovandosi costretta a stare a
casa a soffrire, non riuscendo ad infilarsi nemmeno un paio di pantaloni.
“Oggi sto alla grande!” esclamò la ragazza, con tono entusiasta.
“Allora usciamo?”
“Certo!”
Elizabeth rise del tono euforico della sua amica. “Passo da te alla
solita ora” dichiarò.
Le due si salutarono e Grace riprese a sistemare la roba nei
cassetti.
Il pomeriggio era tremendamente caldo e soffocante, e per lei era
difficile respirare regolarmente. Non appena finì di riordinare, informò suo
madre che sarebbe andata a farsi la doccia e si fiondò in bagno, non senza
sbattere qua e là e provocarsi qualche livido sulle gambe ancora un po’
doloranti a causa della bruciatura.
Si lavò accuratamente, strofinandosi i capelli e il corpo, poi si
sciacquò e uscì, vestendosi.
Erano ormai circa le 18:00 quando Elizabeth suonò il campanello.
La padrona di casa andò ad aprire e notò immediatamente che la sua
amica aveva qualcosa di diverso dal solito.
“Che…”
“Ti piacciono?” cinguettò la sua amica, passandosi una mano sui
capelli. “Li ho tagliati! Sono cortissimi!”
Grace la osservò quando le due furono illuminate dal sole e rimase
a bocca aperta. I capelli incredibilmente lunghi e ricci di Elizabeth avevano lasciato
spazio ad un taglio corto e sbarazzino e soprattutto perfettamente piastrato.
“Sì, sono davvero corti!” esclamò Grace, camminando svogliatamente
accanto alla sua amica.
Poi Elizabeth, con un sorriso compiaciuto stampato in viso, le pose
la fatidica domanda: “Dove andiamo?”
“Al parco, ovvio.”
“Okay.”
E così si avviarono verso la loro destinazione, chiacchierando del
più e del meno.
“Oh, guarda, una macchina gialla!” strillò Grace, additando la
vettura e colpendo con forza il braccio destro dell’amica.
“Ahi, brutta pu…”
Grace cominciò a ridere a crepapelle, schivando un ceffone di
Elizabeth.
“Oggi ti uccido, lo giuro! Mi hai fatto male, ma dico io, sei
deficiente?”
L’altra intanto non riusciva a placare la sua risata e continuava a
camminare, infischiandosene deliberatamente.
Elizabeth sospirò e sollevo gli occhi al cielo, irritata.
Mentre proseguivano per la loro strada, a Grace venne in mente un
aneddoto della sua infanzia.
“Sai, mi ricordo la mia prima figuraccia quando mi ero trasferita
nella tua via” disse, alludendo alla strada in cui tuttora abitava la famiglia
di Elizabeth e stava anche la casa di Jeremy.
L’amica rise. “Sentiamo.”
“Allora. Era settembre quando mi sono trasferita e avevo quasi otto
anni. Ero affacciata al balcone e il sole era appena tramontato, perciò stavo
cominciando a perdere la vista. Ad un certo punto vedo arrivare due bambini e
fermarsi sotto casa. Io sono rimasta immobile a fissarli. Erano entrambi
vestiti di rosso, questo l’ho potuto notare.”
“Immagino di sapere chi erano quei bambini.”
“Già. Daniel e Jeremy.” Grace sorrise.
“Allora, che è successo?” chiese Elizabeth, curiosa.
“Ora viene il bello: loro mi guardavano e io li guardavo, poi dopo
un po’ Jeremy dice:
‘Vieni giù a giocare?’
E Daniel: ‘Sì, dai, vieni! Che aspetti?’
Puoi immaginare quanto avrei voluto farlo, ma non potevo a causa
della vista.”
“Be’, spiegarlo così non è facile” osservò la sua amica, mentre le
due arrivavano al parco.
“Esatto. E io quindi che faccio? Rimango impalata a fissarli senza
spiccicare parola, mentre loro continuano ad incitarmi. Poi se ne vanno e io mi
sento una perfetta idiota.”
Elizabeth rise.
Intanto, varcarono il cancello di ferro e si diressero al chiosco.
Com’era accaduto il sabato precedente, Grace si diresse decisa al
bancone, mentre Elizabeth perdeva tempo a spulciare la lista dei gelati, per
poi scegliere nuovamente una granita.
Grace prese una pizzetta e la solita bottiglietta d’acqua e le due
si andarono a sedere ad un tavolo.
Elizabeth cominciò a sciogliere la granita nel bicchiere di
plastica, mentre Grace cercava di non imbrattarsi di sugo mentre mangiava, per
evitare commenti equivoci da parte dei presenti.
Mentre addentava la pizzetta, Jeremy Pherson passò a pochi metri da
lei diretto al bar, facendo sì che quasi si strozzasse con un pezzo di pasta
sfoglia.
Sgranò gli occhi e tentò di ingoiare il boccone, senza morire
soffocata. Era praticamente impossibile non riconoscere quel ragazzo, poiché si
distingueva dal resto dei suoi coetanei per la sua altezza e per la capigliatura
– dread rigorosamente legati.
Elizabeth, intanto, sembrava non essersi accorta di nulla, o meglio
fingeva indifferenza, dal momento che non poteva non averlo visto.
Tuttavia, sul momento le due non ne parlarono, ma l’occasione non
tardò ad arrivare.
Dopo aver concluso la merenda, si spostarono sulla solita panchina
di cemento e Grace si sistemò con le gambe incrociate.
“L’hai visto?”
Elizabeth prese a frugare convulsamente nella sua mini borsetta di
jeans. “Sì.”
“Sai, pensavo di farmi i dread” disse Grace, con tono serio.
L’amica si bloccò con un pacco di fazzoletti a mezz’aria, poi
scoppiò sonoramente a ridere, rovesciando la testa all’indietro.
“Sono seria, perché cazzo stai ridendo?” strillò Grace,
fulminandola con lo sguardo.
Intanto Elizabeth rise ancora più forte e ricevette un colpo sul
braccio dalla sua amica.
“Ahi! Sei una stro…”
“Ma te lo meriti, sei una deficiente!” Poi anche Grace scoppiò a
ridere.
“Rido perché mi è venuta in mente un’immagine di te con quei cosi
in testa!” disse Elizabeth, estraendo un fazzoletto dalla confezione.
Mentre si soffiava il naso, passò di lì un cagnolino marron scuro.
Grace osservò: “Oddio, questo cane sembra una capra di Heidi in
miniatura!”
La sua amica tossì rumorosamente, allontanandosi il pezzo di carta
dal viso e cominciando a ridere come un’ossessa, sventolandosi col fazzoletto.
“Oggi vuoi farmi morire, eh?” farfugliò, diventando tutta rossa in
viso a causa della risata convulsa che stava cercando invano di placare.
“Ehi, ma è vero che assomiglia a…”
“Non provare a ripeterlo, ti uccido!”
Grace rise insieme a lei.
Il tempo trascorse velocemente ed erano già le sette e mezza di
sera quando a Grace venne l’ennesima idea folle in testa.
“Lizzie!” esclamò, con il solito tono da bambina che irritava
terribilmente la sua amica.
Elizabeth sbuffò. “Che c’è? La tua faccia non mi dice niente di
buono.”
“Andiamo a sederci da qualche parte vicino a Jeremy e i suoi
amici?”
“Ma tu sei fuori di testa! No.”
“Ti prego!”
“No.”
“Lizzie” piagnucolò Grace.
“Ripeto, sei fuori di testa.”
“Vaffanculo” borbottò l’altra, fingendo di offendersi.
Trascorsero qualche minuto in silenzio, poi Grace balzò in piedi.
“Che fai?”
“Seguiamolo!”
“Cosa?” fece Elizabeth, scettica.
“Non appena vedi che se ne sta andando, andiamogli dietro” propose
Grace, sorridendo a trentadue denti.
“Scordatelo” tagliò corto l’altra, secca.
“Almeno questa devi concedermela!”
“Uff, l’idea di fare la stalker ti piace così tanto?”
“Ma che stalker e stalker, sarà divertente! Magari scopriamo
qualcosa di interessante!”
“Solo se prende la stessa strada che facciamo noi per rientrare”
concesse Elizabeth, con un’espressione accigliata e poco convinta.
“Non rompere! Lo seguiamo e basta!”
Grace tornò a sedersi.
“Che palle” borbottò l’amica.
“Avvisami quando se ne sta andando.”
Trascorsero alcuni minuti, poi Elizabeth finalmente aprì bocca: “Si
è alzato.”
“Grandioso!” Si alzò. “Andiamo!”
“Siediti, non possiamo stargli appiccicate, rischieremmo di destare
sospetti.”
Grace annuì e rimase comunque in piedi a fissare il viso rotondetto
di Elizabeth che intanto lanciava occhiate furtive a Jeremy Pherson che aveva
preso ad allontanarsi.
“Ora possiamo andare.”
Le due ragazze si avviarono nella direzione presa dal ragazzo e dai
suoi due amici, rimanendo a debita distanza. Uscirono dal parco da un altro
cancello che si trovava dalla parte opposta di quello da cui erano entrate e
svoltarono a sinistra.
Grace prese a dire stupidaggini e Elizabeth dovette trascinarla sul
marciapiede poiché per poco non veniva investita.
“Cosa ti sei fumata oggi?”
“Eh, Lizzie, sapessi!”
Risero e continuarono a camminare.
Passarono accanto ad una casa e Elizabeth rubò un volantino che
stava incastrato nella cassetta della posta.
“Cos’è?” chiese Grace, curiosa.
“Un volantino di smalti e accessori per la manicure.”
L’altra fece spallucce e scrutò avanti, cercando di scorgere
Jeremy, ma fu tutto inutile. Per lei la sua figura era appena una maccnia.
“Uh, senti questa: smalto indurente. Lo voglio!”
Grace colse il doppio senso presente in quella frase e cacciò un
grido, per poi ridere sguaiatamente.
“Piantala!” la ammonì Elizabeth. “Vuoi per caso che il tuo adorato
Jeremy si accorga di noi?”
“Scusa, scusa!”
Percorsero qualche altro metro in silenzio.
“Questo ti farà ancora più ridere: smalto allungante.”
E così fu, le due ragazze si sbellicarono, cercando di non fare
troppo rumore.
La notte nel frattempo stava cominciando a prendere il posto del
giorno, incurante dei loro schiamazzi e delle difficoltà di Grace.
La ragazza, infatti, cominciava a non distinguere nitidamente ciò
che la circondava, ma ancora non era intenzionata a cercare l’aiuto della sua
amica. Voleva testare i suoi limiti e questo la rendeva sicura di sé nonostante
tutto.
Mentre parlava con Elizabeth, però, non riusci a vedere il palo che
stava perfettamente al centro del marciapiede e ci andò a sbattere, lanciando
un’imprecazione a voce alta.
“Oddio, Grace! Ti sei fatta male?” la soccorse l’altra ragazza,
lasciandosi scivolare il volantino dalle mani.
Qualche metro più avanti, dopo aver sentito le urla delle due,
Jeremy Pherson si fermò e si guardò indietro, imitato dai suoi amici.
“Ma sì, sto bene!”
“Ma sei sicura?” Elizabeth la osservò. “Ti uscirà un bernoccolo in
mezzo alla fronte. Carina.”
Grace rise, pizzicandole un braccio.
“Tutto bene?” chiese qualcuno, facendole sobbalzare.
Grace riconobbe all’istante la voce di Jeremy Pherson e si sentì
avvampare intensamente, desiderando di sbattere nuovamente la testa sul palo e
svenire.
Elizabeth tossicchiò, fingendo di cercare qualcosa in borsetta.
“Ti sei fatta male?” domandò ancora il ragazzo. “Ti ho sentito
gridare.”
“Ma no, non mi sono fatta niente… cioè… sì insomma, sto bene,
Jemy.”
Jemy? Come diamine l’aveva chiamato?
Elizabeth dovette trattenersi dal ridere, notando il viso della sua
amica arrossarsi sempre più, specialmente dopo aver fatto quella figura da
cioccolataio.
Lui rise. “Sì ma vedi di stare attenta.”
“Sì, sì, lo so! Scusa, ma adesso io e Lizzie dobbiamo andare!”
disse frettolosamente Grace, trascinando letteralmente Elizabeth via da lì.
“Ciao, eh!” E fuggì.
“Aspetta, non tirarmi!” ordinò l’altra, cercando di divincolarsi
dalla sua presa.
“Dobbiamo andarcene il prima possibile! Dio, ti rendi conto di che
figura di merda ho appena fatto? Meno male che Jeremy non si doveva accorgere
di nulla! Quanto sono cogliona!”
Elizabeth la strattonò, facendole rallentare il passo. “Datti una
calmata, non è successo niente di così terribile.”
“No?” gridò Grace.
“Non urlare, mi spacchi i timpani! No, comunque, non è mica colpa
tua se non hai visto il palo.”
“Forse avrei potuto evitare di gridare.”
“Riflesso incondizionato, mia cara.”
Grace sorrise. “Hai visto però che carino? Si è preoccupato per me!”
esultò, saltando quasi sulle spalle della sua amica.
“Staccati, mi stai strozzando!”
“Non rompere, sei sempre la solita guastafeste” la prese in giro
Grace.
Così, anche quella serata con Elizabeth stava volgendo al termine e
le due ragazze si avviarono verso casa.