I am
immortal, I have inside me blood of kings - yeah - yeah
I have no rival, no man can be my equal
Take me to the future of you all
(Princes of
the
Universe, Queen)
La testa
dell’uomo rotolò sul legno grezzo e umido di
pioggia.
- Non era un sicario di Filippo.
- No, mia Regina.
- Era di Mary.
- Sì, mia Regina.
Elizabeth guardò Arthur con la coda dell’occhio,
corrucciata.
Lui replicò con un leggero sorriso serafico, prima di
applaudire con garbo al boia che si ritirava.
- Ha continuato ad urlare a lungo, un’ammirabile abitudine
dei martiri cattolici.
- Che tono didattico usate adottare in queste circostanze!
– rise Elizabeth, tranquilla.
La folla che attorniava il patibolo cominciò a dissiparsi
come uno stormo di piccioni quando sopraggiunge il falco. Alcuni
guardarono
sfacciatamente in alto, laddove un millantatore li aveva avvertiti che
la
Regina e il suo misterioso famiglio avevano assistito alla barbara
uccisione.
Arthur sorrideva, crogiolandosi nel sottile piacere che la
crudeltà gli instillava.
- Non credevo sarebbe stato così difficile –
sussurrò la
Regina.
- Vostra Grazia, ve lo dico adesso, sebbene lo sappiate
già: se ci sarà una guerra, io non
potrò alzare la mano sui vostri sudditi
riottosi, né sulle truppe scozzesi. Potrò
affrontare Wallace e Wallace
soltanto.
Lei tossicchiò. – Lo so, Arthur. È per
questo che dobbiamo
agire subito; tu sei il più grande tra i miei difensori,
starà a te impedire lo
scoppio di una sommossa e di una guerra.
Arthur intanto aveva portato avanti la testa, così da
colpire
il vetro della finestra con il naso.
- Così tanto sangue… - disse. Le scale di legno
che
conducevano alla stanza scricchiolarono.
- Signore! – l’ufficiale scattò
sull’attenti, dopo essersi
gentilmente inchinato per Elizabeth.
- Arriverò fra poco, Joaquin. Aspettatemi di sotto
– lo
liquidò con un semplice cenno della mano.
- Sissignore.
I gradini tornarono a scricchiolare.
- Perché avete detto che non potrete affrontare i ribelli
inglesi? Mi avevate detto che il Patto impediva a Wallace di colpire e
uccidere
gli abitanti dell’Inghilterra; e voi non potevate colpire e
uccidere gli
scozzesi! Anche il vostro coraggio vacilla…
Arthur rispose: - Come potrei? Come potrei colpire
l’Inghilterra?
Poi tacquero e rimasero in silenzio, osservando i cavalieri
allontanarsi dalla Torre per appendere i tristi rimasugli del traditore
alle
porte della città. Il patibolo restò vuoto, nero
di acqua e rosso di sangue.
***
Cadeva la
neve sul palazzo di Greenwich.
Elizabeth sedeva nella stanza delle udienze, compita.
I bei capelli rossi acconciati con nastri di seta blu e
perle e diamanti.
Indossava un abito blu notte, con la gonna ampia e le
maniche adorne di gioielli.
- Vi abbiamo fatto chiamare… - esordì, la testa
alta, la
voce stentorea – perché la situazione si
è resa insopportabile; nostra cugina,
non paga di dover fare i conti con il suo stolto matrimonio e la
crescente
opposizione dei pari scozzesi, accarezza ancora l’idea di
spodestarci dal trono
che è nostro per diritto, in modo da poter governare questo
Paese prima che la
sua Scozia. Tuttavia, ammiriamo la sua costanza nel perseguire un
obbiettivo
che è al di fuori della sua portata!
Arthur soffocò una risata cattiva. Elizabeth lo
fissò
rapita fin troppo a lungo, prima di alzarsi e dirigersi verso
l’arcobaleno di
colori pastello alle sue spalle, le sue sei, timide damigelle di
compagnia.
- Lady Catherine, venite avanti – ordinò,
tendendole una
mano.
Lei accettò la mano diafana della Regina, a capo chino e
con le guance rosse, e si lasciò condurre al centro del
salone. Elizabeth, con
materna premura, le spostò un ciuffo di capelli neri che le
copriva l’occhio.
- Questa bambina – esordì, benché
Catherine non avesse più
di un paio d’anni in meno di lei –
ricoprirà un ruolo molto importante nei
nostri piani. Speriamo che voi siate uomini di spirito, non come certi
bigotti
che hanno l’ardire di sedere nel mio Parlamento, e che
guarderete alle sue
notevoli qualità con occhio imparziale.
- Vostra Grazia è davvero troppo buona –
mormorò Catherine,
ormai rossa fino alla punta del naso.
Elizabeth rise, tenne stretta la sua mano: - Adesso,
lasciate che sia lord Pembroke a parlarvi.
***
- For auld lang syne,
my dear, for auld lang syne, we'll tak' a cup o' kindness yet for auld
lang
syne.
L’uomo era ancora più alto di Henry, con braccia
lunghe e
impacciate, capelli rossi e occhi verde chiaro.
- Cosa cantate?
- Auld lang syne,
bonnie quine – replicò quello, facendole
l’occhiolino. Poi sorrise.
Catherine batté le palpebre un paio di volte.
- Non capisco.
- Ho detto: Auld lang syne, bella fanciulla –
spiegò
l’uomo, chinandosi a raccogliere un catino pieno
d’acqua sporca. Lo sollevò
senza alcuna fatica e lo rovesciò nel cortile,
dopodichè tornò a guardarla.
Lei rimase in silenzio, attonita. Non sapeva cosa dire.
- Io sono Harry, comunque – rimediò lui,
sbrigativamente.
Aveva una strana pronuncia.
- Catherine, molto piacere.
- Avete bisogno di qualcosa, Catherine?
Invece di rispondere, lei scoppiò a ridere. –
Avete un
accento così strano – addusse come spiegazione.
- Ah! È che sono scozzese – disse Harry, ora
intento
a riempire il catino di acqua pulita.
Scese uno strano silenzio, oltre al gorgoglio
dell’acqua che scorreva.
Catherine tacque a lungo, prima di esalare un: - Ah
– monocorde.
Harry alzò lo sguardo, accucciato com’era sul
pavimento coperto di stuoie, divertito: - Non vi spaventate, anche se
siete una
Sassenach non ho certo intenzione
di
divorarvi – ridacchiò.
- Grazie al Cielo.
- Vi serve qualcosa di particolare?
Lei sussultò; si era distratta.
- No, nulla.
- Allora perdonatemi, ma ho molto da fare – si
scusò
Harry, seduto su uno sgabello zoppo.
Catherine annuì, non sapendo cosa dire, non sapendo
neppure perché fosse finita nelle cucine del palazzo,
soprattutto in compagnia
di un servo scozzese. Così annuì ancora,
soprappensiero, e tornò dov’era il suo
posto, al fianco della Regina.
***
- Vorrei
poter vivere per sempre.
- Badate a non farvi udire, Vostra Grazia, o vi
scomunicheranno – rise Arthur.
- Lo faranno comunque; da Piccola che ero, sono
diventata la Grande Puttana che era mia madre.
Il grattare delle penne sulla pergamena si
interruppe quasi nello stesso momento: ai due angoli della stessa
stanza, gli
occhi verdi di Arthur incontrarono quelli scuri di Elizabeth, che
sollevò gli
angoli della bocca in un sorriso enigmatico, come un ritratto del Da
Vinci.
- Non sapete di cosa parlate – replicò lui, con
durezza; decise di tornare a lavorare alla lettera.
- Lo so bene, invece – gelida, provocatoria, la voce
acuta di Elizabeth lo costrinse ad affrontare una disputa che non era
sicuro di
saper vincere. Ma lei aspettava.
- Ne dubito, mia Regina – tracciò
un’altra parola.
Ripose la piuma.
- Vostra madre non era una… una… puttana.
Elizabeth non trattenne una smorfia di scherno: -
Voi dite? Non è forse il vostro – ancora quel
mefistofelico sorriso – un
tentativo di riscattare la vostra persona ai miei occhi?
- Non so di cosa parlate, Elizabeth – strinse i
denti: non la chiamava mai per nome.
Infatti le si illuminò di un sorriso trionfante, che
la rese tanto - più - dolorosamente bella.
- Sottovalutate la mia memoria d’adolescente, Arthur
– e sorridendo riprese a scrivere.
Lui sentiva il calore della vergogna farsi strada
sul suo volto e reagì di conseguenza.
- Cosa intendete dire? – ringhiò.
- Io dovevo essere Regina, milord, e vi vedevo
passare ad Hatfield quasi ogni mese, con noncuranza. Eppure, allo
stesso tempo,
le voci attorno a me dicevano che avevate giaciuto con la mia povera
madre, con
Jane Seymour e la Howard e la Parr. Volevate trattarmi da principessa,
Arthur,
quando ai miei occhi assomigliavate ad un ingordo parassita…
se non altro,
Thomas Seymour dava mostra della sua infatuazione.
- Sua Grazia non ha mai pensato che, forse, mi
recavo ad Hatfield perché ero a mia volta infatuato?
Elizabeth rise, una risata sgradevole che usava solo
per ferire i suoi consiglieri. E lui era già stato
paragonato a quell’idiota di
Seymour, e affondato.
- Sì, a volte l’ho pensato. Come ho pensato che
mia
madre mi amasse.
- Vi amava.
Lei si coprì gli occhi per un istante fugace, come
nulla fosse.
Arthur riprese coraggio, pensò di dirle qualcosa di
più; qualcosa di dolce e destabilizzante, in modo da farla
cadere in pezzi,
così da poterla stringere tra le braccia per mantenerla
integra, per amarla.
Dirle, per fare un solo esempio, che la prima volta
percorreva i giardini di Hatfield senza troppe speranze, sulla scia
della
leggera delusione che provava nei confronti della pia Mary,
finché, sotto il
cielo plumbeo di quella primavera non l’aveva vista, immobile
al centro del
prato, con i capelli rossi sciolti sulle spalle, una veste color mora,
la gola
bianca come panna.
Come lei l’aveva guardato con gli scuri occhi
sospettosi, fino a farlo capitolare.
Una bambina. La figlia di una donna appena
giustiziata, con cui condivideva l’infame opinione.
- Arthur, perdetevi nelle vostre fantasie quando
potrete farlo – lo sgridò Elizabeth,
già intenta a lavorare. Lui scosse la
testa, deluso, prima di fare lo stesso.
***
Mary non era
calma, tantomeno serena.
Per quanto modulasse il respiro e tentasse di
rilassare i muscoli del volto, finiva sempre con lo spaventarsi di
nuovo, e la
facciata di invincibilità che desiderava mantenere andava in
mille pezzi.
La fanciullina che l’aveva seguita fin dalla
Francia, un esserino dalla pelle dorata e gli occhi verdi,
salì su uno sgabello
per pettinarle i capelli ramati.
- Grazie, Mathilde. Puoi andare.
Lei scese dallo sgabello, impacciata dalle ampie
sottane.
Mary stese sulla pelle candida il trucco leggero che
aveva scelto.
- Vattene, sgorbio… sparisci.
- Smettetela di insultare le mie damigelle! –
borbottò, guardando nello specchio il ghigno di Wallace.
- Non farò nulla del genere, Vostra Grazia –
replicò
lui, scrollando le spalle; prese possesso di una sedia, su cui si
accomodò
senza alcun riguardo.
- Siete molto noiosa, talvolta.
Mary, da brava Regina quale agognava essere, lo
osservò con la coda dell’occhio: i capelli
sanguigni, il sorriso sgradevole che
rivolgeva alle sue spalle. Era facile all’ira quanto
screanzato, eppure non poteva
impedirsi di amarlo e di affidarsi a lui.
- Sono infelice, non noiosa.
- Perché? – la sua voce si fece più
calda, amabile.
- Perché… sono stanca di deludervi.
Wallace si alzò e andò a inginocchiarsi dietro di
lei, avvolgendola con le braccia.
- Oh, mia piccola, piccola Mary – mormorò, una
guancia sui suoi capelli, gli occhi chiusi – non potreste
deludermi nemmeno se
tentaste di uccidermi, e sapete perché? Perché
siete la Regina più pura, abile
e bella che esista, voi non potete deludermi.
- Allora – sgranò con innocenza i grandi occhi
ambrati – fareste una cosa, per me?
Wallace sorrise. – Qualsiasi cosa, per la mia bonnie
Mary.
Il sorriso di Mary fu limpido e saldo come il suo
sguardo; aveva la fede di tutta la cristianità negli occhi,
quando parlò: -
Qualsiasi cosa? Uccideresti anche Elizabeth, in modo da salvare tutto
il
cattolicesimo? Lo faresti, Wallace?
L’attesa durò a lungo.
Finalmente Wallace aprì gli occhi, senza spostare la
guancia dai capelli di Mary, e con il palmo della mano le
carezzò il mento
bianco e la gola, appena sopra la gorgiera.
- Sì, lo farei.