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Autore: marguerite_murcielago    05/08/2012    3 recensioni
Revisionato completamente capitolo 10
Il dipinto – numero di catalogo 423B – custodito nei recessi della National Gallery di Edimburgo non è mai stato esposto al pubblico. Per divertimento dei suoi proprietari, i maggiori esperti di arte sono stati convocati in gran segreto nella stanza: il loro verdetto è stato unanime.
La storia celata da questo dipinto va da ricercarsi nell'anno 1561: vi troverete tracce di una guerra subdola e dimenticata nel tempo, gli "Amanti delle Regine", una dama con poteri extrasensoriali, avvenenti soldati e, infine, il contrasto tra due Regine - due tra le più belle e forti Regine della loro epoca: Elizabeth Tudor e Mary Stuart.
Desiderate scoprire il significato del quadro 423B?
Cit./ Questa dunque è la storia del dipinto 423B; è una storia vecchia e pochi la ricordano.
È anche Storia, ma non ci sono scritti o testimonianze di altra natura che possano chiarire eventuali punti oscuri; dopotutto, i fatti sono stati un poco romanzati. Ma che ne è stato di tutti i protagonisti di quel quadro?
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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I am immortal, I have inside me blood of kings - yeah - yeah 
I have no rival, no man can be my equal 
Take me to the future of you all 
(Princes of the Universe, Queen)

 

La testa dell’uomo rotolò sul legno grezzo e umido di pioggia.
- Non era un sicario di Filippo.
- No, mia Regina.
- Era di Mary.
- Sì, mia Regina.
Elizabeth guardò Arthur con la coda dell’occhio, corrucciata.
Lui replicò con un leggero sorriso serafico, prima di applaudire con garbo al boia che si ritirava.
- Ha continuato ad urlare a lungo, un’ammirabile abitudine dei martiri cattolici.
- Che tono didattico usate adottare in queste circostanze! – rise Elizabeth, tranquilla.
La folla che attorniava il patibolo cominciò a dissiparsi come uno stormo di piccioni quando sopraggiunge il falco. Alcuni guardarono sfacciatamente in alto, laddove un millantatore li aveva avvertiti che la Regina e il suo misterioso famiglio avevano assistito alla barbara uccisione.
Arthur sorrideva, crogiolandosi nel sottile piacere che la crudeltà gli instillava.
- Non credevo sarebbe stato così difficile – sussurrò la Regina.
- Vostra Grazia, ve lo dico adesso, sebbene lo sappiate già: se ci sarà una guerra, io non potrò alzare la mano sui vostri sudditi riottosi, né sulle truppe scozzesi. Potrò affrontare Wallace e Wallace soltanto.
Lei tossicchiò. – Lo so, Arthur. È per questo che dobbiamo agire subito; tu sei il più grande tra i miei difensori, starà a te impedire lo scoppio di una sommossa e di una guerra.
Arthur intanto aveva portato avanti la testa, così da colpire il vetro della finestra con il naso.
- Così tanto sangue… - disse. Le scale di legno che conducevano alla stanza scricchiolarono.
- Signore! – l’ufficiale scattò sull’attenti, dopo essersi gentilmente inchinato per Elizabeth.
- Arriverò fra poco, Joaquin. Aspettatemi di sotto – lo liquidò con un semplice cenno della mano.
- Sissignore.
I gradini tornarono a scricchiolare.
- Perché avete detto che non potrete affrontare i ribelli inglesi? Mi avevate detto che il Patto impediva a Wallace di colpire e uccidere gli abitanti dell’Inghilterra; e voi non potevate colpire e uccidere gli scozzesi! Anche il vostro coraggio vacilla…
Arthur rispose: - Come potrei? Come potrei colpire l’Inghilterra?
Poi tacquero e rimasero in silenzio, osservando i cavalieri allontanarsi dalla Torre per appendere i tristi rimasugli del traditore alle porte della città. Il patibolo restò vuoto, nero di acqua e rosso di sangue.

 

***

 

Cadeva la neve sul palazzo di Greenwich.
Elizabeth sedeva nella stanza delle udienze, compita.
I bei capelli rossi acconciati con nastri di seta blu e perle e diamanti.
Indossava un abito blu notte, con la gonna ampia e le maniche adorne di gioielli.
- Vi abbiamo fatto chiamare… - esordì, la testa alta, la voce stentorea – perché la situazione si è resa insopportabile; nostra cugina, non paga di dover fare i conti con il suo stolto matrimonio e la crescente opposizione dei pari scozzesi, accarezza ancora l’idea di spodestarci dal trono che è nostro per diritto, in modo da poter governare questo Paese prima che la sua Scozia. Tuttavia, ammiriamo la sua costanza nel perseguire un obbiettivo che è al di fuori della sua portata!
Arthur soffocò una risata cattiva. Elizabeth lo fissò rapita fin troppo a lungo, prima di alzarsi e dirigersi verso l’arcobaleno di colori pastello alle sue spalle, le sue sei, timide damigelle di compagnia.
- Lady Catherine, venite avanti – ordinò, tendendole una mano.
Lei accettò la mano diafana della Regina, a capo chino e con le guance rosse, e si lasciò condurre al centro del salone. Elizabeth, con materna premura, le spostò un ciuffo di capelli neri che le copriva l’occhio.
- Questa bambina – esordì, benché Catherine non avesse più di un paio d’anni in meno di lei – ricoprirà un ruolo molto importante nei nostri piani. Speriamo che voi siate uomini di spirito, non come certi bigotti che hanno l’ardire di sedere nel mio Parlamento, e che guarderete alle sue notevoli qualità con occhio imparziale.
- Vostra Grazia è davvero troppo buona – mormorò Catherine, ormai rossa fino alla punta del naso.
Elizabeth rise, tenne stretta la sua mano: - Adesso, lasciate che sia lord Pembroke a parlarvi.

 

***

 

- For auld lang syne, my dear, for auld lang syne, we'll tak' a cup o' kindness yet for auld lang syne.
L’uomo era ancora più alto di Henry, con braccia lunghe e impacciate, capelli rossi e occhi verde chiaro.
- Cosa cantate?
- Auld lang syne, bonnie quine – replicò quello, facendole l’occhiolino. Poi sorrise.
Catherine batté le palpebre un paio di volte.
- Non capisco.
- Ho detto: Auld lang syne, bella fanciulla – spiegò l’uomo, chinandosi a raccogliere un catino pieno d’acqua sporca. Lo sollevò senza alcuna fatica e lo rovesciò nel cortile, dopodichè tornò a guardarla.
Lei rimase in silenzio, attonita. Non sapeva cosa dire.
- Io sono Harry, comunque – rimediò lui, sbrigativamente. Aveva una strana pronuncia.
- Catherine, molto piacere.
- Avete bisogno di qualcosa, Catherine?
Invece di rispondere, lei scoppiò a ridere. – Avete un accento così strano – addusse come spiegazione.
- Ah! È che sono scozzese – disse Harry, ora intento a riempire il catino di acqua pulita.
Scese uno strano silenzio, oltre al gorgoglio dell’acqua che scorreva.
Catherine tacque a lungo, prima di esalare un: - Ah – monocorde.
Harry alzò lo sguardo, accucciato com’era sul pavimento coperto di stuoie, divertito: - Non vi spaventate, anche se siete una Sassenach non ho certo intenzione di divorarvi – ridacchiò.
- Grazie al Cielo.
- Vi serve qualcosa di particolare?
Lei sussultò; si era distratta.
- No, nulla.
- Allora perdonatemi, ma ho molto da fare – si scusò Harry, seduto su uno sgabello zoppo.
Catherine annuì, non sapendo cosa dire, non sapendo neppure perché fosse finita nelle cucine del palazzo, soprattutto in compagnia di un servo scozzese. Così annuì ancora, soprappensiero, e tornò dov’era il suo posto, al fianco della Regina.

 

***

 

- Vorrei poter vivere per sempre.
- Badate a non farvi udire, Vostra Grazia, o vi scomunicheranno – rise Arthur.
- Lo faranno comunque; da Piccola che ero, sono diventata la Grande Puttana che era mia madre.
Il grattare delle penne sulla pergamena si interruppe quasi nello stesso momento: ai due angoli della stessa stanza, gli occhi verdi di Arthur incontrarono quelli scuri di Elizabeth, che sollevò gli angoli della bocca in un sorriso enigmatico, come un ritratto del Da Vinci.
- Non sapete di cosa parlate – replicò lui, con durezza; decise di tornare a lavorare alla lettera.
- Lo so bene, invece – gelida, provocatoria, la voce acuta di Elizabeth lo costrinse ad affrontare una disputa che non era sicuro di saper vincere. Ma lei aspettava.
- Ne dubito, mia Regina – tracciò un’altra parola. Ripose la piuma.
- Vostra madre non era una… una… puttana.
Elizabeth non trattenne una smorfia di scherno: - Voi dite? Non è forse il vostro – ancora quel mefistofelico sorriso – un tentativo di riscattare la vostra persona ai miei occhi?
- Non so di cosa parlate, Elizabeth – strinse i denti: non la chiamava mai per nome.
Infatti le si illuminò di un sorriso trionfante, che la rese tanto - più - dolorosamente bella.
- Sottovalutate la mia memoria d’adolescente, Arthur – e sorridendo riprese a scrivere.
Lui sentiva il calore della vergogna farsi strada sul suo volto e reagì di conseguenza.
- Cosa intendete dire? – ringhiò.
- Io dovevo essere Regina, milord, e vi vedevo passare ad Hatfield quasi ogni mese, con noncuranza. Eppure, allo stesso tempo, le voci attorno a me dicevano che avevate giaciuto con la mia povera madre, con Jane Seymour e la Howard e la Parr. Volevate trattarmi da principessa, Arthur, quando ai miei occhi assomigliavate ad un ingordo parassita… se non altro, Thomas Seymour dava mostra della sua infatuazione.
- Sua Grazia non ha mai pensato che, forse, mi recavo ad Hatfield perché ero a mia volta infatuato?
Elizabeth rise, una risata sgradevole che usava solo per ferire i suoi consiglieri. E lui era già stato paragonato a quell’idiota di Seymour, e affondato.
- Sì, a volte l’ho pensato. Come ho pensato che mia madre mi amasse.
- Vi amava.
Lei si coprì gli occhi per un istante fugace, come nulla fosse.
Arthur riprese coraggio, pensò di dirle qualcosa di più; qualcosa di dolce e destabilizzante, in modo da farla cadere in pezzi, così da poterla stringere tra le braccia per mantenerla integra, per amarla.
Dirle, per fare un solo esempio, che la prima volta percorreva i giardini di Hatfield senza troppe speranze, sulla scia della leggera delusione che provava nei confronti della pia Mary, finché, sotto il cielo plumbeo di quella primavera non l’aveva vista, immobile al centro del prato, con i capelli rossi sciolti sulle spalle, una veste color mora, la gola bianca come panna.
Come lei l’aveva guardato con gli scuri occhi sospettosi, fino a farlo capitolare.
Una bambina. La figlia di una donna appena giustiziata, con cui condivideva l’infame opinione.
- Arthur, perdetevi nelle vostre fantasie quando potrete farlo – lo sgridò Elizabeth, già intenta a lavorare. Lui scosse la testa, deluso, prima di fare lo stesso.

 

***

 

Mary non era calma, tantomeno serena.
Per quanto modulasse il respiro e tentasse di rilassare i muscoli del volto, finiva sempre con lo spaventarsi di nuovo, e la facciata di invincibilità che desiderava mantenere andava in mille pezzi.
La fanciullina che l’aveva seguita fin dalla Francia, un esserino dalla pelle dorata e gli occhi verdi, salì su uno sgabello per pettinarle i capelli ramati.
- Grazie, Mathilde. Puoi andare.
Lei scese dallo sgabello, impacciata dalle ampie sottane.
Mary stese sulla pelle candida il trucco leggero che aveva scelto.
- Vattene, sgorbio… sparisci.
- Smettetela di insultare le mie damigelle! – borbottò, guardando nello specchio il ghigno di Wallace.
- Non farò nulla del genere, Vostra Grazia – replicò lui, scrollando le spalle; prese possesso di una sedia, su cui si accomodò senza alcun riguardo.
- Siete molto noiosa, talvolta.
Mary, da brava Regina quale agognava essere, lo osservò con la coda dell’occhio: i capelli sanguigni, il sorriso sgradevole che rivolgeva alle sue spalle. Era facile all’ira quanto screanzato, eppure non poteva impedirsi di amarlo e di affidarsi a lui.
- Sono infelice, non noiosa.
- Perché? – la sua voce si fece più calda, amabile.
- Perché… sono stanca di deludervi.
Wallace si alzò e andò a inginocchiarsi dietro di lei, avvolgendola con le braccia.
- Oh, mia piccola, piccola Mary – mormorò, una guancia sui suoi capelli, gli occhi chiusi – non potreste deludermi nemmeno se tentaste di uccidermi, e sapete perché? Perché siete la Regina più pura, abile e bella che esista, voi non potete deludermi.
- Allora – sgranò con innocenza i grandi occhi ambrati – fareste una cosa, per me?
Wallace sorrise. – Qualsiasi cosa, per la mia bonnie Mary.
Il sorriso di Mary fu limpido e saldo come il suo sguardo; aveva la fede di tutta la cristianità negli occhi, quando parlò: - Qualsiasi cosa? Uccideresti anche Elizabeth, in modo da salvare tutto il cattolicesimo? Lo faresti, Wallace?
L’attesa durò a lungo.
Finalmente Wallace aprì gli occhi, senza spostare la guancia dai capelli di Mary, e con il palmo della mano le carezzò il mento bianco e la gola, appena sopra la gorgiera.
- Sì, lo farei.


   
 
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