Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: theOldEnnui    05/08/2012    7 recensioni
In cui Sherlock convince John a sposarlo, un assassino deve essere incastrato e la terapia di coppia produce alcuni rivolti interessanti.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2.

 

John tenta di nascondere un sorriso compiaciuto quando l'aria immobile all'interno dell'auto freme con la frustrazione di Sherlock, che si lascia andare ad uno sbuffo seccato prima di rassegnarsi all'evidenza dei fatti: la cortina di mutismo dietro alla quale il buon dottore si ostina a restare asserragliato non è destinata a dissolversi da sola. Esercitando una notevole violenza sul proprio orgoglio il detective depone le armi e si decide a parlare per primo: «John?» domanda, e John registra con irraccontabile soddisfazione la nota di sottile incertezza che increspa la sua voce, «John siamo quasi arrivati, mettiti l'anello», gli intima.

Per tutta risposta il dottore si muove appena sul seggiolino, tentando di rendere ancora più evidente la sua totale disaffezione nei confronti della faccenda, aumentando il volume del suo silenzio e continuando a tenere gli occhi ostentatamente incollati sugli alberi che si inseguono svelti fuori dal vetro.

«Non essere infantile!» lo rimprovera esasperato il detective.

Senti da che pulpito viene la predica!, avrebbe voglia di rimbeccarlo lui, ma farlo vorrebbe dire parlare e parlare vorrebbe dire accontentare Sherlock e accontentare Sherlock vorrebbe dire arrendersi e per il Capitano John Watson, quinto reggimento dei Fucilieri di Northumberland, arrendersi non è mai un'opzione. Be', quasi mai: quando si tratta di Sherlock Holmes, in effetti, il Capitano Watson si scopre ad arrendersi con notevole frequenza-- la realizzazione è particolarmente fastidiosa e contribuisce a cementare la volontà dell'ex soldato di non arretrare di un passo dalle sue posizioni.

«Per l'amor del cielo, John! Dobbiamo solo fingere di essere una coppia in crisi, tutta quest'esibizione passivo-aggressiva di risentimento mi pare un tantino esagerata-- credo che tu ti stia immedesimando un po' troppo nel tuo ruolo» sbotta Sherlock irritato, dopo che l'ennesima manciata di minuti silenti è trascorsa, per poi esalare rumorosamente dal naso ed aggiungere, mentre una smorfia di qualcosa di indefinibile, a metà fra il dolore fisico ed il disgusto, gli deforma il viso: «Per favore.»

John grugnisce e, malgrado tutte le sue migliori intenzioni, si trova costretto a gettare la spugna: «Tu mi hai rapito, Sherlock!» tuona accusatore, voltandosi con uno scatto improvviso per poter scoccare al suo insopportabile compagno di viaggio l'occhiata più trova del suo repertorio.

«Questo non è del tutto esatto» si difende senza gran mordente quello, troppo compiaciuto con se stesso per essere riuscito ad infrangere il muro del silenzio per indignarsi a dovere davanti alla mancanza di accuratezza messa in mostra dell'altro.

«Hai ragione, riformulo.» concede John, stirando le labbra in un sorrisetto di affetta accondiscendenza «Mi hai fatto rapire. Dagli scagnozzi di Mycroft. Va meglio così?»

All'incirca due ore prima, di ritorno da una spedizione da Tesco, ciondolando sotto il peso di tre borse tracimanti di generi alimentari ed improbabile materiale per esperimenti, John era stato avvicinato da un'elegante macchina nera che lui, in una sconsiderata esibizione di audacia, aveva deciso di ignorare, giacché proprio non si sentiva dell'umore adatto per fare da testimone all'ennesimo delirio di onnipotenza del maggiore dei fratelli Holmes, ma non era riuscito a mettere in fila nemmeno tre passi oltre al veicolo in attesa che un energumeno in un impeccabile completo scuro gli si era parato davanti, uscendo fuori da chissà dove, e gli aveva intimato con perentoria cortesia di salire in macchina, se non le dispiace Dottor Watson, grazie mille.

Con le braccia indolenzite dal peso delle borse e blandito dalla sottaciuta promessa del passaggio in auto sino a Baker Street che arrivava sempre, una volta conclusa la consueta gita turistica in qualche desolato parcheggio alla periferia della città, il buon dottore si era lasciato manovrare senza troppe resistenze oltre la portiera. Gli ci erano voluti alcuni secondi per rendersi conto che qualcosa non andava, che non c'era nessuna segretaria di ghiaccio armata di Blackberry seduta di fianco a lui, ma quando la realizzazione lo aveva colpito s'era dovuto servire di ogni oncia di forza di volontà presente nel suo corpo per trattenersi dal lapidare con la nutrita selezione di ortaggi appena comprata il molto compiaciuto Sherlock Homes che gli ghignava obliquo e trionfante accanto.

«Nessuno ha rapito nessuno. Sei salito in macchina di tua spontanea volontà» puntualizza ora quello e a John, intrappolato dalle sue parole in un parossismo di furia e sconcerto, non resta che inarcare un sopracciglio incredulo. «Non guardarmi come se fosse colpa mia. Sei tu che mi hai costretto: non volevi sentire ragioni! E ora, per via della tua cocciutaggine, devo un favore a Mycroft-- spero davvero che tu sia soddisfatto, John.»

Sarò soddisfatto, vorrebbe rispondergli lui, quando stringerò in pugno i sanguinolenti brandelli delle tue interiora, ma la macchina si ferma e: «Siamo arrivati!», li avverte l'autista.

Il buon dottore prende un respiro profondo e si arrende di nuovo, lasciando senza ulteriori proteste che Sherlock si appropri rudemente della sua mano sinistra e faccia scivolare la fede lungo il suo anulare, prima di spalancare la portiera e scendere dall'auto.

 

Se mai la felicità dovesse decidere di incarnarsi in un edificio John crede che ci siano buone possibilità che la sua scelta ricada sul delizioso, piccolo cottage che ospita al suo interno la clinica per amori in crisi Happily Ever After, per sempre felici e contenti, o rimborsati!, che con i suoi muri di graziosi mattoni a vista, risaliti da diligenti fronde rampicanti e sovrastati da un tetto di ordinate tegole rosse, sembra proprio essere stato appena vomitato nel mezzo della campagna inglese direttamente dalle pagine di una favola. Il buon dottore studia con occhio critico l'ameno quadro che gli si presenta davanti, mentre un'eufonica sintesi di aromi floreali gli invade le narici e l'autista scarica i loro bagagli – due valige di pachidermiche dimensioni e un trolley, nota distratto: il minimo indispensabile per una settimana lontano da casa, secondo Sherlock Holmes. Chissà, rimugina fra sé John, se il suo sequestratore si è ricordato di lasciare un posticino là dentro anche per le sue cose. Se non lo ha fatto probabilmente il buon dottore sarà costretto a ucciderlo. Ma se invece lo ha fatto vuol dire che Sherlock è entrato nella sua stanza, ha aperto il suo armadio, ha frugato nei suoi cassetti, ha stretto fra le mani la sua biancheria-- il pensiero produce qualcosa dentro John, qualcosa che non è proprio indignazione per la completa assenza di rispetto per la privacy altrui, qualcosa che per un attimo incrementa la sua frequenza cardiaca e che annulla gli effetti refrigeranti della brezza serale che ha preso a spettinare le chiome degli alberi e i riccioli di Sherlock. Qualcosa che John deglutisce e decide, con stoicismo da vero soldato, di ignorare.

«Allora?» lo chiama impaziente il detective che, quando il dottore si riscuote, ha già iniziato ad avventurarsi lungo il grazioso vialetto di ciottoli che conduce all'entrata del cottage, trascinandosi dietro il trolley e lasciando a lui l'enorme privilegio di occuparsi del resto delle valige. John per un momento è sopraffatto dal grande peso dell'onore che gli è stato con tanta magnanimità concesso, e barcolla e grugnisce, mentre con la grazia di un orso che tenta di cimentarsi in un valzer arranca dietro a Sherlock.

«Buonasera e benvenuti all'Happily Ever After!» li accoglie con rituale cortesia una donna appollaiata dietro ad un bancone di marmo rosa. È bionda, con degli enormi occhioni verdi un po' sporgenti e una camicetta scarlatta, dotata di una munifica scollatura che è, in tutta evidenza, circondata da un potentissimo campo magnetico-- John se ne rende conto quando sente i piccoli aghi calamitati nascosti dietro alle sue pupille fremere febbrili nel disperato sforzo di prevaricare il ferreo divieto che la sua coscienza si è auto-imposta e cedere al suo richiamo. Non è che nel complesso la trovi particolarmente attraente, ma è vinto dalla forza dell'abitudine e dalla filantropica disinvoltura con cui lei sta mettendo in mostra le sue considerevoli qualità, quindi non combatte quando sente il suo sorriso da rimorchio premere per affiorare. «Buonasera... Nancy» dice, dopo essersi sporto un poco sul bancone per decifrare le lettere svolazzanti incise sulla targhetta dorata che Nancy porta appesa sul petto. «Io sono John--»

«John Watson, sì» risponde pronta lei, piegando le labbra all'insù con lentezza predatoria e fissandolo dritto negli occhi «E Sherlock Holmes, suppongo» aggiunge dopo poco, voltandosi verso Sherlock. «Vi stavamo aspettando, le altre coppie sono già tutte arrivate»

Il detective fa una smorfia un po' inquietante che nelle sue intenzioni, forse, dovrebbe assomigliare ad un sorriso e dichiara con voce di velluto, torreggiando da sopra la spalla sinistra di John, che sarebbero arrivati prima, se solo qualcuno non fosse stato così difficile da convincere.

John pensa che Sherlock è così vicino, dietro di lui, che gli basterebbe muovere un po' il braccio per assestargli una gomitata fra le costole e farlo sembrare un incidente, ma stringe e rilassa le dita della mano sinistra un paio di volte e riesce a scacciare la tentazione. «Se qualcuno la piantasse di prendere tutte le decisioni da solo e si decidesse per una volta ad ascoltare la mia opinione sulle cose--» inizia a dire, ma le ultime parole vengono inghiottite dal rombo oltraggiato della voce di Sherlock, che gli assicura che: «Se qualcuno avesse opinioni degne di essere ascoltate, almeno una volta ogni tanto, sarei più che lieto di farlo»

«Se qualcuno la smettesse di essere un così fastidioso bastardo per tutto il tempo forse--» abbaia in risposta John, ma la sua accalorata recriminazione viene stroncata a metà dal trillo cristallino di una risata, che fa scattare le teste del buon dottore e della malvagia entità vessatrice alle sue spalle simultaneamente nella direzione del suono.

«Oh!» miagola con divertita indulgenza Nancy, dopo essersi resa conto di essere divenuta il nuovo centro di attenzione nella stanza, «Siete adorabili, proprio una bella coppia!»

John non pensa, la sua bocca si apre in un riflesso pavloviano e sputa fuori parole che ormai sono più un proforma che una vera e propria negazione-- sono passati eoni dall'ultima volta in cui le ha pronunciate armato dell'ingenua speranza che qualcuno le credesse autentiche: «Non siamo una co--» inizia a ringhiare sulla difensiva, ma dietro di lui Sherlock si fa impercettibilmente più vicino ed il buon dottore viene folgorato dalla consapevolezza che invece sì, lo sono. Solo per finta, chiaro, ma lo sono. Si schiarisce la gola per prendere tempo, in cerca di un po' di ispirazione per aggiustare il tiro: «Non... intendevo che... ecco... non... non siamo poi così belli» farfuglia sorridendo debolmente, preda di un vago imbarazzo, ma nel complesso soddisfatto dalla propria prontezza di spirito.

Nancy ammicca, un po' complice e un po' lasciva e dice: «Io credo che lo siate»

Sherlock sbuffa, spingendo John di lato per piazzarsi di fronte all'amichevole receptionist: «Possiamo avere le chiavi della nostra camera?» le chiede con sbrigativa cortesia.

«Oh, certo!» risponde lei studiando per un attimo il monitor del computer, per poi abbassarsi per aprire un cassetto e da lì estrarre una chiave appesa ad un enorme cuore rosso e passarla a Sherlock «Stanza numero cinque, al piano di sopra, in fondo al corridoio. Avete tempo fino alle sette per sistemare le vostre cose, poi dovrete scendere per fare la conoscenza delle altre coppie e naturalmente per la cena e poi da domani mattina inizierà-- » Nancy si interrompe quando il rumore di una porta che sbatte avverte lei e John che Sherlock ha lasciato la hall. Senza avere neanche la decenza di portare con sé quanto meno il dannato trolley, nota il buon dottore.

«Sherlock!» ruggisce a vuoto, più per scaricare la frustrazione che aspettandosi davvero una ricomparsa da parte dell'altro. Masticando a denti stretti una tanto creativa, quanto irripetibile selezione di anatemi John lancia a Nancy un'occhiata di scuse, raccoglie i bagagli e pencolando si getta all'inseguimento del suo migliore amico.

La clinica per amori in crisi Happily Ever After, per sempre felici e contenti o rimborsati! vuole mettere a suo agio i cuori tormentati che si affidano alle sue cure, per questo fa di tutto per mantenere un aspetto accogliente e un po' rustico. John pensa che gli interni siano una perfetta rivisitazione in chiave solo un poco più pretenziosa della vecchia casa di campagna dei suoi nonni, e proprio come nella vecchia casa di campagna dei suoi nonni anche qui è presente un'impervia ed arzigogolata scalinata in legno che conduce al piano di sopra e fatalmente manca ogni traccia di un ascensore.

Quando John se ne avvede riesuma il turpiloquio che era appena riuscito a placare ed inizia ad arrampicarsi rassegnato.

È troppo assorbito dal tentativo di non ruzzolare giù per rendersi conto del fatto che dietro l'ennesima curva delle scale lo sta attendendo in agguato una figura alta e scura-- realizza la cosa solo quando si ritrova spalmato contro una familiare camicia viola e la voce di Sherlock – e un'inattesa e debilitante ondata del suo odore – gli si rovescia addosso: «Durante la nostra permanenza qui incontrerai altri esemplari umani di sesso femminile, John. Pensi di riuscire a tenere sotto controllo le tue ghiandole salivali?» dice il detective, rigido e severo, mentre incombe su John ancora più del solito, avvalendosi della sleale collaborazione dei gradini, «Dovresti far finta di essere innamorato di me, dobbiamo essere convincenti se vogliamo attirare l'attenzione di Teale-- come può credere che siamo una coppia se tu continui a sbavare su ogni strategico accumulo di tessuto adiposo in cui ti imbatti?»

Il buon dottore è preso in contropiede, perché sì, Sherlock ha un punto, ma se pensa di potersela cavare così dopo averlo abbandonato da solo con quelle valige piene di sassi si sbaglia di grosso, e apre la bocca per rispondere, senza sapere bene cosa dire, ma a Sherlock sembra non interessare la sua replica, perché si è già voltato e sta risalendo svelto le scale. Quando arriva in cima John deve ancora chiudere la bocca. «E per la cronaca,» aggiunge, prima di sparire dietro l'angolo del corridoio «non le piaci veramente, è solo lusingata perché crede di essere riuscita a fare colpo nonostante tu sia gay.»

«Non sono gay!» scatta subito lui, come un giocattolo a molla.

 

Quando, un'indefinita quantità di tempo dopo, il buon dottore riesce finalmente a portare a termine la scalata ed ansimando raggiunge la sua meta, Sherlock, che per qualche inspiegabile ragione se ne sta con un orecchio appiccicato alla parete, in ginocchio sul singolo, minacciosissimo letto matrimoniale che troneggia al lato opposta della stanza, gira un poco la testa nella sua direzione e lo contempla di sbieco con un'occhiata di distaccata sufficienza, prima di grugnire con scherno alla sua apparenza trafelata e poi, come se niente fosse, tornare a rivolgere tutta la sua attenzione al muro.

John sbatte le palpebre un paio di volte e si costringe a staccare gli occhi dal suo coinquilino e dal letto – dal suo coinquilino sopra al letto – per esplorare la stanza: è grande, luminosa, ma non abbastanza interessante per impedire alla sua mente di deragliare.

Ovviamente il letto è uno solo-- sono sposati, che cosa si aspettava?

Ma non è un problema, davvero.

John, ha già dormito accanto ad altri uomini. Un sacco di volte.

Farlo con Sherlock non gli crea assolutissimamente alcun tipo di fastidio.

«Perché--» inizia a chiedere, nel tentativo di rompere il silenzio e di rimbrigliare i suoi pensieri «perché hai un orecchio attaccato al muro?»

Il detective gli lancia uno degli sguardi che adopera di solito quando contempla la pochezza del genio altrui e il dottore pensa per un attimo che la sua domanda verrà ignorata, ma poi l'altro sbuffa e dice: «Perché oltre a questo muro c'è la stanza di Vincent e Susan Teale. Sto ascoltando,» non è ovvio? aggiungono i suoi occhi roteando eloquenti.

 

Sherlock continua ad ascoltare fino a quando non è ora di scendere per la cena.

John disfa le valige e scopre che, grazie al cielo, Sherlock si è ricordato di lui.

 

«Susan!» cinguetta giulivo il detective, facendosi largo con grazia fra la piccola folla che anima la sala in cui sono stati radunati per la cena «È incantevole rivederti!»
La donna bassa e pasciuta a cui Sherlock è arrivato alle spalle trasale ed emette un acuto uh! di sorpresa, prima di piroettare su se stessa per identificare il suo molestatore: «Sherlock!» dice sorridendo, dopo essersi portata con teatralità una mano sul petto, come a rassicurare il suo trepido cuore che niente di male sta per succedere «Mi hai fatto paura!» lo canzona.
«Oh, non era mia intenzione!» si scusa lui, e sembra genuinamente mortificato «Susan, questo è John Watson, mio marito-- John, questa è Susan Teale, è lei che mi ha parlato di questo posto, sai amore

John pensa che certe parole pronunciate dalla bocca di Sherlock suonino davvero assurde, per questo ci sono ottime probabilità che il buon dottore sarebbe scoppiato a ridere in faccia ad un potenziale serial-killer e alla sua dolce metà, se solo una mano non fosse atterrata sulla sua spalla e delle lunghe dita affusolate non avessero preso ad accarezzargli i capelli alla base della nuca in una studiata esibizione di indolente affetto.

Un lungo brivido denso gli striscia giù per la spina dorsale e John si sforza di annuire, e di sembrare interessato, e di tenere il passo con la conversazione che si sta dipanando davanti a lui, ma Sherlock continua a muovere pigramente le sue dita meschine e pensare e concentrarsi e respirare non sembrano più attività tanto indispensabili.

«Oh, tuo marito?» sta dicendo lontana anni luce la voce della signora Teale «Non avevo capito che il tuo partner fosse un uomo...»

«Problemi?» domanda Sherlock aggrottando la fronte ed arrestando d'improvviso le sue carezze sul collo di John, che viene brutalmente riportato alla realtà.

«No, no-- certo che no» si affretta ad assicurare Susan, incurvando nervosa le labbra tinte di un'improbabile tonalità di rosa ed allungando una mano per stringere forte quella dell'uomo alto, massiccio ed in apparenza molto poco rilassato che le sta accanto «Lui... lui è mio marito, Vincent-- Vince, loro sono Sherlock Holmes e John Watson»

«È un vero piacere fare la sua conoscenza, Vince» dice con lentezza Sherlock, e a John non piace per nulla il velluto del suo tono e la scintilla di interesse che si accende dietro gli occhi scuri di Teale mentre il suo sguardo invadente e contrito percorre con discrezione la figura sottile del detective.

 

Il resto della serata è una vera agonia.

Sherlock propone ai loro nuovi amici di dividere un tavolo durante la cena, ma la signora Teale declina perché malauguratamente, dice, sono già stati incastrati dai coniugi Mitchell, che sono davvero spocchiosi, ma ormai è fatta e piantarli in asso sarebbe proprio scortese. Il detective annuisce comprensivo, e dopo aver preso commiato trascina John alla ricerca di una postazione da cui riesca ad avere una buona visuale del suo sospettato ed una volta che l'ha trovata passa la seguente ora e mezza in silenzio, a fissare con sfacciata insistenza un potenziale serial-killer, mentre il buon dottore, accanto a lui, è lasciato a tirare le fila dell'impacciata conversazione che la bicentenaria coppia seduta davanti a loro sta cercando di intavolare.

Per tutta la durata della cena Sherlock non fa che invadere il suo spazio personale, dispensando tocchi e carezze distratte e sporgendoglisi contro per sussurrargli all'orecchio inezie come “questo Roast beef è disgustoso” con la sua voce intollerabile e bassa, per poi allontanarsi, sorridere malizioso e subito dopo correre con la coda dell'occhio a monitorare la situazione al tavolo dei Teale.

John non può fare a meno di sospirare con sollievo e di pensare grazie a dio! quando la donna dall'imponente permanente bionda che si è presentata come la loro terapista proclama la fine della serata e invita le coppie a tornare nelle loro stanze per un buon sonno.

Ma poi il dottore si ricorda del letto e pensa-- a niente, assolutamente a niente.

Perché mai dovrebbe pensare qualcosa di un letto, e di Sherlock, e di Sherlock sopra a un letto?

 

-----

NOTE

Ehilà! Questo capitolo è arrivato più tardi di quanto avrei voluto, ma in questi giorni la malvagissima RL ha reclamato la mia attenzione con una certa insistenza, lasciandomi poco tempo per scrivere, poi mi sono fatta prendere dall'ansia da prestazione e niente, una cosa tira l'altra e sono passate la bellezza di due settimane-- proverò a sfornare il prossimo con un po' più di rapidità, ma non assicuro nulla perché, ecco, come diceva qualcuno io sono quel dannato tipo di persona che scrive a fatica sette parole e poi ne cancella cinque D:

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e-- basta. Ringrazio tanto tutti quelli che hanno letto e leggeranno, i miei amici, i miei genitori, mia nonna che mi segue sempre da casa e il mio cane, soprattutto il mio cane, cosa farei senza di lui? *rotola via*

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: theOldEnnui