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Autore: theOldEnnui    29/08/2012    10 recensioni
In cui Sherlock convince John a sposarlo, un assassino deve essere incastrato e la terapia di coppia produce alcuni rivolti interessanti.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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3.

 

Dopo quasi due ore passate a fissare il buio con gli occhi sbarrati e la coscienza fastidiosamente vigile, John inizia a percepire il tiepido e più che benvenuto richiamo del sonno formicolare languido dietro alle sue palpebre. È allora, proprio quando è sull'orlo del precipizio e si sta giusto risolvendo a prendere l'ultimo, decisivo passo, che un suono bizzarro squarcia il silenzio e una mano invisibile gli atterra rudemente sulle spalle e lo strattona senza grande garbo, costringendolo ad arretrare e strappando via ognuna delle sue sfinite sinapsi dal piacevole stato di torpore in cui si stava crogiolando.

John si volta di scatto verso il suo compagno di letto, mentre col giudizio ancora ottenebrato dal sonno tenta di dare un senso alla realtà: tre quarti del materasso su cui sta giacendo sono occupati da una creatura che assomiglia in maniera davvero sorprendente al suo magnifico, elegante e sussiegoso migliore amico.

La creatura in questione è addormentata.

La creatura in questione ha un adorabile aspetto indifeso.

La creatura in questione sta russando.

Date queste premesse è del tutto evidente che la creatura in questione non può in alcun modo essere il suo migliore amico-- John deve mordersi la lingua per non scoppiare a ridere quando recupera sufficiente padronanza sulle sue virtù cognitive per realizzare che, in effetti, la creatura in questione lo è.

La scoperta di una verità tanto incredibile lascia il buon dottore diviso fra ilarità, sorpresa e una buona dose di turbamento: lo Sherlock Holmes russante non è certo un animale che compare in molti bestiari ed avere il privilegio di poterlo studiare tanto da vicino produce effetti curiosi sulle sue viscere.

John ascolta attento e rimugina sulla questione fino a quando non è costretto ad ammettere a se stesso che i suoni che scaturiscono dall'ignaro detective non sono poi così fastidiosi, e nemmeno del tutto sgraziati: ovviamente Sherlock, essendo Sherlock, è in grado di cimentarsi in ogni genere di attività, non importa quanto bassa o prosaica, e produrre sempre e comunque risultati accattivanti.

Il dottore sospira, chiude gli occhi e si lascia cullare dal rantolio profondo che riverbera dalla gola dell'altro tutte le volte che inala e dal piccolo sbuffo compiaciuto che lo scuote tutte le volte che lascia andare l'aria dai polmoni.

Sherlock Holmes russa, medita assonnato fra sé, e la rivelazione è di gran lunga più sconvolgente di quanto non siano mai state tutte le sue prodigiose deduzioni, perché il fatto che Sherlock russi è la prova ultima che, nonostante l'apparenza mendace, il cervello più brillante del Regno Unito è solo un altro piccolo, banale, difettoso essere umano e che è qui, proprio accanto a lui, ed è vero, e basterebbe solo allungare un poco una mano per poterlo toccare, se solo John volesse-- e perché mai dovrebbe volere una cosa simile?

Nessuna ragione, chiaro. Infatti non la vuole, proprio per nulla.

Ma se volesse – non che voglia - sarebbe davvero così facile... non gli costerebbe praticamente nessuno sforzo, gli basterebbe spostare appena il braccio e--

Sherlock, sotto le coperte, si agita e gli tira un calcio contro alla gamba.

John impreca a mezza voce, ed è di nuovo più sveglio che mai. Ogni traccia dell'insalubre delirio pre-onirico da cui è appena stato assalito viene provvidenzialmente spazzata via dal dolore, dalla frustrazione, dalla brama improvvisa di porre fine all'esistenza di Sherlock.

 

Mancano dodici minuti alle quattro del mattino quando Morfeo, mosso da pietà, si decide a degnarlo di una visita. Malauguratamente, però, non può trattenersi a lungo giacché, lo avverte, la vita della divinità è dura e lui è davvero oberato di impegni, così da qualche parte, attorno alle sei e mezzo, l'impietosa creatura gli sorride cordiale e prende commiato, ignorando ognuna delle sue accorate rimostranze.

John grugnisce con disappunto quando, a dispetto di tutti i suoi sforzi, si ritrova di nuovo cosciente, spalmato sopra ad un materasso che, a quanto pare, durante la notte ha preso la sua povera schiena in grande antipatia.

Sa bene di non trovarsi nel suo letto, ma ai suoi neuroni, ancora intontiti dal sonno, sfuggono il come ed il perché nascosti dietro a questo fatto. Sarebbe saggio, si dice, aprire gli occhi e guadagnare attraverso la vista qualche notizia in più, ma oltre alle sue palpebre le prime luci dell'alba hanno già preso a sfavillare con feroce intensità e John ha davvero poca voglia di sottoporre le sue ancora assonnate pupille al supplizio che seguirebbe l'adempimento di tale proposito, così decide di accontentarsi delle informazioni che riesce a carpire attraverso gli altri sensi.

Non sono molte, in verità, e per nulla conclusive.

La stanza è silenziosa. Un formicolio bizzarro gli solletica il collo, percepisce uno strano peso sullo stomaco e si accorge di avere perso ogni sensibilità al lato destro del corpo. L'aria è pesante, impregnata di sonno e di un odore curiosamente familiare e rassicurante che tuttavia John non è in grado di identificare con precisione.

Mosso dalla volontà di fare chiarezza in proposito il buon dottore inala profondamente e le sue narici risucchiano, oltre ad una considerevole ondata del misterioso afflato, anche un solleticante sfarfallio di riccioli.

John starnutisce e spalanca gli occhi.

Sherlock mugugna indignato.

John realizza che durante il suo breve soggiorno nel regno dell'incoscienza è stato sepolto vivo e a tradimento sotto ad un consultive detective-- qualcosa di molto simile al terrore gli ghermisce con ferocia le budella.

È già stato in situazioni di pericolo mortale prima. Il segreto per sopravvivere è mantenere la calma.

John è bravo a mantenere la calma.

Serra gli occhi e prende un bel respiro, poi ne prende un altro, un altro e un altro ancora, fino a quando non riesce a riportare la sua frequenza cardiaca sotto i novanta battiti al minuto. Solo allora inizia a muoversi, tentando con cautela di sgusciare fuori dalla presa di Sherlock senza svegliarlo, ma il bell'addormentato non si dimostra granché cooperativo e rende la sua impresa più ardua del previsto: quando lo sente muoversi il detective stringe riflessivamente la mano che ha adagiato sul suo petto, catturando salda nel pugno la stoffa della sua maglietta e scivolandogli, per dispetto, ancora più addosso-- se tutta quanta l'aria dei suoi polmoni non fosse evaporata come per magia quando Sherlock ha nel frattempo deciso di premere il volto nell'incavo del suo collo, mormorando compiaciuto, ci sono ottime probabilità che John ne avrebbe sprecata buona parte sciorinando un'interminabile sfilza di anatemi: la decenza ed il pubblico decoro sono davvero molto grati all'inconscio del detective per essersi risolto ad agire come ha agito.

«Sherlock?» lo chiama esitante il dottore, perché il suo braccio destro è stato imprigionato sotto al corpo dell'altro per una considerevole quantità di tempo e lui quasi non se lo sente più, ma non è ancora del tutto convinto che l'imbarazzo che seguirà al risveglio dell'amico in questa posizione sia preferibile all'amputazione di un arto. «Sherlock... Sherlock!» ripete con più urgenza, perché il suo respiro è caldo e umido contro alla pelle sensibile del suo collo e l'imbarazzo che seguirà al risveglio di Sherlock in questa posizione è senza dubbio preferibile all'imbarazzo che seguirebbe al risveglio di Sherlock in questa posizione se John avesse un'erezione.

La carcassa accanto a lui mugugna vaga, ma oltre a ciò non da alcun segno di essere la dimora di un'entità senziente.

«Sherlock, spostati» prova di nuovo lui, tentando di spingerlo via, ancora con un certo garbo-- nell'operazione una delle gambe di Sherlock scivola fra le sue e per un attimo il suo cervello va in cortocircuito, «Sherlock!» ruggisce allora, scrollandoselo di dosso con isterica efficienza.

John rotola giù dal letto e mentre arranca disperato, nel tentativo di mettere più distanza possibile fra lui ed il suo dannato coinquilino, inciampa nella giacca scura del completo che Sherlock ha indossato ieri sera e di cui si è disfatto con infingarda noncuranza non appena è rientrato. Il tavolo al centro della stanza gli fornisce un appiglio sufficiente per non sfracellarsi al suolo, ma ci si abbatte contro con tale foga che il poveretto barrisce in oltraggio ed arretra di svariati centimetri.

«John?» biascica bassa e arrochita dall'inattività la voce del Male.

John piroetta su se stesso e si volta verso Sherlock, che è disteso in obliquo sul materasso e lo sta fissando con sguardo appannato: «Cosa?»

«È veramente necessario tutto questo trambusto?»

Il buon dottore non risponde, ma raddrizza la schiena con grande dignità e si premura di riposizionare il tavolo producendo la maggior quantità di rumore possibile, prima di tuffarsi in bagno e chiudere a chiave la porta.

 

«Bene, possiamo iniziare! » squilla entusiasta Margaret, la terapista, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

Sono in una sala alta e dalle finestre enormi, seduti in cerchio assieme ad altre tre coppie: Susan e Vincent, i coniugi bicentenari con cui hanno cenato ieri e due anonimi sconosciuti-- lei si studia le unghie con aria annoiata, lui si lancia nervose occhiate intorno.

«Vorrei che per cominciare ognuno di voi mi raccontasse, con onestà, che cosa si aspetta da questa terapia, quali sono gli obbiettivi che vorrebbe raggiungere assieme al suo partner...» dice Margaret mentre, alla ricerca della sua prima vittima, fa vagare lo sguardo fra di loro con lentezza calcolatrice e sorprende John nel mezzo di uno sbadiglio. «John, vuoi partire tu?» domanda spietate e retorica, perché è più che ovvio dal rictus di costipato sgomento che ha immobilizzato i suoi muscoli facciali che no, John non vuole partire ed è altrettanto chiaro dall'incoraggiante ma perentorio sorriso di miele che Margaret gli sta rivolgendo che la possibilità di rifiutare non è contemplata.

«Io... ahem-- sì...» esordisce il dottore, fornendo alle sei paia di orecchie in ascolto un mirabile esempio della sua profonda competenza nel campo delle arti oratorie «Io, ecco... non-- non mi aspetto niente di speciale... solo-- » dice, mentre con un'occhiata obliqua e velata di disperazione tenta di convincere Sherlock a prestargli soccorso, ovviamente invano: il bastardo se ne sta seduto accanto a lui e si limita a fissarlo con quella che sarebbe una perfetta maschera di impassibilità, non fosse per lo scintillio divertito che anima le sue iridi e che colpisce John dritto, dritto nel sistema nervoso. «Solo-- sì... mi aspetto solo-- solo di... di sistemare le cose con Sherlock?» azzarda, sperando che sia una risposta accettabile.

Margaret annuisce indulgente e scribacchia qualcosa sul suo taccuino.

Il buon dottore sospira tentando di mascherare il sollievo e il disagio, si dimena con discrezione sulla sua sedia e del tutto casualmente il suo gomito collide col costato di un certo consultive detective.

Sherlock sibila di dolore e lo incenerisce con gli occhi.

John tenta di mordere indietro un sorriso compiaciuto.

Margaret li redarguisce con uno sguardo severo e procede col suo interrogatorio.

 

La seduta va avanti lenta e noiosa, tanto che per qualche folle istante il buon dottore si ritrova addirittura a rimpiangere i suoi incontri con Ella: anche loro erano lenti e noiosi, ma almeno durante quelli i suoi padiglioni auricolari non erano costantemente seviziati da invettive al vetriolo e affranti piagnistei contro e di emeriti sconosciuti.

Quando il ragazzo seduto di fronte a lui erutta in singulti disperati, accusando la sua imbarazzata dolce metà di non essere più la stessa John decide, per amore della sua sanità mentale, di scollegare il cervello.

Il suo sguardo distratto erra attraverso la stanza per un'imprecisata quantità di tempo ed avrebbe continuato a vagabondare oltre se solo i suoi occhi non fossero inciampati in una visione stranamente fastidiosa: Vincent Teale sta guardando verso Sherlock, le iridi scure assorte e fameliche, la bocca socchiusa piegata in una curva lubrica e il lampo della lingua che di tanto in tanto saetta fra le labbra sottili. Che le speculazioni che in questo momento stanno facendo danzare le sue cellule grigie non siano delle più vereconde è abbastanza ovvio.

Qualcosa ruggisce dentro a John.

Qualcosa di insensato, primitivo e feroce. Qualcosa che fa vibrare ognuno dei suoi muscoli col notevole sforzo di restare fermo, di non scattare in azione, prendere in spalla Sherlock e trascinarlo in un posto distante un milione di anni luce da Teale e dai suoi occhietti viscidi e spudorati. È qualcosa che il buon dottore riconosce, che alberga da sempre nelle profondità del tuo cassa toracica, ma di cui spesso di dimentica, perché passa la maggior parte del tempo in uno stato di innocuo letargo e che, ne è ben consapevole, non dovrebbe risvegliarsi con tanta fierezza davanti alla visione del suo migliore amico che viene fatto oggetto di una grandemente inopportuna, ma comunque silente e platonica ammirazione.

In ogni caso, si dice John, va bene essere gelosi adesso. Sta solo recitando una parte, si è solo immedesimato un po' troppo nel personaggio, non è come se fosse geloso per davvero-- è solo per finta. Se Sherlock fosse suo il buon dottore disapproverebbe con tutte le sue forze lo sguardo che Teale gli sta rivolgendo e probabilmente si sentirebbe in dovere di fare qualcosa e siccome in questo momento Sherlock è suo – solo per finta, ma comunque suo - John decide di agire e con simulata noncuranza lascia scivolare una mano eloquente e possessiva sopra al ginocchio del suo migliore amico.

Teale si avvede del gesto con un po' di lentezza, perché è impegnato a contemplare la lunga linea del collo di Sherlock, ma una volta recepito il segnale sposta la sua attenzione su John, che dall'altro capo del cerchio di sedie lo fissa con occhi impassibili ed un sorriso di letale cortesia disegnato sulle labbra. Il potenziale assassino sorride di rimando e mantiene lo sguardo per una manciata di secondi, ma quando il ragazzo della coppia accanto a lui esplode ancora una volta in un pianto dirotto sfrutta l'occasione per una ritirata dignitosa ed ostentando un interesse francamente smisurato per le disgrazie del poveretto lo elegge nuovo beneficiario di tutte le sue attenzioni.

John è soddisfatto, e lo rimane fino a quando non lancia un'occhiata alla sua sinistra e si accorge che Sherlock ha assistito alla silenziosa tenzone che si è appena disputata fra lui e Teale, allora smette di essere soddisfatto ed inizia a sentirti stupido, perché la sua mano è ancora sul ginocchio di Sherlock, e forse dovrebbe rimuoverla, ma Sherlock non si sta lamentando e comunque è tutto solo per finta quindi-- «John, vuoi iniziare tu anche questo giro?»

Margaret deve averlo preso proprio in antipatia, rimugina il buon dottore mentre annuisce e fa una smorfia: «Certo, io-- scusa, non ho capito bene cosa...»

Margaret scribacchia sul suo taccuino e quando parla di nuovo il suo tono è così pregno di disapprovazione che riesce quasi a farlo sentire in colpa per non aver ascoltato una solo parola pronunciata durante l'infernale seduta: «Ho chiesto che ognuno di voi raccontasse del momento in cui ha capito di essere innamorato dell'altro, John. Ti sarei davvero, davvero grata se prestassi attenzione almeno un pochino»

È come tornare a scuola-- è peggio di tornare a scuola.

La sua mano è ancora sul ginocchio di Sherlock e sarebbe senza dubbio opportuno che la togliesse da lì, si dice, ma non fa in tempo, perché il bastardo ha percepito il suo disagio e appena comincia a ritirarla, in uno scatto felino, la intrappolata sotto la sua: «Non essere timido caro, su!» cinguetta con un sorriso affettuoso e posticcio.

John pensa a come sarebbe facile ucciderlo nel sonno, questa notte, ma John non è un uomo cattivo e allora aggiusta il tiro dei suoi pensieri e pensa a quanto sarebbe semplice riprenderlo mentre russa come un ghiro per poi inviare il video a Lestrade, Anderson e tutti gli yarders.

Margaret sta tamburellando gli artigli laccati di rosso sul bracciolo della sedia.

Il buon dottore si schiarisce la gola e dice: «Io... non mi ricordo. È successo gradualmente-- non c'è stato un momento preciso»

Margaret fa una smorfia e scribacchia sul taccuino, John deve soffocare l'impulso di strapparglielo di mano e buttarlo fuori dalla finestra: «E per quanto riguarda te, Sherlock, invece?» domanda la donna.

Sherlock finge di ponderare con attenzione il quesito per alcuni secondi: «Be', ci ho messo un po' a rendermene conto» ammette «Penso di averlo realizzato un giorno in cui John era in soggiorno a fare qualcosa di estremamente futile e noioso come guardare la tv e io ero in cucina a fare un esperimento, poi il microonde è esploso e John è corso a controllare che non fossi ferito, si è abbandonato al turpiloquio per dieci minuti buoni e poi, mentre si lamentava di quanto fossi sconsiderato, ha preso a ripulire tutto. Mentre lo guardavo mettere a posto quel disastro ho pensato che... ho pensato-- sì... » Sherlock fa spallucce e agita sbrigativamente una mano nell'aria.

«Molto bene» si compiace Margaret, e il detective improvvisa un sorrisetto timido. «Susan, cosa ci racconti ti te?»

John si ricorda l'incidente del microonde.

È tutto solo per finta, ma il suo stomaco si annoda.

Mentalmente il buon dottore impreca.

 

«Credo che Margaret mi detesti»

«Mh» commenta Sherlock, evidentemente molto perturbato dalla questione.

Dopo la seduta hanno pranzato e poi sono stati spediti in camera per prepararsi alle attività del pomeriggio. Appena varcata la soglia della loro stanza il detective si è gettato sul letto, ha congiunto le dita sotto al mento ed ha preso a fissare il soffitto con feroce intensità.

John, seduto su una delle sedie attorno tavolo tenta di leggere il giornale, ma tutto quel silenzio lo distrae. Azzarda un colpetto di tosse.

Sherlock non ha nessuna reazione.

«Allora... hai fatto colpo su Teale» constata con casualità.

«Mh» commenta il suo loquacissimo interlocutore.

John sbuffa, ma proprio mentre sta per rinunciare e la sua attenzione ha incominciato a migrare da Sherlock di nuovo verso il giornale il detective scatta a sedere e annuncia: «Così non va... dobbiamo trovare un modo per spingerlo ad agire.»

«A tentare di ucciderci, vuoi dire.»

Sherlock rotea gli occhi, seccato da quella precisazione superflua, e dice: «Sì, John, esatt-- Oh! Perfetto, è perfetto! Susan e Vincent staranno in camera questo pomeriggio per eseguire gli esercizi di fiducia che Margaret gli ha assegnato alla fine della seduta!»

Il buon dottore aggrotta la fronte, senza capire. Il detective ignora il suo smarrimento e prosegue: «Va' a dire a Margaret che ho un forte mal di testa e che non me la sento di prendere parte all'escursione e che quindi non parteciperai nemmeno tu, perché senza di me la tua presenza sarebbe ovviamente senza scopo-- vai John, forza!»

«E dovrei fare una cosa simile perché...?»

Sherlock ghigna diabolico: «Ho appena avuto un'idea.»

 

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NOTE: nooo, non sono assolutamente passate sedici ere geologiche dall'ultimo aggiornamento... la vostra percezione dello scorrere del tempo deve essere un po' sfasata!
Seriamente-- imploro la clemenza della corte, cose malvagie sono accadute alla mia connessione. La buona notizia è che nei lunghi e tristi pomeriggi solitari tagliata fuori dal mondo e senza accesso ad internet non ho avuto granché da fare, quindi la prossima parte è pronta e la posterò a breve u_ù Sempre grazie infinite a chi ha letto e a chi ha commentato, spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento, in caso contrario potete pomodoromarciarmi quanto volete, me lo merito di sicuro D:
Tanto amore ♥

  
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